Votar o no votar

Votar o no votar

Messaggioda Berto » gio gen 23, 2014 8:56 am

Votar o no votar
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Elogio del liberale non votante

http://www.lindipendenza.com/elogio-del ... on-votante


di ALESSANDRO MARCHI

Il liberale ha diritto a non votare e a fare proseliti contro il voto (senza sentirsi in colpa). È necessario insistere sulla definizione di liberale. Il liberale è colui che si batte contro lo stato, che ritiene importante limitare il potere governativo, che non crede ci debbano essere interventi continui per regolamentare ogni aspetto della vita degli individui. Il liberale, quindi, ha la facoltà di decidere se immischiarsi nel sistema di creazione dell’apparato decisionale dello stato, il parlamento appunto, oppure se tirarsi fuori. Tutti hanno la facoltà di decidere se votare o meno, ma il liberale, a causa delle proprie convinzioni, può essere considerato un obiettore. Questo perché non ci sono forze politiche che abbiano come obiettivo la limitazione del potere, la mutilazione di apparati statali, il dimezzamento delle tasse, una massiccia deregolamentazione. Se un liberale ritiene che invece ci sia una tale offerta, allora beh, può senz’altro usufruire del proprio diritto a diventare un cittadino votante e rinunciare a quello che dovrebbe essere considerato il sabotaggio liberale contro lo stato.
Un liberale però deve stare attento e fare quello che ha smesso di fare molti anni fa: essere combattivo contro le forze anti-liberali che opporranno argomentazioni, piuttosto deboli a dire il vero, ma che hanno attecchito molto nel sentire comune.
Sentiremo fare sproloqui sul diritto-dovere di votare, sulla incostituzionalità del non votare, sull’ignavia del gesto con cui si preferisce far decidere gli altri; si richiamano alla memoria battaglie sanguinose per la rivendicazione di questo diritto e, alla fine, l’avvertimento dell’impossibilità di potersi poi lamentare contro coloro che sono stati eletti. La partecipazione è il cardine della democrazia e ogni buon cittadino dovrebbe contribuire a oliare i suoi ingranaggi.
Il punto è proprio questo: un liberale non vuole far parte di un meccanismo che ritiene ripugnante, che distrugge la libertà, inefficiente, costoso, ingiusto. La nostra costituzione, per esser presa sul serio, avrebbe dovuto impedire che il potere governativo prendesse il sopravvento e ci conducesse verso un punto in cui ogni aspetto della nostra vita è regolamentato e ogni cosa tassata. Qualunque richiamo, quindi, alla costituzione non può certo incidere. Anche perché, è bene ricordarlo, la costituzione è un testo legislativo, non ha niente di divino, né di assoluto e quindi, come ricorda Bruno Leoni, il diritto non può essere la sola espressione della volontà dei governanti.
Cosa significa, poi, diritto-dovere? Avere diritto di fare qualcosa significa avere la possibilità di avere una qualche pretesa; avere invece un dovere significa essere obbligati a fare o non fare qualcosa. Quindi significa che non votare comporta una sanzione? È quindi un diritto obbligatorio? Al di là di quello che può essere la legislazione in merito, risulta evidente il paradosso di avere un diritto obbligatorio: se è obbligatorio è un dovere, altrimenti è un diritto e come tale posso anche decidere di non esercitarlo.
E cosa dire della mancanza di riconoscenza per chi ha combattuto per darci la possibilità di esprimere la nostra opinione? Se coloro che sono morti vedessero a che punto ci ha portato il loro sacrificio, probabilmente se ne pentirebbero. Un liberale morto per il suffragio universale, adesso appoggerebbe la scelta all’astensione, perché un liberale non può esser statalista, mai.
Non c’entra quindi l’ignavia e poco anche l’antipolitica. Non votare è un tentativo di sabotaggio delle istituzioni statali ormai divenute fuori controllo; è il rifiuto di far parte di qualcosa di aberrante, è l’obiezione di coscienza liberale. Potremmo semmai parlare dell’efficacia della strategia, è vero, ma non possiamo mettere in dubbio il riconoscimento del gesto.
Infine non è possibile sostenere la tesi secondo la quale dal momento in cui non contribuisco a eleggere i miei governanti, non posso lamentarmi del loro operato. Ma i governanti non mi chiedono (nuove) tasse, non mi impongono (nuove) regolamentazioni che devo rispettare? Lo stato mi chiede molto e non mi posso lamentare perché non ho adempito a una delle tante richieste che mi fa? Le altre non contano, quindi? Il voto mi permette di comprarmi il mio spazio di lamentela? Bell’acquisto.
Il liberale deve fare il proprio dovere di resistere e opporsi al potere governativo. In tempi in cui questo potere è così cresciuto da occupare tutto lo spazio disponibile e il liberalismo ha perso perfino coscienza di sé, i superstiti non possono far altro che resistere e tentare di mettere qualche bastone negli enormi ingranaggi statali. Non votare è solo un piccolo tentativo legittimo di resistenza.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 21, 2014 9:42 pm

Non sono i cittadini a servire i politici o la legge

http://www.lindipendenza.com/non-sono-i ... o-la-legge

di ENZO TRENTIN

Probabilmente i presupposti tecnologici ed educativi per la democrazia non sono mai stati soddisfatti come lo sono oggi. Non ci sono motivi ragionevoli per il mantenimento di una categoria di persone (politici o élite politica) meglio attrezzata per decidere sugli affari pubblici rispetto agli altri (i cosiddetti “cittadini ordinari“). Nonostante questo, persiste quest’idea: che non solo non spiega nulla; essa stessa ha bisogno di spiegazioni. Secondo questa tesi, le persone approverebbero solo ciò che giova ai loro propri interessi, dimostrando una mancanza di responsabilità nei confronti dell’intera comunità o società, con conseguenze distruttive. Ad esempio, voteranno per abolire le tasse e al tempo stesso aumentare la spesa pubblica.

