Veneti

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Messaggioda Berto » mar gen 14, 2014 5:51 pm

Basta Talia e Via da Roma!

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Ençeveltà tałega, połedega, caste tałego padan venete, corusion
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9 deçenbare, a se scuminsia
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Emigrasion veneta ente l'800 e 900
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LIFE - Liberi Imprenditori Federalisti Europei
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Omani taliani e no ke li ga fato mal a i veneti
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L'oror de li talego romani
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L'oror de li talego padani
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Fanfaroni, ciarlatani, farlopi e furfanti
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Referendo par l'endependensa (dal falbo al vero)
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » lun feb 03, 2014 9:03 am

Straje de ła I goera mondial ente l'ara veneta
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Il processo delle terre liberate
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Li taliani dapò ver desfà la tera veneta e copà xentenara de miliara de veneti li ciamava el Veneto
Veneto bubbone d’Italia
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Malavita a Trevixo
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Taliani: ladri, parasidi, privilexà, evaxori, buxiari
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » lun feb 03, 2014 9:40 am

Indipendentisti velleitari: è necessario uscire dal guscio

http://www.lindipendenza.com/indipenden ... tin-marchi


di ENZO TRENTIN

Caro Gianluca Marchi, chiarissimo direttore, questa volta non scriverò un articolo per il nostro giornale. Stilerò una lettera aperta, della quale mi assumo l’intera responsabilità, con la finalità di stimolare il dibattito, magari aspro, ma rispettoso e chiarificatore. E lo farò schematicamente per punti, senza un preciso ordine d’importanza o priorità. Tu, da qualche parte di questo giornale hai scritto: «il dibattito tra gli indipendentisti è a zero». Hai perfettamente ragione! Io dico:

1 – TUTTI I PARTITI POLITICI SONO IMPRESENTABILI. Personalmente condivido quanto ha scritto oltre cent’anni fa Moshei Ostrogorski; in quella parte nella quale lo studioso russo condensava nello slogan «viva la lega, abbasso il partito», la propria opposizione a forme rigide e permanenti, a programmi-omnibus e, in fondo, a considerare il partito in quanto istituzione necessaria all’esplicarsi dello scontro politico. Per “lega” egli intende un organismo in sostituzione della forma-partito tradizionale, auspicando la nascita di «organizzazioni single issue», in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.

Giusto una settantina d’anni fa Simone Weil ribadiva (ed anche qui io condivido) nel “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti.»

Oggi molti “riscoprono” Gianfranco Miglio. Forse dimenticano ciò che ha scritto a pag. 60 del suo libro: «Io, Bossi e la Lega»: «I miei rapporti con Bossi (e con la Lega) finirono durante una breve telefonata notturna in cui, rispondendo alla chiamata del Segretario, gli contestai l’abbandono di fatto del progetto federalista sul quale, quattro anni prima, si era basata la nostra collaborazione. E, abbassando il ricevitore mentre Bossi continuava a sbraitare, provai una deliziosa sensazione di libertà: come quando ero uscito dalla Democrazia cristiana nel 1959.»

I candidati di tutti i partiti politici promettono la luna e una volta eletti si rimangiano le promesse, dunque le loro parole e i loro programmi contano poco. Si è talmente abituati a questo schema che il primo successo di Silvio Berlusconi si spiegò proprio così. La gente pensò: “Molti sanno solo parlare, costui ha creato un impero economico, chissà che non vada oltre le parole”. Abbiamo visto com’è andata a finire. Sigh!

Una riprova del clima asfissiante dei partiti? Nonostante l’impegno del sindaco Paolo Badano, un uomo onesto e sinceramente democratico, il Consiglio comunale di Sassello ha rinviato sine die la approvazione finale dello Statuto, già approvato a gennaio (salvo ‘rifiniture’).

Tutto questo nonostante il Sindaco Badano abbia sostenuto fino in fondo quanto adottato nel testo che anche questo quotidiano ha suo tempo pubblicato. Eppure quello Statuto fu sottoposto all’approvazione del Consiglio Comunale di Sassello, che espresse un voto favorevole all’unanimità. Ora, quei Consiglieri comunali subornati dai propri partiti si sono rimangiati la delibera.

Alcuni cittadini andranno in piazza a distribuire il volantino qui allegato, e si pensa ad azioni di sostegno al Sindaco: forse addirittura un convegno sul tema della sovranità popolare.

2 – I PROGRAMMI. Non c’è settimana, o quasi, che tramite la posta elettronica mi sia recapitato questo o quel documento dal titolo che suona più o meno: “Il… che vorremmo”. I puntini di sospensione li ho messi apposta e per discrezione, ma essi si riferiscono a questo o quel territorio che rivendica l’indipendenza.

Sono tutti programmi immaginifici, magnifici ed anche parzialmente condivisibili. Tuttavia peccano tutti dell’istinto del tamburo maggiore. Ci ho scritto un articolo recentemente . Non ritengo di doverci tornar sopra tale istinto.

Alcuni adesso sono presi dalla frenesia di adottare il percorso dello Scottish National Party. Nessuno sembra aver compreso che la strategia adottata da questo soggetto politico è quella del marketing. Ovvero, non producono nessuna proposta prima d’aver interpellato circa 400 associazioni della più disparata natura. Solo sulla base dei dati raccolti realizzano poi i loro programmi. Quando mai i partiti o movimenti o altri soggetti politici italiani e indipendentisti della penisola hanno fatto ciò? Mai nessuno che io sappia!

3 – LA PROPOSTA. Sia io che te, caro Marchi, conosciamo personalmente almeno due o tre autorevoli costituzionalisti. Perché non chiedere loro una bozza di Costituzione d’impronta federale? Nell’ambiente indipendentista tutti parlano di federalismo, ma quando si tratta di materializzare una proposta tutti latitano. E la questione è comprensibilissima: come per ogni branca dello scibile umano esiste una cultura elementare, una media, ed una superiore. Se dei cattedratici ci mettono a disposizione una bozza, non sarebbe più facile coalizzare l’arcipelago indipendentista? E tale arcipelago non potrebbe fare il giro delle cosiddette sette chiese per spiegare in lungo e in largo cosa la nuova organizzazione istituzionale potrebbe prevedere? E sulla base dei riscontri, proporre implementazioni, modifiche o rettifiche che poi i costituzionalisti armonizzerebbero?

