Indipendentisti velleitari: è necessario uscire dal gusciohttp://www.lindipendenza.com/indipenden ... tin-marchidi ENZO TRENTIN
Caro Gianluca Marchi, chiarissimo direttore, questa volta non scriverò un articolo per il nostro giornale. Stilerò una lettera aperta, della quale mi assumo l’intera responsabilità, con la finalità di stimolare il dibattito, magari aspro, ma rispettoso e chiarificatore. E lo farò schematicamente per punti, senza un preciso ordine d’importanza o priorità. Tu, da qualche parte di questo giornale hai scritto: «il dibattito tra gli indipendentisti è a zero». Hai perfettamente ragione! Io dico:
1 – TUTTI I PARTITI POLITICI SONO IMPRESENTABILI. Personalmente condivido quanto ha scritto oltre cent’anni fa Moshei Ostrogorski; in quella parte nella quale lo studioso russo condensava nello slogan «viva la lega, abbasso il partito», la propria opposizione a forme rigide e permanenti, a programmi-omnibus e, in fondo, a considerare il partito in quanto istituzione necessaria all’esplicarsi dello scontro politico. Per “lega” egli intende un organismo in sostituzione della forma-partito tradizionale, auspicando la nascita di «organizzazioni single issue», in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.
Giusto una settantina d’anni fa Simone Weil ribadiva (ed anche qui io condivido) nel “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti.»
Oggi molti “riscoprono” Gianfranco Miglio. Forse dimenticano ciò che ha scritto a pag. 60 del suo libro: «Io, Bossi e la Lega»: «I miei rapporti con Bossi (e con la Lega) finirono durante una breve telefonata notturna in cui, rispondendo alla chiamata del Segretario, gli contestai l’abbandono di fatto del progetto federalista sul quale, quattro anni prima, si era basata la nostra collaborazione. E, abbassando il ricevitore mentre Bossi continuava a sbraitare, provai una deliziosa sensazione di libertà: come quando ero uscito dalla Democrazia cristiana nel 1959.»
I candidati di tutti i partiti politici promettono la luna e una volta eletti si rimangiano le promesse, dunque le loro parole e i loro programmi contano poco. Si è talmente abituati a questo schema che il primo successo di Silvio Berlusconi si spiegò proprio così. La gente pensò: “Molti sanno solo parlare, costui ha creato un impero economico, chissà che non vada oltre le parole”. Abbiamo visto com’è andata a finire. Sigh!
Una riprova del clima asfissiante dei partiti? Nonostante l’impegno del sindaco Paolo Badano, un uomo onesto e sinceramente democratico, il Consiglio comunale di Sassello ha rinviato sine die la approvazione finale dello Statuto, già approvato a gennaio (salvo ‘rifiniture’).
Tutto questo nonostante il Sindaco Badano abbia sostenuto fino in fondo quanto adottato nel testo che anche questo quotidiano ha suo tempo pubblicato. Eppure quello Statuto fu sottoposto all’approvazione del Consiglio Comunale di Sassello, che espresse un voto favorevole all’unanimità. Ora, quei Consiglieri comunali subornati dai propri partiti si sono rimangiati la delibera.
Alcuni cittadini andranno in piazza a distribuire il volantino qui allegato, e si pensa ad azioni di sostegno al Sindaco: forse addirittura un convegno sul tema della sovranità popolare.
2 – I PROGRAMMI. Non c’è settimana, o quasi, che tramite la posta elettronica mi sia recapitato questo o quel documento dal titolo che suona più o meno: “Il… che vorremmo”. I puntini di sospensione li ho messi apposta e per discrezione, ma essi si riferiscono a questo o quel territorio che rivendica l’indipendenza.
Sono tutti programmi immaginifici, magnifici ed anche parzialmente condivisibili. Tuttavia peccano tutti dell’istinto del tamburo maggiore. Ci ho scritto un articolo recentemente . Non ritengo di doverci tornar sopra tale istinto.