Nella realtà, da un punto di vista finanziario, i cittadini sono più responsabili dei politici. I vasti debiti pubblici che esistono ora nella maggior parte dei paesi occidentali, ad esempio, sono stati accumulati contro la volontà popolare. Indagini, condotte nell’arco di diverse generazioni in Germania e negli Stati Uniti, mostrano che una maggioranza stabile dei due terzi della popolazione è a favore di un bilancio pubblico che rimanga equilibrato anche a breve termine [Cfr. «Bilancio equilibrato», vedere: R.K. von Weizsäcker (1992), «Staatsverschuldung und Demokratie», Kyklos 45, pagg. 51-67]. Pertanto l’accumulo di una montagna di debiti è il risultato di una politica contraria alla volontà della maggioranza. La gente non gradisce essere oppressa da provvedimenti che saranno necessari per ridurre tali montagne di debiti [Cfr. A.S. Blinder / D. Holtz-Eakin (1984), «Public opinion and the balanced budget», American Economic Review 74, pagg. 144-149].

La ricerca ha mostrato che l’accumulo di un deficit pubblico è strettamente connesso allo schieramento dei partiti politici in un Paese. Ecco alcune osservazioni empiriche: maggiore è la polarizzazione all’interno di una coalizione multipartitica, maggiore è la tendenza ad accumulare debito; più è probabile che un governo perda le prossime elezioni, tanto maggiore è la tendenza ad accumulare debito; più è breve la durata media di un governo in carica, tanto maggiore è debito accumulato; più ci sono partner nella coalizione di governo, maggiore è la tendenza ad accumulare debito. [Cfr. N. Roubini / J. Sachs (1989), «Political and economic determinants of budget deficits in the industrial democracies», European Economic Review 33, pagg. 903-933 la cui ricerca ha riguardato paesi dell’OCSE durante il periodo dal 1960 al 1985; altri riferimenti nel sunnominato von Weizäcker, 1992]. Tali osservazioni dimostrano che il pensare a breve termine dell’élite politica gioca un ruolo centrale nell’accumulo del debito nazionale: il debito viene accumulato, si può dire, per comprare voti. Von Weizäcker (1992) pertanto è a favore dell’attuazione di un referendum obbligatorio prima che il debito nazionale venga contratto.

Un gruppo di economisti e scienziati della politica delle Università di Zurigo e San Gallo, tra i quali Feld e Matsusaka [Cfr. L.P. Feld / J.G. Matsusaka (2003), »Budget referendums and government spending: evidence from Swiss cantons», Journal of Public Economics 87, pagg. 2703-2724] hanno esaminato come gli elettori decidono nei referendum sulla spesa pubblica in Svizzera. In molti cantoni, la spesa pubblica viene sottoposta a un «referendum finanziario» obbligatorio. Ogni singola spesa del settore pubblico, sopra ad una certa somma (la media è di 2,5 milioni di franchi svizzeri), deve essere approvata individualmente mediante un referendum. Feld e Matsusaka hanno scoperto che i Cantoni dotati di questo tipo di referendum obbligatorio spendono il 19% in meno dei Cantoni che ne sono sprovvisti (le cifre si riferiscono al periodo dal 1980 al 1998).

Matsusaka riscontrò lo stesso effetto per gli Stati americani, analizzando sistematicamente tutti i dati disponibili per l’intero XX secolo. Gli Stati con l’iniziativa popolare sembrano spendere il 4% in meno a livello statale di quelli senza. Inoltre, sembra che più è facile lanciare una iniziativa popolare, più l’impatto è grande: negli Stati dove la soglia di sottoscrizione è più bassa, la spesa pubblica era il 7% inferiore a quella degli Stati senza l’iniziativa popolare, considerato che l’impatto negli Stati con le soglie di sottoscrizione più elevate era quasi pari a zero. A livello locale, l’iniziativa popolare ha condotto ad una spesa più elevata, ma nel complesso l’effetto netto è stato un calo della spesa pubblica [Cfr. J. G. Matsusaka (2004), «For the Many or the Few. The Initiative, Public Policy, and American Democracy» University of Chicago Press, pagg. 33-35].

La democrazia diretta porta anche a imposte più basse. Quando il referendum d’iniziativa popolare è disponibile in un dato Stato, questo porta ad una riduzione d’imposta di 534 $US per una famiglia di quattro persone, che corrisponde pressapoco al 4% dell’introito pubblico. La differenza è significativa, ma non drammatica in valore assoluto e non si può dire, solo in base a questo, che lo Stato diventi ingovernabile [vedasi sopra: Matsusaka, 2004, pagg. 33-35]. Pertanto, sebbene diminuiscano contemporaneamente sia la spesa pubblica che le tasse, l’effetto netto rimane un calo dei disavanzi di bilancio. Feld e Kirschgässener (dello stesso gruppo di scienziati sunnominato) nel 1999 hanno esaminato l’effetto dei referendum obbligatori sui bilanci di 131 delle più grandi città e Comuni svizzeri. Scelsero di confrontare i Comuni e non i Cantoni, perché i Comuni dispongono di un margine di manovra in materia di bilancio anche più grande dei Cantoni, che già è considerevole. Scoprirono che la possibilità di ricorrere ai referendum obbligatori sul bilancio ebbe un forte effetto sulla riduzione dei disavanzi. Kiewitz e Szakali (idem c.s.) nel 1996 erano giunti alle stesse conclusioni per gli Stati Uniti.

