Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » lun feb 04, 2019 7:21 am

Come ottant’anni fa i politici catalani alla sbarra
Quel pullman di prigionieri politici che imbarazza la Spagna e l’Europa
Bobo Craxi
03.02.2019

https://ancitalia.org/2019/02/03/come-o ... lla-sbarra

Una lunga colonna di blindati scorta un pullman di prigionieri, guardie civili fanno inni di scherno mentre ali di folla saluta ed incoraggia lungo la strada i deportati con cori e bandiere. E’ la fotografia del grattacapo spagnolo che affronta non senza imbarazzi il primo processo in Europa ad un gruppo politico che ha cercato, senza ottenerla, l’autodeterminazione della Catalogna e nelle prossime settimane si appresta a subire il giudizio del Tribunale Supremo Spagnolo che dovrà costatarne se nei loro atti politici del mese che va dal Settembre all’Ottobre del 2017 vi furono commessi reati di sedizione e ribellione per i quali l’accusa ha già domandato diecine di anni di prigione.

È la prima volta che nel continente europeo nel dopoguerra che un intera classe dirigente finisce alla sbarra per reati da considerare “politici”

Il gruppo di testa dell’indipendentismo che rappresenta la destra e la sinistra dello schieramento parlamentare della Catalogna non è, a differenza dei movimenti baschi, una cupola di terroristi anzi in tutta la parabola del cosiddetto “procés” la linea perseguita è stata innanzitutto quella pacifica e democratica per giungere all’auto-determinazione della regione del Nord che confina con la Francia che non dimentichiamo rappresenta uno dei territori più produttivi dell’intera Europa.

Non è mai accaduto nel nostro continente che un intero gruppo dirigente politico finisse alla sbarra ( una parte di esso, l’ex Presidente della Generalitat Puigdemont in testa è a piede libero nel suo esilio belga nella cittadina Waterloo..), però esattamente ottantatré anni e nove mesi fa accadde la stessa cosa : Sul banco degli accusati nel Maggio del 1935 c’erano il Presidente Lluis Companys ( che poi finì fucilato dai franchisti) assieme a suoi membri del Governo processati per gli stessi “fatti di Ottobre”, ma è la sola analogia perché a differenza di allora oggi i politici potranno essere difesi da un’avvocatura catalana e si può sperare ed immaginare che lo Stato di Diritto Spagnolo possa avere fatto dei passi in avanti da allora.

La sentenza del primo caso li condannò a 30 anni per ribellione, sebbene avesse il voto discrepante di cinque magistrati che erano favorevoli all’assoluzione: Essi ritenevano che non vi fosse alcun crimine perché in ogni caso era stato perpetrato un colpo di stato che non era stato criminalizzato nel codice penale

Il 6 Ottobre del 1934 Companys proclamò lo Stato Catalano della Repubblica Federale Spagnola mentre nel 2017 venne approvato un documento dalla metà del Parlamento di Barcellona dichiarando la nascita di una “Repubblica Catalana, come Stato Indipendente di diritto, democratico e sociale”

Nel 1934 i tumulti di piazza provocarono delle vittime, nel 2017 per fortuna no, nonostante la reazione violenta dello Stato Spagnolo al fine di impedire lo svolgimento del Referendum sull’autodeterminazione il 1° Ottobre.

Dopo le condanne i politici catalani vennero amnistiati e solo successivamente con l’ascesa di Franco vennero eliminati.

È nel ricordo di questa tragedia politica di meno di un secolo fa che l’approccio politico alle vicende della secessione Catalana porta il Governo Socialista di Pedro Sanchez ad un atteggiamento certamente rispettoso del proprio Stato di diritto ma sostanzialmente aperto a soluzioni negoziate di carattere politico nonostante la crescente pressione della parte più reazionaria dell’opinione pubblica spagnola orientata ad una punizione esemplare verso l’ala del secessionismo catalano.

La nuova formazione di ultradestra spagnola, un preoccupante mix di neo-falangismo e di xenofobia violenta, si è costituita parte civile, i lavori di questo processo avranno un grande impatto mediatico che finirà per rinfocolare delle passioni che in questi mesi pazientemente erano state sopite nella ricerca di un dialogo politico e soprattutto incoraggiate dal cambio della guida del governo alla Moncloa.

I Leader dell’indipendentismo, politici della nuova formazione di destra nazionale promossa da Puigdemont e della Sinistra Repubblicana (ERC) guidati dal cattolicissimo Junqueras, assieme a quelli della Società Civile chiedono solidarietà, predicano non violenza ed anche mobilitazione permanente ai confini della disobbedienza civile; Il Presidente della Generalitat Quim Torra ha affermato solennemente che “siamo alla vigilia di un giudizio che cambierà per sempre il nostro paese e la sua relazione con il Regno di Spagna”, egli ha sospeso ogni attività parlamentare ed ha predisposto una presenza permanente al fianco dei politici processati a Madrid, nonché ha dato vita ad un nuovo corpo speciale della polizia locale, i mossos d’escuadra, per la protezione sua e degli ex Presidenti, decisione questa molto criticata che fa intravedere la volontà di opporsi alla cattura dell’esiliato Puigdemont in caso di una condanna in contumacia e di una cattura internazionale che di fronte alla richiesta spagnola potrebbe divenire inevitabile.

E’ chiaro l’imbarazzo del Governo perché ogni sua mossa in direzione del dialogo e di una soluzione politica alla questione catalana alimenta lo spazio dell’opposizione di destra desiderosa di una rivincita e di bissare il successo andaluso dove per la prima volta di fatto tre destre di segno diverso (popolare, liberale ed ultra-nazionalista) hanno stipulato un esplicito patto di governo che potrebbero in teoria replicare in caso di voto anticipato.

La rottura democratica catalana d’altronde potrebbe addirittura essere agevolata dal giudizio politico che in queste ore la comunità europea si è affrettata a dare all’auto-proclamazione del Presidente Venezuelano Guaidò, una vistosa forzatura istituzionale, giustificata dall’oppressione del Regime di Maduro, che tuttavia segnala la possibilità di adoperare un doppio standard per regolare le legittimità istituzionali.

Un vero rompicapo perché l’Europa presto o tardi solleciterà quantomeno la determinazione a rimuovere la questione Catalana dall’Agenda optando per una soluzione che scongiuri la rottura territoriale spagnola ma che contempli inevitabilmente un definitivo passaggio elettorale sulla questione.

Sullo sfondo il doppio voto attende alla prova tutti i partiti, gli Unionisti divisi nello schieramento nazionale Spagnolo e gli Indipendentisti divisi e concorrenti alle amministrative per la leadership del processo; A Barcellona la sfida simbolicamente decisiva, è la Capitale della nazione Catalana ed è una delle grandi Capitali Europee ma senza Stato.

Chi ha osato pensare che lo potesse diventare è rimasto chiuso in una galera per più di un anno ed ora mestamente viaggia su un cellulare verso un Tribunale del Regno. Come accadeva secoli fa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven feb 08, 2019 7:07 am

Spagna: Il persistente problema del jihad in Catalogna
di Soeren Kern
6 febbraio 2019

https://it.gatestoneinstitute.org/13691 ... gnal-jihad

La polizia della regione spagnola della Catalogna ha di recente arrestato 18 membri di una cellula jihadista che pianificava un attentato a Barcellona, ponendo nuovamente l'accento sul persistente problema dell'Islam radicale in Catalogna. Nella foto: Polizia e paramedici si occupano dei sopravvissuti a un attacco terroristico perpetrato a Barcellona da Younes Abouyaaqoub, il 17 agosto 2017. Abouyaaqoub uccise 15 persone, ferendone altre 130. (Foto di Nicolas Carvalho Ochoa/Getty Images)

La polizia della regione nord-orientale spagnola della Catalogna ha arrestato 18 membri della cellula jihadista che pianificava un attacco a Barcellona – 15 dei quali sono poi stati rilasciati.

L'arresto ha posto nuovamente l'accento sul problema persistente dell'Islam radicale in Catalogna, dove risiede una delle più grandi comunità musulmane d'Europa.

La cellula – composta da persone provenienti da Algeria, Egitto, Iraq, Libia e Marocco – è stata smantellata il 15 gennaio, quando più di un centinaio di agenti di polizia hanno fatto irruzione in cinque edifici a Barcellona e nella città catalana di Igualada.

Gli arresti sono avvenuti nell'ambito di un'indagine antiterrorismo durata un anno e denominata in codice "operazione Alejandría", lanciata nel maggio del 2017 dopo che la polizia aveva ricevuto una soffiata che i jihadisti stavano preparando un attacco.

La polizia catalana, i cosiddetti Mossos d'Esquadra, ha detto che la cellula era costituita da cinque capi, i quali erano impegnati in un "avanzato processo di radicalizzazione finalizzato a lanciare attacchi". La cellula aderiva ai "principi dottrinali" dello Stato islamico e i componenti erano "forti fruitori" della propaganda jihadista.

