Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

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Messaggioda Berto » mar gen 14, 2014 5:48 pm

Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna
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CATALOGNA A TUTTO VAPORE VERSO IL REFERENDUM
http://www.lindipendenza.com/catalogna- ... referendum

di SALVATORE ANTONACI

Tutto pronto per il prossimo 23 gennaio allorquando il neo-eletto Parlamento catalano metterà ai voti (con la quasi certezza dell’approvazione) una solenne dichiarazione di sovranità della nazione con capitale Barcellona. Ormai, infatti, è possibile utilizzare senza timore di iperbole il sempre impegnativo termine di “nazione” per questa entità che ha deciso di abbandonare l’edificio fatiscente dello stato spagnolo.

La road map del processo è stata concordata minuziosamente dai due partners della maggioranza di governo, ovvero i nazionalisti del Presidente Màs e la sinistra repubblicana (ed indipendentista). Non è escluso, anzi è assai probabile che anche altre forze partitiche si aggreghino a dar man forte pur continuando a declinare i propri distinguo. Tornando a bomba, la dichiarazione, redatta dallo stesso Màs coadiuvato dai suoi collaboratori, si baserà su 5 capisaldi. “autodeterminazione, trasparenza del processo sovranista, dialogo(con la controparte spagnola), Europa e legalità della consulta referendaria“. Trapela già dalla prima bozza la volontà di confrontarsi con i vertici dello stato spagnolo, monarchia e governo, nella speranza che costoro non proseguano con i toni intimidatori e liquidatori fin ora messi in campo. Un incontro con il Re Juan Carlos è stato previsto nella settimana successiva alla discussione della mozione; si passerà, in seguito, alla laboriosa trattativa con il governo presieduto da Mariano Rajoy. Non si addivenisse ad un accordo, la corsa verso il referendum non si arresterebbe di certo, ma il clima, facile prevederlo, diverrebbe a dir poco arroventato. Ma il conto alla rovescia, bene ripeterlo, è oramai innescato ed un ripensamento da parte di coloro che lo hanno avviato, Màs in testa, è quantomai improbabile. Più che la brutta figura da evitare bisogna tenere conto delle istanze di una società ormai pronta per il gran passo: una sconfitta elettorale non sarebbe la fine del mondo, ma la damnatio memoriae di un intero popolo evidentemente sì.

Dopo questo primo atto che servirà da degno incipit dell’epopea catalana seguirà di presso ( a febbraio) la nascita del Consiglio catalano per la Transizione Nazionale“, un organo che avrà per compito precipuo quello di preparare in ogni dettaglio la cornice giuridica del referendum prossimo venturo e di allestire le strutture minime per un efficiente autogoverno. Fra di esse spicca, naturalmente, l’Agenzia Tributaria catalana incaricata della riscossione delle tasse locali. Non sarà, tuttavia, una partenza da zero visto che già nella precedente consiliatura un embrione di autorithy fiscale era stata creata con, peraltro, una rete capillare a coprire tutto il territorio.

Quanto alla legge sulla consulta popolare, dovrà essere pronta al più tardi entro il 2013 visto che l’anno successivo sarà quello del gran cimento.

Intanto, Madrid ha tentato, in questi giorni, di rivestire i panni della provvida Befana “regalando” alla Generalitat l’inaugurazione in pompa magna dell’Alta Velocità ferroviaria: un’opera importante, certamente, ma il Presidente catalano ha avuto buon gioco a smascherare lo scoop propagandistico commentando, da par suo, il cronico deficit infrastrutturale della Catalogna,.Deficit che , va da sé, ha un unico, grande responsabile ovvero il catastrofico centralismo ispanico.

Troppo tardi, dunque per tentare il recupero: un altro treno superveloce ha preso il via da tempo. Il suo nome è Indipendenza.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2014 7:10 pm

Catalunya, il governo spagnolo diffonde manuale anti-secessione


http://www.lindipendenza.com/catalunya- ... secessione

di SALVATORE ANTONACI

In vista del referendum di novembre – riconosciuto o meno che sia – è partita la controffensiva diplomatica del Governo spagnolo contro le iniziative per l’indipendenza della Catalogna: il Ministro degli esteri, José Manuel García-Margallo, ha inviato a 118 ambasciate e 90 consolati spagnoli sparsi nel mondo un documento contenente le argomentazioni per neutralizzare il processo separatista catalano.

Nel documento – intitolato “Per la convivenza democratica” e rivelato da El Pais - si evidenzia che l’eventuale separazione dalla Spagna produrrebbe un “sicuro impoverimento” della Catalogna, e si evidenzia come la regione negli ultimi cinque anni abbia accumulato un deficit di 6,9 miliardi di euro.

L’iniziativa di García-Margallo tende a fare il vuoto attorno alla politica separatista, stroncando sul nascere eventuali appoggi al progetto dell’attuale governo catalano. Lo stesso ministro oggi ha messo il evidenza la fragilità del progetto separatista in un incontro con il suo omologo lituano, Linas Linkevicius. In un incontro ufficiale, García-Margallo ha evidenziato le differenze tra il processo catalano e quello che portò all’indipendenza dall’area sovietica le repubbliche baltiche.

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CATALUNYA: COSTRETTO A DIMETTERSI IL SINDACO IN ROTTA CON CiU


http://www.lindipendenza.com/gallifa-fo ... -catalunya

di MARTIN HUERTA

Sabato 30 marzo scorso, è stato costretto alle dimissioni il sindaco di Gallifa dopo un “ricorso per censura” che permette, per la legge spagnola, di cambiare il sindaco se la maggioranza del consiglio non osta. Fino a dicembre scorso, la maggioranza apparteneva a SI (Solidaritat Catalana per la Independència) fino a quando Gil, il terzo consigliere di questa formazione, ha rinunciato. Data la particolare legge elettorale dei piccoli comuni come Gallifa, il suo sostituto non è stato un eletto della sua stessa lista ma il non eletto più votato, che era della lista di CiU (Convergència i Unió), per cui la maggioranza é passata dai vincitori delle elezioni agli sconfitti nelle urne.

I rumors sulla vicenda lasciano pensare che il consigliere rinunciante aveva chiesto, già dall’inizio, di essere particolarmente remunerato per il suo compito piuttosto scarso e che il sindaco Fornas, e il suo compagno Font, non avevano accettato le richieste. Durante gli scarsi due anni di governo il consigliere Gil si é schierato in parecchi casi con i consiglieri di CiU nelle votazioni del Consiglio Comunale. Finalmente, ha rinunciato lasciando l’unico sindaco di SI in minoranza. Fornas ha manifestato che il cambio di sindaco nel comune di Gallifa viene dato dal fatto che i dirigenti centrali di CiU, non tanto i rappresentanti di Gallifa, sono stati i fautori del cambio forzato. Fornas aveva ampiamente compiuto il suo lavoro nel comune ma sono state le sue iniziative di ampio risalto nella politica nazionale catalana, che hanno provocato la sua defenestrazione.



Principalmente hanno dato fastidio, al partito del Governo autonomo (CiU) le sue iniziative rivoluzionarie per quanto riguarda la “sovranità fiscale” (Gallifa é stato il primo comune a metterla in atto) e soprattutto il fatto che il sindaco Jordi Fornas é andato all’assemblea dell’AMI (Associazione di Municipi per l’ Indipendenza) dello scorso 15 febbraio e ha fatto approvare ai 650 comuni componenti dell’associazione, di replicare l’iniziativa della “sovranità fiscale”, dichiarandosi così “territorio di Catalogna libero e sovrano”, il tutto approvato all’unanimità dall’assemblea dell’AMI dopo il discorso che il sindaco independentista a rivolto alle centinaia di presenti.