Inoltre non corrisponde certamente al vero affermare che, se sono all’ordine del giorno questioni fiscali, i cittadini scelgano, per definizione, di abbassare le tasse. Piper [Cfr. B. Piper, 2001, «A brief analysis of voter behaviour regarding tax initiatives, from 1979 to 1999», Washington: Initiative & Referendum Institute] ha mappato tutte le iniziative popolari relative alle tasse negli Stati americani dal 1978 al 1999; negli USA i referendum facoltativi non svolgono un ruolo significativo. Ci sono state 130 iniziative popolari sulle imposte, di cui 86 chiedevano una riduzione di tasse, 27 per aumentarle, mentre 17 rimasero neutrali sulla aliquota di tassazione. Tra le iniziative popolari per ridurre le tasse, il 48% sono state approvate, ossia meno della metà. Tra le iniziative popolari che invece domandavano un aumento delle tasse ne sono state approvate il 39%. La differenza è dunque piccola e le percentuali girano intorno alla media delle probabilità di successo delle iniziative popolari negli Stati Uniti, che è del 41%. Anche in Svizzera gli elettori approvano regolarmente gli aumenti d’imposte necessari. Nel 1993, venne approvata una tassa supplementare sulla benzina di 0,2 franchi svizzeri al litro (all’incirca 0,14 euro) dopo un precedente aumento nel 1983, che era stato anch’esso approvato mediante referendum. Nel 1984 furono approvate con referendum nuove tasse per le autostrade e la circolazione dei camion.

La California viene spesso esplicitamente citata come un posto dove i cittadini hanno preso decisioni finanziarie irresponsabili con i referendum. Ad esempio, si è sostenuto che le iniziative popolari hanno bloccato così tanto una parte del bilancio californiano ed allo stesso tempo congelato la possibilità di introdurre nuove tasse, che alla fine i politici non hanno più avuto un margine di manovra sufficiente. Matsusaka (Cfr. J. G. Matsusaka, 2005, «Direct democracy and fiscal gridlock: have voter initiatives paralyzed the California budget?» State Politics and Policy Quarterly 5, pagg. 248-264) ha controllato tale asserzione e ha concluso che, dopo quasi un secolo di democrazia diretta, il 68% del bilancio californiano era stato determinato dal sistema rappresentativo e che la possibilità d’introdurre nuove imposte non era soggetta a restrizioni.

Malgrado la pesante responsabilità per la cattiva situazione finanziaria della maggior parte dei paesi occidentali (come risulta da quanto sopra), i politici riescono ancora ad invertire ruoli e responsabilità. Per esempio: il senatore belga Hugo Vandenberghe ha difeso la sua contrarietà ai referendum con le seguenti parole: «Le gente non deve prendersi alcuna responsabilità per le sue decisioni. Può decidere con assoluta leggerezza di tagliare le tasse e due settimane dopo aumentare i contributi sociali.» (De Standaard, giornale belga, 19 dicembre 1992). Ovviamente la verità è esattamente l’opposto: alla fine è sempre la gente a pagare per i conti fuori controllo, sotto forma di aumento delle tasse, il peggioramento dei servizi pubblici, etc.. Nei sistemi rappresentativi i singoli politici, che sono quelli che decidono la pressione fiscale e il debito pubblico, non pagano mai personalmente le conseguenze delle loro decisioni. Non hanno mai restituito un solo centesimo della spesa che i cittadini non avevano mai richiesto o che causa il debito pubblico.

Dopo la scadenza del loro mandato – possibilmente ricompensati con una buonuscita o con un generoso bonus – ritornano semplicemente al loro abituale lavoro politico di partito. In seguito possono tirar fuori una sarabanda di argomenti più o meno plausibili per motivare le loro decisioni, ma il danno è già stato fatto, senza nessuna garanzia che i loro successori faranno qualcosa di migliore. Infatti, il senatore Vandenberghe – senza rendersene conto – pone l’accento su una argomentazione fondamentale a favore della democrazia diretta: poiché sulla gente ricadono sempre le conseguenze delle decisioni sul bilancio e le imposte, è del tutto logico che la gente abbia l’ultima parola su tali decisioni.

Ad ogni politico dovremmo ricordare una volta per tutte le parole di Tucidide (nato nel 460 a.C. ad Atene e morto nel 395 a.C.) che da Cicerone è definito “storico degno di fede”. Egli scrisse [II, 37]: «Si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più.» Non è dunque la presenza dei partiti politici che fa la democrazia, anzi, è l’esercizio della sovranità del popolo che la determina. E mentre la Costituzione italiana sancisce tale “sovranità” popolare, in nessuna sua parte stabilisce che essa è poi delegata ai “rappresentanti” politici. L’autorità del popolo, in democrazia, non dipende affatto da sue presunte qualità sovrumane come l’onnipotenza e l’infallibilità. Dipende invece dalla ragione esattamente contraria, dall’assunzione cioè di tutti gli uomini, e del popolo tutto intero, come necessariamente limitati e fallibili. È dunque possibile che il popolo – o meglio la sua maggioranza – sbagli, ma deve sempre essere messo nella condizione di ritornare sulle proprie deliberazioni. Altrimenti non è democrazia, ma tirannia.

