Storia e istituzioni svizzere

Storia e istituzioni svizzere

Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 9:21 pm

Il Paradiso? No, un condominio svizzero
2012/02/13

https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/0 ... ero/190908

La mia prima impressione della Svizzera è stata quella di trovarmi di fronte a un Paese del socialismo reale. Sembra un paradosso, ma i fatti sono evidenti. La prima cosa che colpisce sono gli appartamenti nei condomini. Tutte le famiglie che vi abitano hanno dei luoghi con servizi collettivi.

Nei piani sotterrati vi sono le lavanderie, ovvero dei posti con una grande lavatrice e asciugatrice, che viene utilizzata da tutti i residenti del palazzo con un calendario settimanale predefinito. L’uso è a consumo e dei sistemi elettronici stabiliscono quanto paga un utente piuttosto che un altro grazie a degli aggeggi in possesso di ogni famiglia che si utilizzano per azionare questi elettrodomestici collettivi. Generalmente è anche possibile avere una lavatrice in casa, ma non è l’abitudine di tutti.

Ogni appartamento poi, ha la cucina e il bagno già arredato. Quindi in un palazzo tutte le case hanno lo stesso bagno e la stessa cucina, con gli stessi elettrodomestici: frigoriferi, piani cottura, lavastoviglie. Cambiano, ma relativamente, i tendaggi, o gli addobbi. Entrando alcuni giorni fa nella casa di un mio amico, gli ho detto: “Ma è identica alla nostra casa”. In effetti di identico aveva solo cucina, parquet, bagni e veranda, ma l’impressione era di sentirti in un posto già vissuto.

In ogni condominio, al piano terra vi è una stanza comune per le biciclette, una per eventuali feste di compleanno e all’esterno l’immancabile parco giochi per i bambini. Sì, avete capito bene: uno per ogni palazzo, al quale si aggiunge quello più grande presente in ogni gruppo di palazzi e quello più grande del quartiere, e infine quelli più grandi cittadini.

Nelle costruzioni più moderne, i garage prevedono anche la possibilità di essere utilizzati come sito antiatomico o di emergenza anticatastrofe. L’ho scoperto brutalmente la prima volta quando, scendendo con le mie bambine in garage per prendere l’auto, vi ho trovato schierato un intero plotone dell’esercito. Mi sono chiesto: “Che ho fatto?” Molto gentilmente mi hanno detto che erano in piena esercitazione antiatomica e di protezione civile. Che spettacolo trovarsi l’esercito in garage in pieno assetto operativo, mentre fuori c’è bel tempo e un silenzio irreale. Bene, ogni anno è così, ovviamente nelle costruzioni nuove e ampie.

Poi ti capita spesso, almeno una volta all’anno, di incontrare sotto casa i Vigili del Fuoco: anch’essi per simulazioni ed esercitazioni. I tuoi figli poi, sono ogni anno prelevati dalla Polizia per seguire in una giornata lezioni di attraversamento delle strade sulle strisce pedonali e guida in bicicletta per la città in percorsi militarizzati all’uopo come se dovesse arrivare in quel luogo il presidente degli Stati Uniti, e invece ti vedi arrivare ragazzini in bici con casco e segnalatori ottici. Difficile che una società con queste consuetudini sia colta di sorpresa da una nevicata anomala.

Ma la cosa più straordinaria e socialista è la chiave. Sì, quando prendi una casa in affitto ti consegnano la chiave. Una sola e due doppioni. Quella chiave apre la porta di casa, il portone, il garage, la cantina, la buca delle lettere, il box dove tenere gli attrezzi. Una sola chiave per tutto. Inutile provare ad aprire con quella chiave la porta del vicino… è impossibile. È una chiave intelligente, unica e allo stesso tempo collettiva per i servizi in comune.

