Storia e istituzioni svizzere

Storia e istituzioni svizzere

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:43 am

Storia e istituzioni svizzere
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https://it.wikipedia.org/wiki/Svizzera
La Svizzera (Schweiz in tedesco, Suisse in francese, Svizra in romancio), ufficialmente Confederazione svizzera (Schweizerische Eidgenossenschaft in tedesco, Confédération suisse in francese e Confederaziun svizra in romancio), Confoederatio Helvetica in latino [nota 1] (abbreviata con l'acronimo CH), è uno Stato federale dell'Europa centrale, composto da 26 cantoni autonomi.

L'odierno nome Svizzera proviene da Svitto (tedesco: Schwyz), uno dei "Cantoni forestali" (Waldstätte) che formavano il nucleo della Vecchia Confederazione. Il nome Svitto è attestato per la prima volta nel 972 come il villaggio di Suittes ed è forse legato all'alto tedesco antico suedan, "bruciare", con riferimento alle foreste bruciate per creare nuovi spazi agli insediamenti. Probabilmente il nome designava sia il territorio sia la popolazione del cantone, ma dopo la battaglia di Morgarten nel 1315 il nome Switzer, Switenses o Swicenses passò a designare tutti i Confederati. In francese sono attestati i termini Soisses, Suysses e Souyces a partire dal Cinquecento; contemporaneamente in italiano compaiono i termini Sviceri e Suyzeri, per stabilizzarsi nella variante Svizzeri scelta da Machiavelli nel 1515.

Il nome antico Elvezia (lat. Helvetia) proviene dagli Elvezi, una popolazione celtica stabilitasi sull'Altipiano in epoca pre-romana. Gli Elvezi sono menzionati per la prima volta nel VI secolo a.C. Il nome Confoederatio Helvetica o Helvetia non figurava invece fra le tradizionali denominazioni del paese ed è stato utilizzato solo dopo la nascita dello Stato federale nel 1848 (quindi è da considerarsi un neologismo), con lo scopo di non privilegiare nessuna delle lingue ufficiali della Confederazione (oppure quando, per motivi pratici, era difficoltosa l'iscrizione in tre o quattro lingue). Tale denominazione compare piuttosto recentemente, in ambiti formali ed ufficiali: sulle monete e sui francobolli a partire dal 1879, sul frontone del Palazzo federale a Berna nel 1902 e sul sigillo della Confederazione nel 1948.


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Democrazia svizzera (un buon esempio)
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » lun mar 10, 2014 10:49 pm

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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » lun apr 14, 2014 3:14 pm

Tasse, lavoro, sanità, pensioni: tra Svizzera e Italia c’è l’abisso

http://www.lindipendenza.com/tasse-lavo ... ce-labisso

di GUGLIELMO PIOMBINI

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Se è vero, come sostiene la vulgata prevalente, che la crisi attuale è stata provocata dalla finanza senza regole e dagli eccessi del capitalismo, allora i paesi europei economicamente più liberi dovrebbero trovarsi nelle condizioni peggiori. Possiamo verificare questa tesi confrontando la situazione economica di due paesi confinanti abitati da popolazioni parzialmente simili, l’Italia ela Svizzera. Quest’ultima, grazie alla sua forma confederale, ha sempre avuto un settore pubblico più leggero di quello dell’Italia, ma negli ultimi anni le differenze tra i due paesi si sono enormemente allargate.

Nella classifica mondiale della libertà economica 2014, curata annualmente dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, il sistema economico svizzero risulta il quarto più libero del mondo (dopo Hong Kong, Singapore e l’Australia), mentre quello italiano si trova all’86esimo posto. Ancora meglio fa la Svizzera nell’indice mondiale della competitività, piazzandosi al primo posto su 148 economie mondiali, mentre l’Italia si trova al 49esimo posto.

La Svizzera è particolarmente competitiva proprio in quel settore finanziario demonizzato dagli avversari del libero mercato. Non esiste infatti un paese in cui il settore finanziario rappresenti una quota così importante del PIL come la Svizzera(il 13 % contro il 4 % della Francia o della Germania). Nonostante questa maggiore esposizione ai rischi, la piazza finanziaria elvetica si è dimostrata solida, e durante la crisi ha beneficiato di aiuti statali in misura nettamente minore rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi (fonte).

La recessione che ha colpito l’Europa sembra infatti aver risparmiato la Svizzera, che pur trovandosi incastonata nel cuore del vecchio continente, ha continuato a creare business ad un ritmo costante. Secondo uno studio della rete globale di revisione RSM, tra il 2007 e il 2011 il numero di aziende in Svizzera è aumentato da 499.000 a 648.000, uno dei tassi più alti nell’area Ocse: +149.000 unità, pari ad un tasso di crescita medio annuo del 6,8%. Nel 2013 il pil della Svizzera è aumentato del 2%, mentre l’Italia ha chiuso il 2013 con un calo del pil dell’1,9 % e un calo della produzione industriale del 3,8%.

Per quanto riguarda gli altri indicatori, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale in Svizzera nel 2013 il reddito procapite a parità di potere d’acquisto è stato di 46.475 dollari contro i 30.094 dollari dell’Italia; l’inflazione su base annua è stata dello 0,2 % contro l’l,3 % dell’Italia; l’incidenza della spesa pubblica sul pil è circa il 33 % contro il 50 % dell’Italia; il debito pubblico è in Svizzera il 36,4 % del Pil contro il 132,6 % dell’Italia; il tasso di disoccupazione in Svizzera nel 2013 è stato del 3,3 %, mentre in Italia nel gennaio 2014 ha fatto un nuovo balzo al 12,9 %; particolarmente eclatante è il dato sulla disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che in Svizzera è solo del 3,6 % contro il 40 % dell’Italia! (Il Mondo, 9/9/2013).

Come ha fattola Svizzeraa realizzare queste straordinarie performance economiche? La verità è che la Confederazione Elvetica rappresenta un vero e proprio paradiso liberale, se paragonata all’Italia.


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La tassazione

Benvenuti nel Paese con le tasse più basse d’Europa, titolava un recente articolo uscito su Il Sole-24 Ore. La leggerezza del fisco elvetico è favorita dalla concorrenza fiscale che si fanno i 26 cantoni per attrarre imprese e investimenti. Il fisco svizzero agisce infatti su tre livelli: federale, cantonale e comunale. L’imposta federale incide sul 7,83 % degli utili, quella cantonale varia dal 4,4 al 19 %, quella comunale dal 4 al 16 %. In media quindi sulle aziende l’erario esercita una pressione che varia tra il 16 e il 25 %, sulle persone fisiche dal 5 al 20 %.

L’IVA è la più bassa d’Europa, all’8 % (contro il 22 % dell’Italia!), ma sui beni di consumo è al 2,5 %, mentre l’istruzione e le cure mediche sono esenti. Non ci sono imposte sulle successioni per i discendenti diretti. Alcuni Cantoni garantiscono delle esenzioni fiscali per certi periodi o per certe attività, ed è possibile stringere accordi con l’erario sulle tasse da pagare per gli anni successivi.