La premessa della democrazia è l’abbandono dell’illusione che la giustizia sia a portata di mano e l’accettazione realistica che si sia tutti continuamente carenti rispetto al compito comune. Se, ciononostante, continuiamo a dare fiducia all’autorità popolare, è perché qualunque altra soluzione sarebbe peggiore di questa. In mancanza di riferimenti obiettivi, chi potrebbe infatti immaginare la sottomissione di una parte del popolo a un’altra parte, motivata dal riconoscimento delle altrui maggiori virtù? Chi, nella sfera politica, riconoscerebbe il proprio minor valore rispetto ad altri? Ove un confronto non solo verbale su questo terreno prendesse piede, sarebbe la guerra civile e la risoluzione del conflitto non dipenderebbe dalla preponderanza del meriti ma dalla prepotenza della forza. Per aver voluto instaurare il regno dei migliori, ci troveremmo col governo del più forte.

È evidente che i politici professionisti formano un gruppo che può trarre profitto dalla sua superiore posizione di potere. L’immagine collettiva che essi hanno di se stessi e degli altri può produrre risultati diversi. Possono essere utilizzati per giustificare lo status quo. Aumentano l’autostima di coloro che vedono se stessi come “élite” e inferiore l’autostima dei cosiddetti “cittadini ordinari” che sono classificati come non appartenenti al cerchio incantato delle “élite”. In una democrazia puramente parlamentare i politici godono di un monopolio, una serie di fonti di energia; soprattutto, il diritto di prendere decisioni importanti sulle questioni sostanziali e per determinare l’agenda politica. È loro l’accesso esclusivo a queste fonti di potere che fornisce la base per lo squilibrio di potere tra i politici e i cittadini. Il loro è un rapporto di disuguaglianza categoriale istituzionalizzato. Esso determina in pratica la divisione dei ruoli: i cittadini eleggono e politici decidono. Colpisce ancora l’uso della lingua. Un esempio spettacolare lo si riscontra in Finlandia: in finlandese lo descrivono con le parole “cittadino” (kansalainen) e “decisore” (päättäjä) due categorie di persone che si escludono a vicenda.

In una democrazia diretta, cittadini e politici sono interconnessi e interdipendenti in modo sostanzialmente diverso rispetto a un parlamentarismo puramente democratico. In una democrazia diretta, i cittadini condividono il processo decisionale e spesso hanno l’ultima parola. Hanno ripetutamente l’opportunità di agire come politici e di diventare ciò che Max Weber ha chiamato “politici occasionali“. Grazie ai loro diritti di iniziativa e di referendum, gli elettori hanno accesso al processo decisionale politico e alla determinazione dell’agenda politica. I politici eletti non sono in grado di monopolizzare le decisioni del potere politico, ma di condividerle con i cittadini. La concentrazione di politica e fonti di potere nelle mani di una piccola minoranza di politici professionisti è quindi severamente limitata.

A sua volta, l’equilibrio di potere colpisce di più i politici di quanto avvenga per i cittadini. La vecchia immagine del cittadino incompetente sfuma nel passato e viene sostituita da un’immagine del cittadino come qualcuno che è più maturo, più responsabile, politicamente più competente e più sicuro di sé. Allo stesso tempo cambia anche l’immagine dei politici; da nobili sfere vengono portati a condividere la stessa realtà terrena con tutti altri. I politici, tuttavia, da questo cambiamento, da questa perdita di potenza e di status, ricevono un guadagno di empatia e di umanità. Nel sistema di democrazia diretta, il rapporto istituzionalizzato tra cittadini e politici è diverso da quello puramente parlamentare. L’assenza di disuguaglianza come in precedenza evidenziato salta agli occhi anche nel linguaggio. Il concetto di “cittadino” include l’idea del diritto al diretto coinvolgimento nelle decisioni politiche. I cittadini e i legislatori non possono essere considerati due opposti, perché i cittadini hanno il potere sovrano.

È risaputo che noi impariamo facendo. Le competenze necessarie per essere un legislatore sono meglio apprese se siamo coinvolti nel processo legislativo. Le procedure di referendum e di iniziativa in una democrazia diretta facilitano questo più che in una democrazia rappresentativa, dove la mancanza di adeguate procedure impedisce alle persone di sviluppare il tipo di abilità politiche di cui hanno bisogno i legislatori. La democrazia diretta dà ai cittadini ulteriori possibilità di formulare proposte e di controllo politico, indipendentemente dalla volontà di governo e Parlamento. Così è meglio equipaggiata per garantire che “minore sia l’esposizione alle menzogne e i contratti siano rispettati, è impedito il favoritismo ed emerge la qualità“. Questo costruisce la fiducia reciproca tra i cittadini e contribuisce a rafforzare la coesione sociale. In breve, la democrazia diretta è anche un modo istituzionalizzato di creazione politica della fiducia tra i cittadini. Essa appartiene a quelle istituzioni vitali in base al “rafforzamento e difesa“, e offre una “sfida per la democrazia e la condizione per la sopravvivenza“.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » gio mar 06, 2014 9:58 am