Uno pensa: “Ma ci vuole un amministratore efficiente per reggere un condominio del genere?” Sì, effettivamente quello dell’Hauswart (portiere del palazzo), è un mestiere importante per cui ci vuole una formazione particolare, perchè gestisce tutto il sistema di vita di uno stabile. Ma pensate, senza le riunioni di condominio. Da allora ho sempre pensato che la società ideale è quella dove esistono le regole, tutti le rispettano e non ci sono le riunioni di condominio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » ven giu 08, 2018 6:52 am

Riprendiamo da ITALIA OGGI, a pag. 12, con il titolo "Niente antisemitismo in Svizzera",
il commento di Roberto Giardina.
Informazione Corretta
07 giugno 2018

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=70907

In Germania e in Francia aumentano gli atti di antisemitismo a causa degli immigrati arabi. A Berlino si consiglia agli ebrei di non farsi riconoscere per strada. La Svizzera ha risolto il problema, almeno statisticamente: le violenze antisemite non vengono registrate come tali, denuncia la Neue Zürcher Zeitung (Nzz), benché siano aumentate in modo drammatico specialmente nei cantoni tedeschi. Anche in Germania, il numero reale è di molto superiore ai dati ufficiali. La polizia spesso preferisce trascurare l'aspetto razzistico e registra l' «incidente» come un normale atto di violenza, oppure si parla vagamente di «mobbing religioso». Un paradosso: nel timore di venire accusati di razzismo, se si denunciano gli immigrati musulmani, si finisce per non proteggere gli ebrei tedeschi. Ma in Svizzera, scrive il quotidiano di Zurigo, semplicemente «nessuno sa quante violenze antisemite siano state compiute l'anno scorso... gli ebrei svizzeri dovranno un domani come in Germania riflettere se esibire la kippa in pubblico?» La Nzz si è rivolta direttamente all'Ufficio federale della polizia: sapete quanti atti di antisemitismo sono avvenuti l'anno scorso? La risposta è stata un secco e sincero: nein. La Fedpol, la polizia federale, si è dichiarata «non competente al riguardo». Se ne dovrebbe occupare la polizia dei diversi cantoni. Il quotidiano quindi ha cercato informazioni presso il BfS, il Bundesamt für Statistik, l'ufficio federale di statistica, che registra tutti i dati della vita sociale nella Confederazione. Ma i funzionari del BfS hanno ammesso: come possiamo registrare quel che non ci viene comunicato? I poliziotti svizzeri non sono obbligati a comunicare se un atto criminoso abbia motivi razzistici o religiosi. Se un immigrato islamico (sono il 5% della popolazione, quasi come in Germania, in Italia ufficialmente il 3,7) ha aggredito e ferito un ebreo, nella pratica si scrive solo: «lesioni fisiche», gravi o meno. Nel Pks, il registro di statistica criminale, si evita di parlare dei motivi di un reato. Tuttavia nel codice penale svizzero, l'articolo 261bis, parla esplicitamente di atti razzistici. Il legislatore si è preoccupato di evitare ogni forma di discriminazione contro minoranze e stranieri. Due anni fa, è stata presentata un'interpellanza in parlamento per chiedere come mai in Svizzera non vengono registrate le violenze motivate da «odio contro omosessuali... o contro minoranze religiose». Ma in un gioco a scarica barile, i parlamentari hanno rimandato la palla all'ufficio di statistica della polizia. «La situazione non è accettabile, ha dichiarato alla Nzz la deputata Rosmarie Quadranti, «abbiamo bisogno di dati completi sui motivi di atti criminali Come possiamo svolgere un'attivitá preventiva se ignoriamo il problema, e quanto sia grave». E la collega Nadien Masshardt ha aggiunto: «Perché la Svizzera non può agire come la Francia o la Germania?» Gli unici dati, ovviamente parziali, vengono forniti dalla Comunità israelitica svizzera: in Romandia sono avvenute 39 aggressioni a cittadini ebrei, nella Svizzera Occidentale, sono state 150. Ma queste cifre servono a poco. La Romandia non è più antisemita del resto della Confederazione, semplicemente la Comunità può tenere conto solo dei fatti che le vengono ufficialmente comunicati, a volte dalle stesse vittime. Non ci sono confronti con altri paesi, o con altre regioni svizzere. Meglio continuare a non sapere.
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » dom giu 10, 2018 11:09 am

Democrazia svizzera (un buon esempio)
viewtopic.php?f=118&t=405
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Re: Storia e istitusion xvisare

Messaggioda Berto » mer apr 01, 2020 8:16 pm

Svizzera, federalismo arma di indipendenza
Enzo Trentin
1 aprile 2020


https://www.vicenzareport.it/2020/04/fe ... ipendenza/


Vicenza – Ogni crisi, per quanto difficile, ivi compresa quella economico-sanitaria di queste ore, è stata un’opportunità di apprendimento. La comunicazione, si sa, può essere uno strumento per chiarire all’opinione pubblica fatti e circostanze di tutti i tipi che accadono ogni giorno, oppure per confonderla. Dipende dal tipo di linguaggio che si usa, se cioè è chiaro e limpido, oppure contorto ed ermetico. Insomma, dipende dalla volontà e dalla capacità di chi comunica farsi capire, oppure di tendere a confondere chi ascolta.