Alcuni adesso sono presi dalla frenesia di adottare il percorso dello Scottish National Party. Nessuno sembra aver compreso che la strategia adottata da questo soggetto politico è quella del marketing. Ovvero, non producono nessuna proposta prima d’aver interpellato circa 400 associazioni della più disparata natura. Solo sulla base dei dati raccolti realizzano poi i loro programmi. Quando mai i partiti o movimenti o altri soggetti politici italiani e indipendentisti della penisola hanno fatto ciò? Mai nessuno che io sappia!
3 – LA PROPOSTA. Sia io che te, caro Marchi, conosciamo personalmente almeno due o tre autorevoli costituzionalisti. Perché non chiedere loro una bozza di Costituzione d’impronta federale? Nell’ambiente indipendentista tutti parlano di federalismo, ma quando si tratta di materializzare una proposta tutti latitano. E la questione è comprensibilissima: come per ogni branca dello scibile umano esiste una cultura elementare, una media, ed una superiore. Se dei cattedratici ci mettono a disposizione una bozza, non sarebbe più facile coalizzare l’arcipelago indipendentista? E tale arcipelago non potrebbe fare il giro delle cosiddette sette chiese per spiegare in lungo e in largo cosa la nuova organizzazione istituzionale potrebbe prevedere? E sulla base dei riscontri, proporre implementazioni, modifiche o rettifiche che poi i costituzionalisti armonizzerebbero?
Analogo discorso vale per qualche giurista. Perché non verificare la disponibilità di alcuni a realizzare delle bozze di un nuovo Codice civile e penale? È mia personale opinione che non serva l’intera modifica dei testi attuali. Alcune cose possono rimanere. Sicuramente solo alcuni articoli di detti Codici vanno riscritti. Qualche decina, un centinaio? Sicuramente non migliaia!
Costituzionalisti e giuristi “amici” dovrebbero però conservare, per il momento, il più assoluto anonimato e riserbo. Questo per evitare che l’attenzione e la critica si disperdano sui redattori, anziché concentrarsi sui documenti. Come non ricordare, a questo proposito, il fallimento della Commissione Nordio (2004 –
http://www.ristretti.it/areestudio/giur ... /index.htm) per un nuovo Codice penale? Non appena si seppe che il giudice veneziano Carlo Nordio (accreditato in quota centrodestra) era stato incaricato di questa bisogna, l’opposizione si scatenò per delegittimarlo, e comunque non consentendo l’ottenimento di un qualche risultato. Ergo, il Belpaese adotta ancora il cosiddetto Codice Rocco: uno strumento che abbiamo ereditato dal periodo fascista.
Costituzionalisti e giuristi “amici” potrebbero essere convinti (il che non dovrebbe essere difficile) sulla base del loro spirito civico. A indipendenza ottenuta si saprà bene valorizzare chi è stato uno o più padri della patria.
4 – I SOGGETTI DA EMARGINARE. Nel corso degli ultimi due o tre lustri, l’ambiente autonomista ed indipendentista ha visto emergere soggetti politici che hanno deambulato di qua e di là. Ovunque sono andati hanno creato conflitti, attriti, disagio. Sicuramente il narcisismo ha guidato molti di costoro. È vero che la vita è una jungla; non per questo dobbiamo aggirarci come tante bestie feroci.
Altri si sono distinti per una politica fatta di colpi di scena. Posso capire la necessità di trovare visibilità per le proprie iniziative; tuttavia la politica non si può trasformare in una sorta di televendita stile Wanna Marchi.
5 – CHE FARE? Possiamo rimanere tra le pagine di questo nostro giornale. Sicuramente accresceremo via via i lettori. Ma i tempi stringono. E i lettori hanno bisogno di sollecitazioni anche per sostenere questa impresa editoriale. La gran parte dell’opinione pubblica non è ancora ricettiva ai nostri argomenti. La propaganda di regime imperversa con un telegiornale o radiogiornale praticamente ogni 15 minuti. Gli “esperti di regime” traboccano e travalicano. Se il giornalismo della carta stampata è in forte regresso e crisi, Internet abbonda di testate on line e di blog.