A che serve il mio voto? A legittimare il mio carnefice

http://www.lindipendenza.com/a-che-serv ... -carnefice


di UBER ANGHINONI*

Fra poco saremo chiamati a votare per i membri italiani del Parlamento Europeo. Suppongo che per la maggior parte dei votanti, non conoscendo direttamente i candidati, si insinuerà il dubbio per chi votare per poi scegliere fra chi è più di destra, di sinistra o di centro. Estremista o moderato. Chi è comparso in Tv dicendo una frase che ci ha colpiti, chi ha interpretato il nostro pensiero, ecc.ecc., tanto poi nessuno gli chiederà conto e mai ne renderanno, del loro operato. Per una volta voglio dare priorità ad una diversa domanda. A chi i compiti decisionali della struttura eletta? A chi i compiti di legiferare? Aiutiamoci a capire.

Il trattato che istituisce l’Unione Europea stabilisce:
1) che gli unici atti vincolanti per gli stati membri, sono: i regolamenti, le direttive e le decisioni. Tali scelte diventeranno leggi per le singole nazioni.
2) Gli atti non vincolanti sono: i pareri e le raccomandazioni.

1) Regolamenti, direttive e decisioni sono presi:
a) dalla Commissione Europea;
b) dal Consiglio Europeo. La Commissione europea è governata da un Alto Commissario nominato da tutti i primi ministri degli stati membri; il Consiglio europeo è formato da tutti i ministri di tutti gli stati membri dell’Unione europea. (Quando i politici italiani addossano colpe all’Unione Europea, rammentino che sono stati direttamente loro ad assumere tale decisione).

2) Pareri e raccomandazioni sono gli atti principali del Parlamento Europeo. Noi, popolo, votiamo per eleggere chi? Per eleggere i componenti italiani del Parlamento Europeo. Quali sono i loro compiti? Il primo assoluto è quello di omologare la Commissione Europea. Perché il termine “omologare”? Perché gli eurodeputati non possono fare nessuna proposta alternativa.(in sostanza votano una lista unica decisa dal Consiglio dei Ministri delle nazioni componenti). Poi, come già visto, arrivano i pareri e le raccomandazioni (non vincolanti). Diamo un’altrettanto rapida e veloce occhiata a ciò che succede ultimamente in Italia. In Italia il mio voto, sostanzialmente, indica uno schieramento ( non più il partito schiacciato dal leader dello schieramento, salvo l’ingovernabilità).

Chi governa? Chi è stato nominato, non eletto, es. i giudici, il Presidente della Repubblica e il Capo del Governo, che nomina ministri su avallo di chi ha dato a lui l’incarico, cioè il Presidente della Repubblica.
Ed il Parlamento italiano?
Ratifica con il sostegno e con il non sostegno il frutto di una infinita trattativa di volta in volta tanto edulcorata da portare all’inefficienza di un programma liberamente interpretabile.
Capo del Governo e i ministri, sono quelli che nominano e compongono la Commissione Europea e il Consiglio Europeo.
Il mio voto in Italia e in Europa a cosa serve?
Serve unicamente a legittimare il loro potere dittatoriale.
Ergo, votando, sono complice del mio carnefice.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » lun mag 26, 2014 7:14 pm

Europee Italia: il Pd di Renzi quasi al 41%, Grillo sotto di 20 punti. Lega al 6,2%

http://www.lindipendenza.com/europee-it ... lega-al-62

Trionfa il Pd di Matteo Renzi che, con un dato intorno al 41%, batte il record di Veltroni del 2008 e stravince in tutte cinque le circoscrizioni, diventa il primo partito dell’area socialdemocratica europea, arriva quasi a doppiare l’M5S e a superare la somma di grillini e Forza Italia. Non solo, il Partito Democratico resta l’unica forza politica italiana a superare il dato assoluto del 2013 (in percentuale sale del 15%) e fa capire a tutti che sarebbe in grado di vincere da solo eventuali elezioni politiche con l’Italicum. Cinque dati tutti in positivo, un pokerissimo che esce dalle carte in mano di Renzi e costringe in un angolo grillini e berlusconiani.
Pd al 40,82% e M5S al 21,15% quando sono stati scrutinati i risultati elettorali di 61.519 sezioni su 61.592 per le Europee. Seguono Forza Italia (16,81%), Lega Nord (6,16%), Ncd-Udc (4,38%), L’altra Europa con Tsipras (4,03%), Fratelli d’Italia (3,66%), Verdi Europei (0,89%), Scelta Europea (0,71%), Italia dei Valori (0,65%), Svp (0,50%) e Io Cambio-Maie (0,17%).


A so contento parké jeri no so ndà a votar a le elesion ouropee ... on veneto ke no xe talian nol pol ndar votar come sel fuse talian, lè na ensemensa on controsenso.