C’è una leadership ispirata alla vecchia scuola partitocratica che nella costruzione del consenso non si basa su prove, risoluzione dei problemi, sull’importanza dell’abilità, della professionalità e delle soluzioni basate sulla scienza, preferendo, invece, propinare quotidianamente tesi di propaganda.

Sul federalismo si è, nel tempo, sproloquiato in abbondanza: federalismo fiscale, federalismo demaniale, culturale e chi più ne ha più ne metta. Da quando la prima Liga veneta intorno agli anni 1980 ripropose la questione federalista, puoi assurta a linguaggio comune dalla Lega Nord, se ne sono sentite di tutti i colori; per questo motivo cercheremo di offrire qualche cenno storico di come il vero federalismo abbia inciso sul comportamento del cosiddetto “uomo qualunque”.

Napoleone Bonaparte per Tolstoj era “il gran ladrone d’Europa”. A cominciare dal colpo di stato con il quale aveva rubato il potere. Con il trattato di alleanza del 19 agosto 1798, le relazioni estere della Svizzera furono rimesse al governo francese. Con una capriola semantica la Repubblica Elvetica era così divenuta una patria alla francese donata agli svizzeri dal “Piccolo Corso”. Il “progressista” che esportava i princìpi della rivoluzione francese sulla punta delle baionette, non era certo un disinteressato idealista.

In Svizzera fu un’invasione, quella francese, che finì col non piacere a molti di quegli stessi patrioti che l’avevano desiderata e provocata. Oltre al reclamato indennizzo per le spese della spedizione militare (15 milioni di franchi francesi divisi fra i cantoni resistenti) furono ricavati a Berna dai francesi 16 milioni di franchi e un ingente bottino (saccheggio dell’arsenale e lauta appropriazione di generi di prima necessità, fra i quali una enorme quantità di vino che i predetti posero in vendita traendone notevole incasso. Detto per inciso, è quanto stava succedendo in quello stesso periodo alla moribonda Repubblica di Venezia). Spoliazioni, carico formidabile di spesa (piccoli villaggi si trovarono a dover mantenere migliaia di soldati) completarono il quadro, sempre più sconfortante, della invasione.

Al ministro francese delle finanze, il commissario di guerra Rouhière, dopo aver riferito dell’ingente bottino conseguito nella Confederazione Helvetica, soggiungeva che l’intero esercito, cavalleria, fanteria, artiglieria, era stato riequipaggiato di bel nuovo, vestito e pagato, senza costare un soldo alla Repubblica” [francese] e che aveva “perfino i mezzi per mantenersi ancora per qualche tempo, sia grazie a quanto resta nelle casse, sia grazie ai contributi ancora da riscuotere”.

Se la Svizzera venne proclamata “una ed indivisibile” (tale espressione tuttavia non comparirà più nei testi successivi, nelle iniziali affermazioni di princìpio) si deve pur dire che il territorio svizzero era già stato e sarebbe stato ancora diviso (il Vallese divenne repubblica sorella nel 1802; Ginevra, Mulhouse, Bienne e la vallata del Giura divennero francesi; Neuchâtel rimase principato del re di Prussia; il Ticino dovette pronunziarsi contro l’annessione alla Repubblica Cisalpina (meglio “liberi e svizzeri!”) proposta da Parigi. E va altresì ricordato che, con il trattato di alleanza del 19 agosto 1798, le relazioni estere della Svizzera erano rimesse al governo francese.

La Costituzione del 20 maggio 1802, detta Seconda Costituzione Elvetica, fu la prima votata dal popolo: 92.423 Sì e 167.172 No. I non votanti vennero considerati favorevoli secondo legge, e il testo fu dunque approvato; il popolo svizzero aveva tuttavia avuto modo di attestare implicitamente la propria sfiducia alla Repubblica Elvetica.