Una notevole differenza con l’Italia riguarda il famigerato cuneo fiscale. Il datore di lavoro italiano farà un salto sulla sedia quando scoprirà quanto pagano in tasse i colleghi della Svizzera sugli stipendi dei dipendenti. «Per 1000 euro di salario il datore di lavoro in Italia deve spenderne altri 1300, qui appena 200», spiega Gianluca Marano, quarantenne di Milano che nel 2008 ha aperto a Chiasso una società di consulenza per gli imprenditori e i privati che vogliono aprire un’attività oltre il confine. Nel complesso il carico fiscale complessivo delle aziende (total tax rate) in Svizzera raggiunge al massimo il 28,7% del reddito d’impresa, contro l’incredibile 67,7 % dell’Italia, secondo i dati della Banca Mondiale.

Non c’è quindi da meravigliarsi se negli ultimi anni centinaia di imprese italiane si sono trasferite nel Canton Ticino. All’ingresso di Chiasso c’è un cartello che dice “Benvenuta impresa nella città di Chiasso”. Uno dei tanti imprenditori italiani in trasferta ha commentato: «Quando arriva un imprenditore in Svizzera lo accolgono le autorità. In Italia gli mandano la guardia di finanza». Nel complesso sono 558.000 gli italiani che risiedono in Svizzera, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, ai quali si devono aggiungere i quasi 60.000 frontalieri che passano quotidianamente il confine per lavoro, aumentati del 75 % dal 2002 a oggi.

Di recente l’Ufficio Federale di Statistica ha svolto un’approfondita indagine sugli stipendi svizzeri. I risultati confermano che in Svizzera si guadagna mediamente il doppio o il triplo rispetto ai paesi confinanti: nel biennio 2007-2008 il salario medio era infatti equivalente a circa 3000 euro mensili al netto delle imposte. È vero che il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paesi europei, tuttavia, rileva l’indagine, «in nessun caso è doppio o triplo. Per fare un raffronto affidabile con gli altri paesi basti pensare che i costi tra assicurazioni e imposte varie rappresentano in media circa il 30%-35% del budget totale di una persona, il resto serve per vivere».

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Le pensioni

Probabilmente non esiste al mondo un sistema pensionistico più ingiusto, rovinoso e finanziariamente insostenibile di quello italiano. L’Inps si fonda su un meccanismo diabolico che taglieggia i lavoratori privati per concedere spropositati privilegi pensionistici alle categorie statali privilegiate. La moria delle aziende è spesso dovuta all’impossibilità di far fronte a un carico previdenziale completamente slegato dagli utili prodotti, e la maggior parte delle cartelle esattoriali sono costituite da contributi previdenziali non pagati. In Italia l’esosa contribuzione previdenziale obbligatoria a carico degli artigiani e dei commercianti, per non parlare di quella degli iscritti alla gestione separata (prevista al 33% per il 2014), è la principale causa di dissuasione dall’iniziare una nuova attività economica.

Il problema è che i lavoratori privati perdono la proprietà dei risparmi che versano all’Inps, mentre la classe politico-burocratica riesce facilmente a dirottarli verso le proprie tasche per mezzo di leggi, leggine e sentenze amministrative. In sostanza, coloro che pagano i contributi e sostengono l’intero sistema, i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato, ricevono una pensione che rappresenta una frazione minuscola di quanto hanno effettivamente versato; d’altro canto, alcune categorie statali che non hanno mai versato contributi o che li versano solo in maniera figurativa, come i politici, i magistrati, i militari e i dipendenti pubblici in genere, si sono garantiti elevati trattamenti previdenziali, vitalizi, pensioni d’oro, doppie, triple e baby.

Questi sperperi e queste palesi ingiustizie non possono esistere nel sistema pensionistico svizzero, che si fonda su tre pilastri. Il primo è quello della pensione pubblica, che richiede contributi obbligatori piuttosto limitati (il 4,2 % del reddito per il datore di lavoro e per il dipendente) e garantisce solo il minimo fabbisogno vitale al momento della pensione. La pensione pubblica è infatti quasi uguale per tutti: la minima è di 1105 franchi al mese (poco più di 900 euro al cambio attuale), la massima è il doppio (2210 franchi, cioè 1813 euro). Sul piano dell’equità non ci sono quindi paragoni con la distanza siderale che in Italia separa il trattamento pensionistico di un pensionato sociale (500 euro al mese) da quello di un membro della casta politico-burocratica (fino a 90.000 euro al mese, talvolta a partire dalla mezza età).

Il secondo pilastro pensionistico svizzero è quello della previdenza professionale, che a differenza della pensione pubblica non è a ripartizione ma a capitalizzazione (si riceve cioè l’investimento accumulato). I contributi per la previdenza professionale sono in pratica obbligatori solo per i lavoratori dipendenti che percepiscono un salario superiore a 20.000 franchi e inferiore a 82.000. Per tutte le altre categorie, come quelle dei lavoratori autonomi, questo tipo di assicurazione pensionistica è solo facoltativo. Infine, il terzo pilastro pensionistico svizzero è quello della pensione integrativa privata, che serve a colmare eventuali lacune; è facoltativa ma viene favorita con delle agevolazioni fiscali.

Nel 2014 il sistema pensionistico svizzero è stato giudicato dal Global Retirement Index, un indice che valuta 150 sistemi pensionistici internazionali, il migliore del mondo quanto a capacità di garantire la sicurezza finanziaria agli ex lavoratori. Fare ulteriori confronti con il sistema pensionistico pubblico italiano, ricolmo di disparità e privilegi, e destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, sarebbe blasfemo.

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La sanità

Se il sistema sanitario italiano è ben conosciuto per i suoi enormi sperperi, la corruzione, gli ospedali fatiscenti e le liste d’attesa interminabili, niente di tutto questo si verifica nel sistema sanitario svizzero, che è interamente privato e gestito dalle assicurazioni. Il paziente paga mensilmente un’assicurazione obbligatoria di circa 300 euro al mese, cifra nient’affatto elevata se si tiene conto che in Svizzera gli stipendi sono mediamente molto più alti che in Italia e le tasse molto più basse. Nessuno resta fuori perché una società di “compensazione sociale” provvede a coprire le spese di chi non può sostenerle. Il sistema svizzero è attentissimo ad evitare gli sprechi, e per questa ragione è molto raro, ad esempio, che un medico prescriva antibiotici.

L’assicurazione sanitaria privata comunque garantisce tutto, compreso il ricovero in ospedale in stanza singola o con al massimo tre persone. Anche se si stenta a crederlo, quando un paziente entra in ospedale per operarsi viene accolto da un infermiere che, catalogo alla mano, gli chiede di scegliere quale stampa preferisce avere sul muro (Picasso, Van Gogh, ecc.). Poi viene organizzato una specie di seminario personale dove i medici spiegano al paziente tutti i dettagli dell’intervento. Il paziente può scegliere di essere operato dal primario oppure dall’assistente. Nel primo caso paga un surplus, ma se quel giorno non c’è e opera un assistente (comunque sempre un medico d’eccellenza) il supplemento viene immediatamente restituito con tante scuse. Infine, l’assicurazione sanitaria spesso riduce il premio da pagare a coloro che svolgono attività salutari, come frequentare la palestra, la piscina o la sauna. Chi è più in forma, quindi, paga meno per la sanità! (Sanità? Vietato Sprecare, Il Fatto Quotidiano Zurigo, 12 aprile 2012)

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Il mercato del lavoro

In Svizzera il mercato del lavoro, anche sotto il profilo dei licenziamenti, è molto liberale. Solo in caso di malattia, incidente o gravidanza i lavoratori godono di una protezione contro il licenziamento temporalmente limitata. Di regola i lavoratori e i datori di lavoro sono liberi di licenziarsi o licenziare nei termini concordati nel contratto di lavoro, o in mancanza semplicemente rispettando i termini di disdetta previsti dal codice delle obbligazioni. Questa grande flessibilità in entrata, ricorda Paolo Malberti sul Corriere della Sera, fa sì che «ogni giorno come apri il giornale sei subissato di annunci. Se non ti trovi più bene dove stai, fai qualche colloquio e cambi ditta. E con l’occasione puoi anche toglierti la soddisfazione di mandare il capetto che te li ha rotti a quel paese».