Li xe tanti, màsa li veneti ke li se dixe par l'endependensa del Veneto e no taliani, ke li xe ndasti a votar da taliani par elaxar poledeganti taliani ke vargogna!
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » gio mag 29, 2014 8:34 pm

A Strasburgo il partito – tedesco – delle dimissioni

http://www.lindipendenza.com/a-strasbur ... dimissioni


di STEFANIA PIAZZO

Occorre dire che i tedeschi dicono le cose come stanno. A Strasburgo non si va per fare la guerra all’Europa delle banche, per salvare dalle grinfie dei poteri forti mezzo miliardo di persone, gli esodati, i rifugiati naturalizzati europeizzati, né per costruire le arche delle alleanze con speranze autonomiste. Si va per mangiare, punto e basta, visto che fare l’europarlamentare non è un mestiere che si faccia gratis.

Ed ecco allora “Il partito”, di nome e di fatto, Die partei. Programma politico: oziare, e a rotazione dimettersi, così che tutti i non eletti, dal primo all’ultimo, passino a fine mese alla cassa: uno alla volta, tutti porteranno a casa 33mila euro al mese. Un grande gratta e vinci, a consacrare la politica fine a se stessa. Una genialata o una porcata? Fate voi. Il programma, infatti, è chiaro: dimettersi. Potranno cambiare le sorti dell’Europa? Invertire o sovvertire i danni fatti dall’euro? Cambiare atteggiamento verso gli Usa o la Cina o la Russia? Decidere chi e cosa si fa nella Bce? Chi crede a Cappuccetto e ai sette nani, alla forza di una rivoluzione in atto? Certo, tutto può essere, ma la faccia tosta degli europarlamentari tedeschi eletti in questa lista, come riportava l’altro giorno la Frankfurter Allgemeine, (http://www.faz.net/aktuell/gesellschaft ... 59475.html), è imbattibile. Diciamo così, sovverte i canoni del coraggio. In Italia, nessun partito escluso, nessuno verrà a dirvi che il mestiere dell’europarlamentare è noioso e che non serve a nulla se non a perorare la causa – profumata – della propria bottega.

Emaciati, stanchi, dimagriti, occhiaie ascellari, gli europarlamentari italiani non li senti mai intervenire in cinque anni in un dibattito politico che sia uno. Tranne rare eccezioni, non sempre premiate dal voto, sembra vivano nei sotterranei di una metropoli, nascosti, nel buio dei riflettori. Li rivedi solo nei manifesti, cinque anni dopo.

Die partei, invece, lo dice subito chiaro e tondo: andiamo a Strasburgo per fare un beato c…., ma non siamo così golosi di denaro come gli altri. Un mese a testa, il programma politico è dimettersi. Almeno loro hanno la faccia di farlo. Tutti gli altri, per altri cinque anni, incassano per aiutare i poveri europei a perdere uno dietro l’altro tutti i loro diritti. Dal suo insediamento ad oggi, cos’ha cambiato d’altra parte l’europarlamento nel corso della storia? Quale pietra miliare del diritto e della conoscenza ha lasciato a noi posteri peccatori?

E allora, dimettersi, uno alla volta, è la cosa più civile a cui forse si potesse assistere. Avere il coraggio di dire che si va là e si sgomita solo per i soldi. Die partei, è che lo si voglia o no il paradigma dei partiti, “Il partito”, appunto.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » lun ago 04, 2014 8:11 pm

Politici, una balla dietro l’altra. E’ la menzogna di massa.