Analogo discorso vale per qualche giurista. Perché non verificare la disponibilità di alcuni a realizzare delle bozze di un nuovo Codice civile e penale? È mia personale opinione che non serva l’intera modifica dei testi attuali. Alcune cose possono rimanere. Sicuramente solo alcuni articoli di detti Codici vanno riscritti. Qualche decina, un centinaio? Sicuramente non migliaia!

Costituzionalisti e giuristi “amici” dovrebbero però conservare, per il momento, il più assoluto anonimato e riserbo. Questo per evitare che l’attenzione e la critica si disperdano sui redattori, anziché concentrarsi sui documenti. Come non ricordare, a questo proposito, il fallimento della Commissione Nordio (2004 – http://www.ristretti.it/areestudio/giur ... /index.htm) per un nuovo Codice penale? Non appena si seppe che il giudice veneziano Carlo Nordio (accreditato in quota centrodestra) era stato incaricato di questa bisogna, l’opposizione si scatenò per delegittimarlo, e comunque non consentendo l’ottenimento di un qualche risultato. Ergo, il Belpaese adotta ancora il cosiddetto Codice Rocco: uno strumento che abbiamo ereditato dal periodo fascista.

Costituzionalisti e giuristi “amici” potrebbero essere convinti (il che non dovrebbe essere difficile) sulla base del loro spirito civico. A indipendenza ottenuta si saprà bene valorizzare chi è stato uno o più padri della patria.

4 – I SOGGETTI DA EMARGINARE. Nel corso degli ultimi due o tre lustri, l’ambiente autonomista ed indipendentista ha visto emergere soggetti politici che hanno deambulato di qua e di là. Ovunque sono andati hanno creato conflitti, attriti, disagio. Sicuramente il narcisismo ha guidato molti di costoro. È vero che la vita è una jungla; non per questo dobbiamo aggirarci come tante bestie feroci.

Altri si sono distinti per una politica fatta di colpi di scena. Posso capire la necessità di trovare visibilità per le proprie iniziative; tuttavia la politica non si può trasformare in una sorta di televendita stile Wanna Marchi.

5 – CHE FARE? Possiamo rimanere tra le pagine di questo nostro giornale. Sicuramente accresceremo via via i lettori. Ma i tempi stringono. E i lettori hanno bisogno di sollecitazioni anche per sostenere questa impresa editoriale. La gran parte dell’opinione pubblica non è ancora ricettiva ai nostri argomenti. La propaganda di regime imperversa con un telegiornale o radiogiornale praticamente ogni 15 minuti. Gli “esperti di regime” traboccano e travalicano. Se il giornalismo della carta stampata è in forte regresso e crisi, Internet abbonda di testate on line e di blog.

È necessario uscire “dal guscio”. Se Beppe Grillo ha la capacità – per noi impossibile – di riempire le piazze; noi, come giornale, dovremmo trovare il modo di materializzare tutte quelle forme di approccio al pubblico di cui le campagne elettorali statunitensi sono maestre: cene di autofinanziamento con corredo di autorevoli relatori; convegni e meeting della più varia natura, e chi più ne ha più ne metta.

Concludo con un’esortazione: la giovinezza non è un periodo della vita. Essa è uno stato dello spirito, un effetto della libertà, una qualità dell’immaginazione, un’intensità emotiva, una vittoria del coraggio sulla timidezza, del gusto dell’avventura sull’amore del conforto.

Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni; si diventa vecchi perché si è abbandonato il nostro ideale. Gli anni aggrinziscono la pelle, la rinuncia al nostro ideale aggrinzisce l’anima. Le preoccupazioni, le incertezze, i timori, i dispiaceri sono i nemici che lentamente ci fanno piegare verso terra e diventare polvere prima della morte.

Giovane è colui che si stupisce e si meraviglia, che si domanda come un ragazzo insaziabile: “E dopo?“, che sfida gli avvenimenti e trova la gioia al gioco della vita.

Voi [cari lettori. Ndr] siate così giovani come la vostra fiducia per voi stessi, così vecchi come il vostro scoramento. Voi resterete giovani fino a quando resterete ricettivi. Ricettivi di ciò che è bello, buono e grande, ricettivi ai messaggi della natura, dell’uomo e dell’infinito. E se un giorno il vostro cuore dovesse esser mosso dal pessimismo e corroso dal cinismo, possa Dio avere pietà della vostra anima di vecchi.

Avrai capito, caro direttore, che quest’esortazione non è farina del mio sacco. È il discorso che fece il Generale Mac Arthur ai Cadetti di West Point nel 1945. Credo che possa valere anche per tutti noi giornalisti e lettori de «L’Indipendenza».



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Indipendentisti, meglio cento giorni da Leone che uno da pecora

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http://www.lindipendenza.com/indipenden ... -da-pecora


di ENZO TRENTIN

Ognuno dei governi successivi all’ultimo cinquantennio ha, più o meno, distrutto con ritmo sempre più rapido la vita locale e regionale; ed essa, alla fine, è scomparsa. L’Italia è come quei malati che hanno già fredde le membra e in cui ormai solo il cuore palpita ancora.
Non c’è un fremito di vita in nessuna parte del corpo nazionale, tranne che a Roma; fin dai sobborghi che la circondano la città comincia a puzzare di morte morale.
Se lo Stato ha ucciso moralmente tutto quel che, dal punto di vista territoriale, era più piccolo di lui, ha anche trasformato le frontiere territoriali nelle mura di un carcere, per imprigionarvi i pensieri.

