Epimenide da Creta

Epimenide da Creta

Messaggioda Berto » gio giu 19, 2014 10:37 pm

Epimenide da Creta
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Shamaneixemo endouropeo
di Gabriele Costa

http://www.continuitas.com/sciamanismo.pdf

Tra i molti pregiudizi che gli studi dell’Ottocento e del Novecento ci hanno lasciato in eredità, uno è ancora oggi pervicacemente diffuso, ed è l’idea che gli Indeuropei - e di conseguenza poi anche il mondo che noi chiamiamo classico – non abbiano mai conosciuto una fase etnolinguistica e culturale preistorica, che la loro tradizione debba dunque essere costitutivamente priva di ogni presunta bruttura o irrazionalità tipica delle civiltà primitive e ‘inferiori’, e pertanto che credenze, riti e perfino singoli episodi, ad esempio di cannibalismo, sacrifici umani, cacciatori di teste, etc., inequivocabilmente attestati in abbondanza nella documentazione residua, vadano attribuiti a ininfluenti e marginali influssi esterni, estranei alla civiltà indeuropea, e poi a quella classica, nel suo complesso (cfr. Costa, 2001, 2002, 2003a, 2004). (Così come quello in Costa, 2003b, anche il presente lavoro fa parte di una più ampia ricerca sulla grecità arcaica, la filosofia preplatonica e i loro rapporti con la tradizione poetica e sapienziale indeuropea, i cui risultati definitivi saranno pubblicati in Costa, 2006f, volume a cui qui, per motivi di spazio, si rinvia per ogni ulteriore approfondimento dossografico e bibliografico, e per il necessario inquadramento epistemologico, storico-filosofico e linguistico-ricostruttivo generale.)


Questo atteggiamento, culturale prima ancora che scientifico, che certo ha radici lontane che risalgono in parte agli autori classici stessi e che attraversa tutta la storia dell’umanesimo occidentale, è direttamente collegabile alla teoria invasionista e calcolitica sulle origini indeuropee, e a una visione del mondo indeuropeo, ad essa connessa, ideologicamente connotata.
La teoria calcolitica sulle origine induropee, che è ancora oggi quella standard, prevedendo infatti per i popoli di lingua indeuropea una storia compressa in pochi millenni, e postulando il loro arrivo, per il tramite di invasioni rapide e cruente, nelle sedi storiche in epoca cronologicamente troppo bassa, lascia del tutto indefinite le loro fasi preistoriche, come se gli Indeuropei, diversamente da tutti gli altri popoli del mondo, non avessero un passato che risalga oltre il V-IV millennio.

Secondo poi questa teoria, quel che accomuna in tutto o in parte le lingue e le culture indeuropee, dall’Irlanda all’India, ma che non rientra nei canoni linguistici e culturali ricostruiti, indicati a priori come superiori a ogni forma definibile come appartenente a una cultura etnologicamente ‘primitiva’ perché appunto gli inizi della cultura indeuropea non risalirebbero oltre l’età dei metalli, sarebbe genericamente da attribuire al cosiddetto sostrato indo-mediterraneo, cioè alle popolazioni nonindeuropee preesistenti nelle sedi storiche all’arrivo degli Indeuropei, o a influssi seriori e secondari provenienti da culture altre, loro sì considerate primitive.

Le due istanze, quella culturale e quella scientifica, si sono insomma intrecciate fino a formare una visione del mondo indeuropeo che ha poca verosimiglianza scientifica, che non assomiglia a nessun altra vicenda etnolinguistica e storica che conosciamo, e che tuttora inficia la ricerca, impedendole di vedere quel che da sempre è sotto gli occhi di tutti, e cioè che gli Indeuropei, in realtà, sono “gente normale” (cfr. Ballester, 1999).

A partire dal 1996 (cfr. Alinei, 1996, 2000, 2003; Costa, 1998, 2000, 2001, 2002, 2004, 2006a, 2006f), è tuttavia disponibile una nuova teoria sulle origini indeuropee, una teoria che finalmente riconcilia la linguistica comparata con i propri assunti evolutivi e storico-linguistici, con i dati provenienti dalle ricerche più recenti della paletnologia, dell’archeologia e della genetica, e risolve una volta per tutte le aporie più vistose della teoria calcolitica (ma anche di quella neolitica di C. Renfrew e L. L. Cavalli Sforza).