È necessario uscire “dal guscio”. Se Beppe Grillo ha la capacità – per noi impossibile – di riempire le piazze; noi, come giornale, dovremmo trovare il modo di materializzare tutte quelle forme di approccio al pubblico di cui le campagne elettorali statunitensi sono maestre: cene di autofinanziamento con corredo di autorevoli relatori; convegni e meeting della più varia natura, e chi più ne ha più ne metta.
Concludo con un’esortazione: la giovinezza non è un periodo della vita. Essa è uno stato dello spirito, un effetto della libertà, una qualità dell’immaginazione, un’intensità emotiva, una vittoria del coraggio sulla timidezza, del gusto dell’avventura sull’amore del conforto.
Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni; si diventa vecchi perché si è abbandonato il nostro ideale. Gli anni aggrinziscono la pelle, la rinuncia al nostro ideale aggrinzisce l’anima. Le preoccupazioni, le incertezze, i timori, i dispiaceri sono i nemici che lentamente ci fanno piegare verso terra e diventare polvere prima della morte.
Giovane è colui che si stupisce e si meraviglia, che si domanda come un ragazzo insaziabile: “E dopo?“, che sfida gli avvenimenti e trova la gioia al gioco della vita.
Voi [cari lettori. Ndr] siate così giovani come la vostra fiducia per voi stessi, così vecchi come il vostro scoramento. Voi resterete giovani fino a quando resterete ricettivi. Ricettivi di ciò che è bello, buono e grande, ricettivi ai messaggi della natura, dell’uomo e dell’infinito. E se un giorno il vostro cuore dovesse esser mosso dal pessimismo e corroso dal cinismo, possa Dio avere pietà della vostra anima di vecchi.
Avrai capito, caro direttore, che quest’esortazione non è farina del mio sacco. È il discorso che fece il Generale Mac Arthur ai Cadetti di West Point nel 1945. Credo che possa valere anche per tutti noi giornalisti e lettori de «L’Indipendenza».
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Indipendentisti, meglio cento giorni da Leone che uno da pecorahttp://www.lindipendenza.com/indipenden ... -da-pecoradi ENZO TRENTIN
Ognuno dei governi successivi all’ultimo cinquantennio ha, più o meno, distrutto con ritmo sempre più rapido la vita locale e regionale; ed essa, alla fine, è scomparsa. L’Italia è come quei malati che hanno già fredde le membra e in cui ormai solo il cuore palpita ancora.
Non c’è un fremito di vita in nessuna parte del corpo nazionale, tranne che a Roma; fin dai sobborghi che la circondano la città comincia a puzzare di morte morale. Se lo Stato ha ucciso moralmente tutto quel che, dal punto di vista territoriale, era più piccolo di lui, ha anche trasformato le frontiere territoriali nelle mura di un carcere, per imprigionarvi i pensieri.
Se guardiamo la storia un po’ più da vicino, al di fuori dei manuali, rimaniamo sbalorditi scoprendo di quanto altre epoche, quasi prive di mezzi materiali di comunicazione, fossero superiori alla nostra per ricchezza, varietà, fecondità e intensità di vita nella circolazione intellettuale, attraverso territori vastissimi.
Per esempio nel Medioevo, nell’antichità preromana, nel periodo immediatamente anteriore ai tempi storici. Ai giorni nostri con la radio, la televisione, l’aviazione, l'astronautica, lo sviluppo di mezzi di trasporto d’ogni genere, la stampa, i giornali, internet, il fenomeno delle moderne nazionalità chiude in piccoli compartimenti stagni persino la scienza che è così naturalmente universale.
I ribelli che si agitano intorno a questo giornale quotidiano, siano essi collaboratori o lettori, sono forti sempre la metà di quanto lo siano i difensori del potere ufficiale (
mi diria tanto manco de la metà!). Anche quando si pensa di sostenere una buona causa. Come scrisse Ètienne De La Boètie, intorno al 1550: «
Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha la forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli fornite? Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi.»