Questo fatto, la presa di posizione dell’AMI, ha quasi superato l’obbiettivo del Governo e del Parlamento catalano (fare un referendum quando possibile nel 2014): arrivare all’autodeterminazione per la via municipale, una strada di percorso più corta e non dipendente da nessun permesso da parte dello Stato. In un primo momento i dirigenti autonomisti (ora presumibilmente independentisti) hanno adottato una politica di censura, per la quale i mezzi (giornali, radio, TV) hanno nascosto al pubblico il risultato dell’assemblea dell’ AMI di Vilanova i La Geltrú per, poco dopo, togliersi di mezzo lo scomodo sindaco di Gallifa, soprattutto quando questo, pochi giorni fa, parlando alla stampa, ha chiesto ai comuni catalani, minacciati dalla delegata del governo spagnolo per l’affare delle bandiere (cosa che lui aveva superato attaccando al muro una piccola bandierina) di avviare un boicottaggio dei prodotti spagnoli, rispondendo a quello che gli spagnoli fanno da tempo e in difesa dei negozi e dei lavoratori catalani.

Centinaia di indipendentisti si sono radunati a Gallifa per dare appoggio a Fornas, nel momento in cui sono state ufficializzate le sue dimissioni, e hanno criticato il nuovo sindaco, Mateu C. De Sobregrau e i due consiglieri di CiU nel momento in cui hanno lasciato la casa del comune. Il dimissionario Gil, che si era avvicinato per assistere all’evento é stato inseguito da vicini e manifestanti che l’hanno insultato, ricevendo così la protezione della polizia.

Fornas, ha fatto un discorso in piazza e ha manifestato che adesso si incomincerà a verificare chi vuole d’avvero e chi no l’indipendenza della Catalogna, con chiare allusioni al partito che sta al Governo a Barcellona (CiU). Dopo aver cantato insieme ai presenti l’inno nazionale catalano, è stato trattato dagli astanti come un eroe in mezzo ad un mare di bandiere catalane indipendentiste.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2014 7:12 pm

Aznar, il bullo che minaccia il carcere ai referendari catalani

http://www.lindipendenza.com/aznar-il-b ... i-catalani

Di SALVATORE ANTONACI

L’uomo è certamente noto per non lasciarsi sfuggire l’occasione di rilasciare dichiarazioni dai toni forti, soprattutto da quando non è più al timone della giovane e claudicante democrazia spagnola.

Ma ora, José Maria Aznar, già Premier conservatore del paese iberico dal 1996 al 2004, pare aver mollato definitivamente qualsiasi residuo bon ton diplomatico per imbracciare un metaforico kalashnikov contro coloro i quali, a suo dire, minacciano l’integrità nazionale del Reame. Lo ha fatto durante un’intervista alla radio “Onda Cero”, una delle più seguite del paese, nella quale auspica il carcere per chi tenta “di convocare un referendum in maniera illegale”.

Peraltro proprio Aznar si era incaricato, durante la propria permanenza alla Moncloa, di far approvare una legge che puniva con la reclusione fino a cinque anni chiunque intraprendesse simili iniziative. Allora il provvedimento fu una risposta intimidatoria verso il Presidente basco Ibarretxe il cui progetto ultra – autonomista non venne però premiato dalle urne locali. Ora l’intemerata di Aznar è rivolta al catalano Artur Màs ed al suo governo come non mai determinati nel raggiungere la piena realizzazione di quel “diritto a decidere” reclamato anche e soprattutto dai milioni di loro concittadini scesi in piazza nei mesi scorsi a Barcellona ed in altre città della regione orientale.

Di sicuro è l’attacco di più alto profilo sinora rivolto ai massimi dirigenti catalani dall’inizio della crisi. Aznar, difatti, pur negando recisamente di volersi ricandidare alla guida del paese in un prossimo futuro, è sicuramente il personaggio politico più importante all’interno dello schieramento popolare costituendo quasi un contrappeso all’attuale Primo Ministro Mariano Rajoy che in molti giudicano piuttosto debole nel fronteggiare la massa di problemi che angustiano la Spagna.Così, nonostante le smentite, i soliti bene informati assicurano che un clamoroso ritorno sulla scena dell’illustre predecessore sia tutt’altro che impossibile.

Ovviamente le repliche piccate da parte catalana non si sono fatte attendere. Su tutti il portavoce del governo, Francesc Homs che ha chiesto a Rajoy di “sconfessare le parole di Aznar il quale dovrebbe ricordarsi che siamo in democrazia e che minacciare il carcere ai promotori di un referendum popolare ricorda pratiche di altri tempi proprie di altri regimi”.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » gio gen 16, 2014 10:05 am

La Catalogna guarda al modello svizzero

http://www.lindipendenza.com/la-catalog ... o-svizzero

d i SALVATORE ANTONACI

Mentre le schermaglie tra Madrid e la Catalogna ribelle si intensificano vieppiù nei toni, alcuni catalani iniziano a pensare al futuro modello politico ed istituzionale una volta conseguita la tanto attesa emancipazione dallo stato centrale.

Così, nel mezzo del dibattito referendario, la rappresentanza svizzera dell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) ha proposto di prendere ad esempio proprio la Confederazione elvetica, paese che offrirebbe soluzioni adeguate ai problemi di Barcellona, molti dei quali inoculati dai lunghi secoli di predominio castigliano.

Interessante notare come non è solo l’ aspetto politico ed amministrativo dello stato federale alpino ad attirare i referenti locali dell’indipendentismo catalano, ma anche un sistema economico foriero di ottimi successi per quanto riguarda il livello del reddito, la forza dell’export e la dinamicità dell’imprenditoria. Questi ultimi punti accomunano le due realtà; per quel che concerne il reddito, invece, la comparazione è sfavorevole ai catalani alle prese con un apparato statale estremamente inefficiente e con un drenaggio fiscale di notevoli proporzioni.

La sintesi del memorandum stilato dai referenti dell’ANC può essere riassunta in questa frase estrapolata dalla cronaca dei quotidiani: “Il paese dei referendum, dell’esercito discreto ed efficace, dell’efficienza amministrativa, della trasparenza pubblica e della decentralizzazione sarebbe un modello ideale da seguire per il neonato stato libero catalano”. E se l’Europa prendesse, come pare assai probabile, le parti del potere spagnolo? Niente paura.La Svizzera insegna che c’è vita anche al di fuori dell’UE!
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » dom gen 19, 2014 6:45 pm

Moody’s contro la secessione catalana: a rischio la ripresa spagnola

http://www.lindipendenza.com/moodys-con ... a-spagnola

di SALVATORE ANTONACI

L’agenzia Moody’s entra a gamba tesa e mette in guardia sul rischio per la ripresa dell’economia spagnola proveniente una possibile secessione della Catalogna. In un rapporto intitolato “Spagna, un recupero debole”, citato dai media iberici, dedica un capitolo ai “rischi al ribasso”, in cui è citato il pericolo della Catalogna indipendente. “La possibilità che la Catalogna si separi dalla Spagna potrebbe scoraggiare gli investimenti stranieri e l’attività imprenditoriale”, è scritto nel rapporto. “La secessione avrebbe un grande impatto negativo sull’economia spagnola”, secondo Moody’s, che ricorda che la regione “rappresenta il 19% del Prodotto interno lordo totale della Spagna, il maggiore di tutte le comunità autonome ed è un motore chiave per il Paese”.

L’agenzia sottolinea anche gli effetti negativi sulla Catalogna, che “soffrirebbe nel mettere a rischio tutti i suoi legami commerciali e finanziari con l’Unione Europea e la Eurozona”, oltre al fatto di “dover assumere una parte del debito pubblico dello Stato spagnolo”. Nonostante i pericoli, Moody’s prevede un crescendo della tensione secessionista: “La pressione sul governo di Spagna perché accetti un referendum aumenterà se i politici indipendentisti riescono a ottenere una maggiore rappresentanza alle elezioni europee di maggio”, assicura il rapporto. E potra ulteriormente crescere “se la popolazione della Scozia voterà a settembre a favore della separazione dal Regno Unito”.