Il quotidiano El Mundo ha riportato che la cellula era divisa in due parti: dodici membri erano dediti alle rapine e ai furti, i cui proventi finanziavano il secondo gruppo, costituito dai cinque leader che erano impegnati a pianificare attentati.

La polizia ha detto che i jihadisti hanno compiuto almeno 369 rapine e furti nei dintorni di Barcellona. Oltre ai furti, i membri della cellula si sono finanziati attraverso il traffico di droga e la falsificazione di documenti.

Secondo El Mundo, i membri della cellula erano dediti a rubare passaporti e altri documenti di identità ai turisti in visita a Barcellona, la seconda città più grande della Spagna e una delle mete turistiche più popolari d'Europa. I documenti rubati sono stati introdotti nelle reti del mercato delle identità contraffatte e poi utilizzati dai jihadisti per viaggiare in tutta Europa.

Il 18 gennaio, l'Audiencia Nacional (il Tribunale nazionale), un'alta corte specializzata in reati di terrorismo, ha rivelato che un cittadino spagnolo di origine libica soprannominato "Rabeh", che stava scontando una pena nella prigione catalana di Brians I per reati legati al terrorismo, era entrato in contatto con la cellula, con l'intenzione di compiere un attacco una volta uscito dal carcere.

Ma settantadue ore dopo il loro arresto, soltanto tre dei 18 jihadisti sono rimasti in prigione. I media catalani, citando fonti di polizia, hanno riportato che sebbene tutti i 18 membri della cellula fossero radicalizzati, i tredici membri dediti al furto e alla contraffazione dei documenti sono stati rilasciati senza nemmeno essere comparsi davanti al tribunale perché non era possibile provare oltre un ragionevole dubbio la loro intenzione di partecipare a un attentato. Presumibilmente sono tornati ai loro illeciti mezzi di sussistenza quali il borseggio, il traffico di droga e la contraffazione dei documenti di identità. Altri due sono stati rilasciati a condizione che promettessero di non lasciare la Spagna.

Barcellona è in allerta dall'agosto del 2017, quando il 22enne Younes Abouyaaqoub, un membro di una cellula jihadista di 11 persone con base in Catalogna, alla guida di un furgone fece strage di pedoni sulle Ramblas, la principale arteria turistica della città. Poche ore dopo, cinque membri della stessa cellula a bordo di un veicolo si lanciarono contro la folla nella vicina città costiera di Cambrils. In quell'attacco, una donna spagnola perse la vita e molte altre persone rimasero ferite.

Il 23 dicembre 2018, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha messo in guardia dal rischio di un attacco jihadista a Barcellona durante le festività natalizie e di Capodanno. L'allarme di sicurezza ha avvisato i cittadini americani di "prestare una maggiore cautela nelle zone in cui ci sono movimenti di veicoli compresi bus, nell'area delle Ramblas di Barcellona (...) Terroristi potrebbero compiere un attacco prendendo di mira località turistiche, trasporti o altri luoghi pubblici".

La polizia catalana in seguito ha dichiarato che stava cercando un autista di autobus marocchino di 30 anni, di nome Brahim Lmidi, sospettato di pianificare un attentato a Barcellona e di "investire" i pedoni con un "bus o qualcosa di simile". Lmidi, che è a piede libero, sarebbe legato a una moschea salafita a Vilanova i la Geltrú, una località balneare a sud di Barcellona.

Il 22 dicembre, un jihadista marocchino di 33 anni, identificato solo dalle iniziali del suo nome e cognome M.E.M., è stato arrestato a Mataró (Barcellona) perché sospettato di appartenere allo Stato islamico. Il detenuto aveva lasciato il Marocco nel maggio del 2014 per unirsi allo Stato islamico in Siria. La polizia ha detto che l'uomo era arrivato in Spagna nel giugno del 2018, dopo aver lasciato la Siria passando attraverso la Turchia, la Germania e l'Ucraina, fra gli altri paesi. M.E.M. ha circolato in Europa senza documenti, seguendo la pratica usuale di distruggere passaporti e carte di identità per evitare di essere identificato dalle forze di sicurezza. Viveva come senzatetto a Barcellona per evitare di essere scoperto.

Il 18 dicembre, Khalid Makran, un jihadista olandese di 29 anni, è stato arrestato in una stazione di servizio lungo l'autostrada A7 nei pressi di Tarragona, a sud di Barcellona. La polizia è stata allertata dopo che nelle vicinanze di Vilaseca Makran aveva ricoperto i muri della sua camera d'albergo con scritte di propaganda jihadista.

Il 20 agosto, Abdelouahab Taib, un algerino di 29 anni residente in Spagna, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalla polizia dopo che era entrato armato di coltello in un commissariato a Cornellà de Llobregat (Barcellona) urlando "Allahu Akbar!" ("Allah è il più Grande!").

L'1 agosto, due jihadisti marocchini che vivevano a Mataró (Barcellona) sono stati arrestati perché sospettati di reclutare combattenti per lo Stato islamico. La polizia ha detto che uno degli uomini, Mostafa Bechri Boulben, 46 anni, utilizzava fino a 10 telefoni cellulari per comunicare con i combattenti in Iraq e in Siria.

L'8 giugno, la polizia spagnola ha chiesto l'espulsione di Mohamed Attaouil, presidente del Centro culturale islamico Imam Malik di Salt (Girona), perché la sua presenza in Spagna rappresentava un "rischio significativo e concreto per la sicurezza pubblica". Attaouil era considerato "un caposaldo" della comunità musulmana catalana e il "leader del movimento salafita" nella regione.

L'11 maggio, Tarik Aazane e Rachid el Founti, due marocchini jihadisti residenti rispettivamente nelle città catalane di Roda de Ter e Torello, sono stati condannati a otto anni di prigione per il reato di indottrinamento terroristico. L'Audiencia Nacional (il Tribunale nazionale), si è espressa in merito all'accusa mossa ai due di aver diffuso più di 600 video, commenti e immagini pubblicati sui social network per promuovere lo Stato islamico. I due uomini avevano inoltre indottrinato due donne spagnole nel tentativo di integrarle nel movimento jihadista. Una delle donne ha dichiarato di essere "pronta a morire per Allah". L'altra donna, una ex skinhead neonazista, "si è sottoposta a un processo di cambiamento estetico, indossando capi di abbigliamento tipici della cultura musulmana". La polizia ha detto che la sua conversione "all'Islam è stata più facile a causa del sentimento anti-ebraico [da lei nutrito]".

Il 10 aprile, dieci membri di una cellula jihadista dello Stato islamico sono stati condannati a pene detentive congiunte di quasi cento anni per un complotto finalizzato a far esplodere monumenti e a decapitare infedeli a Barcellona. La cellula, composta da cinque marocchini, da quattro spagnoli e da un brasiliano, era separata dal gruppo jihadista che uccise 16 persone a Barcellona e nei pressi di Cambrils, nell'agosto del 2017.

Questa cellula – chiamata "Fraternità islamica, gruppo di predicazione del jihad" – è stata creata in una moschea a Terrassa, una città situata a 30 km da Barcellona, con l'obiettivo di stabilire un califfato islamico mondiale.

I procuratori hanno dichiarato che "l'unico scopo della cellula era quello di realizzare e servire gli obiettivi dello Stato islamico e compiere in qualsiasi momento un attacco contro istituzioni come la polizia, le banche o gli interessi ebraici".

I capi della cellula – Antonio Sáez Martínez (un convertito spagnolo all'Islam noto anche come "Ali il barbiere") e Lahcen Zamzami e Rida Hazem, entrambi di nazionalità marocchina – credevano di raggiungere il paradiso, "attaccando istituzioni, entità, organizzazioni e simboli della cultura occidentale".

La Catalogna indipendentista conta 7,5 milioni di abitanti, di cui circa 520mila musulmani, che rappresentano il 7 per cento della popolazione complessiva catalana. In confronto, la popolazione musulmana della Catalogna è più alta – come percentuale della popolazione totale – rispetto alla popolazione musulmana dell'Austria (6,9 per cento), della Gran Bretagna (6,3 per cento), della Germania (6,1 per cento), dell'Italia (4,8 per cento) e della Svizzera (6,1 per cento), stando alle stime del Pew Research Center.

Secondo le statistiche ufficiali catalane, in alcune municipalità catalane – come Castelló d'Empúries (48 per cento), Salt (40,5 per cento) e Sant Pere Pescador (39 per cento) – gli immigrati per lo più provenienti dal Marocco costituiscono quasi la metà della popolazione.

Un dispaccio diplomatico americano di cinque pagine, datato 2 ottobre 2007, descriveva il legame esistente tra l'immigrazione di massa in Catalogna e l'avanzata dell'Islam radicale nella regione, con queste parole:

"Una forte immigrazione – sia legale sia illegale – dal Nord Africa (Marocco, Tunisia e Algeria) e dal Sudest asiatico (Pakistan e Bangladesh) ha fatto della Catalogna un polo di attrazione per i reclutatori di terroristi. (...) La polizia nazionale spagnola stima che più di 60mila pakistani potrebbero vivere a Barcellona e nell'area circostante; la maggior parte di loro sono uomini, celibi e privi di documenti di identità. Ci sono ancor più immigrati dal Nord Africa. (...) Vivono ai margini della società spagnola, non parlano la lingua, sono spesso disoccupati e hanno pochissimi posti dove praticare la loro religione con dignità. (...) Singolarmente, queste circostanze fornirebbero un terreno fertile per il reclutamento di terroristi; prese tutte insieme, la minaccia è chiara... .