Secondo tale teoria, compiutamente elaborata in primis da Mario Alinei e sviluppata poi anche da altri studiosi tra cui lo scrivente, e denominata ‘teoria della continuità paleolitica’ (in inglese: Paleolithic Continuity Theory = PCT), la patria originaria degli Indeuropei sarebbe l’Africa, la stessa cioè di tutte le popolazioni moderne e di tutti i phyla linguistici del mondo; i più antichi insediamenti delle popolazioni indeuropee fuori dall’Africa corrisponderebbero ai territori occupati attualmente dalle lingue indeuropee stesse;
l’Europa sarebbe stata occupata, fin dalle prime datazioni determinate dalle ricerche, dagli Indeuropei insieme alle altre popolazioni non indeuropee presenti poi storicamente in loco, come ad esempio quelle uraliche: il rapporto etno-linguistico preistorico tra gli Indeuropei e gli altri popoli eurasiatici si configurerebbe allora come di adstrato/parastrato e non di superstrato/sostrato, saremmo cioè in quell’ambito che in linguistica teorica si definisce come di ‘lingue in contatto’; il sostrato indo-mediterraneo in quanto tale non esisterebbe e non esisterebbero popoli pre-indeuropei perché l’arrivo degli Indeuropei, e delle altre genti, coinciderebbe col primo popolamento euroasiatico di Homo sapiens sapiens; le lingue indeuropee, ma anche quelle non-indeuropee presenti nel territorio eurasiatico, sarebbero già state divise e formate a partire almeno dal mesolitico; ogni invasione massiva neolitica o calcolitica sarebbe esclusa, e le limitate invasioni e infiltrazioni locali documentate dall’archeologia o ipotizzate dalla genetica costituirebbero fattori di ibridazione e non di sostituzione; l’agricoltura si sarebbe diffusa nell’Eurasia secondo un modello complesso e integrato, a mosaico, di sviluppi locali, di acculturazione e di limitata diffusione demica da parte di gruppi an-indeuropei; le popolazioni di cultura kurganica emerse nel calcolitico, indicate dalla teoria calcolitica, nella versione di M. Gimbutas, come gli Indeuropei stessi, sarebbero invece di origine altaica, e la loro influenza sul mondo indeuropeo sarebbe stata linguisticamente, geneticamente e culturalmente piuttosto limitata; nella loro
lunghissima storia, la continuità dei contatti trans-tribali e l’identità etno-linguistica e socio-culturale delle popolazioni di lingua indeuropea, sarebbero state assicurate dalla tradizione orale e sapienziale riflessa dalla e nella lingua poetica indeuropea (cfr. Costa, 1998, 2000, 2001, 2002, 2004, 2006a, 2006f).

All’interno della PCT, anche questioni etnolinguistiche e storico-religiose quali ad esempio le tassonomie poetiche più arcaiche, i sacrifici di sangue o il culto delle teste tagliate, trovano allora una spiegazione scientificamente economica, storicamente lineare e etnologicamente coerente, poiché quanto appena detto consente di attribuire rettamente ai popoli indeuropei alcuni di quei dati che erano stati in precedenza
assegnati alle inesistenti lingue e culture di sostrato, considerandoli come vestigia di una comune eredità della vastissima e poco variata cultura paleo-mesolitica, e non valutandoli pertanto, questi o altri in generale, come extra-indeuropee a priori, ma attribuendoli o meno anche agli Indeuropei in base alle risultanze della comparazione.

Insomma, tali dati si inquadrano oggi perfettamente nella storia etnolinguistica indeuropea così come la delinea la teoria della continuità paleolitica, prevedendo cioè anche per questi popoli una preistoria paleo-mesolitica e delle fasi culturali e linguistiche preistoriche lontane, e un rapporto di contatto e di interscambio coi popoli coevi e contermini non pregiudizialmente violento e prevaricatore, e certo non ‘superiore’ a ogni influsso cosiddetto barbaro o selvaggio, o perfino estraneo a fasi etnolinguistiche ‘primitive’.