In ogni caso per chi rimane senza lavoro non ci sono sussidi pubblici o casse integrazioni come in Italia, che favoriscono senza ragione i dipendenti delle grandi aziende rispetto a tutti gli altri. C’è invece un’assicurazione privata che copre il rischio di rimanere disoccupati, usufruibile da chi ha lavorato come dipendente in Svizzera per più di 12 mesi negli ultimi due anni. Questa assicurazione contro la disoccupazione viene pagata con dei contributi pari al 2 % dello stipendio, per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico del lavoratore.

Il bello del mercato del lavoro svizzero è che le regole del settore privato non sono molto diverse da quelle che valgono per il settore pubblico, comprese quelle sui licenziamenti: ecco forse spiegata la ragione principale della sorprendente efficienza della burocrazia svizzera. Tanto per fare un paio di esempi, ci vogliono solo due settimane per la registrazione al Registro del Commercio e un solo giorno per immatricolare un veicolo. In Svizzera, infatti, non esiste come in Italia il posto fisso a vita per il dipendente pubblico che, in spregio a ogni sbandierato principio costituzionale di uguaglianza, crea una società divisa in due caste: i cittadini di serie A (gli statali ipertutelati qualunque cosa accada) e i cittadini di serie B (i lavoratori privati assoggettati alle incertezze dell’economia).

Negli ultimi decenni si è imposta infatti nella maggioranza dei cantoni e dei comuni svizzeri la tendenza ad equiparare le condizioni di impiego degli impiegati pubblici a quelle vigenti nell’economia privata. La Confederazione ha seguito questa evoluzione con la nuova legge sul personale federale entrata del 2002, che ha abolito lo statuto di funzionario autorizzando così i licenziamenti. Dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore un’ulteriore revisione legislativa che ha reso ancor più flessibile il rapporto di pubblico impiego.

In Svizzera comunque i dipendenti statali sono molto meno numerosi che in Italia: solo 1 su 47 abitanti, mentre in Italia sono 1 su 18 (1 su 23 in Lombardia). In particolare i dipendenti federali in Svizzera sono circa 35.000, cioè uno ogni 200 abitanti: un rapporto che esprime senza bisogno di troppe spiegazioni la leggerezza del governo centrale nella confederazione elvetica. In sostanza la probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico svizzero è del 60 % inferiore rispetto alla probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico italiano.

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Quando le strade hanno cominciato a divergere?

Perché l’Italia è uno Stato fallito sull’orlo del crack, mentre la Svizzera è un successo planetario? Se guardiamo alla storia, ci accorgiamo che le strade prese dai due paesi hanno cominciato a divergere proprio negli anni dell’unità d’Italia. In Svizzera le ultime turbolenze si ebbero nel 1848, nella “guerra civile” del Sonderbund tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Si trattò in realtà di uno scontro incruento, nel quale morirono meno di cento persone e che durò solo 26 giorni. Alla fine venne adottata una nuova costituzione, dopodiché la Svizzera imboccò definitivamente la via della saggezza, della neutralità, del federalismo e della riduzione ai minimi termini del governo centrale. Anche gli italiani avrebbero potuto seguire la sorte felice degli svizzeri, se ai tempi del Risorgimento fossero prevalse le idee di Carlo Cattaneo e di coloro che proponevano un assetto confederale per l’Italia. Gli avvenimenti presero purtroppo una piega opposta.

Un’interminabile serie di sciagure si sono infatti abbattute sugli italiani da quando la penisola è stata forzosamente unificata per via militare dai Savoia. Fin da subito le popolazioni del sud dell’Italia non accettarono la conquista dei piemontesi, che avevano inasprito fortemente la tassazione e introdotto la coscrizione obbligatoria, e si rivoltarono in massa. Questa guerra civile durò una decina d’anni e, malgrado venga minimizzata ancora oggi nei libri di testo come “lotta al brigantaggio”, fu in verità il conflitto più cruento che si ebbe in Europa nel periodo compreso tra le guerre napoleoniche e la prima guerra mondiale. L’esercito piemontese represse la rivolta con lo stato d’assedio, i campi di concentramento e la tattica della terra bruciata. Quante furono di preciso le vittime tra la popolazione meridionale non si saprà mai, ma le stime degli storici vanno dalle centomila (secondo Giordano Bruno Guerri) al milione (secondo La Civiltà cattolica).

Il 1874 può essere considerato l’anno simbolo della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia unita.
Una modifica della costituzione elvetica attribuì infatti ai cittadini quel potere referendario di confermare, abrogare o proporre nuove leggi, che ancora oggi rende la Svizzera famosa nel mondo.


In quegli stessi anni in Italia si era conclusa da poco la feroce repressione al sud, e il Regno d’Italia era diventato uno degli stati più centralisti e fiscalisti d’Europa. Come ricorda Gilberto Oneto, tra il 1860 e il 1880 la porzione di reddito nazionale assorbita dalla tassazione praticamente raddoppiò. Fra il 1865 e il 1871 si ebbe un aumento del 63 % delle imposte sul reddito e del 107% delle imposte sui consumi che gravavano soprattutto sulle classi popolari, come l’odiata tassa sul macinato che trasformava i mugnai in esattori, inaugurando la prassi italiana di mettere cittadini contro altri cittadini. All’inizio degli anni Settanta il ministro delle finanze Quintino Sella ammise che l’Italia era il paese più tassato al mondo. Nel 1892 la pressione fiscale raggiunse il 18 % del pil contro il 7 % dell’Inghilterra e il 10 % della Germania.

La tassazione eccessiva provocò la rovina dell’economia italiana, e con essa un fenomeno sconosciuto prima dell’unità: l’emigrazione di massa all’estero degli italiani. Tra il 1876 e il 1914 emigrarono 14 milioni di italiani, su una popolazione che nel 1881 era di poco superiore a 29 milioni. All’inizio gli emigranti partirono soprattutto dalle regioni del nord, in particolare dal Veneto. Il grande esodo meridionale cominciò con l’adozione delle tariffe protezionistiche del 1887, che colpirono soprattutto l’agricoltura del sud, gettando nella disperazione milioni di persone già oberate dalle tasse italiane e dalla pesante novità del servizio di leva, che distraeva per anni dai lavori nei campi le braccia migliori (G. Oneto, La questione settentrionale, 2008, p. 152, 154).