Rimane un dato inoppugnabile: la Catalogna è la locomotiva spagnola, col suo quasi 20% di Pil. Un po’ come Lombardia e Veneto lo sono per l’Italia.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » mar gen 21, 2014 11:04 pm

La Catalogna indipendente spacca il partito socialista spagnolo

http://www.dirittodivoto.org/dblog/arti ... ticolo=384

di STEFANO CRIPPA

Madrid avete un problema, un grosso problema, la maggioranza sovranista alla Generalitat de Catalunya si è allargata spaccando, di fatto, il partito socialista locale e noi ne siamo felici.

L’indipendentismo e l’autonomismo in Catalunya sono sempre stati dominati, almeno fino agli anni settanta, dai partiti collocati a sinistra: Esquerra Republicana de Catalunya (fondata da Francesc Macià nel 1931) e Partito Socialista Catalano.

Mentre Esquerra si è da subito dimostrato un partito indipendentista senza se e senza ma, il partito socialista catalano che, bisogna dirlo, ha costantemente mantenuto una certa autonomia dal partito socialista spagnolo, fin dalla guerra civile si è sempre posizionato su posizioni moderatamente autonomiste.

All’inizio del 2014, però, qualcosa è cambiato, grazie ai giovani socialisti di Barcellona che, con un manifesto, firmato anche da dieci segretari delle sezioni locali della città, hanno chiesto sia al gruppo parlamentare guidato da Pere Navarro che alla direzione nazionale del partito il voto d’astensione sulla mozione con cui il Parlament de Catalunya ha richiesto allo stato spagnolo il trasferimento delle competenze per convocare il referendum del prossimo 9 novembre. Il manifesto della Gioventù Socialista Catalana ha contestualmente invocato la non espulsione dei deputati che avessero decido di esprimere un voto favorevole.

Il documento, arrivato alla vigilia della votazione, ha dato inizio allo sgretolamento del PSC ed al rafforzamento della maggioranza soberanista nel parlamento locale, inducendo tre deputati (Marina Geli, Núria Ventura e Joan Ignasi Elena) a votare a favore della mozione; l’ala sovranista del partito è uscita allo scoperto il giorno stesso della votazione, con la pubblicazione di un secondo manifesto, intitolato “Appello socialista per il referendum”.

Nel testo si può notare la maturità di quella sinistra, che peraltro, come nel caso di quella lombarda, non ha mai messo in dubbio il mito dell’unità dello stato.

Il punto centrale del manifesto socialista non è tanto la richiesta di far sì che il socialismo diventi forza trainante del processo indipendentista, bensì la consapevolezza che la costituzione del 1978 è un patto e che tale patto, dopo più di 30 anni, si sia esaurito e che quindi vada riscritto o disconosciuto del tutto, utilizzando lo strumento democratico del referendum, come richiesto dai due terzi dei cittadini della Catalunya.

I socialisti, o almeno una parte di essi, hanno finalmente compreso quello che la sinistra lombarda, asservita al potere centrale della segreteria romana di partito, non riesce ancora a capire: la costituzione è solo un pezzo di carta modificabile.

Non voglio aggiungervi altro e voglio lasciarvi alla lettura dei due manifesti sopra citati, certo che possano esprimere meglio di me il dibattito che sta percorrendo tutto il mondo socialista catalano, con la speranza che anche da noi in Lombardia la sinistra capisca che anche il patto costituzionale del 1948 è andato ad esaurirsi e che è giunto il momento che i lombardi prendano in mano il proprio futuro.

Manifesto della JSC di Barcellona

All’attenzione del: Presidente del gruppo parlamentare socialista al Parlamento della Catalunya, deputati e deputate del gruppo parlamentare socialista, membri della commissione esecutiva nazionale del Partito Socialista Catalano.

Alla luce degli ultimi eventi che si sono prodotti negli ultimi giorni, e di fronte alla riunione straordinaria del Parlamento della Catalunya di giovedì 16 gennaio 2014, la Federazione di Barcellona della Gioventù Socialista di Catalunya emette il seguente comunicato.

Conoscendo la realtà politica del paese e il bisogno dei cittadini di esercitare il proprio diritto di decidere, pur comprendendo le differenti posizioni sul referendum all’interno del partito, riteniamo che la posizione del gruppo parlamentare socialista alla votazione debba essere l’astensione.

La gran maggioranza delle cittadine e cittadini della Catalunya è a favore del fatto di decidere sul futuro politico e sulla nuova relazione con il resto della Spagna tramite un referendum. Il PSC è un partito con la vocazione di rappresentare la maggioranza della società catalana e difendere un progetto politico collettivo ed inclusivo. L’esercizio della democrazia, il rispetto della legalità e la difesa del catalanismo politico sono valori insiti nel progetto del socialismo catalano. Non si comprende la Catalunya senza un grande PSC, vario e con la leadership e la gestione della pluralità che ha dimostrato dalla sua fondazione.

Prendendo in considerazione il programma elettorale con il quale il PSC si è presentato alle scorse elezioni autonomiche del 2012 e ricordando l’intervento del primo segretario al dibattito di investitura del Presidente della Generalitat in cui ha manifestato la posizione del partito “il nostro partito non metterà i bastoni tra le ruote, nemmeno uno (...) Il PSC si asterrà in ognuna delle votazioni riguardanti questo tema durante tutta la legislatura”.

Ecco perché chiediamo:

L’astensione del gruppo parlamentare alla votazione del 16 di gennaio per coerenza, rispettando le differenti sensibilità e per non frammentare il gruppo, il partito o la società.
L’astensione in particolare dei deputati per la circoscrizione di Barcellona, secondo la direzione e il riferimento che ha sempre dimostrato la città.
La non-espulsione dei membri del gruppo parlamentare che voteranno in maniera differente alla consegna della Direzione, salvo che non si arrivi ad un accordo.
L’apertura di uno spazio di dibattito interno dove si potrà parlare approfonditamente di questa questione, di là di un Consiglio Nazionale.

15 gennaio 2014, Barcellona
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » gio gen 30, 2014 9:21 pm

Catalunya: pronto il golpe dei militari?

http://www.lindipendenza.com/catalunya- ... i-militari

di SALVATORE ANTONACI

Prendono sempre più corpo le voci insistenti di un piano ordito dalle alte sfere militari spagnole per “disinnescare” le spinte indipendentiste provenienti dalla Catalogna.

Fossero attendibili le rivelazioni del colonnello della riserva Amadeo Martinez Inglés riprese dal quotidiano web catalano “Naciò Digital” ci troveremmo anzi di fronte ad un vero e proprio colpo di stato congegnato nei minimi particolari. Obiettivo: la rimozione dell’attuale leadership separatista e la conseguente instaurazione di un regime fantoccio ossequioso verso le direttive provenienti dal centro nazionale. Il tutto ovviamente scatterebbe solo se le trattative per addivenire ad un compromesso tra le due parti sfociasse (ad ottobre) in un nulla di fatto e il Presidente Màs confermasse la data del referendum popolare fissato per il 9 novembre.

Proprio la subordinata temporale fa credere che la notizia-bomba sia in realtà un tentativo (divulgato ad arte) di mettere pressione all’esecutivo di Barcellona con una sorta di arma di dissuasione verbale. Ma anche ciò fosse vero, la portata dirompente di una simile minaccia non contribuisce di certo a rasserenare il clima scatenando, anzi, nuovi focolai di tensione che potrebbero far sfuggire la situazione dal controllo dei decision-makers iberici.