Ma in Italia viviamo in una particolare atmosfera. Per questo ci piace ricordare le parole che una volta si scambiarono uno dei favoriti di Serse I (519 a.C. – 465 a.C.), il gran re persiano, e due Spartani. Quando Serse preparava il suo enorme esercito per conquistare la Grecia, mandò degli ambasciatori alle città greche per chiedere acqua e terra: era questo il modo con cui i Persiani intimavano la resa alle città nemiche. Si guardò bene dal mandarli ad Atene e a Sparta, dato che gli Ateniesi e gli Spartani avevano a suo tempo gettato rispettivamente nei fossati e nei pozzi gli ambasciatori inviati per lo stesso motivo da Dario, suo padre, dicendo loro di prendere laggiù l’acqua e la terra da portare al loro principe: infatti non potevano sopportare che si attentasse neanche solo a parole alla loro libertà. E tuttavia, per aver agito così, gli Spartani riconobbero di aver offeso gli dei, e soprattutto Taltibio, dio degli araldi. Decisero allora, per calmarli, d’inviare a Serse due cittadini, affinché, disponendone a suo piacimento, potesse vendicarsi sulle loro persone dell’assassinio degli ambasciatori di suo padre. Due Spartani, di nome Sperto e Buli, si offrirono come vittime volontarie. Partirono e cammin facendo arrivarono al palazzo d’un Persiano chiamato Idarno, luogotenente del re per tutte le città della costa asiatica. Costui li accolse con tutti gli onori, e dopo aver parlato d’altro chiese loro perché rifiutassero tanto orgogliosamente l’amicizia del gran re. E aggiunse: «O Spartani, prendete il mio caso ad esempio, e vedete come il re sa ricompensare coloro che lo meritano, e pensate che se voi foste dei suoi sareste trattati altrettanto bene. Se voi foste al suo servizio ed egli vi conoscesse, farebbe di ciascuno di voi il governatore di una città greca». «Quanto a questo, o Idarno – risposero gli Spartani – tu non sei in grado di darci un consiglio valido. Infatti tu hai provato il bene che ci prometti, ma quello che noi godiamo non sai cosa sia; tu hai fatto esperienza dei favori del re, ma della libertà non sai nulla, non ne conosci il gusto e la dolcezza. Orbene, se tu l’avessi assaporata, tu stesso ci consiglieresti di difenderla, non già con la lancia e lo scudo, ma con i denti e le unghie». Solo lo Spartano diceva il vero; ma senza dubbio ciascuno parlava secondo l’educazione ricevuta. Infatti sarebbe stato impossibile che il Persiano rimpiangesse la libertà che non aveva mai avuto e che gli Spartani sopportassero la servitù dopo aver assaporato le dolcezze della libertà.
Allo stesso modo chi oggi prospetta l’indipendenza dall’Italia, e non abbia un progetto chiaro, dettagliato e convincente, difficilmente potrà scalzare dalla mente e dal cuore degli italiani l’idea che la democrazia in Italia possa diventare reale, e che lo Stato possa riformarsi in senso favorevole al cittadino, anziché alla partitocrazia. Infatti, possiamo osservare che ogni volta la protesta (Forconi, Presidi 9/12 fermiamo l’Italia, solo per citare gli ultimi) ha assunto un più evidente carattere di sradicamento e un più basso livello di spiritualità e di pensiero. Si può anche osservare che questi spiriti liberi, da quando sono stati attivati, hanno dato un contributo piuttosto ridotto alla cultura e alla causa indipendentista.
Bene fanno i Veneti ad insistere sulla loro cultura, sulle loro tradizioni, sul loro particulare. Solo i collaborazionisti tipo Idarno sono soddisfatti dell’attuale stato di cose in Italia. Infatti se guardiamo altrove ed al passato, per esempio, la contea di Borgogna era sede di una cultura originale e splendida che non sopravvisse alla conquista. Alla fine del XIV secolo le città delle Fiandre avevano relazioni fraterne e clandestine con Parigi e con Rouen; ma c’erano dei fiamminghi feriti in battaglia che preferivano morire piuttosto che essere curati dai soldati di Carlo VI. Quei soldati compirono una scorreria nel territorio olandese, e ne tornarono portando prigionieri alcuni ricchi cittadini. Avevano deciso di ucciderli; ma un moto di pietà li spinse a offrir loro la vita a condizione che diventassero sudditi del re di Francia; quelli risposero che, una volta morti, persino le loro ossa si sarebbero rifiutate, se avessero potuto, di essere sottomesse all’autorità del re di Francia. Uno storico catalano della stessa epoca, raccontando la storia dei vespri siciliani, dice: «I francesi, che, ovunque dominano, sono crudeli quant’è possibile esserlo…». Meglio vivere cent’anni da leone che un giorno da pecora.