"Non vi è dubbio che la regione autonoma della Catalogna è diventata una base operativa primaria per attività terroristiche. Le autorità spagnole dicono di temere la minaccia proveniente da queste comunità atomizzate di immigrati inclini al radicalismo, ma di avere pochissime informazioni su di esse o di avere una capacità molto limitata di penetrazione in questi gruppi."

Nel suo libro, Gihadisme: L'amenaça de l'islamisme radical a Catalunya, l'analista del terrorismo catalano Jofre Montoto ha stimato che almeno il 10 per cento dei musulmani in Catalogna sono "irriducibili sostenitori della dottrina del jihadismo".

Molti dei problemi che la Catalogna ha con l'Islam radicale sono autoinflitti. Nel tentativo di promuovere il nazionalismo catalano e la lingua catalana, i partiti indipendentisti promuovono da decenni l'immigrazione dai paesi musulmani arabofoni, nella convinzione che questi immigrati (diversamente da quelli provenienti dall'America Latina) parleranno la lingua catalana anziché lo spagnolo.

Un rapporto di intelligence trapelato al quotidiano catalano La Vanguardia ha rivelato che metà delle 98 moschee salafite in Spagna si trova in Catalogna. Il report ha inoltre mostrato che le municipalità catalane di Reus e Torredembarra (Tarragona), Vilanova i la Geltrú (Barcelona) e Salt (Girona) sono centri del salafismo, un'ideologia fondamentalista che chiede apertamente di rimpiazzare la democrazia occidentale con un governo islamico basato sulla legge della Sharia. Il rapporto afferma:

"La dottrina salafita invoca un ritorno alle origini dell'Islam con ripetuti messaggi che potrebbero essere considerati fortemente contrari a una integrazione culturale armoniosa nel rispetto della parità di diritti tra uomini e donne... .

"I centri religiosi salafiti scoperti in Catalogna sono contrari a qualsiasi interpretazione del Corano che non sia la più rigorosa (...) e allo stesso tempo chiedono una 'purificazione' dei credenti musulmani dalle influenze straniere.

"Questa interferenza religiosa si traduce nell'obbligo per le donne di vestirsi in modo più castigato e nel divieto, soprattutto per le adolescenti, di frequentare scuole con classi miste. Questo presuppone una rottura profonda con i valori della libertà individuale che sono garantiti dalle leggi europee. Per gli uomini, come per le donne, l'ideologia salafita potrebbe influenzare una radicalizzazione e, alla fine, diventare un problema di convivenza".

Pierre Conesa, un ex alto funzionario del ministero della Difesa francese e autore di una mezza dozzina di libri sull'Islam radicale, ha asserito che la Catalogna e il salafismo sono ormai inseparabili:

"La Barcellona è una città che ha a da sempre accolto una qualche forma di radicalizzazione. Per un certo periodo, la città ha caldeggiato i Fratelli Musulmani, poi il Tablighi Jamaat [un movimento missionario islamico sunnita che propende per un'interpretazione rigorosa e letterale dell'Islam] e adesso i salafiti.

"C'è una sorta di immersione radicale in Catalogna. Se Londra è da tempo la culla del Londonistan, Barcellona è una città salafita, dove un nucleo di radicalizzazione salafita si è formato nel corso del tempo ad immagine di Molenbeek in Belgio o di Trappes in Francia".

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.




#DiarioCatalano - ¡Arriba Tajani!
Alex Storti
30 maggio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8286305188


Ieri, 29 maggio, a Bruxelles, ai due eurodeputati catalani eletti nella lista Junts Per Catalunya, ossia Carles Puigdemont e Toni Comín, è stato impedito fisicamente l’accesso all’europarlamento.
I due vi si erano recati per la consueta prassi di accreditamento, così come stavano facendo altri colleghi eletti in Catalogna, nei Paesi Baschi e in Spagna.
Ma mentre per tali colleghi non ci sono stati ostacoli di sorta, Puigdemont e Comín sono stati respinti, dapprima con la contraddittoria scusa che non fossero ancora state trasmesse le liste degli eletti da parte delle autorità spagnole -e allora perchè gli altri han potuto accreditarsi?-, quindi con un silenzio imbarazzato, una volta sollevata la contraddizione di cui sopra.

La gravità del fatto accaduto ieri a Bruxelles è dimostrata da quanto accaduto in seguito: le fonti giornalistiche più attendibili e lette nella capitale belga hanno cominciato a parlare di scandalo; gli eurogruppi spagnoli del PSOE (socialisti), del PP (popolari) e di C’s (ciudadanos) hanno formalmente chiesto al presidente dell’Europarlamento Tajani -Forza Italia- e al segretario generale Welle -CDU- di ritirare gli accreditamenti già consegnati agli altri eletti nella circoscrizione spagnola.

Ma perchè tutto questo contorcimento formalistico per bloccare una prassi pacifica e consolidata?
Adesso ve lo spiego.

La legge elettorale spagnola sull’europarlamento prevede, unica nell’UE, che gli eletti, dopo essere già stati votati e quindi dopo essere già stati, per l’appunto, eletti, giurino a Madrid sulla Costituzione dello stato.
La presidenza dell’Europarlamento, i citati Tajani e Welle, per la prima volta dal 1979, ha accettato di accreditare gli eurodeputati eletti nella circoscrizione spagnola solo quando la Giunta Elettorale di Madrid avrà trasmesso la lista ufficiale degli eletti stessi che, nel frattempo, avranno dovuto però prestare il suddetto giuramento.
La Giunta ha già detto che non ratificherà l’elezione di quei deputati che non avranno prestato giuramento, e che pertanto espungerà il nome dell’eurodeputato assente al giuramento dalla lista da inviare a Tajani.
Il quale quindi si riterrà libero di escludere Puigdemont e Comín dall’europarlamento.

Voi vi domanderete: ma perchè i due eletti catalani non dovrebbero andare a Madrid a prestare un semplice giuramento?
Va bene che sono indipendentisti, ma non sarebbe la prima volta che dei separatisti catalani giurano con formule tali da salvare la propria dignità e al contempo anche i formalismi burocratico-amministrativi spagnoli. Suvvia, se serve per andare all’europarlamento e avere un’enorme vittoria politica portando le rivendicazioni repubblicane e indipendentiste della Catalogna a Bruxelles, può valerne la pena, no?

No.
No, perchè la ragione per cui la Giunta Elettorale spagnola vuole che Puigdemont e Comín giurino di persona a Madrid è un’altra.
Lo vogliono perchè, secondo la visione kafkiana e dittatoriale dei burocrati madrileni, l’elezione ad eurodeputati si perfezionerebbe solo dopo il giuramento, con la conseguenza che fino a quel momento Puigdemont e Comín sarebbero ancora semplici cittadini catalani.
E in quanto tali arrestabili.

Sì, signore e signori.
Il presidente dell’Europarlamento Tajani e il suo braccio destro tedesco Welle si stanno prestando a questo gioco delle parti, in cui la massima istituzione rappresentativa dei cittadini dell’Unione Europea si piega ai diktat formalisti spagnoli, con un preciso scopo: costringere i due eurodeputati catalani in esilio a scegliere fra il rientro in Spagna -e il conseguente probabilissimo arresto- o la rinuncia al seggio per cui li hanno votati oltre un milione di cittadine e di cittadini della Catalogna.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven apr 05, 2019 7:55 pm

Catalogna, perché il processo agli indipendentisti riguarda tutti (ma pochi ne parlano)
Susanna Marietti
5 Marzo 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... no/5012335

Nei giorni scorsi sono stata a Madrid in veste di osservatrice internazionale indipendente del processo agli indipendentisti catalani. Si tratta degli eventi legati al referendum per l’indipendenza della Catalogna tenutosi il primo ottobre 2017. Al processo, come è noto, non compare Carles Puigdemont, che si trova attualmente in esilio. Ero stata chiamata dalla piattaforma International Trial Watch, che ha coinvolto persone da tutti i Paesi europei affinché si gettasse uno sguardo attento a quanto sta accadendo nel palazzo del Tribunal Supremo.

È infatti indubitabile che il processo cominciato lo scorso 12 febbraio non sia un processo ordinario. Non solo per i diretti protagonisti, bensì per tutti noi, che dovremmo dunque prestare attenzione a quanto sta avvenendo nel cuore dell’Europa: l’uso massiccio dello strumento penale in una questione eminentemente politica, la minaccia di decine di anni di carcere per persone colpevoli di reati essenzialmente di opinione, la ricomposizione anche plastica in un’aula di tribunale di schieramenti partitici che vedono sul banco dell’accusa – e dei testimoni da lei chiamati – la formazione di estrema destra Vox e il Partito Popolare e sul banco degli imputati esponenti di spicco di forze politiche indipendentiste.