Il Regno d’Italia era anche uno Stato militarista e guerrafondaio: sentendosi grande e forte, si lanciò in una serie continua di guerre che mai i piccoli Stati preunitari si sarebbero sognati di intraprendere. Dal 1861 al 1871 impegnò metà dell’esercito nella repressione della rivolta delle regioni del sud; nel 1866 entrò nella terza guerra d’Indipendenza senza alcun motivo (dato che l’Austria aveva già offerto il Veneto al Regno d’Italia in cambio della sua neutralità), rimediando alcune cocenti sconfitte; poi cominciò l’epoca delle sciagurate avventure coloniali in Somalia ed Eritrea, culminate con l’umiliante disfatta di Adua nel 1896, e in Libia nel 1911.

Per gli abitanti della penisola, comunque, le disgrazie non erano finite. Nel 1915 il governo italiano non seguì il saggio esempio di neutralità della Svizzera, e si gettò a cuor leggero nella fornace della prima guerra mondiale. Milioni di coscritti, quasi tutti poveri contadini, vennero spediti a morire nelle trincee. Quelli che cercavano di salvarsi la vita disertando o rifiutandosi di avanzare sotto il fuoco nemico venivano fucilati dai carabinieri che sparavano a vista sui “codardi”, o dai plotoni d’esecuzione che per punizione decimavano interi reparti. In questa “inutile strage” il Regno d’Italia sacrificò la vita di quasi settecentomila italiani, mentre un numero più che doppio di giovani rimasero feriti o mutilati.

Seguirono i vent’anni del fascismo, che dichiarava di voler portare a compimento la rivoluzione nazionale del Risorgimento, e la catastrofe immane della seconda guerra mondiale, che lasciò l’Italia completamente distrutta. Nel 1948 l’Italia evitò per un soffio di diventare una dittatura comunista di tipo staliniano, ma nei vent’anni successivi l’adozione di politiche economiche più liberali generò il cosiddetto “miracolo economico”. Forse è stato questo l’unico periodo positivo della storia dell’Italia unita. Nel 1968 si aprì infatti la stagione degli anni di piombo, del terrorismo e della crisi economica. Chiuso questo tragico periodo, negli anni Ottanta ebbe inizio l’epoca dell’esplosione della spesa statale, del debito pubblico, della tassazione e della corruzione, che ci ha portato alla crisi dei giorni nostri.

Il verdetto della storia sembra chiaro. In 150 anni di vita lo Stato nazionale ha dato agli italiani soprattutto due cose, morte e tasse. È venuto il momento di ripudiare questo esperimento fallimentare, questa parentesi sbagliata della nostra storia, e di rivendicare quella vocazione pluralistica e quelle libertà che hanno reso grande non solo la Svizzera, ma anche la civiltà italiana nei secoli passati.
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » mar mag 27, 2014 10:09 am

Indipendentisti, state attenti alle compagnie di ventura

http://www.lindipendenza.com/indipenden ... di-ventura

di ENZO TRENTIIN

Le compagnie di ventura erano truppe mercenarie utilizzate nel medioevo, formate da i cosiddetti soldati di ventura organizzate e guidate da un condottiero, generalmente detto Capitano di ventura. Fecero la loro comparsa in Italia, al seguito di qualche Re o Imperatore, tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300: erano delle masnade formate da soldati di mestiere, prevalentemente di bassissima estrazione sociale, pronti ad uccidere ed a farsi uccidere per denaro e per bottino.

Nel corso del XV secolo, tutti i principi italiani utilizzarono queste truppe di professionisti della guerra che avevano un livello superiore di addestramento e una maggiore capacità di usare le nuove armi da fuoco. Le compagnie mercenarie declinarono in seguito alla nascita e al rafforzarsi degli stati nazionali. L’ultima compagnia di ventura degna di nota fu quella capitanata da Giovanni de’ Medici (meglio conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere) nei primi del Cinquecento.

Saltando a piè pari nel XX secolo osserviamo che s’è fatto uso di mercenari in diversi conflitti, specialmente nelle innumerevoli guerre dei paesi del Terzo Mondo. Un caso su tutti la guerra di indipendenza della Repubblica Democratica del Congo. Una delle figure di contemporaneo Capitano di Ventura fu Gilbert Bourgeaud, più noto con lo pseudonimo di Bob Denard. Dal 1960, anti-comunista convinto, è coinvolto nel tumultuoso post-conflitto coloniale. Ha partecipato a operazioni militari che coinvolgono mercenari in Yemen, in Iran, in Nigeria, nel Benin, in Gabon (dove lui è un istruttore della guardia presidenziale), in Angola nel 1975, la Cabinda nel 1976, in Rhodesia (oggi Zimbabwe) nel 1977, in Zaire e Isole Comore, uno dei paesi più instabili del mondo. Attigue alle Comore ci sono le due isolette di Mayotte. Un Dipartimento d’oltremare della Repubblica francese, costituito principalmente da due isole, dove la Legione straniera mantiene il Détachement de Légion étrangère de Mayotte (DLEM).

Bob Denard iniziò la propria carriera di mercenario partecipando alla guerra d’indipendenza – votata alla formazione di uno Stato federale di regioni indipendenti – dalla parte del Katanga capeggiata da Moise Ciombe. Con l’intervento delle truppe dell’Onu, che ordinò a Ciombe di espellere tutti i bianchi dal Katanga, Denard fu costretto con centinaia di altri mercenari a riparare in Angola, mentre Ciombe stesso fu costretto pochi mesi dopo all’esilio a Madrid. Quando il presidente Kasavubu, d’accordo con Mobutu, decise di richiamare Ciombe dall’esilio, questi ricorse nuovamente agli affreux per pacificare il paese. Denard quindi tornò in Congo nel 1964 per unirsi al reparto del Colonnello Lamouline, il “6° Commando” (costituito da elementi francesi, italiani, belgi, portoghesi e di altra nazionalità e diviso dal 5°, formato da anglosassoni), di cui assunse la guida nel 1967.

Il 5 luglio 1967, dopo l’ennesimo colpo di Stato ed il nuovo esilio di Ciombe, Mobutu tramite un annuncio diffuso a Radio Kinshasa dichiarò che tutti gli uomini al seguito di Denard si erano ribellati al governo, quindi erano da considerarsi dei ribelli. Cominciò allora il rastrellamento e l’arresto in massa di tutti i volontari europei dell’ANC (Armata Nazionale Congolese), molti dei quali torturati ed uccisi. Denard, consigliere di stato maggiore di Mobutu stesso, si trovò in una situazione difficile e, per salvare i sopravvissuti, fece fronte comune contro i katanghesi. Il giorno successivo Denard viene ferito gravemente alla testa da un proiettile vagante, a causa del quale viene evacuato su un Douglas DC-3 in Rhodesia per ricevere cure, lasciando il comando del Sesto Codo a Jean Schramme dopo aver ordinato di ripiegare su Bukavu, dove si sarebbero uniti gli altri mercenari provenienti da Kolwezi. Una volta guarito, Denard organizzò una spedizione per giungere in aiuto delle truppe lasciate a Bukavu, che nel frattempo stavano sostenendo in poco più di un centinaio un assedio contro quindicimila uomini dell’ANC. In Angola radunò 110 volontari europei e trecento katanghesi, suddivisi in tre plotoni, con i quali entrò il 1º novembre in Congo con l’obbiettivo di prendere Dilolo, Kasagi e Kolwezi da tre direttrici, senza però avere successo. Questa fu l’ultima grande battaglia in Congo prima della ripartenza per l’Europa.