http://www.lindipendenzanuova.com/menzo ... o-elettori

di GIUSEPPE REGUZZONI

Perché i politici mentono?
Perché, come al letto di un paziente giunto ormai alla fine, i politici si ostinano a negare l’evidenza?
Sì, certo, non tutti i politici mentono e, soprattutto, non sempre mentono, ma questo misto di verità e di menzogna è forse anche peggiore della menzogna aperta.
Il tema non è nuovo, ma i potenti strumenti di comunicazione mediatica danno a queste domande antichissime un significato differente da quello del passato. Per secoli, la menzogna di massa si è confusa con la propaganda e, in modo particolare con l’indicare ai propri sudditi il nemico o il cattivo di turno.
È ancora vero, ma oggi, la grande novità, consiste nel fatto che si mente anche ai “propri”, cittadini, elettori, sostenitori, in una proporzione che era sconosciuta ad altri tempi pure infelici.
Lo sapeva perfettamente Adolf Hitler, che nel suo delirante Mein Kampf dice espressamente che, se devi mentire alle masse, devi mentire alla grande, deve trattarsi di una menzogna così grande a essere proprio per questo creduta. La menzogna è, difatti, la quintessenza di tutti i regimi totalitari, sia quelli vecchi maniera, come le dittature ideologiche del secolo scorso, sia quelli “soft”, caratteristici del sistema di disinformazione sistematica portato avanti dai poteri forti.
Un tentativo di riflessione sul significato e sulla portata della menzogna nella gestione della cosa pubblica si trova in un libretto di Alexandre Koyré, Sulla menzogna in politica, pubblicato da Lindau nel 2010 (64p. Eur. 9,50), ma uscito nell’originale francese a New York nel 1943. L’Autore, membro della resistenza francese, apparteneva infatti al movimento France Libre di De Gaulle e prende le mosse proprio dalla sconfitta e dall’occupazione nazista della Francia, negli anni più bui della Seconda Guerra Mondiale. «Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo». Con queste parole, che sembrano scritte oggi, inizia questa riflessione coraggiosa, che non affronta solo il tema, perenne, della menzogna, ma punta a sviscerare una delle radici ultime della perversione del Potere. Koyré riconosce, sin dalle prime righe, che «la menzogna è vecchia come il mondo», ma dichiara di volersi soffermare esclusivamente sulla «menzogna politica». Di essa tratta, nella prima parte del volumetto, per passare poi, nella seconda, al sistema di potere chiuso («segreto») che gestisce i meccanismi di condizionamento nelle dittature classiche. E allora, soffermandoci soprattutto sul primo aspetto, come se volessimo raccogliere un mazzo di fiori da un campo proibito, riportiamo alcune citazioni dalle prime pagine di questo straordinario libretto, lasciando al Lettore il compito di applicarne il significato a questi nostri tempi. «Non si è mai mentito così tanto … infatti, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, dei cumuli di menzogne si riversano sul mondo. I discorsi, gli scritti, i giornali, la radio … tutto il progresso tecnico è posto al servizio della menzogna. L’uomo moderno è immerso nella menzogna, respira la menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita (…) La menzogna moderna è fabbricata in serie e si rivolge alla massa. Così, se nulla è più raffinato della propaganda moderna, nulla è più grossolano del contenuto delle sue asserzioni, che rivelano un disprezzo assoluto e totale della verità». La massa – perché il Potere vuole «masse», non popoli – «crede a tutto ciò che le sie dice. Purché glielo si dica con sufficiente insistenza. Purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, le sue paure. Creder, obbedire e combattere – tale è il dovere della massa. Il pensiero è affare del capo». Eppure, anche in politica, la menzogna è un segno di debolezza, non di forza, forse in democrazia ancor più che nei sistemi apertamente totalitari. «La menzogna può essere un’arma. L’arma preferita dell’inferiore e del debole che, ingannando l’avversario, si vendica e ha la meglio su di lui». «Ingannare significa anche umiliare e ciò spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi». La menzogna è comunque sempre un segno di disprezzo. Mentendoti, ti dico che per me non vali nulla, se non, al massimo, il tuo voto, di cui, per il momento, ho ancora bisogno, ma solo come un numero da aggiungere a tanti altri. Anche per le dittature leggere – precisiamo noi – vale quello che Koyré scrive per i totalitarismi forti: «Nell’antropologia totalitaria l’uomo non è contraddistinto dal pensiero, dalla ragione, dal giudizio, proprio perché, secondo essa, la grande maggioranza degli uomini ne è priva».
Se sostituiamo al generico «uomini», il termine «elettori», abbiamo la quintessenza della menzogna politica in democrazia, che è, poi, quel che certifica il fatto che le nostre democrazie sono solo «apparenti». Qui sta anche la risposta alla domanda da cui siamo partiti: perché i politici mentono? Mentono per debolezza, avendo comunque bisogno di garantirsi il consenso elettorale. Mentono per disprezzo, ritenendo utili i voti, ma inutili gli elettori. Già, proprio qui sta il punto più beffardo e più tragico: i politici mentono ai loro elettori, di cui pure hanno ancora in qualche modo bisogno, perché li disprezzano, ma in questo loro disprezzo sta la dimostrazione della loro debolezza e inutilità. All’interno dei sistemi totalitari – forti, come quelli ideologici del secolo XIX, o deboli come quello in cui stiamo rapidamente scivolando – che conta è il sistema, non la persona del politico. Quanto meno quest’ultima sarà carismatica, tanto essa risulterà assimilabile e ininfluente. Ma questo, del carisma personale, è un altro discorso, e il libretto di Koyré non lo affronta e, forse, nell’Europa devastata dalla Guerra neppure poteva affrontarlo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » mar set 02, 2014 7:18 am

Parla il capo dei Serenissimi: "L'indipendenza non ce la darà né Roma né l'Europa"

https://www.youtube.com/watch?v=N3jfKrYfuiU#t=122

???

Manco mal ke anca Jijo lè contro el votar a le rexonali, parké a se lexitemaria el sistema ocupante talian.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » dom set 14, 2014 9:37 pm

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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » mer ott 22, 2014 9:03 pm

Costitusion tałiana = costitusion deła casta = No Democrasia
viewtopic.php?f=22&t=220


https://www.facebook.com/franco.sarbia?fref=nf

Alberto Pento

Caro Nicola

lo sapevi che la costituzione italiana è tra le peggiori del mondo?
Lo sapevi che in essa e con essa si espropria il cittadino della sua sovranità?
Lo sapevi che il cittadino italiano può soltanto eleggere la casta?
Lo sapevi che la casta eletta non ha alcun vincolo di mandato e non risponde al cittadino per le sue scelte politiche?
Lo sapevi che il voto in Italia è una delega in bianco ad una casta irresponsabile che secondo la costituzione italiana può disporre come vuole della vita e dei beni di tutti i cittadini senza che questi possano opporsi legalmente?
Lo sapevi che il sistema italiano non è una vera democrazia (che può essere soltanto diretta come quella svizzera) ma una finta democrazia e perciò rappresentativa, indiretta e senza vincolo di mandato.
Tu non credi che forse un uomo che abbia dignità, senso dell’onore e della responsabilità possa ritenere con tutto se stesso che votare in Italia sia un atto vergognoso e immorale che ti rende complice di tutti i crimini della casta e che è da dementi e insensati mettersi nella mani di chi non ha responsabilità alcuna e che non paga direttamente e in alcun modo per il male fatto con le sue scelte politiche?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » gio dic 04, 2014 8:40 am