I bretoni si disperarono quando la loro sovrana Anna fu costretta a sposare il re di Francia. Se quegli uomini ritornassero oggi, o piuttosto qualche anno fa, avrebbero forse molte ragioni di credere d’essersi sbagliati? Per quanto sia screditato l’autonomismo bretone, per coloro che lo manovrano, e per i fini inconfessabili che essi perseguono, è certo che quella propaganda risponde a qualcosa di reale tanto nei fatti quanto nei sentimenti di quelle popolazioni.
Ci sono, in quel popolo, tesori latenti che non hanno potuto manifestarsi. La cultura francese non conviene a quel popolo; la sua non può portar frutto; da allora esso è costretto ai bassifondi delle categorie sociali inferiori. I bretoni dei secoli passati fornirono gran parte dei soldati analfabeti; le bretoni, si dice, gran parte delle prostitute di Parigi. L’autonomia non sarebbe un rimedio, ma ciò non significa che la malattia non esista. Meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.
Pasquale Paoli, l’ultimo eroe corso, spese la sua vita per impedire al suo paese di cadere nelle mani della Francia. C’è un monumento in suo onore in una chiesa di Firenze; in Francia nessuno lo ricorda. La Corsica è un esempio del pericolo di contagio implicito nello sradicamento. Dopo aver conquistato, colonizzato, corrotto e contagiato gli abitanti di quell’isola, i francesi li hanno subiti come questori, poliziotti, marescialli, sorveglianti e in altre funzioni del genere grazie alle quali essi trattavano a loro volta i francesi come una popolazione più o meno conquistata. Essi hanno anche contribuito a dare alla Francia, presso molti indigeni delle colonie, una reputazione di brutalità e crudeltà.
E Napoleon nol jera corso?
Guardando ai Corsi è difficile che il nostro pensiero non vada ad un parallelismo con la “lotta al brigantaggio” immediatamente successiva all’unità d’Italia, ed all’odierna «occupazione» di quasi tutti gli uffici pubblici del nord da parte di funzionari meridionali portatori di una cultura che con il settentrione ha poco a che spartire. Quando si elogiano l’unità d’Italia e l’italianità, bisogna dire soprattutto che esse hanno, e largamente, sradicato le culture autoctone.
È un procedimento di facile assimilazione, alla portata di chiunque. Ai popoli cui si toglie la propria cultura, o rimangono senza cultura o ricevono qualche briciola della cultura che ci si degna di voler loro trasmettere, poco rimane. In ambedue i casi quei popoli sembrano essere del medesimo colore, e paiono assimilati.
Meraviglioso è invece assimilare popoli che conservino viva, benché modificata, la loro cultura. È un miracolo che di rado si realizza. Solo il neofederalismo di G.F. Miglio lo può fare (??? Padania NO GRASIE!!!).
Come giustamente ed autorevolmente è stato scritto in questo quotidiano: «…ad ogni indipendenza debba precedere una fase “costituente”, o piuttosto “ricostituente”, che dia vita però a costituzioni molto mondane, flessibili, leggere…». Si è proseguito con: «Per il Veneto […] possibile, attendo se non 700 pagine, almeno 200 di programma buono e concreto.». Tutto ciò è stato compreso ed approvato da più lettori. Al Veneto manca appunto l’equivalente del «Libro Bianco» dello SNP di Alex Salmon per la sua “Scozia possibile”. A rafforzare quest’idea vorremmo ora aggiungere che voler condurre creature umane, si tratti di altri o di se stessi, verso il bene indicando soltanto la direzione, senza essersi assicurati della presenza dei moventi necessari, equivale a voler mettere in moto un’automobile senza benzina, premendo sull’acceleratore. O è come se si volesse accendere una lampada a olio senza aver messo l’olio. Quest’errore è stato denunciato in un testo abbastanza celebre e abbastanza letto e riletto e citato da venti secoli. Eppure si continua a commetterlo.