Sia chiaro che non voglio qui minimamente parlare della questione dell’indipendenza della Catalogna. Non è questo il punto sul quale è stato costituito l’osservatorio internazionale di cui sono parte. Intendo parlare esclusivamente del processo medesimo, di questo strumento che si sta utilizzando per contrastare un dissenso di massa. I 12 imputati in questo filone processuale – di tre diverse “categorie”: membri del governo catalano, membri del Parlamento catalano ed esponenti della società civile – sono accusati di ribellione, sedizione e malversazione. Affinché si diano i reati principali, è necessario che i fatti si siano svolti in maniera violenta. Gli imputati rivendicano come, né il primo di ottobre né nei giorni precedenti, le manifestazioni di piazza non abbiano mai evidenziato un atteggiamento aggressivo, se non da parte della polizia spagnola.

Ho assistito personalmente all’interrogatorio di Jordi Cuixart, il quale ha un figlio di neanche due anni di età che quasi non lo conosce, visto che si trova in carcere da oltre 16 mesi (l’uso della custodia cautelare in questo processo è un’altra cosa sulla quale bisognerebbe interrogarsi). Cuixart è il presidente di Omnium Cultural, un’associazione culturale di società civile molto sentita e partecipata dai catalani. “Sono un prigioniero politico, non sono un politico prigioniero”, ha detto in aula. Sono stati analizzati davanti ai giudici tutti i suoi tweet lanciati in quel 20 settembre 2017 in cui Barcellona scese in piazza per protestare contro l’irruzione della Guardia Civil spagnola nei palazzi del governo catalano. Noi siamo un popolo pacifico e continueremo a esserlo, la nostra è una disobbedienza civile non violenta per la democrazia, non rispondiamo alle provocazioni e lasciamo agli altri l’uso della forza, noi ci battiamo solo per i diritti fondamentali di ognuno: questo il tenore di ogni frase scritta quel giorno e nei giorni successivi da Cuixart.

Quest’uomo rischia di passare il resto della sua vita in prigione. La sentenza del Tribunal Supremo è inappellabile. Quel che accadrà nelle prossime settimane segnerà per sempre la sorte umana di queste persone, ma segnerà anche il livello di invadenza della repressione penale nelle vicende politiche di un Paese. È qualcosa che ci riguarda tutti come cittadini europei. Ripeto: non è dell’indipendenza che voglio parlare. E neanche del fatto se sia stato più o meno giusto decidere, dopo essersi visti rifiutare ogni richiesta e forma di compromesso dal governo Rajoy, di mettere in campo un atto di disobbedienza civile volto a contarsi attraverso un voto che era stato dichiarato incostituzionale.

Voglio parlare del fatto che in quell’aula si sta ragionando di seppellire sotto secoli di carcere persone che tale disobbedienza civile – una pratica che da Gandhi a Martin Luther King a Nelson Mandela è da sempre stata strumento di avanzamento delle società – l’hanno portata avanti del tutto pacificamente. Voglio parlare del fatto che non si sta minacciando una multa, un’interdizione dai pubblici uffici, una sanzione amministrativa, bensì quella stessa galera in cui il regime sudafricano dell’apartheid ha tenuto Mandela per 27 anni. Questo sta accadendo alle nostre porte. I nostri giornali ne stanno parlando troppo poco. Non giriamoci dall’altra parte. Teniamo gli occhi aperti su quanto sta accadendo nella vicinissima Madrid.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven apr 05, 2019 7:56 pm

Catalogna: scontri Vox-indipendentisti
Sindaca Barcellona incita contromanifestazione anti-sovranisti
30 marzo 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/e ... SOX9RdiOBw

(ANSA) - ROMA, 30 MAR - Il gruppo sovranista spagnolo Vox ha manifestato oggi a Barcellona per l'unità della Spagna in una manifestazione sfociata in tafferugli fra la polizia catalana dei mossos d'esquadra e indipendentisti catalani, chiamati a ad una contromanifestazione dalla sindaca, Ada Colau, e ai quali si sono uniti gruppi di antifascisti.
La manifestazione dell'estrema destra è stata lanciata dal leader di Vox, Santiago Abascal, scrive il quotidiano conservatore El Mundo, per lanciare la campagna elettorale, che avrà come pietra angolare l'unità del Paese, e ha raccolto diverse migliaia di simpatizzanti in Plaza de Espana, dove si sono viste moltissime bandiere spagnole.
Vox aveva chiesto lo stadio Palau Sant Jordi per tenere l'evento, che è stato negato - ufficialmente per motivi di sicurezza - dalla sindaca Colau: "Vogliono che andiamo lì con loro. Non ci andremo, ma neppure ce ne staremo a casa", scrive il sito Catalan News, citando la sindaca.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven apr 05, 2019 7:57 pm

Dalla Catalogna libera ai neo-franchisti, metamorfosi della Lega
di Carlo Lottieri
5 aprile 2019

https://www.facebook.com/cattolicivenet ... 1612168618

https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/04/ ... 8.facebook

La trasformazione della Lega è giunta, a questo punto, alla sua conclusione. In origine quello creato da Umberto Bossi era un partito sorto sulla scia dei movimenti regionalisti, dopo un incontro con Bruno Salvadori, giornalista e militante dell’Union Valdôtaine. Oggi tutto è cambiato. Una Lega non più “Nord” (e tanto meno “Lombarda”) è ormai interprete di una logica nazionalista, perfino ben disposta a guardare con favore alle formazioni più aggressive e intolleranti.

Lunedì, a Milano, alla riunione organizzata da Matteo Salvini prenderanno parte anche i neo-franchisti di Vox. Si tratta di una formazione di estrema destra che ha conseguito un notevole successo politico – specie in Andalusia – a seguito della crisi catalana, nel momento in cui ha sposato le posizioni più autoritarie ed è perfino riuscita a essere ammessa sui banchi degli accusatori nel processo intentato contro l’opposizione politica dei separatisti catalani.

La presenza a Milano dei neo-fascisti spagnoli è emblematica, dato che si tratta di un partito che non nasconde la propria ideologia. Mentre il Partido popular ha solo legami storici “di fatto” con il franchismo (basti pensare al ruolo giocato da Manuel Braga Iribarne) ma non ha mai apertamente rivendicato una qualche continuità, con Vox tutto è chiaro. In ogni adunata si moltiplicano i saluti fascisti e le canzoni nostalgiche. Nel disegno dell’Europa immaginata da Salvini, però, le formazioni fasciste devono evidentemente essere parte di un’alleanza che esalta lo Stato nazionale e le logiche centraliste, che avversa le libertà individuali e il diritto all’autodeterminazione.

In tutto ciò vi è qualcosa di incredibile, poiché per decenni il progetto leghista ha guardato alle periferie degli Stati nazionali al fine di valorizzare ogni forma di libertà locale e autogoverno. Al centro della visione leghista c’erano la Valle d’Aosta e i cantoni svizzeri, la Bretagna, le Fiandre e – certamente – pure la Catalogna. Anche il primo ottobre 2017, in occasione del referendum promosso dal governo della Catalogna, tra gli osservatori internazionali ammessi dalla Generalitat figurava Roberto Ciambetti, uno dei leghisti di punta del Veneto e presidente del Consiglio regionale. In Parlamento e anche in qualche consiglio regionale gli eletti della Lega non hanno mancato, nei mesi scorsi, di farsi fotografare con i fiocchi gialli della simbologia catalana: per testimoniare la loro vicinanza a quanti, in Spagna, sono ingiustamente detenuti in attesa di giudizio.

Adesso tutto è cambiato, ma in questo modo Salvini inizia a prestare il fianco a chi non rinuncia a difendere la libertà di espressione, il pluralismo delle culture e il diritto delle comunità a governarsi autonomamente.

È significativo che proprio due giorni prima che i partiti nazionalisti e neofascisti s’incontrino a Milano, nella stessa città lombarda verrà presentato il progetto di una candidatura catalana nelle liste italiane per Bruxelles. Sabato 6 aprile, infatti, su iniziativa dell’avvocato penalista Renzo Fogliata e di un gruppo di avvocati, imprenditori e docenti universitari (soprattutto veneti) sarà illustrato il percorso individuato per candidare un ex-ministro della Generalitat catalana, costretto da più di un anno all’esilio a seguito della repressione spagnola.

Di fronte a uno Stato spagnolo in cui una parte processa un’altra, in cui quanti hanno il potere usano la magistratura per contrastare gli avversari politici, Salvini ha scelto di stare con i nazionalisti e i centralisti, con quanti non rispettano neppure le loro leggi. Dinanzi alla situazione scandalosa di un ordinamento giudiziario che sta subendo censure da ogni parte (al punto che vari tribunali di altri Paesi europei si sono rifiutati di consegnare Carles Puigdemont e gli altri esuli alla polizia spagnola), la Lega ha voluto stare con chi reprime e non con chi è ingiustamente privato della libertà.