I fatti, dunque: è di pochi giorni or sono un articolo esplosivo pubblicato per l’appunto nell’edizione mattutina di “Naciò Digital” nel quale compare la figura di questo ufficiale spagnolo, apparentemente assai ben informato degli umori e delle intenzioni delle varie forze militari componenti il regio esercito, il quale, citando “fonti dei vertici militari”, indica nel discorso di sabato scorso del Premier spagnolo Rajoy in quel di Barcellona il punto d’avvio ufficiale di una campagna anti-sovranista che, in un primo tempo, dovrebbe avere carattere unicamente “mediatico, politico e sociale” per poi, qualora si rivelasse necessario, tramutarsi in un intervento di altra natura per “costringere i politici corrotti a cedere il passo ai militari patrioti”.

Il piano, in codice “Operazione Stella”, dovrebbe scattare al più tardi il 20 ottobre (circa venti giorni prima del voto referendario) secondo la modalità seguente: “I piani prevedono l’occupazione , nottetempo, di tutti i centri del potere politico e mediatico catalano sia a Barcellona che nei restanti capoluoghi di provincia da parte di truppe di élite dell’esercito spagnolo, composte di paracadutisti e legionari. Ciò compiuto si decreterebbe immediatamente lo stato di emergenza nell’intera regione nel contempo dichiarando l’illegalità dell’attuale governo della Generalitat. Terminato il blitz notturno, il governo Rajoy si affretterebbe a fornire le spiegazioni del caso al Parlamento in una seduta plenaria straordinaria all’uopo convocata.”

Questo il sunto del memorandum giunto nelle mani dei cronisti catalani. Non manca una noticina di ironia, che suona piuttosto sinistra in verità, allorquando lo stesso colonnello attribuisce a Rajoy l’ingrato compito di “assicurare una rapida e democratica uscita dal conflitto in corso”. Lasciamo ai lettori le considerazioni del caso sperando che mai avremmo a dover commentare uno scenario tanto fosco e mortificante per le aspirazioni di libertà.
Non del solo popolo catalano, va da sé.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » dom feb 23, 2014 8:49 am

A Madrid votano contro l’indipendenza della Catalunya

http://www.lindipendenza.com/a-madrid-v ... -catalunya

272 favorevoli, 43 contrari e una astensione. Con questi voti è stata approvata dal Congresso spagnolo una mozione, presentata dal partito Union Progreso y Democracia (UPyD), che impegna il Governo spagnolo al “rifiuto categorico” del “piano secessionista” messo in campo dalla Catalunya, che il prossimo 9 novembre è chiamata ad esprimersi con un referendum sull’eventuale indipendenza della Generalitat catalana.

Il Congresso vuole, con questo voto, mostrare i muscoli contro il movimento indipendentista catalano, il cui parlamento aveva dichiarato la propria sovranità un anno fa, e da allora aveva iniziato a mettere in campo tutte le iniziative atte a realizzare il referendum indipendentista. A favore di questa mozione hanno votato i deputati di UPyD, del Psoe (socialisti) e quelli del Partido Popular (Pp, centrodestra); contro hanno votato i nazionalisti catalani di CiU, quelli dell’Erc, Esquerra Plural, Pnb e gli indipendentisti baschi di Amaiur. La mozione approvata esorta il Governo spagnolo a utilizzare “gli strumenti della Costituzione e l’ordinamento giuridico nel suo insieme per garantire che si compia la legalità”.

Noi insorgenti non possiamo che schierarci contro questa infausta decisione presa dal Congresso spagnolo, che vuole solo tentare un estremo tentativo centralista per scongiurare gli eventuali esiti negativi del referendum indipendentista catalano. Una vittoria del “fronte indipendentista” in Catalunya darebbe maggior vigore alle altre istanze secessioniste (pensiamo ai Baschi), in un anno che prevede anche un referendum “autonomista” in Scozia. Barroso aveva detto, pochi giorni fa: “Una Scozia indipendente è fuori dall’Europa”. Chissà se l’Unione Europea sarà egualmente categorica anche nei confronti della ricca Catalunya.

I popoli europei, costretti in involucri liberticidi e antidemocratici quali sono gli Stati nazionali, oppressi anche dal cappio europeista, hanno deciso di ribellarsi e di liberarsi. Solo gli “ultimi giapponesi” del liberismo e del centralismo possono pensare di usare queste misure per fermare i movimenti di Popolo.

di Antonio Lucignano

FONTE ORIGINALE: http://www.insorgenza.it/
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » mar feb 25, 2014 8:34 pm

Rajoy ufficializza: “Il referendum catalano è illegale”.


http://www.lindipendenza.com/rajoy-uffi ... e-illegale


di SALVATORE ANTONACI

Non che ci sorprenda la cosa, ma ora il concetto è ribadito ufficialmente. Il referendum sull’indipendenza della Catalogna e’ “illegale”.

Con queste parole il premier spagnolo, Mariano Rajoy, ha bocciato il ricorso alle urne deciso autonomamente dal governo catalano per il prossimo 9 novembre.

“Non avra’ luogo”, ha tuonato Rajoy nel suo discorso sullo stato della nazione in Parlamento, poiche’ “nessuno puo’ unilateralmente privare l’intero popolo spagnolo del diritto a decidere del proprio futuro”. L’iniziativa del mini-governo di Barcellona e’ stata annunciata lo scorso novembre e ha condotto a un braccio di ferro con Madrid.

Il braccio di ferro continua… si attende la replica da Barcellona.
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Re: Catalani

Messaggioda Berto » sab mar 15, 2014 9:53 am

Barcellona, a 40 anni dalla morte di Salvador Puig Antich “Metge”

http://www.lindipendenza.com/barcellona ... tich-metge


di GIANNI SARTORI

Il garrote, lo strumento che la mattina del 2 marzo 1974 spezzò le vertebre cervicali di Salvador Puig Antich (“Metge”) ponendo fine in maniera ignobile alla sua breve vita di meccanico-studente-guerrigliero (o “rapinatore” secondo lo Stato) evocava sicuramente fosche atmosfere da Santa Inquisizione, ma in realtà era quasi contemporaneo della ghigliottina e ideato con i medesimi intenti : una morte rapida che evitasse al condannato sofferenze inutili. Da questo punto di vista, bisogna dire, si dimostrò molto al di sotto delle aspettative, diventando nell’immaginario collettivo un vero e proprio strumento di tortura.

Immagine

Immagine

Come Praga per Jan Palach nel 1968 e Belfast per Bobby Sands nel 1981, così tutta Barcellona reagì con rabbia a questa esecuzione, interpretata come un’aggressione all’intero popolo catalano oltre che l’ennesimo atto di barbarie del franchismo.

Già poche ore dopo la diffusione della notizia, centinaia di persone scendevano in strada, nonostante il rischio di venire arrestati, per manifestare la propria indignazione. Era un giorno invernale, grigio e umido. Centinaia di persone sfilarono per le Ramblas portando striscioni e bandiere; altrettante si riunirono nelle chiese per leggere comunicati di condanna per l’esecuzione del giovane militante libertario.

Lo stesso accadeva nei vari quartieri popolari e nei paesi della cintura industriale, da Terrassa a Sabadell.

Salvador Puig Antich venne frettolosamente sepolto il giorno dopo nel cimitero di Montjuic. Qui si riunirono circa 500 persone a cui, con cariche e arresti, venne impedito di assistere alla tumulazione.

Tra la folla molti ostentavano drappi rossi e rosso-neri. Dopo le cariche della polizia a cavallo l’intera zona rimase ricoperta degli innumerevoli fiori che i manifestanti avrebbero voluto deporre sulla tomba di Metge. L’ordine era di arrestare tutti coloro che portavano “fiori rossi”.