A questo punto le possibili soluzioni sarebbero che alcune forze politiche stendessero per loro conto il loro “progetto istituzionale”; ma questo ci sembra abbastanza improbabile. I partiti indipendentisti veneti sono ridotti al lumicino di poche manciate (ed esageriamo) di “aficionados”.
Di conseguenza anche laddove essi riuscissero a produrre un tale documento, esso sarebbe più il parto del loro leader, piuttosto che un documento elaborato collegialmente, discusso e condiviso. Tìmeo Dànaos et dona ferentis. [Temo i Danai anche quando portano doni]. Come si ricorderà sono le parole pronunciate da Laocoonte ai Troiani per convincerli a non fare entrare il famoso cavallo di Troia nella città. Anche se apparissero più progetti, elaborati da più soggetti partitici, tutti demandati alla all’approvazione della cosiddetta sovranità popolare; probabilmente non faremmo un buon servizio alle nostre comunità. Tìmeo Dànaos et dona ferentis.
L’immediata soluzione pratica è l’abolizione dei partiti politici, ivi compresi quelli sedicenti indipendentisti.
La lotta dei partiti e nei partiti, quale quella esistente in questo paese, è intollerabile; il partito unico, che d’altronde ne è l’inevitabile conclusione, è l’estremo grado del male già sperimentato col fascismo; non resta altra possibilità che quella di una vita pubblica senza partiti. Oggi una simile idea suona nuova e audace. Tanto meglio, visto che il nuovo è necessario. Come acutamente osservò Simone Weil, in verità, questa sarebbe semplicemente la tradizione del 1789. Agli occhi degli uomini del 1789, non ci sarebbero state neppure altre possibilità; una vita pubblica quale la nostra nel corso dell’ultimo mezzo secolo sarebbe parsa loro un orrido incubo; non avrebbero mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito.
Rousseau d’altronde aveva chiaramente dimostrato che la lotta dei partiti uccide automaticamente la repubblica. Ne aveva predetto gli effetti. Sarebbe opportuno, di questi tempi, incoraggiare la lettura del «Contratto sociale». Infatti oggi, dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Tutti sanno che i partiti inglesi hanno tradizioni, mentalità e funzioni inconfrontabili con quelle di altri paesi. Tutti sanno altresì che i raggruppamenti in lizza negli Stati Uniti non sono partiti politici. una democrazia dove la vita pubblica si riduca alla lotta fra i partiti politici non è in grado di impedire l’avvento di un partito capace di distruggerla. Se emana leggi eccezionali, si suicida. Se non lo fa, la sua sicurezza vale quella di un uccellino di fronte a un serpente.
Proviamo, invece, a lavorare per la creazione di una “Tavola Rotonda” con assisi tutti i rappresentanti dei soggetti politici indipendentisti. Cominciamo dal veneto. Si provi ad immaginare che costoro, spinti da autentico spirito civico, lascino le loro beghe, i loro contrasti, i loro meschini litigi per futili motivi, i loro impicci, fuori della porta, e attraverso una discussione pacata ed approfondita licenzino un progetto della sostanza di quanto viene diffuso in Scozia a responsabilità dello SNP. Bisogna farlo subito.
Dopo l’auspicata indipendenza, nello scatenamento irresistibile degli appetiti individuali per la conquista del benessere o del potere, sarà assolutamente impossibile cominciare qualcosa ???. Bisogna farlo immediatamente. E' incredibilmente urgente. Mancare questo momento vorrebbe dire incorrere in una responsabilità che è quasi un delitto. ???
A questo punto si faccia anche un sforzo d’immaginazione:
si prefiguri pure un referendum elettronico autogestito ed informale; ma solo dopo una massiccia, e lunga – quanto basta – campagna informativa presso la popolazione avente diritto. Si aggiunga infine (tanto nel campo delle ipotesi si può fare anche questo) che tale referendum venga vinto. Il giorno dopo non si potrebbe legittimamente dichiarare la secessione? Quali Stati o organismi internazionali “democratici” potrebbero opporsi? Dunque, meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.