Taluni elementi autoritari erano chiaramente riconoscibili anche nella Lega bossiana, basata sul mito di un capo incontrastato e su una totale mancanza di rispetto per quanti hanno idee diverse. Il cinismo politico di Bossi, per giunta, aveva intuito come il contrasto all’immigrazione incontrollata poteva essere un formidabile elemento di successo elettorale.

Salvini ha ripreso e sviluppato quanto ha ereditato dal Senatùr. Ha compreso che se italianizzava il partito e metteva da parte l’antimeridionalismo, gli si apriva la strada verso Palazzo Chigi. E ora pensa che un’alleanza di formazioni politiche post-fasciste, para-fasciste o anche dichiaratamente fasciste (come nel caso di Vox) possa rafforzarlo politicamente nel quadro europeo.

Cosa è rimasto di quello spirito autonomista in qualche modo germinato dall’Union Valdôtaine? Niente, assolutamente niente. Il nazionalismo ha avuto il sopravvento. La Lega di un tempo è ormai stata del tutto consumata e quella che ne ha preso il posto risponde ad altre logiche, anche perché è al servizio di ben precise ambizioni personali.

*Carlo Lottieri è direttore del dipartimento di Teoria politica dell'Istituto Bruno Leoni



Gino Quarelo
Così è la realtà della politica italiana, dei politicanti italiani, della democrazia indiretta rappresentativa e partitante nonché dei numeri delle varie forze che la determinano, meravigliarsi è da ingenui, da inesperti, da fanatici idealisti e non serve a nulla.
Oltretutto i catalani sono a maggioranza sinistri sinistrati, nazi comunisti, filo nazi maomettani e antisemiti (antisionisti e antisraeliani), non mi fanno una gran pena e non mi prendono il cuore
.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » mar mag 21, 2019 9:57 am

«Proporzionalità nel conflitto in Catalogna» — Il Bundestag tedesco guarda alla Catalogna
Il Bundestag tedesco ha ricevuto una mozione del gruppo parlamentare Die Linke per difendere la democrazia e lo stato di diritto nel conflitto catalano. Il testo della richiesta è riportato di seguito:

«Il Bundestag tedesco Stampato 19/9055.
19a legislatura 04.04.04.2019

https://www.change.org/p/sergio-mattare ... tm_term=cs



Proposta di risoluzione
dei membri del Parlamento Zaklin Nastic, Andrej Hunko, Heike Hänsel, Diether Dehm, Sylvia Gabelmann, Michel Brandt, Christine Buchholz, Sevim Dağdelen, Matthias Höhn, Stefan Liebich, Alexander S. Neu, Thomas Nord, Tobias Pflüger, Eva-Maria Schreiber, Helin Evrim Sommer, Alexander Ulrich, Kathrin Vogler e del gruppo parlamentare Die Linke.

Preservare la democrazia e lo stato di diritto nel conflitto catalano

Il Bundestag voglia decidere:

I. Il Bundestag tedesco afferma:

Il 12 febbraio 2019, il processo contro dodici leader del movimento indipendentista catalano, tra cui ex membri del governo catalano, l’ex Presidente del Parlamento e due rappresentanti della società civile catalana, è iniziato a Madrid davanti alla Corte Suprema spagnola. Sono accusati di «ribellione», «sedizione [rivolta] contro l’ordine pubblico», appropriazione indebita di fondi pubblici e disobbedienza. Sono richieste pene detentive da 16 a 25 anni. Il partito di estrema destra Vox, ammesso come querelante popolare, chiede addirittura 74 anni di reclusione.

Le accuse si riferiscono tutte allo svolgimento di un referendum sull’indipendenza il 1° ottobre 2017, precedentemente vietato dalla Corte costituzionale spagnola, e in particolare all’accusa di ribellione, che, secondo l’articolo 472 del codice penale spagnolo, presuppone una «rivolta violenta e pubblica» che non ha avuto luogo, dimostrando così la natura politica del processo. Anche la Corte Suprema di Schleswig-Holstein [Germania], nella sua sentenza sull’estradizione di Carles Puigdemont alla Spagna, ha stabilito che le accuse di ribellione e insurrezione sono inammissibili. Puigdemont e altri politici catalani non sono neanche stati estradati dal Belgio.

Il fatto che alcuni degli imputati sono in custodia cautelare da più di un anno è stato oggetto di molte critiche, così come l’esclusione del pubblico dal processo. In passato, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha ripetutamente condannato la Spagna per non aver indagato sulle accuse di tortura e, più recentemente, per comprovati maltrattamenti. Nel novembre 2018, la CEDU ha stabilito che il processo al politico basco Arnaldo Otegi ha violato il diritto a un processo equo. Anche il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha accusato la Spagna di non rispettare i Diritti Umani e le libertà fondamentali. In questo contesto, l’attuazione costituzionale del processo non è garantita.

II. Il Bundestag tedesco fa appello al governo federale a

1. insistere pubblicamente sul fatto che il processo ai leader del movimento di indipendenza catalano deve rispettare le norme dello Stato di diritto e i diritti fondamentali delle persone interessate;

2. sostenere pubblicamente l’ammissione di osservatori internazionali al processo;

3. adoperarsi per una soluzione democratica della questione catalana, negoziata di comune accordo tra le due parti e conformemente al diritto internazionale;

4. escludere qualsiasi partecipazione alla persecuzione politica di rappresentanti del movimento di indipendenza catalano;

5. promuovere iniziative in seno al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa volte a trovare una soluzione pacifica e democratica del conflitto;

6. offrire asilo in Germania a tutti coloro che sono politicamente perseguitati per «ribellione» o «sedizione» e che lo desiderano.


Berlino, 2 aprile 2019

Dr. Sahra Wagenknecht, Dr. Dietmar Bartsch e il gruppo parlamentare [Die Linke]».
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » mer mag 22, 2019 2:25 pm

I catalani, tra antiamericanismo e BDS
Di Rebecca Mieli

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 0739526283

Dopo l'attentato che ha colpito la capitale della Catalogna, un pensiero non può che andare all'attualità dell'islam in Spagna e in particolare a Barcellona, che da sempre si considera un baluardo della solidarietà nei confronti di rifugiati e minoranze etniche.

Non a caso, proprio a Barcellona si è tenuta la più grande manifestazione d'Europa in favore di rifugiati e migranti. Ogni angolo della città è tappezzato da scritte "welcome refugees" in tutte le lingue.

Per quanto riguarda il rapporto tra Barcellona e Israele, la questione è controversa e io stessa ho vissuto un'esperienza di diversi mesi in Catalogna, all'interno della quale sono stata costretta a convivere con una realtà totalmente differente da quella che viviamo in Italia.

Israele è, per la maggior parte dei catalani, uno stato fascista, colonizzatore e imperialista, frutto di un disegno politico americano mirato all'espansione degli yankee nel resto del mondo (il medio oriente in questo caso).

Barcellona appoggia il BDS, e la maggior parte della popolazione condivide questa visione ostile e colonizzatrice dello stato ebraico, tanto da permettere che con un atto ufficiale la città approvasse il suo sostegno al movimento di boicottaggio anti israeliano.

Attraverso questa decisione, a seguito di una vera e propria votazione in merito al consiglio cittadino, i responsabili hanno dichiarato di voler terminare la complicità della città con la "sistematica violazione dei diritti umani" perpetrata, secondo loro, da Israele.

Oltre a questi due dati di fatto, l'ostilità della città contro Israele l'ho percepita all'interno di un ventaglio di esperienze personali vissute nel mio periodo di Erasmus: una condizione che permette, anzi costringe, a vivere la realtà universitaria a 360 gradi, non solo in quanto accademica ma anche per quanto riguarda frequentazioni, amicizie e scambi di opinione.

Quando, seguendo due corsi di relazioni internazionali, ho avuto la fortuna di incontrare un professore italiano, credevo ahimè che fosse solo una questione linguistica ("almeno posso lamentarmi con lui in italiano").

La vera fortuna l'ho compresa solo dopo: durante il secondo corso ho avuto a che fare con un insegnante che mi ha messo davanti Fahrenheit 9-11 durante la prima lezione sul Jihadismo, un documentario che non ha nulla di storico e che rasenta il ridicolo. Lo stesso professore, da me corretto più volte nell'arco delle lezioni a causa delle falsità dette contro Israele, pur non agendo in mala fede ma seriamente convinto della veridicità della sua tesi, non ha fatto che riempirci di propaganda filo-islamica, scardinando tutto ciò che credevo di sapere su Israele e cambiando le carte in tavola in un modo che forse, in Italia, non sarebbe neanche troppo legale.

Quando, poi, si è parlato di numeri, ho visto tutte facce sbigottite quando ho evidenziato i dati del Nakba ebraico, praticamente inesistente per queste persone.

Gli attentati palestinesi? Come se me li fossi inventati. Antisemitismo? Fenómeno costruito solo per permettere a Israele di continuare con il suo genocidio.