E pensar ke ‘l el bon Lucio Chiavegato (ancora endependentista e pareota veneto ?) el se ga ? o el voria alearse co Xaia el leghista e col so paron Salvini el padan-taƚego-fasista, co el roman Alemano dei fradeƚi de ƚa Taƚia endagà par ƚa mafia taƚego-romana e co Caxa Pound ke ƚi sta co Daniƚo Galvani del 9 deçenbre ke ƚi xe xbarcà a Viçensa co l’alicotaro par portarghe ai veneti ƚa “costitusion taƚiana”... l’oror nol ga pì termene.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... e-Xaia.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... %C3%A0.jpg

A xe rivà "el teron-talego-roman" co l'alicotaro

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I forconi ci riprovano e partono dal Veneto

http://www.lindipendenzanuova.com/i-for ... dal-veneto

Vito Collins Babila, coordinatore regionale del Veneto del movimento, è sceso direttamente da un elicottero a Thiene (Vicenza) per la conferenza stampa dell’iniziativa che farà parlare di nuovo dei Forconi. “Bloccheremo il Veneto dal 5 al 9 dicembre (esattamente a un anno dalla nascita ufficiale del movimento, detto appunto ‘Movimento 9 dicembre’, ndr) – dice – per lanciare un ultimatum allo Stato Italiano. I politici che hanno trascinato l’Italia in questo stato devono pagare”. Per cinque giorni, come un anno fa, i manifestanti organizzeranno sit in e azioni di volantinaggio tentando di bloccare la viabilità.



«Bloccheremo la regione per lanciare un ultimatum allo Stato italiano»
http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 2948.shtml

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Il 22enne portavoce regionale del Coordinamento 9 Dicembre arriva a Thiene in elicottero: «Non commetteremo gli errori dell’anno scorso»

VICENZA Vito Collins Babila, il portavoce regionale del Coordinamento 9 Dicembre, conosce bene i rischi: «Non possiamo permetterci di fare gli errori dello scorso anno: ora siamo organizzati, pronti a combattere il nemico». Venerdì tornano in azione i presìdi in una dozzina di città venete, con un unico obiettivo: «Bloccheremo la regione per lanciare un ultimatum allo Stato italiano: i politici che hanno trascinato l’Italia nel baratro devono pagare per le loro colpe».

Programma politico del Movimento 9 Dicembre

Cinque giorni di protesta: dal 5 al 9 dicembre, con volantinaggi e sit in improvvisati che – nel “piano” degli organizzatori – dovrebbero paralizzare la viabilità. «Scaduto l’ultimatum non garantiamo più che il dissenso si manifesti in modo ordinato e pacifico: ciascuno risponderà delle proprie azioni», assicura Babila, 22 anni, che è letteralmente atterrato a Thiene, a bordo di un elicottero, per la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa.




Forconi in elicottero,protesta 'segreta' Movimento annuncia, dal 5 dicembre di nuovo in piazza

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... f66b3.html

(ANSA) - TORINO, 1 DIC - Doveva essere una conferenza stampa, per presentare la protesta, ma i piani restano segreti. I leader dei Forconi, che venerdì tornano in piazza in tutta Italia, si sono presentati in elicottero a Casale Monferrato. Ad aspettarli un gruppo di manifestanti in tenuta militare. "I piani restano segreti", dice il coordinatore regionale del movimento Riccardo Visetti mostrando una valigetta rigorosamente chiusa. "Posso assicurare - si limita a dire - che saranno manifestazioni pacifiche".

Torna Galvani e Baldareli (ke oror!)
http://video.corriere.it/video-embed/1e ... 132dc377f5


https://www.facebook.com/groups/2413621 ... 6/?fref=ts

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 9DRoma.jpg

https://www.facebook.com/video.php?v=36 ... =2&theater


Tornano i Forconi guidati da ex militare che fu guardia del corpo dell'ex ministro Zanonato
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/C ... 4829.shtml

Venerdì 5 dicembre tornano i forconi del Coordinamento 9 dicembre, e quest’anno non vogliono lasciare niente al caso. Fervono i preparativi per tornare sulle strade e non solo, come si è visto l’altro giorno con le manifestazioni in elicottero con il tricolore. Il nemico, si sa, è lo Stato.

Ma chi sono i forconi? C’è di tutto, c’è quel ceto medio impoverito, operai, disoccupati, partite Iva, pezzi di società che non si riconoscono più in nessun tipo di rappresentanza. Ci sono quei mediani che vivevano proprio a metà tra lo Stato, e le sue articolazioni, e gli strati sociali meno raggiunti dalla politica.

Il portavoce veneto del movimento è un ex militare: Vito Collins Babila, 22 anni. Segni particolari: ex guardia del corpo. Ha lavorato a stretto contatto con la politica, Vito. Prima l'ha protetta per lavoro e ora vuole squalificarla. Tra i vip che ha scortato ci sono Flavio Zanonato, l’ex Ministro dello Sviluppo Economico nel Governo Letta.

In rete è già iniziato il passaparola per incontrarsi: "... non chiediamo, non trattiamo ma ESIGIAMO !! Signori politici, Signor Presidente della Repubblica, abbiate rispetto per il Popolo Italiano .... andatevene, questa volta andremo fino in fondo. Il 5 DICEMBRE iniziano le ostilità, il 9 DICEMBRE scade l'ULTIMATUM !!!"
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