Anche in quei giorni di repressione particolarmente efferata da parte del regime, la Chiesa catalana mantenne il suo tradizionale ruolo di garante e portavoce della comunità popolare, restando nel contempo depositaria della lingua e della cultura nazionali contro ogni tentativo di estirparle.

A tale proposito il noto esponente del CIEMEN Aureli Argemì (che ho conosciuto in Barcellona negli anni ottanta e poi rivisto in occasione di convegni e manifestazioni, l’ultima volta a Firenze nel novembre 2002) mi aveva detto: “ Storicamente il monastero di Montserrat è sempre stato – e durante il franchismo in modo particolare - una casa aperta a tutti i movimenti democratici del paese. Molti esponenti del clero catalano, primo fra tutti l’Abate Escarrè, presero posizione contro Franco, soprattutto sul fatto che il franchismo andava ostentando la bandiera del cattolicesimo a difesa della propria ideologia. Furono gli stessi sacerdoti a dichiarare pubblicamente che questo era un modo per nascondere tutto quello che di anticristiano faceva il regime. Ritengo inoltre che l’Abate Escarrè sia stato l’esponente più importante del mondo della Chiesa a difendere i diritti dei Catalani alla propria lingua, alla propria cultura, alla propria identità”.

Aureli Argemì, egli stesso monaco a Montserrat , venne poi espulso da Franco insieme all’abate Escarré verso la metà degli anni sessanta. Fu anche fondatore e segretario del CIEMEN (“Centro Internazional Abat Escarré Minorie Etnique Nacionals”).

Sempre nel marzo 1974, restano assai significative le prese di posizione di alcuni religiosi. Il reverendo Mossén Pon Rovira non ebbe timore di affermare durante la predica che “come sacerdote e come uomo chiamo Cristo a testimone che è stata commessa una grande ingiustizia”. La frase gli costò una quindicina di giorni di reclusione. Intervenne lo stesso Vicario episcopale della Pastorale del Lavoro, Mossén Carreras. Durante una messa cui assistevano migliaia di persone dichiarò testualmente: “Il nostro fratello Salvador è morto giustiziato come Cristo”.

Qualche vecchio antifranchista, all’epoca poco più che ventenne e poi approdato all’indipendentismo radicale, ricorda ancora la paura di quei giorni dedicati agli appuntamenti clandestini e alla distribuzione di manifesti, sfuggendo ai controlli e ai posti di blocco. Risale ad allora l’espulsione dall’Università di gran parte degli studenti di Barcellona e Valencia che avevano partecipato attivamente alle manifestazioni e agli scontri con la polizia del 4 marzo.

Invece all’Ospedale cittadino centinaia di medici e infermieri espressero la loro indignazione silenziosamente, portando attorno al braccio una fascia nera in segno di lutto.

Salvador Puig Antich quindi non fu solo “un morto catalano in più” ma una ferita che rimase aperta profondamente nel cuore di Barcellona per molti anni. Ogni 2 marzo la lapide 2737 veniva ricoperta da centinaia di fiori e il suo nome scandito nella manifestazioni.

Il giovane era stato catturato il 25 settembre 1973 insiema a Xavier Garriga. Quest’ultimo, sfuggito alla condanna a morte, sembrò in seguito voler chiudere per sempre con un passato così carico di tristi ricordi. Tramite amicizie comuni avevo cercato, invano, di intervistarlo verso la fine degli anni ottanta. Non volli insistere più di tanto rispettandone la volontà, anche se con rammarico. Del resto sono convinto che quando lo riterrà giusto e opportuno scriverà quella storia in prima persona. Senza delegarne il compito ad altri.

La ricostruzione della dinamica dell’arresto, conclusosi con la morte di un ispettore, rivela come esistesse da parte della polizia la predeterminata volontà di uccidere Salvador; solo casualmente il colpo sparatogli da distanza ravvicinata si limitò a trapassargli la mandibola, invece della tempia.

La sua esecuzione divenne l’oggetto di una cinica transazione tra le varie componenti del regime. In pratica una vendetta per la recente morte di Carrero Blanco (il 20 dicembre 1973 per mano di Eta). In cambio il nuovo capo del governo, Arias Navarro, ottenne l’appoggio politico dei settori oltranzisti. Anche in questo la vicenda di Salvador e le modalità della sua condanna a morte presentano una sorprendente e agghiacciante analogia con quella del poeta sudafricano Benjamin Moloise, assassinato dal regime dell’apartheid negli anni ottanta nel corso di una campagna elettorale

Il gruppo di cui Puig Antich faceva parte si era denominato MIL (Movimento Iberico di Liberazione) e si autodefiniva come “una organizzazione non permanente”. Nelle singole storie politiche dei suoi militanti si ritrova il comune denominatore di un radicale antiautoritarismo che li portò alla graduale ma sistematica rottura con partiti e sindacati dell’opposizione. In questo atteggiamento (oltre ad una certa dose di “estremismo infantile”) riemergeva una costante delle lotte operaie e popolari catalane: la tendenza all’autogestione e alla federazione tra gruppi autonomi, il rifiuto dello stato, della centralizzazione e della burocrazia…

Quando, alla fine del 1971, Salvador si integra nel MIL ha 23 anni (questa è anche l’età media dei componenti) e alle spalle una militanza non indifferente nelle CCOO (Comissions Obreres) e nelle lotte del suo quartiere. Ripercorrendone oggi la storia – breve ma convulsa – i militanti del MIL sembrano quasi ossessionati dal bisogno di stampare, pubblicare libri e riviste, sia con materiali di loro produzione che traduzioni, ristampe ecc. I numerosi episodi di “autofinanziamento” (rapine alle banche, simbolo del Capitale nell’immaginario collettivo dei soggetti antagonisti, ma anche simbolo dell’Oligarchia finanziaria “espanyolitzadora”) saranno sempre legati a precise “scadenze editoriali” (con circuiti non di vendita ma di distribuzione militante e clandestina) oltre che alla necessità di fornire un congruo sostegno finanziario alle lotte operaie che si svolgevano in condizioni spesso disperate. Non esiste comunque in Europa un altro esempio di gruppo guerrigliero altrettanto prolifico in campo editoriale in un arco di tempo tanto breve. Non a caso il loro primo esproprio è ai danni di una tipografia da cui vengono prelevate le attrezzature e i macchinari indispensabili ai loro progetti. Bisogna dire che l’uso della stampa non si limita a “rappresentare pubblicamente la coerenza politica delle azioni del MIL”, ma voleva essere anche un valido strumento politico-culturale nei confronti della classe operaia. Quanto alle armi che si procurano sono, in genere, poco più che residuati bellici, gelosamente conservati dai fuoriusciti della FAI che avevano combattuto nella Resistenza francese. In parte vengono fornite anche dai sopravvissuti del gruppo di Sabaté (el Quico).

La prima rapina vera e propria venne realizzata nel settembre 1972 in una regione della “Catalogna profonda”, la Cerdanya, non lontano dalla frontiera. La zona (già frequentata dalla guerriglia antifranchista negli anni cinquanta) è montagnosa e i catalani la conoscono molto bene. Qui si registraronogli ultimi episodi di resistenza all’avanzata dei franchisti, nel ’39. Vi prese parte anche un giovanissimo Sabaté prima dell’internamento in Francia. Inoltre la località non è lontana dal “Pi de les Tres Branques”, l’albero dove annualmente si radunava l’indipendentismo radicale (e dove “Terra Lliure” rendeva onore ai suoi caduti). Il bottino venne immediatamente impiegato per pubblicare alcuni testi rivoluzionari. Dopo solo 15 giorni entra in circolazione (ovviamente clandestina) quella che probabilmente è l’esposizione più completa delle tesi politiche del MIL: “Sobre la agitacion armada” cui farà seguito “Capital y trabayo”.