Se guardiamo la storia un po’ più da vicino, al di fuori dei manuali, rimaniamo sbalorditi scoprendo di quanto altre epoche, quasi prive di mezzi materiali di comunicazione, fossero superiori alla nostra per ricchezza, varietà, fecondità e intensità di vita nella circolazione intellettuale, attraverso territori vastissimi. Per esempio nel Medioevo, nell’antichità preromana, nel periodo immediatamente anteriore ai tempi storici.
Ai giorni nostri con la radio, la televisione, l’aviazione, l'astronautica, lo sviluppo di mezzi di trasporto d’ogni genere, la stampa, i giornali, internet, il fenomeno delle moderne nazionalità chiude in piccoli compartimenti stagni persino la scienza che è così naturalmente universale.

I ribelli che si agitano intorno a questo giornale quotidiano, siano essi collaboratori o lettori, sono forti sempre la metà di quanto lo siano i difensori del potere ufficiale (mi diria tanto manco de la metà!). Anche quando si pensa di sostenere una buona causa. Come scrisse Ètienne De La Boètie, intorno al 1550: «Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha la forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli fornite? Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi.»

Ma in Italia viviamo in una particolare atmosfera.
Per questo ci piace ricordare le parole che una volta si scambiarono uno dei favoriti di Serse I (519 a.C. – 465 a.C.), il gran re persiano, e due Spartani. Quando Serse preparava il suo enorme esercito per conquistare la Grecia, mandò degli ambasciatori alle città greche per chiedere acqua e terra: era questo il modo con cui i Persiani intimavano la resa alle città nemiche. Si guardò bene dal mandarli ad Atene e a Sparta, dato che gli Ateniesi e gli Spartani avevano a suo tempo gettato rispettivamente nei fossati e nei pozzi gli ambasciatori inviati per lo stesso motivo da Dario, suo padre, dicendo loro di prendere laggiù l’acqua e la terra da portare al loro principe: infatti non potevano sopportare che si attentasse neanche solo a parole alla loro libertà. E tuttavia, per aver agito così, gli Spartani riconobbero di aver offeso gli dei, e soprattutto Taltibio, dio degli araldi. Decisero allora, per calmarli, d’inviare a Serse due cittadini, affinché, disponendone a suo piacimento, potesse vendicarsi sulle loro persone dell’assassinio degli ambasciatori di suo padre. Due Spartani, di nome Sperto e Buli, si offrirono come vittime volontarie. Partirono e cammin facendo arrivarono al palazzo d’un Persiano chiamato Idarno, luogotenente del re per tutte le città della costa asiatica. Costui li accolse con tutti gli onori, e dopo aver parlato d’altro chiese loro perché rifiutassero tanto orgogliosamente l’amicizia del gran re. E aggiunse: «O Spartani, prendete il mio caso ad esempio, e vedete come il re sa ricompensare coloro che lo meritano, e pensate che se voi foste dei suoi sareste trattati altrettanto bene. Se voi foste al suo servizio ed egli vi conoscesse, farebbe di ciascuno di voi il governatore di una città greca». «Quanto a questo, o Idarno – risposero gli Spartani – tu non sei in grado di darci un consiglio valido. Infatti tu hai provato il bene che ci prometti, ma quello che noi godiamo non sai cosa sia; tu hai fatto esperienza dei favori del re, ma della libertà non sai nulla, non ne conosci il gusto e la dolcezza. Orbene, se tu l’avessi assaporata, tu stesso ci consiglieresti di difenderla, non già con la lancia e lo scudo, ma con i denti e le unghie». Solo lo Spartano diceva il vero; ma senza dubbio ciascuno parlava secondo l’educazione ricevuta. Infatti sarebbe stato impossibile che il Persiano rimpiangesse la libertà che non aveva mai avuto e che gli Spartani sopportassero la servitù dopo aver assaporato le dolcezze della libertà.

Allo stesso modo chi oggi prospetta l’indipendenza dall’Italia, e non abbia un progetto chiaro, dettagliato e convincente, difficilmente potrà scalzare dalla mente e dal cuore degli italiani l’idea che la democrazia in Italia possa diventare reale, e che lo Stato possa riformarsi in senso favorevole al cittadino, anziché alla partitocrazia. Infatti, possiamo osservare che ogni volta la protesta (Forconi, Presidi 9/12 fermiamo l’Italia, solo per citare gli ultimi) ha assunto un più evidente carattere di sradicamento e un più basso livello di spiritualità e di pensiero. Si può anche osservare che questi spiriti liberi, da quando sono stati attivati, hanno dato un contributo piuttosto ridotto alla cultura e alla causa indipendentista.

Bene fanno i Veneti ad insistere sulla loro cultura, sulle loro tradizioni, sul loro particulare.

Solo i collaborazionisti tipo Idarno sono soddisfatti dell’attuale stato di cose in Italia. Infatti se guardiamo altrove ed al passato, per esempio, la contea di Borgogna era sede di una cultura originale e splendida che non sopravvisse alla conquista. Alla fine del XIV secolo le città delle Fiandre avevano relazioni fraterne e clandestine con Parigi e con Rouen; ma c’erano dei fiamminghi feriti in battaglia che preferivano morire piuttosto che essere curati dai soldati di Carlo VI. Quei soldati compirono una scorreria nel territorio olandese, e ne tornarono portando prigionieri alcuni ricchi cittadini. Avevano deciso di ucciderli; ma un moto di pietà li spinse a offrir loro la vita a condizione che diventassero sudditi del re di Francia; quelli risposero che, una volta morti, persino le loro ossa si sarebbero rifiutate, se avessero potuto, di essere sottomesse all’autorità del re di Francia. Uno storico catalano della stessa epoca, raccontando la storia dei vespri siciliani, dice: «I francesi, che, ovunque dominano, sono crudeli quant’è possibile esserlo…». Meglio vivere cent’anni da leone che un giorno da pecora.

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I bretoni si disperarono quando la loro sovrana Anna fu costretta a sposare il re di Francia.
Se quegli uomini ritornassero oggi, o piuttosto qualche anno fa, avrebbero forse molte ragioni di credere d’essersi sbagliati? Per quanto sia screditato l’autonomismo bretone, per coloro che lo manovrano, e per i fini inconfessabili che essi perseguono, è certo che quella propaganda risponde a qualcosa di reale tanto nei fatti quanto nei sentimenti di quelle popolazioni.
Ci sono, in quel popolo, tesori latenti che non hanno potuto manifestarsi.
La cultura francese non conviene a quel popolo; la sua non può portar frutto; da allora esso è costretto ai bassifondi delle categorie sociali inferiori. I bretoni dei secoli passati fornirono gran parte dei soldati analfabeti; le bretoni, si dice, gran parte delle prostitute di Parigi. L’autonomia non sarebbe un rimedio, ma ciò non significa che la malattia non esista. Meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.