Un altro Capitano di ventura fu il citato Jean Schramme. Questi emigrò a diciotto anni d’età nel Congo, come proprietario di una piantagione. Secondo le cronache trattò senza razzismo i suoi agricoltori neri, anzi adottò tre bambini di colore, imparando lo swahili, la lingua locale. Nel 1960 con l’indipendenza del Congo dal dominio belga, scelse di rimanere e continuare la propria attività imprenditoriale, ma alla fine fu implicato nella guerra civile che insanguinò il Congo per molti anni.

Formò un suo reparto con indigeni katanghesi e mercenari bianchi di lingua francese agli inizi del 1961 ed ebbe un ruolo importante nel tentativo di secessione della regione congolese del Katanga. Fu uno degli ultimi a lasciare il teatro di guerra dopo la disfatta, conducendo con sé i suoi uomini. Attese in Angola il ritorno di Moise Ciombe, poi marciò di nuovo sul Katanga. Durante la guerra del 1964/65 contro l’etnia ribelle dei guerriglieri Simba (gli autori dell’eccidio degli aviatori italiani a Kindu), il suo “10° Codo” (abbreviazione di 10° Commando) fu di fatto indipendente. Non prese parte alla prima rivolta mercenaria di Stanleyville del ’66 (l’ammutinamento katanghese) e il suo reparto misto rimase intatto. Come comandante mercenario arruolò una milizia composta da europei, belgi, francesi, sudafricani, italiani e neri. Nei ranghi del suo reparto il razzismo che connotava altri “Codo” come quelli di lingua inglese, era meno praticato e diffuso. La sua compagnia di ventura, composta da centoventitré mercenari, tra i quali quindici italiani, e seicento gendarmi katanghesi, affrontò dal 29 ottobre al 5 novembre 1967 le truppe dell’Armata Nazionale Congolese, venti volte superiore per numero. Incalzata dalle forze nemiche, mancante di munizioni, con il sostegno di Bob Denard e dei soldati katanghesi completamente sfiniti, l’armata di Schramme ripiegò definitivamente in Rwanda, ove smobilitò la truppa. Schramme e alcuni dei suoi compagni rimpatriarono in Belgio il 28 aprile 1968.

Ippolito Edmondo Ferrario ha scritto un libro: “Mercenari gli italiani in Congo 1960”, e in un’intervista concessa a Susanna Dolci ha tra l’altro dichiarato: «Ho cercato di raccontare una piccola parte di storia italiana svoltasi nel Congo degli anni ’60, quando diversi ragazzi partirono per l’ex colonia belga inseguendo un sogno, un ideale e diventando per la storia, quella ufficiale, dei semplici mercenari. In quel paese lontano dalla civiltà europea, credo che avvenne qualcosa di speciale e di unico, che è sempre stato raccontato a metà o peggio con faziosità. Il Congo fu, in quel periodo (dopo l’indipendenza e durante la guerra civile), il crocevia di moltissimi combattenti del secondo conflitto mondiale, ex Wermacht, SS, legionari, inglesi ecc. che, non riuscendo ad accettare la nuova Europa, tentarono ivi l’avventura e non solo quella. Si venne a creare, così, un variegato ed interessante mix di umanità europea nel quale ognuno aveva alle spalle una sua storia personale, a volte di carattere straordinario. Pure gli italiani vi arrivarono numerosi. Non solo i ventenni ma anche quei quarantenni che avevano vissuto l’esperienza della RSI. Due generazioni a confronto, dunque, insofferenti all’Italia del boom economico degli anni ’60.»

In età contemporanea i servizi riconducibili ad attività mercenaria sono generalmente svolti da compagnie militari private spesso generalmente definite come contractors, ossia delle imprese che forniscono anche consulenze e servizi specialistici, anche se in molti paesi del mondo questa attività è espressamente vietata e sanzionata dalla legge, proprio per questo motivo in età recente al posto del termine mercenario, considerato dispregiativo a causa del tipo di operazioni condotte e dalla dubbia moralità di chi ne faceva parte, si è cominciato ad utilizzare l’anglicismo contractor per definire questi soggetti. Dal 1994 al 2002 Il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha stipulato più di 3000 contratti con delle cosiddette compagnie militari private statunitensi, per un giro d’affari da 100 miliardi di euro l’anno, con quindicimila uomini impiegati in missione che guadagnano fino a mille euro al giorno. Questo fenomeno ha raggiunto il picco durante la guerra d’Iraq nel 2003 ed anche negli anni a seguire, a causa del loro coinvolgimento nei combattimenti e negli interrogatori della prigione di Abu Ghraib divenuta famosa per le denunce dei casi di tortura.
Durante il conflitto i mercenari in Iraq rappresentarono la seconda forza in campo subito dopo gli Stati Uniti d’America e prima della Gran Bretagna.

Nel n° 151 – Maggio 2014, www.analisidifesa.it, con la firma di Pietro Orizio, dedica un particolare approfondimento alle Compagnie Militari e di Sicurezza Private Russe. Dove si dice tra l’altro: gli interessi sovietici e russi all’estero sono stati perseguiti dapprima mediante consiglieri effettivi, poi con freelance e, negli ultimi anni, sempre più con vere e proprie compagnie private o para-statali. Dal 1999, la ripresa che ha interessato costantemente la Russia ha provocato la nascita e o il rinvigorimento di grossi gruppi industriali che hanno contribuito all’evoluzione e sviluppo delle società di sicurezza private. Il settore è cresciuto in brevissimo tempo da 0 a 10.000, ed è in continua e costante espansione, impiegando dalle 800.000 a 1.200.000 persone. Nel solo periodo gennaio 1992 – aprile 1994, come evidenziato da Pigoli e Pagliani in “Il Mestiere della Guerra. Dai mercenari ai manager della sicurezza”, sono state rilasciate più di 26.000 licenze per l’esercizio dell’attività. Le compagnie russe, meno note dei competitors occidentali, ne presentano molti aspetti comuni ma anche particolarità (sia negative che positive) che le rendono uniche nel contesto competitivo mondiale. Per chi fosse interessato ad approfondire, qui una delle tante: RSB-Group [http://rsb-group.ru/ ], di Mosca, fondata nel 2005 da un ex ufficiale del KGB. Con queste premesse c’è da sospettare che i circa 4.000 uomini filo russi che hanno operato in Ucraina a favore dell’indipendenza della Crimea, con divise senza mostrine e celati da passamontagna, appartengano a queste schiere di professionisti. Mentre l’occidentale Greystone Limited, è stata più volte additata come la responsabile della presenza di contractors occidentali a Donetsk (Ucraina).

I popoli europei che aspirano all’indipendenza, ivi compresi quelli stanzianti nella penisola italica farebbero bene a non sottovalutare questo fenomeno, il cui unico antidoto, a parer nostro, risiede in una milizia territoriale modellata su quella Svizzera. Questo Paese è da anni ai primi posti nella graduatoria della democrazia e della prosperità mondiale.
Se la furia delle guerre mondiali ha risparmiato la Svizzera non lo si deve affatto – come pure tanti credono – alla sua dichiarata neutralità. Quale Hitler se n’è mai stropicciato? No. Se nessuno ha invaso la Svizzera è perché questo Paese ha sempre potuto contare su un efficientissimo deterrente militare; abbinato alla sua propensione a “far affari” (contrattualismo, che è anche uno dei sinonimi di federalismo) con entrambe le parti in conflitto.