Insomma ne ho sentite tante, ma le ho sentite senza cattiveria, come se queste persone davvero vivessero in una realtà parallela. Ecco perché, a differenza di quanto succede in Italia, non mi è stata mai tappata la bocca, la principale università di Barcellona mi ha accolto con un ambiente ostile e mi ha lasciato con grandi soddisfazioni, con un insegnante filopalestinese un po' più con i piedi per terra e più dedito alla consultazione di fonti meno di parte, con un insegnante italiano inizialmente scettico verso la mia volontà di aprire un dibattito in classe su Israele che, alla fine, citando il mio punto di vista, mi ha augurato una straordinaria carriera accademica.

A Barcellona odiano il fascismo, e per loro tutti i vincitori, i fortunati, tutti i potenti sono un po fascisti. Ho visto il terrore nelle aule universitarie per la candidatura di Donald Trump, ma allo stesso tempo disdegno verso l'incoerenza di Obama e della Clinton, come se la causa di tutti i mali del mondo fossero gli Stati Uniti, a prescindere da chi li guidasse. Il disprezzo per la cultura statunitense è tale che si rispecchia anche nel disprezzo verso Israele, considerato come un prodotto made in USA, totalmente illegittimo, illegale, razzista, capitalista, e quanto altro di peggio possa esistere. Immaginate di aver vissuto sotto una dittatura fascista per quarant'anni, e capirete perché anche il minimo riferimento ad un politico o ad un paese con un governo conservatore, magari anche lievemente militarizzato, sia da considerarsi intollerabile.

Questo é il motivo per cui la Sindaca di Barcellona ha scelto di dichiarare, subito dopo l'attentato "No permitiremos que el odio y el racismo se instale entre nosotros. Barcelona seguirá siendo una ciudad de paz, democrática, orgullosa de su diversidad y convivencia", senza nemmeno utilizzare la parola Terrorismo. Figuriamoci terrorismo islamico, un termine che, in Catalogna, si utilizza quando ci si vuole suicidare politicamente. Oltre a tutto questo, la Catalogna desidera fortemente distaccarsi dalla Spagna, creando uno stato nuovo, una repubblica non impegnata in Medio Oriente a fianco del diavolo americano, lontano da una monarchia con una storia ultracattolica e conservatrice e soprattutto dalla totalizzante unione europea.

In un contesto del genere é chiaro che Barcellona, e la Catalogna in generale, risultano esser basi più appetibili per la permanenza dei nuovi immigrati, che trovano certamente un ambiente accogliente e favorevole alle esigenze culturali e religiose delle correnti islamiche più antioccidentali. In sostanza, é impossibile negare l'esistenza di una connessione tra gli attacchi perpetrati contro una città aperta a tutte le etnie e a tutti i credi come Barcellona, che non ha mai anteposto la sicurezza dei propri cittadini alla libertà degli stranieri (in particolari quelli provenienti da nazioni sommerse da conflitti e disagi sociali), e il rifiuto di identificare il terrorismo islamico in quanto tale, considerato un termine - arma per giustificare gli interventi statunitensi in Medio Oriente degli ultimi cinquant'anni.

Appoggiare il BDS non sembra più essere una follia, ma la tipica risposta di chi vuole combattere gli Interessi americani, poco importa che, a distanza di settant'anni, Israele sia diventato un baluardo di civiltà e democrazia in un contesto quasi barbarico quale il mondo del radicalismo islamico, nel quale ancora si fa fatica a rispettare i diritti umani fondamentali. In questo senso, ciò che manca ai catalani sembra essere il contatto con la realtà e soprattutto con l'avanzamento dei tempi e delle epoche.

Una dittatura lunga come quella spagnola ha creato, insomma, un danno enorme a lungo termine, un rallentamento del percorso evolutivo della politica catalana che ad oggi si ritrova ferma nel 1968, nel pieno di una protesta contro la Guerra del Vietnam. Questa volta, però, purtroppo, troppa ostinazione ha condotto a tragedia.

Barcellona é una città meravigliosa anche per la sua ingenuità, ma questa volta bisogna aggiustare il tiro.




SPAGNA. Otto attivisti BDS a processo, rischiano quattro anni
Nel 2015 gli accusati hanno chiesto la cancellazione del concerto di Matisyahu, cantante statunitense filo-israeliano vicino a gruppi fondamentalisti ebraici. Gli attivisti sono stati denunciati per reati di minacce, incitamento all’odio e violenza privata
Marco Santopadre
15 gennaio 2019

https://nena-news.it/spagna-otto-attivi ... attro-anni


Nena News – Alla crescita del vasto movimento che si batte per il boicottaggio economico, politico e culturale dell’occupazione dei territori palestinesi, Israele e le sue diramazioni in Europa e negli Stati Uniti rispondono in maniera sempre più aggressiva.

Nello Stato Spagnolo otto persone rischiano di finire in carcere per quattro anni proprio in virtù della loro partecipazione a una campagna di boicottaggio. Tra queste ci sono Jorge Ramos Tolosa, professore di Storia Contemporanea all’Università di Valencia, Irene Esteban, militante femminista, e Imma Milàn, docente della scuola secondaria.

Nel 2015 i tre attivisti per i diritti umani hanno portato avanti, insieme ad altri, una campagna rivolta agli organizzatori del festival reggae Rototom Sunsplash di Benicàssim – approdato nel Paese Valenzano dall’Italia – affinché cancellassero il concerto di Matisyahu (Matthew Paul Miller), un cantante statunitense filoisraeliano e seguace di gruppi ebraici fondamentalisti.

L’artista è noto per aver collaborato alla raccolta di fondi per l’esercito israeliano insieme all’associazione degli Amici delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), per l’Aipac, la potente lobby filoisraeliana attiva negli Stati Uniti, e per ‘StandWithUs’, un gruppo di propaganda antipalestinese legato a Tel Aviv. Non solo: Matisyahu ha collezionato un consistente numero di esplicite prese di posizione, come quando ha negato l’esistenza storica e l’identità del popolo palestinese o ha giustificato la strage compiuta nel 2010 dalle teste di cuoio israeliane a bordo della Mavi Marvara, una delle imbarcazioni che facevano parte della Freedom Flotilla (un convoglio internazionale di solidarietà che tentava di portare aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza assediata da Tel Aviv).

Proprio nel 2015 Miller pubblicò una foto insieme ad un colono israeliano accusato di aver bruciato vivi tre palestinesi provocandone la morte.

Per questo i tre valenzani Jorge Ramos, Irene Esteban e Imma Milán, insieme ad altri attivisti catalani, chiesero al Rototom, in coerenza con i valori di libertà e il rispetto dei diritti umani che almeno teoricamente il festival afferma di difendere, di rinunciare a far suonare un cantante così fortemente schierato a favore delle politiche coloniali e militariste di Israele.

“La ripetuta difesa di Miller dei crimini di guerra israeliani e le gravi violazioni dei diritti umani, l’incitamento all’odio razziale e le connessioni con gruppi estremisti e violenti fondamentalisti in Israele sono in diretta contraddizione con diritti umani e principi di pace e spirito di questo festival” spiegavano i coordinatori della campagna BDS agli organizzatori del festival.
La campagna di pressione si svolse per lo più sui social network, riuscì a sollevare la questione – soprattutto grazie alle furiose polemiche scatenate dagli ambienti filoisraeliani e alle prese di posizione di alcuni degli altri ospiti previsti – ma non a impedire la prevista esibizione di Matisyahu.

Quando la direzione del festival chiese a Miller di pronunciarsi apertamente a favore del diritto dei palestinesi ad avere un proprio stato e contro la discriminazione ottenne uno sdegnato rifiuto costringendo gli organizzatori ad annullare la data. A quel punto gli ambienti filoisraeliani, compresa la Federazione delle Comunità Ebraiche Spagnole, accusarono il festival di essere “razzista e antisemita”. Gli organizzatori cedettero e fecero pubblicamente ammenda. Alla fine il concerto di Miller si svolse regolarmente.

Si trattò di una campagna totalmente pacifica, eppure ora gli attivisti rischiano una pena di quattro anni di reclusione e l’inabilitazione dai pubblici uffici. Ramos, Esteban e Milàn e altri cinque attivisti sono infatti stati denunciati per i reati di minacce, incitamento all’odio e violenza privata e ieri sono comparsi davanti a un giudice del tribunale di Valencia, avvalendosi della facoltà di non rispondere alle domande della corte.

Il procedimento giudiziario è partito nel 2017, frutto della denuncia presentata dall’avvocato Abel Isaac de Bedoya Piquer, presidente del “Comitato Legale contro l’Antisemitismo e la Discriminazione” e negli ultimi anni difensore di vari esponenti dell’estrema destra neofascista e di alcuni dirigenti del Partito Popolare processati per corruzione.

“Il processo nei nostri confronti – denunciano gli attivisti, che ovviamente si appellano alla libertà di espressione – mira a zittire il dibattito generato dal movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni a Israele e a criminalizzare le sue campagne. Nulla a che vedere con l’antisemistismo”.