Pasquale Paoli, l’ultimo eroe corso, spese la sua vita per impedire al suo paese di cadere nelle mani della Francia.
C’è un monumento in suo onore in una chiesa di Firenze; in Francia nessuno lo ricorda. La Corsica è un esempio del pericolo di contagio implicito nello sradicamento. Dopo aver conquistato, colonizzato, corrotto e contagiato gli abitanti di quell’isola, i francesi li hanno subiti come questori, poliziotti, marescialli, sorveglianti e in altre funzioni del genere grazie alle quali essi trattavano a loro volta i francesi come una popolazione più o meno conquistata. Essi hanno anche contribuito a dare alla Francia, presso molti indigeni delle colonie, una reputazione di brutalità e crudeltà.
E Napoleon nol jera corso?

Guardando ai Corsi è difficile che il nostro pensiero non vada ad un parallelismo con la “lotta al brigantaggio” immediatamente successiva all’unità d’Italia, ed all’odierna «occupazione» di quasi tutti gli uffici pubblici del nord da parte di funzionari meridionali portatori di una cultura che con il settentrione ha poco a che spartire. Quando si elogiano l’unità d’Italia e l’italianità, bisogna dire soprattutto che esse hanno, e largamente, sradicato le culture autoctone.
È un procedimento di facile assimilazione, alla portata di chiunque. Ai popoli cui si toglie la propria cultura, o rimangono senza cultura o ricevono qualche briciola della cultura che ci si degna di voler loro trasmettere, poco rimane. In ambedue i casi quei popoli sembrano essere del medesimo colore, e paiono assimilati. Meraviglioso è invece assimilare popoli che conservino viva, benché modificata, la loro cultura. È un miracolo che di rado si realizza. Solo il neofederalismo di G.F. Miglio lo può fare (??? Padania NO GRASIE!!!).

Come giustamente ed autorevolmente è stato scritto in questo quotidiano: «…ad ogni indipendenza debba precedere una fase “costituente”, o piuttosto “ricostituente”, che dia vita però a costituzioni molto mondane, flessibili, leggere…». Si è proseguito con: «Per il Veneto […] possibile, attendo se non 700 pagine, almeno 200 di programma buono e concreto.». Tutto ciò è stato compreso ed approvato da più lettori. Al Veneto manca appunto l’equivalente del «Libro Bianco» dello SNP di Alex Salmon per la sua “Scozia possibile”. A rafforzare quest’idea vorremmo ora aggiungere che voler condurre creature umane, si tratti di altri o di se stessi, verso il bene indicando soltanto la direzione, senza essersi assicurati della presenza dei moventi necessari, equivale a voler mettere in moto un’automobile senza benzina, premendo sull’acceleratore. O è come se si volesse accendere una lampada a olio senza aver messo l’olio. Quest’errore è stato denunciato in un testo abbastanza celebre e abbastanza letto e riletto e citato da venti secoli. Eppure si continua a commetterlo.

A questo punto le possibili soluzioni sarebbero che alcune forze politiche stendessero per loro conto il loro “progetto istituzionale”; ma questo ci sembra abbastanza improbabile. I partiti indipendentisti veneti sono ridotti al lumicino di poche manciate (ed esageriamo) di “aficionados”. Di conseguenza anche laddove essi riuscissero a produrre un tale documento, esso sarebbe più il parto del loro leader, piuttosto che un documento elaborato collegialmente, discusso e condiviso. Tìmeo Dànaos et dona ferentis. [Temo i Danai anche quando portano doni]. Come si ricorderà sono le parole pronunciate da Laocoonte ai Troiani per convincerli a non fare entrare il famoso cavallo di Troia nella città. Anche se apparissero più progetti, elaborati da più soggetti partitici, tutti demandati alla all’approvazione della cosiddetta sovranità popolare; probabilmente non faremmo un buon servizio alle nostre comunità. Tìmeo Dànaos et dona ferentis.

L’immediata soluzione pratica è l’abolizione dei partiti politici, ivi compresi quelli sedicenti indipendentisti.
La lotta dei partiti e nei partiti, quale quella esistente in questo paese, è intollerabile; il partito unico, che d’altronde ne è l’inevitabile conclusione, è l’estremo grado del male già sperimentato col fascismo; non resta altra possibilità che quella di una vita pubblica senza partiti. Oggi una simile idea suona nuova e audace. Tanto meglio, visto che il nuovo è necessario. Come acutamente osservò Simone Weil, in verità, questa sarebbe semplicemente la tradizione del 1789. Agli occhi degli uomini del 1789, non ci sarebbero state neppure altre possibilità; una vita pubblica quale la nostra nel corso dell’ultimo mezzo secolo sarebbe parsa loro un orrido incubo; non avrebbero mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito.

Rousseau d’altronde aveva chiaramente dimostrato che la lotta dei partiti uccide automaticamente la repubblica.
Ne aveva predetto gli effetti. Sarebbe opportuno, di questi tempi, incoraggiare la lettura del «Contratto sociale». Infatti oggi, dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Tutti sanno che i partiti inglesi hanno tradizioni, mentalità e funzioni inconfrontabili con quelle di altri paesi. Tutti sanno altresì che i raggruppamenti in lizza negli Stati Uniti non sono partiti politici. una democrazia dove la vita pubblica si riduca alla lotta fra i partiti politici non è in grado di impedire l’avvento di un partito capace di distruggerla. Se emana leggi eccezionali, si suicida. Se non lo fa, la sua sicurezza vale quella di un uccellino di fronte a un serpente.