Per esempio, gli svizzeri tennero ai nazisti pressappoco questo discorso: «Invadeteci, e ogni svizzero fra i 17 e i 50 anni d’età si nasconderà sulle Alpi per portare un’interminabile guerra d’attrito. D’altro canto, se sarete tanto furbi da non invaderci, saremo lietissimi di fornirvi i migliori prodotti della nostra industria, fra le più avanzate del mondo. A pagamento, s’intende.» E questo è esattamente ciò che avvenne. Ma non solo gli elvetici fornirono alla Germania hitleriana cannoni antiaerei, generatori di corrente, strumenti di precisione, macchine utensili; non solo permisero ai nazisti di servirsi delle loro ferrovie per far affluire rifornimenti al loro alleato Mussolini: essi chiesero e ottennero altro in cambio. Energia. Carbone dalla Ruhr. Elaborarono una formula pignolescamente precisa: per ogni tonnellata di materiale bellico in transito, tot quintali di carbone. Tale patto permise alla Svizzera di restare indenne e sopravvivere ai cinque lunghi anni di conflitto. Poiché la Svizzera non ha un grammo di carbone né una goccia di petrolio. E l’energia elettrica non sarebbe bastata. Funzionò. I tedeschi non toccarono la Svizzera. E le fornirono energia sufficiente, non solo a mandar avanti il Paese, ma a farlo prosperare mentre il resto d’Europa cadeva in rovina. La Svizzera è un piccolo Paese complicato. E per prima, fra le cose d’enorme importanza c’è l’eventualità di un embargo delle fonti energetiche. Gli svizzeri sono anche molto sensibili e gelosi delle proprie libertà. Veneti, lombardi, sardi, siciliani e quant’altri, saranno altrettanto sensibili, preveggenti e responsabili?
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » sab ago 02, 2014 5:55 am

Confederazione, l’identità che contagia il mondo

http://www.lindipendenzanuova.com/festa ... tradizione


Dal 1891, il primo agosto è il giorno della Festa nazionale del moderno Stato federale. È però solo dal 1994 che è un giorno festivo ufficiale.
La leggenda narra che nel 1291 i rappresentanti dei cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo si sono riuniti sul praticello del Rütli per fondare la Confederazione svizzera.
Dal XIX secolo il 1° agosto è diventato il giorno della Festa nazionale, tra fuochi d’artificio, bandiere rossocrociate e cervelat alla griglia.

Sul praticello del Rütli non è permesso costruire edifici o alberghi. In questo luogo storico della Svizzera, tra i più famosi del paese, non vi è nemmeno un centro per visitatori né un negozio di souvenir. È qui che il 1° agosto di ogni anno viene celebrata la Festa nazionale svizzera.
Il terreno che si affaccia sul Lago dei Quattro Cantoni, meta di pellegrinaggio per numerosi svizzeri, non è cambiato molto rispetto al 1291, anno in cui si fanno risalire le origini della Confederazione.
I rappresentanti di Uri, Svitto e Nidvaldo si incontrarono su questo prato per promettersi lealtà reciproca di fronte al dominio degli Asburgo. Il giuramento del Rütli è considerato il primo passo verso la creazione della Svizzera.
Nel 1940, il generale Henri Guisan, a capo dell’esercito svizzero, tenne sul Rütli uno storico discorso in cui disse agli ufficiali di resistere a qualsiasi invasione di truppe dalla Germania.
Oggi è vietato utilizzare il Rütli a scopi politici o commerciali. In seguito alle intemperanze di alcuni neonazisti, che nel 2005 avevano perturbato le celebrazioni ufficiali per la Festa nazionale, sono state introdotte regole molto severe.
Musica, tradizioni, bandiere e fuochi d’artificio sotto le palme.
Ogni anno la Colonia Helvetia, fondata nel 1888 da quattro famiglie emigrate a Indaiatuba, nello Stato di San Paolo in Brasile, celebra con bandiere e campanacci la festa nazionale svizzera del 1° agosto.
L’ambasciata svizzera in Israele ha invitato a Tel Aviv il governo e il parlamento dello Stato ebraico in occasione del 1° agosto. Ciò costituisce una novità: negli ultimi anni le celebrazioni per la Festa nazionale elvetica erano infatti state sospese.
L’attuale ambasciatore elvetico a Tel-Aviv, Walter Haffner, ha deciso di ridare vita a una tradizione che in passato era solidamente ancorata nella vita sociale della metropoli israeliana: il ricevimento alla residenza dell’ambasciatore svizzero, situata a Ramat-Gan, nella periferia di Tel-Aviv.
Per motivi che non sono mai stati realmente chiariti, i titolari che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni hanno deciso di non organizzare più alcuna manifestazione in occasione del 1° agosto. Unica spiegazione ufficiale: «L’ambasciatore è in vacanza».
Animato dal dinamismo che lo contraddistingue, Walter Haffner ha voluto mettere fine a questa strana situazione. La rappresentanza rossocrociata ha quindi organizzato il 28 luglio – il 1° agosto coincide infatti con il riposo sabbatico – un «ricevimento diverso dagli altri» al Teatro Nalaga’at di Jaffa. L’obiettivo, spiega Haffner, era cancellare gli stereotipi e mostrare l’immagine di un paese multiculturale e aperto verso il mondo.
Per raggiungere questo obiettivo, Walter Haffner non si è risparmiato: l’ambasciatore ha fatto spedire inviti ai ministri del governo israeliano, ai deputati della Knesset – anche se all’orizzonte si sta profilando un’altra crisi tra i due paesi, stavolta causata della visita a Ginevra di una delegazione di Hamas –, a tutti gli ambasciatori accreditati in Israele, ai corrispondenti della stampa svizzera e a molte altre persone.
Dopo la parte ufficiale dell’appuntamento, sul palco del Teatro Nalaga’at è andato in scena uno spettacolo teatrale intitolato «Non di solo pane» e interpretato da undici attori ciechi e sordi. I protagonisti hanno condotto gli spettatori in un viaggio attraverso il mondo dell’oscurità, del silenzio… e del pane.
Tra attori e spettatori si è creato dunque un legame unico: un modo sottile per dimostrare che nel mondo attuale dobbiamo essere tutti solidali e che soltanto il dialogo riesce ad aprire le porte dell’incomprensione, persino quelle chiuse dalla cecità e dalla sordità.
La compagnia teatrale guidata dalla direttrice Adina Tal, di origine svizzera, ha già ricevuto molti attestati di stima, sia in Israele sia all’estero, segnatamente a Zurigo e Ginevra.
Il budget del ricevimento organizzato dall’ambasciata svizzera è stato assicurato nella misura del 10% dalla Confederazione e del 90% da sponsor privati. Numerose aziende elvetiche presenti sul mercato israeliano hanno contributo in ampia misura: in particolare UBS, Credit Suisse, Crédit Agricole suisse, Roche, la compagnia di assicurazione Zurich e l’aviolinea Swiss.
(fonte swiss.info)
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » dom ago 10, 2014 2:31 pm

ESTRATTI da La democrazia diretta vista da vicino

http://www.paolomichelotto.it/blog/wp-c ... TRATTI.pdf
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... Ntck0/edit


Landesgemeinde, foto tratta dal sito della città di Glarus
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -1-638.jpg
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 6:44 am

Obiezione di coscienza e servizio civile (SC) in Svizzera
Luca Buzzi
http://www.cnesc.it/40anniodc/Interventi/Buzzi.pdf
???