Il primo opuscolo rappresenta una critica precisa e motivata di qualsiasi tendenza militarista; secondo il MIL quei gruppi che teorizzano e praticano la “lotta armata militare” si collocano al di fuori della lotta di classe perché si considerano “avanguardia” e trovano in questo la giustificazione al loro operato. Diversamente –sosteneva il MIL- un nucleo di “agitazione armata” non considera la sua attività autosufficiente ma si colloca e si definisce all’interno della lotta di classe di cui è parte integrante. Questo gruppetto di militanti considerava le azioni armate come una esigenza tattica, organica al movimento operaio (almeno in quella determinata fase storica, in cui le lotte di tipo rivendicativo rivelavano i loro limiti sotto i colpi di una durissima repressione). Da queste considerazioni derivava la convinzione di dover dare un “aiuto concreto” (si definirono “grup d’aiut”), di essere cioè in grado sia di difendersi dagli attacchi del regime franchista che di fornire sostegno economico agli operai durante gli scioperi o in caso di arresti, licenziamenti ecc.

In conclusione i militanti del MIL ritenevano che, nella Catalunya degli anni settanta, fosse questa l’unica forma di difesa possibile ed efficace, l’unica a poter essere autogestita dai diretti interessati, le classi subalterne, senza deleghe ai “militaristi”. Per loro queste posizioni rappresentavano esattamente il contrario di quanto veniva generalmente messo in pratica dalle avanguardie di vario genere che riducono le lotte di massa a mera attività di sostegno alle loro organizzazioni politico-militari. Volendo si può cogliere in questo atteggiamento anche una critica implicita ad alcuni “eserciti di liberazione”.

Nonostante queste premesse teoriche, la pratica impose alcuni accomodamenti e, verso la fine del ’72, prese forma una certa collaborazione con gruppi di indipendentisti, tra cui i transfughi dal PSAN della cosiddetta OLLA (Organitzaciò de Lluita Armada). Oltre a rapporti personali e al confronto politico (con reciproci tentativi di proselitismo) si ebbe un notevole interscambio di documentazione e informazioni. Da registrare anche alcuni assalti congiunti alle banche. Le azioni venivano rivendicate con lanci di volantini durante e dopo. In alcuni casi anche prima…

In coincidenza con il tredicesimo anniversario della sua morte quelli del MIL, vollero riaffermare un costante riferimento alla figura leggendaria di Sabaté compiendo un “esproprio” a Badalona. Quasi contemporaneamente riuscirono ad avviare la più ambiziosa tra le loro iniziative editoriale, le “ Ediciones Mayo ‘37”. La prima opera ad essere pubblicata è un volume che raccoglie saggi e articoli dell’internazionalista (assassinato a Barcellona dagli stalinisti) Camillo Berneri. Seguirà “Guerra di classe 1937 – Guerra di classe 1973” in cui vengono documentate e analizzate le profonde analogie tra le posizioni del MIL e quelle degli anarcosindacalisti catalani che si erano opposti sia alla reazione franchista che alla controrivoluzione staliniana (“Guerra di classe” si chiamava il giornale diretto da Camillo Berneri). Testuale dalla prefazione:

”A partire dai fatti di Barcellona del maggio ’37 ogni tentativo rivoluzionario che non sappia essere fedele a questa esperienza è condannato alla pura e semplice inesistenza”. Parole queste che in bocca a dei Catalani suonano anche come un richiamo alla propria storia nazionale, una sorta di rivendicazione della propria identità. E questa identità (niente di “etnicista”, naturalmente) non si lega, nella coscienza collettiva, soltanto a quanto vi è di profondo, ancestrale (come la leggenda dei quattro segni rossi impressi dalla mano regale ricoperta del sangue di un cavaliere morente) ma anche a quanto opera, agisce, muta nel tempo storico, nelle contraddizioni e nelle lotte…Si tratti delle donne combattenti cadute durante l’assedio di Barcellona del 1714 e tumulate nelle fosse comuni del “Fossar” (e ricordate con una cerimonia ogni 11 settembre) o dei comunardi dell’Alto Llobregat decisi, in pieno XX secolo, a lottare a morte per rivivere l’Età dell’Oro ( forse il “Futuro Primitivo” di Zerzan?). Le une e gli altri costruendo (o affossando?) la Storia e rinnovando il Mito.

Sembra che anche il più dirompente e antitradizionale degli eventi, la Rivoluzione Sociale, venga ricordato e interpretato in un’ottica “catalana” (ossia libertaria, consiliare, autogestionaria e autogestita, federalista…) proprio nel momento in cui assume valori e valenze universali. Lottare per il superamento della forma-stato a favore dell’autorganizzazione totale delle classi subalterne deriva da una concezione del mondo non dissimile da quella di chi teorizza il superamento dello stato-nazione per l’autorganizzazione della comunità popolare nazionale, forse.

Se qualcuno volesse in proposito confrontarsi con le posizioni di alcuni movimenti molto attivi negli anni ottanta (“Crida a la Solidaritat”, “Moviment d’Esquerra Nazionalista”…) potrebbe agevolmente individuare quale sia stato in tempi relativamente recenti il punto d’arrivo di un percorso di reciproca contaminazione tra anarchismo catalano e lotte per l’autodeterminazione.

Tornando a quelli del MIL, l’aver individuato come principale avversario “il Capitale” (non solo il franchismo, non solo lo stato spagnolo) ha impedito che le loro azioni assumessero il carattere talvolta indiscriminato di quelle di altri gruppi maggiormente caratterizzati in senso “etnico”.

FUMETTI COME ARMA IMPROPRIA

Il 2 marzo 1973 Puig Antich è in attesa con l’auto fuori del Banco Hispano-Americano del “passeig de Fabra i Puig”. Quando vede avvicinarsi alcuni poliziotti in borghese suona il clacson per avvisare i compagni all’interno della banca; l’episodio sarà ricordato, celebrato simbolicamente da centinaia di auto durante una manifestazione contro la condanna a morte. Nella sparatoria che ne deriva quelli del MIL escono dalla banca correndo a zig zag sotto il tiro incrociato della polizia, rinunciando volutamente a farsi scudo con ostaggi. Abbandonato il bottino, riescono a sfuggire all’inseguimento. Di seguito la maggior parte dei militanti si rifugia a Tolosa dedicandosi completamente all’editoria. Nell’aprile del 1973 esce il primo numero della rivista CIA (“Conspiracion Internacional Anarquista”).

Nell’editoriale, dedicato ad un sommario bilancio della loro attività,c’è ancora un richiamo alle origini del MIL: alle prime “Commissions Obreres” e a tutto il movimento operaio antiautoritario e autonomo (anche se, riconoscono, le vicende successive hanno creato distanza tra le realtà di fabbrica e la guerriglia). Nell’interno ampio spazio è dedicato ai fumetti (alcuni in stile “Puzz” con evidenti contaminazioni situazioniste) e ad un articolo commemorativo-biografico su Francisco Sabaté, “el Quico”.

Nell’estate del 1973, mancando i fondi per stampare il 2° numero della rivista “CIA” (pur sapendo che il Gruppo Speciale anti-MIL è ormai sulle loro tracce), riprendono le azionidi esproprio. Il 6 giugno viene assaltata una filiale del Banco di Bilbao, a Barcellona. Per la prima volta Salvador entra nella banca e non si limita a fare da autista. Dall’auto in corsa vengono lanciati volantini di rivendicazione, prima e dopo l’azione. Ormai i quotidiani parlano esplicitamente del carattere politico delle rapine compiute da un “grup de combat del moviment libertari”. Il 19 giugno è la data del colpo più spettacolare (e proficuo) operato dal MIL: un bottino di 3.074.000 pesetas al Banco di Banesto. Nei volantini di rivendicazione viene precisato che il ricavato sarà destinato “als obreres sense feina”, agli operai disoccupati. E così avviene.