Seppure con alcune illustri eccezioni (Rohde, Dodds, Burkert, etc.), la ricerca ha tra l’altro finora sottovalutato, se non misconosciuto, anche l’importanza delle numerose e significative vestigia dello sciamanismo nelle culture di lingua indeuropea, attribuendole per lo più a influssi vicino-orientali tardi e esotici.
Di tali vestigia, basterà qui ricordarne solo alcune: per il mondo greco, Empedocle, Fr., B111:


...
...TESTO IN GRECO- (che non mi riesce di postare ma che si trova nel testo consultabile in pdf)
...

“e tutte le medicine che si producono come rimedio dei morbi e della vecchiaia, tu potrai conoscere, perché completerò soltanto per te tutti questi precetti.
Saprai calmare la forza dei venti incessanti, che sulla terra avventandosi con le loro folate distruggono i raccolti; e poi di nuovo, a tuo piacimento, riporterai gradite le brezze.
Dalla fosca pioggia farai tempestivo per la gente il secco, ed anche farai dal secco in estate, a ristoro degli alberi, i getti d’acqua che sprizzano in alto.
Saprai riportare su dall’Ade il vigore di un uomo ormai finito”.
Per il mondo celtico (cfr. Corradi Musi, 2004), si può citare quel che racconta Pomponio Mela, 3, 6, 48:

Sena in Britannico mari Ossismicis adversa litoribus, Gallici numinis oraculo insignis est, cuius antistites perpetua virginitate sanctae numero novem esse traduntur: Gallizenas vocant, putantque ingeniis singularibus praeditas maria ac ventos concitare carminibus, seque in quae velint animalia vertere, sanare quae apud alios insanabilia sunt, scire ventura et praedicare, sed nonnisi dedita navigantibus, et in id tantum, ut se consulerent profectis”.
Altresì nota da tempo e oramai assodata, è l’importanza del ruolo che lo sciamanismo gioca, tra l’altro, nella definizione della figura centrale del pantheon germanico, quella del dio Wotan/Odino; ad esempio, Snorri, Ynglingasaga, VII, parlando lui dice:
Il suo corpo giace come se dormisse o fosse morto, mentre egli diviene un uccello o una belva, un uccello o un drago e si porta lontano in un attimo in paesi lontanissimi”.

Per il mondo indiano antico (cfr. Crevatin, 1979), si possono ricordare testi come Rg-Veda, 8, 48, 1-3; 9, 113, 6-7; 10, 97, 1-6, o l’inno di Rg-Veda, 10, 136; mentre per la tradizione iranica antica, è sufficiente citare lo Artāi Vīraz Nāmak, un testo pahlavi con interpolazioni posteriori, ma che verosimilmente nella sua parte essenziale risale al periodo pre-sasanide, forse dunque al III-IV secolo d.C., e che si rifà per certo a una tradizione orale molto antica, ove troviamo la descrizione di un viaggio nell’aldilà di tipo evidentemente sciamanico, ottenuto grazie a un rituale estatico e all’uso di droghe (cfr. Belardi 1979, 1996).

E così si potrebbe continuare per le altre tradizioni indeuropee...
Insomma, il riesame senza pregiudizi delle molte e significative testimonianze di miti e riti sciamanici nelle tradizioni greca, italica, celtica, germanica, iranica, indiana, anatolica, etc., l’adeguato sfruttamento degli studi più recenti (cfr. Costa, 2004, 2005a, 2005b, 2006a, 2006b, 2006c, 2006d, 2006e), e soprattutto l’inquadramento generale del problema all’interno della teoria della continuità paleolitica, al contrario di quel che si è ritenuto finora, consente di far emergere con chiarezza l’evidenza di una fase sciamanica preistorica originale e propria alla storia etnolinguistica delle popolazioni indeuropee, uno sciamanismo indeuropeo le cui ultime propagini sono ancora ben vitali, tra l’altro, nelle grecità arcaica e storica (cfr. Costa, 2006f).
...

...così come Epimenide, lo sciamano cretese, che, chiamato a purificare Atene dalla prima grande epidemia di peste delle sua storia, purificò la città, modificò i riti funebri, e le diede quella costituzione che poi fu fissata per iscritto da Solone(cfr. Plutarco, Solone, 12, Svenbro, 1988).

Epimenide, uno dei padri della costituzione ateniese e della logica occidentale, profeta, terapeuta, maestro di tecniche della respirazione diaframmatica (cfr. Suida, s.v., Gernet, 1945), che gli consentivano di staccarsi dal corpo e viaggiare nel tempo e nello spazio, e dell’incubazione, dormì in una caverna per 57 anni (cfr. Diogene Laerzio, I, 109), e nel sonno e nel digiuno “incontrò gli dei e i loro responsi, e si imbattè in Aletheia e Dike” (Massimo di Tiro, 38,3) che gli donarono il novmo".