Proviamo, invece, a lavorare per la creazione di una “Tavola Rotonda” con assisi tutti i rappresentanti dei soggetti politici indipendentisti.
Cominciamo dal veneto. Si provi ad immaginare che costoro, spinti da autentico spirito civico, lascino le loro beghe, i loro contrasti, i loro meschini litigi per futili motivi, i loro impicci, fuori della porta, e attraverso una discussione pacata ed approfondita licenzino un progetto della sostanza di quanto viene diffuso in Scozia a responsabilità dello SNP. Bisogna farlo subito. Dopo l’auspicata indipendenza, nello scatenamento irresistibile degli appetiti individuali per la conquista del benessere o del potere, sarà assolutamente impossibile cominciare qualcosa ???. Bisogna farlo immediatamente. E' incredibilmente urgente. Mancare questo momento vorrebbe dire incorrere in una responsabilità che è quasi un delitto. ???

A questo punto si faccia anche un sforzo d’immaginazione:
si prefiguri pure un referendum elettronico autogestito ed informale; ma solo dopo una massiccia, e lunga – quanto basta – campagna informativa presso la popolazione avente diritto. Si aggiunga infine (tanto nel campo delle ipotesi si può fare anche questo) che tale referendum venga vinto. Il giorno dopo non si potrebbe legittimamente dichiarare la secessione? Quali Stati o organismi internazionali “democratici” potrebbero opporsi? Dunque, meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » gio mar 13, 2014 8:25 am

Sovranità popolare, scontro fra Stato moderno e Stato federale

http://www.lindipendenza.com/sovranita- ... o-federale

di ENZO TRENTIN

L’indipendentismo odierno non può che basare le proprie rivendicazioni sul potere del popolo che per rivendicare i propri diritti, deve avere il potere di privare le istituzioni di determinate funzioni o addirittura di cambiare le istituzioni stesse, poiché i diritti dei cittadini equivalgono a quelli che noi oggi diremmo indisponibili, inalienabili, come riteniamo sia la sovranità. Infatti, se attraverso le elezioni i cittadini delegano la propria sovranità ai “rappresentanti” sia pure eletti, ma pur sempre dei semplici delegati; che sovrani sarebbero?

Le ragioni dell’indipendentismo dall’Italia risiedono nel fatto che il “contratto” tra lo Stato italiano ed i suoi cittadini, non è mai stato stipulato, e ancor quando lo fosse stato, esso non è mai stato rispettato dalle istituzioni e dai loro reggitori. Quindi gli indipendentisti non hanno necessità di eleggere rappresentanti presso le istituzioni dello Stato Italiano. Si veda il “giochino” dei Consiglieri alla Regione Veneto: Tesserin e Toniolo, che all’apparire della della proposta di legge 342/2013 per un referendum consultivo per l’indipendenza, ne hanno immediatamente proposto uno di analogo, ma per l’autonomia. Che Carlo Alberto Tesserin, ora rappresentante del Ncd, abbia recentemente dichiarato: «Al di là di quelle che possono essere le posizioni di ognuno, è giusto che venga garantita l’espressione della volontà da parte dei veneti su questo importante argomento, perché questa è l’essenza della democrazia» nulla toglie alla manovre partitocratiche. Con queste modalità non si approderà a nulla d’innovativo. Gli indipendentisti hanno, al contrario, la necessità imprescindibile di trovare amici e alleati all’estero.

Ci sono un’infinità di popoli che aspirano ad affrancarsi dagli Stati ottocenteschi che li inglobano, come dall’attuale Unione europea. È lì che deve operare l’indipendentismo più avveduto ed avanzato. Tuttavia anche nella ricerca degli amici esterni, gli indipendentisti dal “Bel Paese”, debbono dotarsi di un progetto istituzionale spendibile. Infatti, a chi interesserebbe uscire dall’UERSS (Unione Europea delle Repubbliche Socialiste Sovietiche o UE) per entrare – per esempio - in un nuovo paese retto da un sistema comunista?

L’idea che «Il popolo non è un qualsiasi agglomerato di uomini riuniti in un modo qualsiasi, ma una riunione di gente associata per accordo nell’osservare la giustizia e per comunanza di interessi.» è di Marco Tullio Cicerone che visse decenni prima della nascita di Cristo. Più recentemente Edward N. Luttwak, un economista, politologo e saggista rumeno naturalizzato statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera; ha scritto: «Questa concezione romana è all’origine del contrattualismo per il quale lo Stato è il risultato di un patto, di un “contratto” tra gli individui. Quindi l’unità e i poteri dello Stato non precedono, ma conseguono da questo accordo stipulato tra i cittadini. Lo Stato inteso come prodotto di un “contratto” è la giustificazione teorica dello stato moderno; essa è strettamente legata al concetto di sovranità e più precisamente di sovranità popolare, ossia l’emanazione umana del Potere.» Per comprendere come si sia arrivati, nel tempo, al consolidamento di queste idee, citeremo qui solo alcuni personaggi autorevoli.

La teoria del contratto sociale e successivamente politico trova le sue origini nella disputa storica fra sostenitori del più insigne dei maremmani del Medioevo, papa Gregorio VII (Gregoriani), e quelli dell’Imperatore (Antigregoriani), verso l’anno 1075. I Gregoriani sostengono che l’imperatore Enrico IV non governa i sudditi per diritto divino illimitato, ma per un contratto tacito esistente fra lui e gli individui che si impegna a governare, rispettando alcuni principi e regole morali e religiose, violando le quali rimane privo del suo diritto davanti al popolo. Gregorio VII, con un piccolo gruppo di uomini colti ed onesti a lui fedeli, si pone contro lo stato di cose consolidato nei secoli per chiarire alle autorità politiche i limiti delle loro attribuzioni. Gli effetti della sua “Riforma” furono di tale importanza che andarono oltre quello che gli stessi protagonisti potevano immaginare. Essi avviarono la formazione di una nuova società europea, lo sviluppo di forze sociali popolari (i Comuni) e la fioritura di una spiritualità diversa rispetto al passato.