“L’identità religiosa dell’artista non ha mai avuto alcuna importanza per noi. Qualsiasi persona – indipendentemente dalla sua identità – che difenda o collabori con i crimini razzisti e violenti di Israele non è coerente con un festival come il Rototom Sunsplash” affermava nel suo appello la campagna Defensem el Drets Humans.

Sabato al Palazzo delle Esposizioni di Valencia si è svolta una manifestazione di solidarietà con gli attivisti processati alla quale hanno partecipato il musicista Pau Alabajos, la giornalista – recentemente vincitrice del premio ‘Palestine International Award for Excellence’ – la coordinatrice europea del International Jewish Anti-Zionist Network (IJAN), Liliana Córdova – figlia di una sopravvissuta alla Shoah – e la deputata al parlamento valenzano Rosa de Falastin Mustafà.

Che si arrivi a meno a una condanna degli otto attivisti, è la prima volta che una campagna di boicottaggio pacifica e pienamente legittima finisce nelle stanze di un tribunale spagnolo, il che, avvertono gli attivisti filopalestinesi, costituisce di per sé un grave e preoccupante precedente. Nena News



La Spagna più antisemita della Catalogna

Nella Spagna dei porti aperti, gli israeliani sono “personae non gratae”
Giulio Meotti
2018/06/22

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/06/ ... tae-201836

Roma. Con il caso della nave Aquarius, la Spagna del nuovo governo socialista di Pedro Sánchez ha mostrato il suo volto accogliente e aperto. Ma in sordina e lontano dalle telecamere, tutte concentrate nel porto di Barcellona, la stessa Spagna stava diventando la nazione europea più ostile a Israele. Prima c’è stata la decisione della terza città del paese, Valencia, di abbracciare il boicottaggio di Israele autoproclamandosi “zona libera dalla apartheid israeliana”. Poi il leader del terzo partito spagnolo, Pablo Iglesias Turrión a capo di Podemos, ha definito lo stato ebraico un “paese criminale e illegale”.

La città di Oviedo, capitale delle Asturie, ha poi cancellato il concerto dell’orchestra sinfonica israeliana di Netanya, citando “ragioni politiche”. Il produttore locale del concerto, che si sarebbe tenuto a Oviedo in autunno, ha ricevuto un avviso ufficiale dal comune in cui si dichiarava che la cancellazione dell’evento era il risultato di una decisione politica di “non tenere più attività israeliane in città”. Oviedo ha cancellato anche la performance di un balletto israeliano. Il Consiglio comunale di Cadice aveva già cancellato un festival di cinema israeliano, sostenendo che “contraddice l’adesione alla campagna ‘liberi dall’apartheid israeliana’”. E a Benicassim, vicino a Barcellona, il musicista ebreo e star del reggae Matthew Paul Miller, in arte “Matisyahu”, si era rifiutato di ottemperare alla richiesta della direzione del festival di musica che gli aveva imposto di produrre un video o una dichiarazione scritta nella quale il cantante avrebbe dovuto sostenere uno stato arabo-palestinese. La sua esibizione è stata annullata.

Mentre l’ambasciata israeliana a Madrid lamentava “una mancanza di cooperazione da parte della città”, arrivava la notizia della prima regione autonoma europea che boicotta ufficialmente Israele. Si tratta della Navarra, dove tutti i partiti spagnoli tranne i Popolari hanno votato la mozione in cui si invita la Spagna a “sospendere i suoi legami con Israele” fino a che il paese non cessi la sua “politica di repressione criminale della popolazione palestinese”. Ottanta città e consigli comunali spagnoli hanno già aderito alla campagna di boicottaggio di Israele.

L’ambasciata israeliana a Madrid ha scritto una lettera ai membri di Podemos in cui li accusa di praticare una “politica sistematica di boicottaggio” contro Israele, dopo che un gruppo di deputati ha deciso di non partecipare a un incontro in programma con l’ambasciatore israeliano Daniel Kutner. La El Al, compagnia aerea di bandiera d’Israele, aveva intenzione di creare un volo diretto da Santiago di Compostela a Tel Aviv, ma il progetto è stato bocciato dai dirigenti turistici spagnoli come atto simbolico d’appoggio al boicottaggio.
“Navarra 1498-Pamplona 2018”

È notizia di ieri che anche la città di Pamplona ha dichiarato i funzionari israeliani “personae non gratae” in città. Stavolta i socialisti hanno votato contro, mentre il Partito nazionalista basco, Podemos e il Partito comunista si sono schierati a favore. L’ambasciata israeliana a Madrid ha condannato la risoluzione, ricordando che “il regno di Navarra è stato l’ultimo della penisola iberica a espellere gli ebrei e il Consiglio comunale di Pamplona è stato il primo a dichiararci persona non grata. ‘Navarra 1498: ebrei fuori - Pamplona 2018: ci è vietato entrare’”. D’altronde il Mundo, il giornale che ha contribuito a modellare la storia recente della Spagna, ha pubblicato un articolo di Antonio Gala, venerato maestro delle lettere iberiche. Titolo, Los elegidos?, gli eletti, in cui parlando di Gaza scrive che gli ebrei hanno “meritato” l’espulsione dalla Spagna nel 1492. I porti spagnoli sembrano aperti a tutti, tranne che agli israeliani.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » gio mag 23, 2019 1:42 pm

Spagna, ecco il partito islamico: "È una minaccia alle libertà"
Roberto Pellegrino - Gio, 23/05/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 99808.html

Vogliono entrare in 6 consigli comunali e Vox accusa i catalani: "Preferiscono il Corano alla Costituzione"

Madrid A parere di Ignacio Garriga, Presidente del Comitato esecutivo nazionale di Vox, il Prune, il primo e unico «Partito Musulmano del Rinascimento e dell'Unione di Spagna (e d'Europa, in base ai periodi elettorali, ndr)» «è una minaccia concreta alle nostre libertà, perché dietro alla parola rinascimento, nasconde il termine più temibile di riconquista della penisola iberica».

Garriga punta il dito contro la Catalogna, dove lo scorso dicembre, nel paesino Mollet del Vallès (Barcellona), al primo giro di comunali, due consiglieri musulmani sono stati eletti nel Consiglio. Non era mai successo nella Spagna peninsulare che un partito targato Islam entrasse con due deputati nelle istituzioni. Nelle due enclave spagnole in Marocco, Ceuta e Melilla, Prune, formatosi nel 2009, ma sempre escluso dalle urne o votato con ampio insuccesso, aveva raccolto un discreto consenso. Il 26 maggio, Prune punta a entrare nei consigli comunali di Valencia, Saragozza, Granada, Murcia, Alicante e Girona, ma i sondaggi lo danno tra lo 0,5 e l'1,5%.

Il movimento di Santiago Abascal ha aspramente criticato i partiti catalani per avere permesso l'ascesa dei musulmani in Catalogna: «I catalani preferiscono il Corano alla Costituzione spagnola, vogliono la secessione e poi permettono alla loro sinistra di allearsi con gli islamisti che predicano la Spagna unita», ha twittato Garriga che ha chiesto al Tribunale Supremo di dichiararli fuorilegge. La dirigenza di Prune invita a «ottenere sostegno, non solo tra i musulmani residenti, ma anche tra il resto degli immigrati che si sentono discriminati». Una strategia che potrebbe portare molti voti da parte di chi non si sente rappresentato. I musulmani non vogliono essere posizionati sull'asse ideologico sinistra-destra, anche se poi i leader hanno preferito allearsi a livello locale con Izquierda Unida ed Erc, partiti a favore dell'accoglienza e dei porti aperti. Ismael Cuellar de la Torre, tesoriere di Prune, ha dichiarato che «la sinistra è ricca di principi islamici che guidano la loro politica».

Prune è stato fondato a Granada nel 2009 dal giornalista e professore marocchino, Mustapha Bakkach, scomparso nel 2011. Ahmed Dib El Hioui è l'attuale presidente nazionale. È convinto che «in Spagna ci siano minoranze che soffrono l'esclusione dai partiti politici e da altri raggruppamenti». Nel 2016 e nel 2018, Prune è stato escluso, prima dalle legislative e poi dalle regionali per non aver rispettato la legge elettorale. L'anno dopo, il partito musulmano apriva tre sedi in Andalusia alla ricerca dei luoghi con una solida presenza di musulmani. Ed è bizzarro che Prune abbia eletto la città asturiana di Langreo come suo quartiere generale: un luogo storicamente molto caldo per le sollevazioni popolari.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » mer mag 29, 2019 6:08 pm

Europee, eletti i leader catalani Junqueras e Puigdemont
Roma, 27 mag. (askanews)

https://notizie.tiscali.it/esteri/artic ... -BCt05JwHc

Missione compiuta: i due principali leader indipendentisti catalani, l'ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont e il suo vice Oriol Junqueras, sono stati eletti al Parlamento europeo, malgrado il primo si trovi in esilio autoimposto in Belgio e il secondo in carcere.