E’ in questo periodo che una serie di contrattempi e incidenti dà inizio alla fine disgraziata del MIL. Salvador dimentica in un bar una borsa con una P-38 calibro special, due caricatori e tutti i suoi documenti (falsi e autentici) con le relative fotografie. Contemporaneamente si aggrega al gruppo un ambiguo personaggio detto “el legionario” che in seguito sparirà con 1.300.000 pesetas. Temendo una delazione viene proposto di eliminarlo ma Salvador si oppone a queste misure e lo cerca per parlargli e convincerlo. Val la pena di ricordare che in analoghe circostanze anche Durruti e Sabaté si comportarono nello stesso modo perché “chi tradisce tradisce sempre e solo se stesso. Non farsi giudice è il solo modo per prevenire la nascita dei giuda”.

Intanto si fa sempre più strada la spiacevole sensazione dell’isolamento. In una riunione tenuta in Francia nell’agosto 1973, riconoscono onestamente che la maggior parte dei lavoratori è piuttosto critica nei loro confronti e contraria alle “forzature” operate dal MIL rispetto alla dinamica delle lotte. Questo conferma che negli ultimi mesi il sostegno politico è venuto a mancare e che, a questo punto, rischiano di estraniarsi ulteriormente dalla realtà quotidiana delle fabbriche, di ridursi a rapinare per sopravvivere anche quando sono ormai venute meno le condizioni della loro “propaganda con i fatti”. Da queste premesse e dal dibattito successivo deriva la scelta lucida e irreversibile di “autodisoluciòn” (autoscioglimento). Il manifesto di “Autodisoluciòn de la organizaciòn politico-militar dicha MIL” viene pubblicato integralmente sul secondo numero della rivista “CIA” (al solito in compagnia di provocatori fumetti). Il documento consiste in un ripasso delle lotte del movimento operaio dal 1848 agli anni settanta, con annessa critica al riformismo e opportunismo di partiti e sindacati. Vengono elencati gli episodi che, secondo il MIL, avevano rappresentato il “risorgimento rivoluzionario” a livello planetario degli anni sessanta (maggio ’68, scioperi selvaggi in Europa e America…) e nella penisola iberica in particolare (nascita delle Commissioni Operaie, scioperi nelle miniere asturiane, lotte alla Seat e alla Harry Walker…).

Quanto al MIL, si sostiene che è nato come “gruppo specifico” (v. la FAI negli anni trenta) di sostegno alle lotte radicali del movimento. Solo in seguito, precisano, erano sorti “rapporti stabili con i gruppi di matrice nazionalitaria e indipendentista, rischiando forse di perdere di vista le prospettive iniziali”.

Nelle conclusioni si richiamano esplicitamente ai “Grups Autonoms de Combat” come “autentici organismi di azione rivoluzionaria, autonoma e autogestita”, che hanno saputo “porre una netta discriminazione tra loro e il riformismo”.

I GIORNI DELLA FINE

Nel settembre del 1973 Salvador Puig Antich torna a Barcellona e, coerentemente, rifiuta di prendere parte ad altre rapine su proposta di alcuni membri irriducibili, probabilmente gli stessi che in seguito daranno vita ad una formazione denominata GARI. Da quel momento prende inizio una serie impressionante di arresti da parte del “Gruppo speciale per la disarticolazione del MIL”. Vengono arrestati alcuni esponenti marginali e persone con legami affettivi che, sottoposti a duri interrogatori e torturati, forniscono alla polizia nuovi elementi sulla struttura del MIL.

Negli ultimi giorni di libertà Salvador si preoccupa di contattare avvocati per la difesa dei compagni arrestati e si incontra con alcuni esponenti dell’indipendentismo radicale che gli propongono di integrarsi nel loro gruppo. Ma il cerchio continua a stringersi e il 25 settembre 1973 avviene il tragico arresto nel corso del quale muore il vice ispettore di polizia Anguas Barragan e si compie il destino di Salvador Puig Antich.

Quando venne portato all’ospedale, Salvador presentava due vistose ferite da arma da fuoco: una alla mandibola e una (con due fori) alla spalla. Si trovava inoltre in stato di commozione cerebrale per i numerosi inferti dai poliziotti. Intanto la polizia diffondeva comunicati alla stampa con l’obbligo tassativo di pubblicarli. Secondo questi comunicati ufficiali il giovane libertario risultava l’unico responsabile della morte del “policia”, nonostante la dinamica fosse poco chiara; anche l’autopsia venne effettuata in un commissariato e non all’Istituto di Anatomia. Gli ex militanti del MIL e gli indipendentisti dell’OLLA (in cui forse Salvador pensava di integrarsi) stavano cercando freneticamente di organizzare la liberazione del compagno dall’ospedale. Informato di questo dall’avvocato Oriol Arau, Salvador si oppose perché l’azione avrebbe sicuramente comportato rischi gravissimi per il gruppo incaricato di eseguirla.

Venne poi trasferito al “Modelo” (carcere fondato nel 1888 e abituale recapito di molti rivoluzionari catalani) con addosso ancora i segni delle ferite. Non poteva mangiare e parlava con estrema difficoltà. Finì naturalmente nel quinto braccio, quello dei prigionieri politici (anche se questi ufficialmente non esistevano).

A farsi immediatamente carico della difesa di Salvador sono il giovane avvocato Oriol Arau e, in seguito, lo stesso presidente della “Académia de legislaciò i Jurisprudéncia de Catalunya”, Francesc D’Assis Condomines Valls. Cominciano intanto a mobilitarsi le varie associazioni antifranchiste, innanzitutto quelle di maggiore affinità ideologica con il prigioniero: il Coordinamento dei gruppi libertari, gli “Estudiants Llibertaris de Catalunya”, il “Comité Libertari Antirepressio” e, naturalmente, i “Grups Autonoms de Combat”. Gli indipendentisti dell’OLLA e ciò che resta del MIL organizzano un Comitato di Solidarietà che riesce a distribuire clandestinamente 5000 copie di un dossier in cui si rivendica la condizione di Prigionieri Politici degli arrestati. Pur non condividendo l’ideologia del MIL interviene anche la più prestigiosa organizzazione del dissenso catalano: la “Comissio de Solidaritat pro presos politics” che dal 1969 riunisce cristiani, progressisti, nazionalisti, sindacalisti ecc. e che rappresenta la prima manifestazione di quella che sarà l’”Assemblea di Catalunya”.

Il 26 novembre 1973 Salvador viene ufficialmente informato che contro di lui venivano richieste ben due condanne a morte. Immediatamente Barcellona si ricopre di manifesti in catalano con la sua foto e la didascalia “Militante rivoluzionario in pericolo di morte”. Contro l’esecuzione intervengono duramente anche la “Coordinadora delle CCOO Metallurgiche”, le CCOO della Seat, la LCR, il PSAN…

Fino al 20 dicembre 1973 era opinione diffusa che il regime avrebbe modificato la condanna a morte con quella all’ergastolo. Ma dopo l’uccisione da parte di ETA del presidente del governo, Carrero Blanco, si comprese che ormai la vita di Salvador era appesa ad un filo.