Per S. Tommaso d’Aquino il “diritto” è «la proporzione tra il profitto che il mio atto produce ad un altro e la prestazione che questi mi deve in cambio», (definizione di “contratto”). Per lui la legge umana ha come fondamento sia la legge divina sia quella naturale. «…il re non è il tiranno, ma colui al quale il popolo ha delegato la propria libertà e sovranità in nome della pace, dell’unità e del buon governo (ovvero il bene comune).» San Tommaso è considerato il primo ad enunciare il principio di sussidiarietà. Questi concetti sono propri del “contratto politico o di federazione”, e saranno introdotti nei secoli successivi nella teoria dello Stato contrattuale o federale dai grandi teorici del federalismo.

Marsilio da Padova nel Defensor Pacis, (“difensore della pace”. La sua opera più conosciuta), scritto nel 1324, dove tratta, fra l’altro, dell’origine della legge, sostiene che è la volontà dei cittadini che attribuisce al Governo, Pars Principans, il potere di comandare su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato, esercitato in nome della volontà popolare. La conseguenza di questo principio era che l’autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal popolo, inteso come sanior et melior pars.

Thomas Hobbes, nel suo trattato più conosciuto, il Leviatano, afferma che nello stato di natura gli uomini nascono nell’eguaglianza, ma non possono restarci, dunque è la ricerca dell’eguaglianza che provoca e mantiene lo stato di guerra fra gli uomini. Dall’ineguaglianza – scrive – procede la diffidenza e dalla diffidenza la guerra. Considera lo Stato come il risultato di un “contratto” fra il sovrano ed i cittadini, inteso a salvaguardare la pace ed a conservare la vita degli individui.

Alexis de Tocqueville scrisse: «Se la democrazia è solo una vuota affermazione di uguaglianza e non funziona perché esclude la viva partecipazione, il suo contravveleno è il federalismo come l’ha conosciuto in America. [...] Eliminando l’accentramento all’interno della struttura dello stato, il Federalismo moltiplica le occasioni di partecipazione, mentre il Centralismo tende a soffocarle.» È nelle istituzioni comunali che si impara la Democrazia.

Giuseppe Ferrari, grande amico di Pierre Joseph Proudhon con cui condivideva l’idea del carattere contrattuale dello Stato, aveva la visione politica di un’Italia costituita come Federazione dei suoi popoli. Per lui l’opinione pubblica doveva essere preparata alla Rivoluzione Federalista (che doveva avvenire spontaneamente) per la nascita di un partito di stampo popolare, democratico e repubblicano. La questione sociale era infatti per Ferrari inscindibile da quella istituzionale. Il futuro stato federale italiano sarebbe stato gestito da una assemblea democraticamente eletta e da tante assemblee regionali.

Mentre in Europa imperversa la seconda guerra mondiale, Adriano Olivetti si rifugia in Svizzera dove completa la stesura del libro: L’ordine politico delle comunità. Nella sua critica ai partiti ed al parlamentarismo integrale, partendo dagli studi di Ferdinand Tönnies derivava l’idea di comunità come spazio naturale dell’uomo. I termini comunità e società indicano per Olivetti due modi diversi di concepire le associazioni di individui e generano due differenti tipi di rapporti sociali: umani e virtuali. Così supera l’idea della contrapposizione fra comunità e società di Tönnies e pone la prima come la nuova misura dell’ordine politico fondata sul federalismo, punto di convergenza fra la persona e lo stato e fra la necessità della dimensione limitata della comunità in rapporto alla grande babele della società moderna e delle sue metropoli. Questo assunto gli serve a dimostrare che non ci può essere democrazia senza quella base di esperienza umana ed affettiva dei rapporti interpersonali che è possibile alimentare e conservare solo a livello di una comunità naturale, federale e di dimensioni limitate.

Il pensiero di Gianfranco Miglio, grande scienziato della politica e del federalismo, è vastissimo ed articolato. Crediamo che si possa riassumere in queste poche, profetiche parole circa le radici del federalismo: «…la sua vittoria è la vittoria del “contratto” sul “patto politico”, nell’Europa statalista. […] Con il consenso della gente si può fare di tutto: cambiare il governo, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese, formarne uno nuovo».

Concludendo, affinché il Contratto politico o di Federazione sia vantaggioso ed utile per tutti, occorre che il cittadino, entrando nella associazione tra sé e lo Stato:

abbia tanto da ricevere dallo Stato, quanto ad esso sacrifica;
conservi tutta la propria libertà, sovranità e iniziativa, meno ciò che è la parte relativa all’oggetto speciale e limitato per il quale il contratto è stipulato e per la quale si chiede la garanzia allo Stato;
3. che la quantità di “sovranità” che gli aventi diritto al voto cedono ai loro “rappresentanti” sia sempre inferiore a quella che riservano per sé.
Così regolato ed inteso, il “contratto politico” è una federazione. La grande battaglia politica (che potrebbe decidere le sorti della nostra specie) si svolgerà tra due diverse concezioni della forma di Stato e di governo:

Lo Stato moderno, unitario, indivisibile ed accentrato, in cui “sovrano” è lo Stato;
Lo Stato federale o contrattuale in cui “sovrano” è il Cittadino, la persona.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » dom mar 23, 2014 8:42 am

Plebiscito digitale Veneto: 2 milioni e 360 mila votanti, il sì all’89%

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eviso1.jpg

http://www.lindipendenza.com/plebiscito ... riempiendo

Il referendum on line per l’indipendenza del Veneto dall’Italia ha conteggiato 2 milioni 360mila 235 voti, pari al 73% del corpo elettorale regionale. I sì sono stati 2 milioni 102mila 969, pari all’89%, i no 257.276 (10,9%). Sono i numeri della consultazione comunicati poco fa in piazza dei Signori a Treviso dai promotori del referendum, il movimento venetista ‘Plebiscito.eu’. Piazza dei Signori è gremita da migliaia di persone.