L'esito appariva del tutto scontato, ma complica non poco gli scenari legali studiati da Madrid, con il processo in pieno svolgimento e dopo lo scaricabarile istituzionale che ha portato alla sospensione dei cinque accusati (fra cui lo stesso Junqueras) eletti alle politiche del 28 aprile scorso.
La Corte Suprema ha infatti scaricato sul Parlamento la decisione - che doveva essere semmai un atto giuridico - di sospendere o meno gli eletti, trasformandola in un atto politico, sicura peraltro che la Corte Costituzionale non avrebbe mai dato parere contrario.
Con Bruxelles tuttavia è tutto un altro paio di maniche: fra qualche settimana, alla proclamazione formale dei candidati, Junqueras e Puigdemont potranno godere dell'immunità parlamentare, indipendentemente dal fatto che debbano recarsi a Madrid per ricevere il mandato.
In tal caso, la Corte Suprema sarà costretta a rilasciare Junqueras e sospendere il processo, pena una serie di ricorsi che rischiano di minare grandemente il prestigio già non troppo saldo della magistratura spagnola agli occhi dei partner europei - specie dopo il ricorso della Commissione elettorale che aveva cercato di invalidare la candidatura di Puigdemont.
L'unica possibile alternativa per i giudici della Corte sarebbe di arrivare ad una sentenza express prima della proclamazione dei candidati, ma anche in questo caso non è chiaro quale sarebbe lo status di Junqueras, stante la possibilità di ricorso contro una eventuale condanna.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » lun set 16, 2019 7:08 am

Puigdemont a Lugano: «Siamo delusi dalla vigliaccheria dell’Unione europea»
LUGANO
14.09.2019

https://www.tio.ch/ticino/politica/1391 ... Dx1fE9Y3fM

Il leader indipendentista catalano spera tuttavia di sedere all’Europarlamento «entro Natale». Il modello federalista? «Ci abbiamo già provato»

LUGANO - Il suo ruolo nel referendum indipendentista catalano due anni or sono e la sua fuga per evitare l’arresto gli hanno guadagnato la notorietà internazionale. Oggi il leader indipendentista catalano Carles Puigdemont è a Lugano, dove tiene una conferenza al Padiglione Conza nell’ambito del Festival Endorfine dal titolo “Conversazione con un leader europeo. L’identità catalana”. Lo abbiamo incontrato.

A due anni dal referendum sull’indipendenza, lei è ancora in esilio, il fronte indipendentista è abbastanza diviso e, prima del 16 ottobre prossimo, dodici leader indipendentisti potrebbero essere condannati per ribellione: la via dello scontro con Madrid che avete scelto è ancora quella giusta?
«Prima di tutto devo dire che non siamo stati noi a scegliere la via dello scontro. È stato lo Stato spagnolo che ha riposto con lo scontro a una richiesta di dialogo. Un richiesta che avanzavamo da dieci anni e alla quale ci ha sempre risposto con un no. E questo perché credeva che, essendo più forte, avrebbe potuto vincere e impedire ai catalani di diventare quello che volevano. Ma si è sbagliato. Anche se lo Stato ci propone uno scontro, però, noi dobbiamo rispondere in maniera democratica e non violenta. Se lo Stato ci avesse proposto un dialogo, è lì che saremmo ora».

L’Unione europea non ha dimostrato molta empatia verso la causa catalana finora: nutre speranze riguardo alla nuova Commissione e al nuovo Parlamento?
«No davvero, perché sappiamo che l’Unione europea si comporta come un club di Stati. Siamo delusi da questa vigliaccheria e dalla mancata difesa dei diritti fondamentali, che la Spagna ha violato. Capisco che l’UE non condivida l’idea dell’indipendenza della Catalogna, ma avrebbe dovuto sostenere il diritto dei cittadini europei ad esprimersi. Quindi non ripongo molte speranze in questa Unione europea che, tra i suoi membri, conta Stati come la Spagna che non vogliono una vera unione né supportare i diritti umani fondamentali. Vorrei dire, però, che ora c’è una parte dell’opinione pubblica europea che capisce meglio quanto accade in Catalogna, prova vergogna per questo silenzio complice sulla violazione di diritti fondamentali e lo trova inaccettabile».

Siederà al Parlamento europeo prima della fine della legislatura?
«Sono convinto di sì. E spero di occupare il mio seggio prima di Natale. Ho ricevuto un mandato di più di un milione di voti e questi elettori hanno diritto di essere rappresentati al Parlamento europeo. E ogni settimana, ogni giorno in cui non vengono rappresentati e non si prende una decisione a riguardo, i loro diritti vengono violati in maniera irreparabile. L’Unione europea non ha il diritto di prendersi troppo tempo per arrivare a una decisione.

All’europarlamento sarà comunque un rappresentante spagnolo, questo non le pone dei problemi?
«Non sarà affatto così. La legge europea è cambiata. I deputati del Parlamento europeo non sono più i rappresentanti degli Stati in cui sono stati eletti, ma sono i rappresentanti di tutti i cittadini europei, compresi i catalani, gli spagnoli, i belgi o i francesi».

Lei vive in Belgio, qui siamo in Svizzera, entrambi sono Paesi plurilingui e federali: una Catalogna parte di una Spagna veramente plurilingue e federale non potrebbe essere un obiettivo per lei?
«Lo è stato. Abbiamo provato a percorrere questa strada. Abbiamo 40 anni di esperienza a riguardo. L’indipendenza non era la prima opzione, ma l’ultima. Le abbiamo provate tutte per aiutare a trasformare la Spagna in un vero Stato federale, in cui ci sia rispetto per le diverse lingue. Ma abbiamo ottenuto esattamente il contrario: continuiamo a non poter parlare catalano nel parlamento “federale” spagnolo, la Spagna non vuole che il catalano sia utilizzato dall’Unione europea, i nostri diritti storici di nazione non sono riconosciuti. È un
fallimento, cui si somma la sentenza della Corte costituzionale del 2010 contro il nostro statuto di autonomia. Non c’è modo per i catalani di essere catalani all’interno dello Stato spagnolo. Noi non avremmo problemi con la cittadinanza spagnola. La Spagna avrebbe potuto essere lo Stato dei catalani, ma hanno continuato a centralizzare, non rispettano per niente le lingue diverse dal castigliano e il re non rispetta affatto le diversità. Non possiamo continuare a vivere in uno Stato così».

Se i leader indipendentisti se la cavassero con un’assoluzione, lei rientrerebbe in Catalogna?
«Mi piacerebbe molto avere questo problema perché vorrebbe dire che i miei colleghi saranno stati trattati con giustizia. E l’unica forma di giustizia è l’assoluzione. Quindi in caso di assoluzione ritornerei perché saprei di poter confidare in una giustizia indipendente dalla politica. Sfortunatamente, però, questo non è stato il caso finora».

La sua pena, tuttavia, potrebbe essere diversa…
«Se si tratta dello stesso crimine sarebbe abbastanza strano».

E se i suoi compagni ricevessero una pena lieve? Tornerebbe in patria?
«Anche una pena lieve sarebbe ingiusta perché non sussiste alcun crimine. Nemmeno nell’ordinamento spagnolo organizzare un referendum sull’indipendenza costituisce un crimine. Hanno tirato fuori questa interpretazione qualche anno fa dal codice penale. Non si può accettare una condanna per un crimine che non si è commesso. Noi abbiamo voluto esercitare il nostro diritto all’indipendenza e la responsabilità dello Stato non avrebbe dovuto essere reprimerlo, ma permettere alla società catalana di esprimersi, a prescindere dal risultato».

Ma non dovrebbe essere il popolo spagnolo tutto a esprimersi a riguardo?
«No perché tutti i referendum di autodeterminazione riguardano la specifica minoranza nazionale. L’obiettivo è proteggere la minoranza nazionale ed è per questo che è stato impiegato lo strumento dell’autodeterminazione. È in ogni caso una questione interessante perché, anche nel caso in cui si presentasse lo scenario di un referendum esteso a tutta la Spagna, vorrebbe dire che la Spagna avrebbe quantomeno accettato che la Catalogna è un soggetto politico a pieno titolo e ha diritto a divenire indipendente. E questo benché ottenere
l’indipendenza per questa via sia impossibile. E sarei contento anche se la Spagna permettesse di organizzare un nuovo referendum sull’indipendenza in Catalogna e i catalani decidessero di rimanere in Spagna perché vorrebbe dire che la Catalogna sarebbe stata riconosciuta come un soggetto politico».

Come vede la Catalogna tra dieci anni?
«Come membro a pieno titolo dell’Unione europea, membro delle Nazioni unite e partner per le sfide che il mondo si trova ad affrontare: il cambiamento climatico, le crisi migratorie, la contrazione industriale, i diritti fondamentali».

Non è troppo ottimista?
«Se come popolo, dopo la caduta di Barcellona dell’11 settembre 1714, non fossimo stati ottimisti, oggi non parleremmo catalano, non avremmo recuperato alcune istituzioni come il Parlamento e il Governo catalani. È l’essere ottimisti nel momento della disfatta che ci ha permesso di costruire la Catalogna. Questo è lo spirito catalano. Non arrendersi mai. Siamo tra due grandi potenze, la Francia e la Spagna, sappiamo di essere una minoranza, ma vogliamo sopravvivere».
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