Obiezione di coscienza
10/11/2011
http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I8678.php

Nell’edizione a stampa questo articolo è corredato da infografici. È possibile ordinare il DSS presso il nostro editore.

Per obiezione di coscienza si intende il rifiuto di adempiere all'obbligo militare (Servizio militare obbligatorio), un dovere esistente nella Conf. dal tardo ME e fissato nella Costituzione fed. nel 1874 (art. 18). Equiparata alla Diserzione fino al 1927, l'obiezione di coscienza fu severamente punita.

In Svizzera i primi obiettori di coscienza per motivi religiosi furono gli anabattisti nel XVI sec., che rifiutavano di compiere servizio armato. Alla fine del XIX sec. il fenomeno si intensificò notevolmente e si levarono le prime insistenti voci a favore della depenalizzazione dell'obiezione di coscienza (Antimilitarismo, Pacifismo). Con una petizione respinta dal Consiglio fed., nel 1903 ebbe inizio il dibattito politico concernente l'introduzione del Servizio civile.

L'art. 81 del Codice penale militare del 1927 stabilì per la prima volta una distinzione tra le fattispecie della diserzione e dell'obiezione di coscienza, senza però depenalizzare quest'ultima. La revisione del Codice penale militare del 1950 comportò un minore rigore nei confronti dei renitenti alla leva per motivi di coscienza, prevedendo quale pena detentiva l'arresto in caso di fondate motivazioni religiose e gravi crisi morali e rinunciando a sanzioni di diritto pubblico.

Durante la seconda guerra mondiale e fino alla fine degli anni 1950-60, la questione dell'introduzione del servizio civile fu sostanzialmente abbandonata. In questo periodo vennero decretate mediamente ogni anno dieci condanne per obiezione di coscienza. Dall'inizio degli anni 1960-70 i casi aumentarono gradualmente e dal decennio 1970-80 l'obiezione di coscienza assunse dimensioni considerevoli. Nel 1984 fu raggiunto il numero massimo di 788 renitenti alla leva (360 dei quali per motivi di coscienza), ciò che spinse l'opinione pubblica a interessarsi alla problematica.

Vennero poi adottati provvedimenti meno rigorosi verso gli obiettori di coscienza. La revisione del Codice penale militare del 1967 rese più semplice il riconoscimento dei problemi di coscienza quale motivo del rifiuto di prestare servizio militare: le ragioni etiche erano ormai equiparate alle motivazioni religiose, si riduceva la durata della pena e si agevolava il servizio militare senz'arma. Si moltiplicarono inoltre i tentativi di introdurre il servizio civile attraverso una revisione costituzionale; due iniziative in tal senso furono respinte dal popolo nel 1974 e nel 1984. Basandosi sulla discussione parlamentare avvenuta in occasione dell'ultima iniziativa, nel 1990 le Camere fed. approvarono una revisione del Codice penale militare (la cosiddetta riforma Barras) che, pur non intaccando il principio del servizio militare obbligatorio, decriminalizzava gli obiettori di coscienza (erano comunque obbligati a compiere prestazioni di lavoro). Poiché questi ultimi erano ancora assoggettati alla giustizia militare, fu lanciato un referendum contro la revisione del Codice penale militare. Nel 1991 la riforma Barras venne accolta da poco meno del 56% dei votanti. L'organizzazione del servizio del lavoro fu affidata all'ufficio fed. dell'industria, delle arti e mestieri e del lavoro.

Inoltrata dal consigliere nazionale Helmut Hubacher nel 1989, la petizione a favore dell'introduzione del servizio civile per mezzo di una revisione costituzionale ottenne nel 1992 l'82,5% di voti favorevoli. In base alla Costituzione fed. vige tuttora l'obbligo per ogni cittadino sviz. di prestare servizio militare. La legge prevede però un servizio civile sostitutivo per i coscritti che provano in maniera attendibile di non potere conciliare il servizio militare con la loro coscienza (art. 18 della vecchia Costituzione fed., art. 59 della Costituzione fed. del 1999). La legge sul servizio civile e la relativa ordinanza entrarono in vigore nel 1996 (l'organo di esecuzione è stato istituito in seno al DFE).
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » lun giu 06, 2016 8:00 pm

Quanto è saggia la Svizzera… No a parassitismo e assistenzialismo
Carlo Lottieri, 6 giugno 2016, “Il Giornale”.

http://www.swissinvenice.org/proprieta/ ... enzialismo

Il voto popolare che in Svizzera, con una maggioranza schiacciante, ha bocciato l’ipotesi di un reddito incondizionato di base (la variante elvetica di quel “reddito di cittadinanza” tanto caro in Italia a Beppe Grillo e al movimento Cinquestelle) non può sorprendere più che tanto. D’altra parte, non è la prima volta che i cittadini svizzeri bocciano proposte demagogiche e contrarie al buon senso.

L’iniziativa popolare su cui ieri si è votato avrebbe voluto introdurre un aiuto incondizionato che, secondo alcuni, doveva essere intorno ai 2.500 franchi al mese. Visto il costo della vita tra Zurigo e Basilea, la cifra non è altissima, ma comunque in grado di assicurare una vita dignitosa a chiunque: lavoratore o meno. Si voleva garantire un livello altissimo di welfare, anticipando una soluzione che probabilmente verrà presto adottata in Finlandia e, in forma sperimentale, in qualche area dell’Olanda. Gli svizzeri però si sono espressi nettamente contro questa ipotesi per tutta una serie di motivi.

Molti degli oppositori hanno evidenziato come il bilancio statale sarebbe stato messo a dura prova da una spesa di tali dimensioni. Ancor più di questo, però, ha pesato la convinzione che un tale sistema assistenziale avrebbe minato il principio di responsabilità. Se qualcuno riceve soldi senza lavorare, deve esserci qualcuno che lavora senza ottenere benefici. L’elettorato elvetico ha avvertito i rischi deresponsabilizzanti di una misura tanto ingiusta, che avrebbe tolto incentivi ai giovani spingendoli a vivere in maniera parassitaria.

Con il proprio comportamento alle urne, gli svizzeri hanno mostrato di avere chiaro come la ricchezza non scenda dal cielo e d’altra parte non è la prima volta che essi bocciano proposte assai populiste: come quando si trattava di tassare i “ricchi” o di alzare i salari minimi. Pure in questa occasione la Svizzera ha mostrato una ragionevolezza che non è facile riscontrare altrove. Per quale motivo?