I Serenissimi ci avevano provato assaltando Piazza San Marco con il tanko. Ora i venetisti di Plebiscito.eu ritentano con il web e un click di mouse per il Veneto indipendente dall’Italia, restaurando in sostanza la Repubblica dei Dogi strappata illegalmente da Napoleone. Ci credono sul serio alla separazione di Venezia da Roma gli indipendentisti guidati da Gianluca Busato, un ex leghista che ha attraversato negli anni tutti i movimenti venetisti, che questa sera ha proclamato dal palco di Piazza dei Signori «la nascita della Repubblica veneta», dichiarando nello stesso tempo «decaduta la sovranità italiana sul popolo e sul territorio veneto». «È la primavera veneta» ha affermato un Busato, sostenendo che quella per l’autodeterminazione del popolo veneto «è una battaglia di civiltà». Numeri accolti con urla di giubilo e cori di ‘libertà, libertà!’ in Piazza dei Signori, dove si sono radunate diverse centinaia di persone con bandiere di San Marco, tanto entusiasmo secessionista e qualche ‘reducè, come il fondatore della prima Liga Veneta, Franco Rocchetta. Dal palco interventi in dialetto veneto (ebete lengoa veneta) :P , nessuna presenza di politici di spicco (e coali sariseli? :lol: el poledego pì de spico ca ghè lè el popolo soran :lol: ).

C’era anche un ex del commando dei Serenissimi che nel 1997 assaltarono il campanile di San Marco questa sera a Treviso, per la lettura dei dati del referendum online che – secondo i promotori di Plebiscito.eu – ha sancito il sì alla voglia di indipendenza del Venetocon oltre 2 milioni 102mila voti favorevoli. Il simpatizzante dei venetisti si è limitato a farsi avanti sul palco, pronunciando solo il proprio nome, Andrea, ovvero Andrea Viviani, un veronese che fu tra i più giovani componenti del gruppo indipendentista. È stato infine il leader di Plebiscito.eu, Gianluca Busato, a chiudere l’appuntamento con la lettura della lunga dichiarazione d’indipendenza del popolo veneto «in italiano – ha detto – perchè l’occupante la possa capire». Busato ha così proclamato la nascita della ‘repubblica venetà, decretando come ‘decaduta la sovranità italiana sul popolo e sul territorio veneto, con le relative magistrature politiche«. Questo, in buona sostanza, perchè il risultato del referendum online si pone in contrasto »con l’ultimo plebiscito vincolante del popolo veneto del 1866«.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... veneto.jpg


Se li fa on partido e li se candida a coalkesipia elesion mi no li voto de seguro.
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » mer apr 09, 2014 7:05 am

Mi veneto a stago co me fradei veneti, sensa se e sensa ma

viewforum.php?f=153

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Re: Veneti

Messaggioda Berto » mer apr 16, 2014 11:51 am

Intimidazioni contro l’indipendentismo veneto e Zaia. E arriva il 25 aprile

http://www.lindipendenza.com/intimidazi ... -25-aprile

di MARIETTO CERNEAZ

C’è aria di intimidazione in Veneto. Dell’inchiesta della procura di Brescia per “Terrorismo” ecc. ecc abbiamo già detto e continuiamo a pensare che vedere in galera persone per “idee ed intenzioni mai messe in atto” è allucinante.

Ma lo Stato italiano, che del criminale ha ogni parvenza, usi anche altri metodi.
Qualche giorno fa, la Digos ha voluto sapere con precisione chi fossero i relatori di un convegno dedicato ai temi dell’indipendenza, il motivo del convegno, se fosse aperto al pubblico a meno, e tanti altri particolari. Cosa mai accaduta per nessun convegno dell’Api. Il convegno – riservato ai soci Api – “prevede la partecipazione del professor Marco Luigi Bassani, dell’Università di Milano, del dottor Gian Angelo Bellati, direttore di Unioncamere Veneto, dell’ing. Contri, del Centro federalisti europei, e dell’avvocato Alessio Morosin, padre fondatore del movimento Indipendenza Veneta, ed estensore delle proposte di legge sul referendum di autodeterminazione approvate in Consiglio regionale”.

Oggi, sul Corriere di Verona, si legge questo titolo: “Indipendenza, se passa il referendum Zaia rischia il penale e la candidatura”. Una minaccia vera e propria, un’intimidazione a tutto tondo. Chi lo dice? Luca Antonini, costituzionalista, un “esperto” di federalismo che sta a capo della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale. Rispondendo al giornalista,
Antonini afferma:
“Se il consiglio regionale approverà la legge istitutiva del referendum verrà sciolto con decreto del Presidente della Repubblica la mattina dopo, in base all’articolo 126 della Costituzione. E non escludo risvolti penali per il presidente della Regione”.

Il fermento indipendentista veneto sta toccando i nervi scoperti della Repubblica. Il prossimo 25 aprile, giorno in cui si festeggia San Marco, i venetisti hanno espresso il desiderio di invadere pacificamente Venezia. Ma dalle parti del Ministero degli Interni sono già arrivati i primi segnali poco edificanti. In Veneto usano spesso dire che ”Il segreto della felicità è la liberta e quello della libertà solo il frutto del valore”. Che accadrà il 25 aprile?


http://www.jus.unitn.it/cardozo/obiter_ ... art126.htm

Articolo 126

Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.
Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione.
L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Preisdente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonchè la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso compotano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso, i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.Il Consiglio regionale può essere sciolto, quando compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o non corrisponda all'invito del Governo di sostituire la Giunta o il Presidente, che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni.
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » mer apr 16, 2014 11:53 am

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Re: Veneti

Messaggioda Berto » mar set 02, 2014 7:17 am

Parla il capo dei Serenissimi: "L'indipendenza non ce la darà né Roma né l'Europa"

https://www.youtube.com/watch?v=N3jfKrYfuiU#t=122

???

Manco mal ke anca Jijo Faça lè contro el votar a le rexonali, parké a se lexitemaria el sistema ocupante talian.
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Re: Veneti

Messaggioda Berto » mer nov 12, 2014 8:02 pm

Diamanti: 53% veneti è indipendentista

http://vvox.it/2014/11/11/diamanti-53-v ... endentista

Ieri, in Catalogna, si è svolta la consultazione sull’indipendenza dalla Spagna, dichiarata illegale dal governo centrale e dalla Corte Costituzionale.
Ma le autorità catalane hanno proceduto egualmente e la partecipazione è stata massiccia.