Il 4 gennaio 1974 a Barcellona esplode la prima bomba contro la convocazione del Consiglio di Guerra, riunito nella “Sala di Justicia del Govern Militar”, nei pressi della “Porta de la Pau”. Altre ne esploderanno nei giorni seguenti. Migliaia di firme vengono raccolte per una richiesta di sospensione della pena capitale da inviare al presidente del governo. L’8 gennaio inizia il processo contro Salvador e gli altri compagni arrestati nella sede del Governo Militare. Viene accordata l’udienza pubblica e la sala si riempie di un centinaio di giovani, mentre la maggior parte deve restarsene fuori. I due episodi contestati a Salvador sono: l’assalto del 2 marzo 1973 al Banco Hispano-Americano al “passeig de Fabra i Puig” (quasi simbolicamente Salvador verrà giustiziato ad un anno esatto di distanza, il 2 marzo 1974) e la morte del poliziotto avvenuta la sera del 25 settembre 1973. Salvador ammette di aver fatto fuoco in quest’ultima circostanza ma alla cieca, a caso. Non era in grado di prendere la mira anche perché era stato ripetutamente colpito alla testa dai poliziotti col calcio delle pistole (percosse che gli avevano procurato la commozione cerebrale diagnosticata all’ospedale). La difesa affermava che il colpo era partito casualmente durante la rissa tra il giovane e i cinque poliziotti in borghese che cercavano di arrestarlo, senza mandato e senza nemmeno essersi qualificati. Quando Salvador era a terra, ferito, uno dei poliziotti si era avvicinato e aveva esploso da brevissima distanza due colpi (uno alla testa e uno alla spalla) con il chiaro intento di ucciderlo. Solo per caso il colpo che doveva essere mortale si era limitato a fracassargli la mandibola, Da parte sua l’accusa sostenne che i reati erano aggravati dal fatto che l’organizzazione MIL avrebbe “attentato contro l’unità della patria, l’integrità dei suoi territori e contro l’ordine costituito”. Entrambi i reati venivano considerati “delitti di terrorismo” e sottoposti agli articolo del Codice di Giustizia Militare. Invano la difesa si aggrappa alla comprovata inconsistenza del MIL come organizzazione specificatamente terrorista (dato che non aveva sede, gerarchia interna e nemmeno un ambito territoriale specifico) cercando di dimostrare che le attività erano episodiche, occasionali. Scopo della difesa, far rientrare le azioni del MIL nell’ambito della giurisdizione ordinaria che non avrebbe comportato la condanna a morte. La sorte di Salvador venne decisa rapidamente: trent’anni per la rapina e condanna a morte per l’uccisione di Anguas.

Parrocchie di ogni parte della Catalunya, Facoltà universitarie, gruppi umanitari, associazioni professionali chiesero pubblicamente al capo dello stato la commutazione della pena.

Iniziava così una serie quasi quotidiana di manifestazioni per strappare al boia il militante libertario.

9 gennaio: manifestazione del PSAN e del FNC a Barcellona.

10 gennaio: manifestazione delle CCOO.

11 gennaio: altre manifestazioni a Barcellona e a Terrassa, nei quartieri tradizionalmente legati al movimento anarchico.

12 gennaio: l’”Assemblea de Catalunya” denuncia tramite i suoi rappresentanti la volontà del regime di assassinare Salvador che viene paragonato a Grimau, fucilato il 20 aprile 1963.

Duemila studenti universitari sfilano in silenzio per le vie della capitale catalana con bracciali neri. In tutti i “Paisos Catalans” vengono brutalmente impediti conferenze e dibattiti sulla pena di morte mentre Barcellona viene letteralmente ricoperta di scritte “Salvem Puig Antich”. Anche il Comitato di Solidarietà con i prigionieri del MIL decide di passare all’azione e all’alba dell’11 gennaio una esplosione sveglia bruscamente gli abitanti di alcuni quartieri popolari di Barcellona (Pedralbes, Sants, les Corts…). L’attentato è rivolto contro un monumento franchista già colpito l’anno precedente dal FAC (Front d’Alliberament Català). Manifestazioni si svolgono anche all’Università di Bilbao, a Parigi e in Occitania dove viene assalito il consolato spagnolo.

A Bruxelles vengono occupati gli uffici della “Iberia”; a Strasburgo l’abitazione del console spagnolo. Verso la metà di gennaio si svolge, con partenza da San Cugat, una manifestazione particolarmente simbolica: centinaia di auto che espongono drappi neri procedono incollonate verso Barcellona. Giunte a “Fabra i Puig” bloccano la strada e suonano ripetutamente i clacson in ricordo del gesto compiuto da Salvador il 2 marzo del 1973. Toni, un compagno di origine castigliana ben integrato in Catalunya, che vi prese parte mi raccontava che “non si sono più viste tante bandiere nere a lutto in Barcellona”. Aggiungendo poi con amarezza:”Almeno fino all’Hipercor”.

L’imminenza dell’esecuzione esaspera i sentimenti di ogni settore della società catalana, ognuno dei quali reagisce con i mezzi e i modi che gli sono congeniali. Si moltiplicano le petizioni e i telegrammi che chiedono clemenza; si registrano nuove manifestazioni e altri attentati.

EPILOGO: LA LUCE CHE SI SPENSE

Il primo marzo 1974 il Consiglio dei Ministri, presieduto dallo stesso Franco, confermò la condanna a morte per Salvador Puig Antich e per un presunto “apolide di origine polacca” chiamato Heinz Chez (solo recentemente si è scoperto che in realtà era un tedesco fuggito dalla Germania dell’Est e che viveva sotto falso nome) responsabile della morte di un guardia civil.

“Policia armada”, G.C. e Brigata Sociale vennero dislocate in modo da far fronte alla reazione popolare. In tutti i punti strategici di Barcellona vennero predisposti dispositivi di sicurezza e i soldati restarono consegnati nelle caserme . Salvador venne prelevato dalla sua cella (dove dormiva già vestito) e condotto davanti al giudice istruttore che gli notificò la sentenza definitiva (“…e in quel preciso istante saltò la luce lasciando la stanza completamente al buio per alcuni minuti…”). Il condannato trascorse poi tutta la notte in una cella denominata “la cappella”, sorvegliato costantemente in attesa del trascorre delle dodici ore rituali.

Intanto Oriol Arau (con la collaborazione di Marc Palmés, l’avvocato catalano che l’anno seguente avrebbe difeso il militante di ETA Paredes Manot “Txiki”) tentava disperatamente, ma inutilmente, di guadagnare tempo. Al loro ultimo incontro Salvador cercò di far coraggio alle sorelle in lacrime. Durante la notte scrisse tre lettere, in catalano. Quella per il fratello era intestata con un verso di Ferrè : “Je vais mettre en chanson la tristesse du vent”. Anche un estremo tentativo dell’Abate di Montserrat di ottenere clemenza andò incontro ad un completo fallimento. Qualcuno vicino alla famiglia mi ha raccontato che, mentre la conversazione tra Salvador e le sorelle languiva, un militare gridò loro di procurarsi un lenzuolo altrimenti l’avrebbero gettato in una fossa comune, come ai tempi delle “sacas” (le fucilazioni indiscriminate dei prigionieri repubblicani durante e dopo la Guerra Civile).

Non posso fare a meno di cogliere la coincidenza: la stessa minaccia, quasi con le medesime parole, venne proferita nei confronti della madre di Patsy O’Hara, durante lo sciopero della fame che lo portò alla morte nel 1981, in Irlanda del Nord.

Alle nove del mattino del 2 marzo 1974 le sorelle vennero allontanate insieme all’avvocato Oriol Arau. Resteranno davanti al carcere ad attendere l’uscita del furgone mortuario scortato dalla polizia. Lungo il breve suo ultimo percorso, Salvador dovette passare in mezzo a due cordoni della Brigata Sociale, ammanettato. Camminò da solo apostrofandoli e chiedendo se fossero stati pagati bene per quel “lavoro straordinario”. Infine, verso le 9 e 40, il boia fissò l’anello di ferro del garrote attorno al collo di “Metge”.

Questa, in sintesi, fu “la breve estate” di Salvador Puig Antich. Noi non lo abbiamo mai dimenticato.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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