Il sistema federale svizzero si basa su governi locali, ampiamente finanziati dai propri cittadini. In questo contesto il cittadino è portato a collegare strettamente i costi e i benefici, senza illudersi che ci sarà qualcun altro che verrà a pagare il conto. Nel corso della storia una simile localizzazione del potere ha favorito la crescente responsabilizzazione degli attori politici. Oltre a ciò, la democrazia diretta ha aiutato il formarsi di una maturità che altrove è un miraggio. Non sempre il giudizio che emerge dal voto popolare è corretto, ma è pur vero che questa continua pratica del voto sulle più diverse questioni aiuta in vario modo l’opinione pubblica a riflettere e rigettare le scorciatoie.

Gli svizzeri sanno che la ricchezza più nobile proviene dai servizi che svolgiamo per gli altri e hanno visto nel denaro facile elargito dalla federazione un elemento che avrebbe potuto corrompere la tempra stessa della società. Hanno difeso la proprietà e il lavoro, persuasi che anche i più poveri abbiano tutto guadagnare da questo.
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 9:05 pm

Democrazia svizzera (un buon sempio)
viewtopic.php?f=118&t=405
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 9:06 pm

L'accordo sui fondi ebraici ha "purificato" la Svizzera
Daniele Mariani, Matthew Allen
12 agosto 2008

https://www.swissinfo.ch/ita/l-accordo- ... ra/1240852

Dieci anni fa, le grandi banche elvetiche concludevano un accordo per indennizzare le vittime dell'Olocausto. Secondo uno dei principali architetti del concordato, l'intesa servì a rimuovere le nubi che avevano coperto la Svizzera.

Quando nella metà degli anni '90 le organizzazioni ebraiche riportano in primo piano la questione dei fondi appartenenti alle vittime dell'Olocausto che "dormono" nelle casseforti delle banche svizzere, nessuno prevede la tempesta che si scatenerà.

Il presidente del consiglio d'amministrazione di UBS, Robert Studer, cerca di minimizzare, definendo le somme in giacenza "peanuts", bazzecole.

In Svizzera non si fanno però i conti con la perseveranza delle organizzazioni ebraiche e con l'intervento delle autorità statunitensi, in particolare del senatore Alfonse d'Amato.

Ruolo della Svizzera

La polemica si allarga rapidamente: ad essere chiamato in causa è ormai non solo il comportamento delle banche, ma il ruolo giocato dalla Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Per cercare di illuminare di nuova luce il passato, sono avviate due inchieste, una delle quali commissionata dal governo svizzero.

Le ricerche giungono alla conclusione che durante la più grande tragedia del XX secolo la Confederazione non è stata così virtuosa. I lati oscuri sono molti: politica d'asilo, relazioni economiche con le potenze dell'Asse, acquisto di oro nazista da parte della Banca nazionale elvetica...

Gli istituti di credito svizzeri, dal canto loro, nel dopoguerra si sono spesso comportati in modo scorretto nei confronti dei discendenti delle vittime alla ricerca dei patrimoni dei loro familiari. Inoltre, i fondi depositati nelle cassaforti delle banche elvetiche sono stati sottostimati.

Azioni collettive

Il 12 agosto 1998 UBS e Credit Suisse da un lato e i rappresentanti del Congresso ebraico mondiali e dei querelanti raggiungono un accordo per risolvere la contesa.

In cambio della garanzia di risarcire i discendenti con 1,25 miliardi di dollari (1,8 miliardi di franchi allora), gli istituti finanziari ottengono l'abbandono delle azioni legali collettive contro la Svizzera e le banche elvetiche per il denaro custodito in conti aperti da presunte vittime del genocidio nazista, per il trattamento dei rifugiati e per il lavoro coatto in imprese svizzere durante il Terzo Reich.

"L'atmosfera era molto aggressiva e molto polarizzata", ricorda Stuart Eizenstat, rappresentante del governo statunitense durante i negoziati. "È stata una vicenda traumatica per la Svizzera".

Un simile accordo era nell'interesse di tutte le parti in causa, sottolinea dal canto suo Rolf Bloch, all'epoca presidente della Federazione delle comunità israelite svizzere.

Nel 1998 UBS è appena nata dalla fusione di Società di banche svizzere e Unione di banche svizzere. Una fusione che necessita ancora del beneplacito delle autorità antitrust americane. "Con queste azioni collettive sulle spalle, negli Stati Uniti la fusione non sarebbe stata possibile", osserva Bloch.

Il governo ne resta fuori

Nell'intesa non intervengono però né il governo svizzero, né la banca nazionale elvetica (BNS), che nel 1997 hanno istituito un fondo speciale per le vittime dell'Olocausto, grazie al quale negli anni seguenti sono distribuiti circa 300 milioni di franchi a 300'000 persone di 60 paesi.

Eizenstat si dice amareggiato dal comportamento del governo elvetico e della BNS: "In Germania, Austria e Francia i governi hanno aderito agli accordi. In Svizzera, il fardello è gravato solo sulle spalle delle banche private. Penso sia stata una mossa inopportuna".

250 milioni ancora da versare

Secondo Eizenstat, l'accordo da 1,25 milioni di dollari era "corretto ed equo". A fine giugno del 2008 sono stati versati più di un miliardo di dollari a quasi 450'000 ebrei, omosessuali, testimoni di Geova e rom vittime dell'Olocausto o ai loro discendenti. Altri 250 milioni devono ancora essere versati. Le procedure sono state rallentate dalle centinaia di migliaia di richieste e dall'iter legale per esaminarne la validità.

Il pagamento – afferma Rolf Bloch – ha risolto "finanziariamente ma non moralmente" le questioni legate al comportamento della Svizzera durante la Seconda guerra. Secondo Eizenstat, l'accordo ha avuto un effetto catartico sulla Svizzera e ha contribuito a spingere le banche a dotarsi di norme più severe per lottare contro il riciclaggio di denaro.

"Questo avvenimento ha avuto un effetto che definirei purificatore. Il fatto che la Svizzera sia riuscita ad accettarlo e a superarlo ha creato una dinamica positiva", conclude Eizenstat.

swissinfo, Matthew Allen

(traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)

In breve

Nel 1995 le organizzazione ebraiche cominciano a far pressione sulle banche svizzere affinché forniscano dei dettagli sui conti in giacenza che si sospetta appartengano a vittime dell'Olocausto. Gli istituti di credito elvetici fanno resistenza, appoggiandosi sul segreto bancario.

Nei mesi seguenti, negli Stati Uniti vengono sporte denunce collettive nei confronti delle banche svizzere.

Nel 1996 l'Associazione svizzera delle banche e i politici elvetici accettano la creazione di gruppi d'esperti indipendenti. Il comitato Volcker si mette alla ricerca dei conti in giacenza e dei rispettivi aventi diritto, ritrovandone decine di migliaia.

La Commissione indipendente d'esperti Svizzera - seconda guerra mondiale (CIE) diretta da Jean-François Bergier e istituita dal governo svizzero si concentra su numerosi aspetti controversi, tra cui la politica d'asilo e i rapporti economici e finanziari tra la Confederazione e le potenze dell'Asse. I risultati delle ricerche confluiscono in 25 studi e in un rapporto finale pubblicato nel 2002.

Nel 1997 il governo svizzero, la banca nazionale e diverse altre ditte istituiscono un fondo speciale per le vittime dell'Olocausto, dotato di 300 milioni di franchi.

Il 12 agosto 1998, UBS e Credit Suisse accettano di pagare 1,25 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di franchi all'epoca) alle vittime della Shoah e ai loro discendenti.
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