Come il consenso ottenuto dalla rivendicazione catalana. Anche 2 mesi fa, in Scozia, comunque, il 45% dei cittadini aveva votato contro l’unione con Londra.
Il vento indipendentista, dunque, soffia forte in Europa. Soprattutto dove esistono divisioni territoriali – economiche e culturali – profonde e radicate.

Neppure in Italia la questione dell’indipendenza regionale è nuova. La Lega ne ha fatto una bandiera, fin dalle origini. Ha minacciato la secessione, negli anni Novanta. Senza grande successo, alla prova dei fatti. Quando, nel settembre 1996, organizzò una marcia sul Po, per dichiarare – appunto – l’indipendenza della nazione Padana. Con un seguito molto scarso, però. D’altronde, la Padania era – e resta – un’entità immaginaria.

Ma l’indipendenza è un obiettivo perseguito anche da altri gruppi e movimenti, soprattutto in Veneto. Con azioni dimostrative, come l’assalto al campanile di San Marco, da parte dei Serenissimi, nel 1997. O, nello scorso mese di marzo, attraverso un referendum autogestito. Azioni localizzate, ad opera di soggetti localizzati. Nel Nord, ma soprattutto in Veneto, appunto. Eppure, come abbiamo già suggerito altre volte, conviene non sottovalutare questi eventi. Né considerarli segni di un malessere territoriale espresso dai “soliti veneti”. Che strepitano tanto ma, all’atto pratico, combinano poco. La sindrome indipendentista, in effetti, non è così limitata né delimitata.

Appare, invece, diffusa, se oltre il 30% del campione nazionale (rappresentativo della popolazione) intervistato da Demos, nelle scorse settimane si dice d’accordo con l’indipendenza della propria regione dall’Italia. Quasi uno su tre, dunque. Distribuito diversamente, anzitutto su base territoriale. Il sentimento indipendentista, com’era prevedibile, è concentrato, anzitutto, nel Nord. In particolare nel Nordest, dove è condiviso da oltre metà della popolazione. Soprattutto in Veneto, dove supera il 53%. Un dato praticamente identico a quello rilevato in un sondaggio dello scorso marzo. Il campione, nelle altre due regioni di quest’area, è, invece, troppo limitato per suggerire stime (ma in Friuli Venezia Giulia l’adesione al referendum andrebbe oltre il 60%). Ma l’indice di indipendentismo risulta superiore alla media anche in Piemonte e in Lombardia (dove scavalca il 35% della popolazione). La “questione settentrionale”, dunque, non sembra essersi assorbita, nel corso degli anni. Semmai, si è “regionalizzata” maggiormente. Ma continua a generare distacco dall’identità nazionale.

Il sentimento indipendentista risulta, però, molto esteso anche nelle due grandi isole, Sardegna e Sicilia, dotate di Statuto autonomo. In entrambi i casi, circa il 45% della popolazione (intervistata) afferma di ambire all’indipendenza. Nonostante la “dipendenza” dai trasferimenti dello Stato centrale.

Più sorprendente, invece, risulta l’ampiezza (superiore alla media) degli indipendentisti nel Lazio (35%). Ma in questo caso, probabilmente, conta l’influenza di “Roma capitale”. La tendenza (e la tentazione), cioè, di sovrapporre le due entità e identità. Roma all’Italia. E viceversa. In questo caso, cioè, si tratterebbe di vocazione all’auto-dipendenza.

Lo spirito indipendentista, invece, presenta valori limitati nel Mezzogiorno (ad eccezione delle Isole) e nelle regioni “rosse” dell’Italia centrale. E ciò suggerisce alcune importanti ragioni – ulteriori rispetto alla storia e ai fattori geopolitici. Ragioni socio-economiche, connesse al reddito e all’attività professionale, anzitutto. L’aspirazione indipendentista, infatti, raggiunge la massima diffusione fra gli operai, i lavoratori indipendenti (imprenditori e autonomi) e, inoltre, fra i disoccupati. In altri termini, tra le figure professionali maggiormente coinvolte nel mercato del lavoro. Su versanti opposti.

Gli imprenditori, i lavoratori indipendenti del Nord e del Nordest, soffrono per i vincoli – fiscali e burocratici – imposti dallo Stato, in profondo contrasto con l’instabilità dei mercati globali – e senza regole – in cui sono proiettati. Mentre i lavoratori “dipendenti” ed “esclusi”, i disoccupati, soffrono per la debolezza delle tutele pubbliche. E per le conseguenze sul mercato del lavoro di un’economia – e di una finanza – senza confini. Le stesse ragioni che hanno accelerato i flussi demografici e migratori. Che inquietano, più degli altri, gli strati sociali periferici. Gli ultimi e i penultimi della società. Così si comprende – e appare conseguente – anche il profilo politico dell’indipendentismo. Largamente maggioritario fra gli elettori della Lega (oltre tre su quattro). Ma fortemente marcato anche nella base di Forza Italia (45%). Il “forza-leghismo” (secondo la “definitiva definizione” di Edmondo Berselli), dunque, riassume l’indipendentismo dei “forti” e dei “deboli”. Del Nord e del Sud. Uno spirito diverso e diversificato. Unificato da un comune senso di distacco dallo Stato. Da un comune spaesamento rispetto al mondo che incombe come una minaccia – alla condizione di vita e alla comprensione di ciò che avviene intorno.

In altri termini, lo spirito indipendentista che alita nel Paese, più che l’avanzata del regionalismo, riflette il crescente distacco dallo Stato. Non compensato da altre e diverse appartenenze, da altri e diversi ambiti di governo. Inter- nazionali, come la Ue. Ma neppure territoriali, come le stesse Regioni. Patrie alternative: stanno perdendo consenso, fra i cittadini. Così, c’è il rischio, per gli italiani, di ritrovarsi, alla fine, davvero indipendenti. Da tutti. Cioè: soli. ???

Ilvo Diamanti - “Separatisti d’Italia, uno su tre favorevole all’addio a Roma”
La Repubblica - 10 novembre 2014
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