Malgrado ciò la lettera (del 30 settembre 1802) con la quale Napoleone annunziò l’Atto di mediazione ha toni di severa reprimenda. Questa, sia pure posta in forma d’una sorta di dichiarazione edittale, tradiva la delusione, la stizza. Gli svizzeri non erano stati a un gioco che egli aveva loro inutilmente tentato d’insegnare e che gli tornava comodo. La “Lettera di Bonaparte, Primo Console della Repubblica Francese, ai 18 Cantoni della Repubblica Elvetica” tacciava di cattivi scolari, fin dalle prime battute, gli “abitanti dell’Elvezia”, accusandoli di offrire, “già da due anni, uno spettacolo penoso”; e tacciava i partiti politici che li rappresentavano di “debolezza e imperizia” .

Napoleone segnalava poi che soltanto la sua “sensibilità” per le loro “sciagure” lo aveva costretto a trattenere l’esercito francese in territorio elvetico e ad intromettersi nei loro affari: “vi siete azzuffati per tre anni, senza intendervi; se foste ancora abbandonati a voi stessi, voi vi ammazzereste ancora per altri tre anni, senza meglio intendervi”, affermava il futuro imperatore. “La mia mediazione sarà efficace”, proseguiva decisamente il messaggio dopo aver richiamato con durezza certe ragioni storiche. “La vostra storia tutta sta a provare del resto che le vostre lotte interne non sono mai cessate se non con l’intervento decisivo della Francia”. Prometteva drammaticamente e con magnanimità: “la vostra patria è sull’orlo del precipizio, ma sarà salvata”; assicurando che l’annunziata mediazione era “per la Svizzera un benefizio della provvidenza”, di quella provvidenza che pur ”’fra tanti disastri,” aveva “sempre vegliato sull’esistenza e sulla indipendenza della nazione elvetica.

Napoleone convocava pertanto a Parigi senatori, delegati dei Cantoni, landamani, autorità “per indicare i mezzi per ristabilire l’ordine, la tranquillità e per conciliare tutti i partiti”. Così sessantotto notabili svizzeri giunsero a Parigi, rispondendo all’invito di Napoleone, il quale tenne loro a Saint-Cloud, il 12 dicembre un discorso dal quale verrebbe fatto desumere che gli Svizzeri il futuro imperatore li aveva alfine capiti, tanto che, malauguratamente per lui, stava facendo marcia indietro. “La Svizzera – disse loro – non assomiglia ad alcun altro Stato: per i fatti della sua storia, per la sua posizione geografica, per le sue diverse lingue e religioni e per l’estrema differenza di costumi che si rileva fra le sue diverse parti”. “La natura – egli dedusse – ha fatto il vostro Stato federalista, voler superare questo dato di fatto, non sarebbe cosa da uomo saggio. Per paesi diversi, diversi governi”. Insomma la Svizzera poteva non darsi peso del valore universale del modello costituzionale rivoluzionario; tutto ciò che si poteva fare… era averla “Stato neutrale, alleato della Francia” e poi, che si ritornasse pure al sistema dei Cantoni!

Per salvare la faccia, Napoleone redige un Atto di mediazione che consta di sei parti: un preambolo di Napoleone stesso come mediatore; 19 capitoli contenenti le Costituzioni di ognuno dei Cantoni; la Costituzione Federale; la legge contenente le norme transitorie; una legge sulla liquidazione del debiti elvetici. C’era poi una chiusa conclusiva nella quale si riconosceva “l’Elvezia come potenza indipendente” e se ne garantiva “la Costituzione Federale e quella di ogni Cantone, contro i nemici della sua tranquillità”; ci si riproponeva anche di salvaguardare lo spirito di “benevolenza che da molti secoli ha unito le due nazioni”, Francia e Svizzera. Le firme in calce sono: Bonaparte; il ministro degli esteri C.M. de. Talleyrand; il segretario di Stato, H.B. Maret; il ministro degli esteri della Repubblica Italiana, (sic) J. Marescalchi. Concludendo: per Napoleone gli svizzeri, malgrado li avesse spremuti economicamente come tutti gli altri europei che riuscì a irretire con le sue idee, trattati e “princìpi rivoluzionari”, non erano per lui dei cittadini “malleabili”; che andassero pure per la loro strada.

Alla luce di questa scarne note appare evidente che quando lo Stato italiano (o meglio i suoi politicanti) parla di federalismo, o non sa di cosa tratta o peggio è in mala fede. Se poi osserviamo che ci sono soggetti politici sedicenti indipendentisti che aspirano a un nuovo modello istituzionale senza specificarne le caratteristiche, si vede bene come la “cultura” federalista di molti politici sia assolutamente inadeguata.
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