Quando morì ultracentenario a Sparta, racconta lo storico locale Sosibio (in Diogene Laerzio, I, 115) che il suo corpo non fu né bruciato né inumato ma conservato, perché si scoprì che la sua pelle “era tatuata di lettere” (Suida, s.v.).

Per i Greci, un uomo tatuato o è uno schiavo o è un barbaro; ma il corpo tatuato di Epimenide, greco e uomo libero, rappresenta invece il soma di uno sciamano che la scrittura tatuata trasforma in sema, in segno e in stele: la tomba di Epimenide è il suo stesso corpo, ma il corpo tatuato è un’iscrizione, pronta per essere letta (cfr. Svenbro, 1988).[/i] Licurgo, fedele alla tradizione orale e ai suoi taboo (cfr. Costa, 1998, 2000), proibì l’uso della scrittura nella legislazione, mentre Numa volle che alla sua morte i suoi scritti fossero interrati con lui; Epimenide invece accetta la scrittura segreta e iniziatica (cfr.Costa, 1998, 2000), ma rifiuta la separazione tra corpo umano e corpo scritto: la Verità di cui è maestro resta con lui, inscritta su di lui.
L’iscrizione sul suo corpo, sulla sua pelle, letta ad alta voce, consente a Epimenide, aldilà della morte del soma, di tornare come sema tra i vivi, perché la sua parola ritorna attraverso la voce che il lettore gli cede ad ogni lettura, ad ogni esegesi della traccia, ridando così significato al segno inscritto: “il soffio che lo sciamano cretese sapeva così ben controllare [...] è ora insufflato in lui quando il lettore pone il suo apparato vocale al servizio dello scritto” (Svenbro, 1988), e trasforma le lettere morte in voce vivente nel luogo stesso dove è custodito il suo corpo, incarnandosi così non la  [psiche (? da correggere la mia trascrizione)] in corpi diversi (quel che noi chiamiamo metensomatosi, ma che Greci in realtà chiamavano palingenesia), ma  [psicheat (? da correggere la trascrizione)] diverse nello stesso corpo (e questa è la metempsicosi).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Epimenide da Creta

Messaggioda Berto » gio giu 19, 2014 10:42 pm

Francesco Benozzo
Sciamani europei e trovatori occitani

http://www.continuitas.com/benozzo_sciamani.pdf

Gli studi di Costa su quello che mi sembra corretto definire lo sciamanismo europeo, l’aspetto su cui mi interessa insistere maggiormente è quello, da lui ben evidenziato, dello sciamano come poeta, cantore, musico e custode della cultura e della letteratura orale. Era infatti allo sciamano, o se si preferisce a una figura simile allo sciamano, che era spettato per millenni il compito di custodire e tramandare il vasto patrimonio – naturalmente orale – che le popolazioni europee avevano accumulato a partire dal Paleolitico superiore: si trattava – specifica ancora Costa – di una tradizione trasmessa dalla lingua poetica, la quale, in un processo che durò millenni e che portò alla sua progressiva codificazione standardizzata, divenne un ineguagliabile contenitore e veicolo di quelle antichissime forme di sapienza che, dal Paleolitico superiore erano divenute parte della tradizione orale: è sostanzialmente questo il motivo – spiega ancora Costa – per cui vi si rintracciano vestigia di tipo linguistico, rituale, mitico e cognitivo appartenenti a queste fasi lontane.
In estrema sintesi, cioè, questa lingua poetica possedeva alcune caratteristiche fondamentali:
1) si trattava di testi orali, stilisticamente marcati rispetto alla lingua quotidiana, soprattutto grazie alla presenza di strategie ritmiche e cadenzate, di formule, temi e tassonomie;
2) costituiva la summa dei saperi di una comunità;
3) era frutto di un’elaborazione collettiva;
4) nel corso della propria evoluzione diede luogo a formulazioni orali standardizzate, cioè a quelli che si possono chiamare testi fissi (per tutte queste considerazioni, cfr. Costa 1998, 2000, 2001, 2004, 2006a, 2006b).

I poeti, gli eredi degli sciamani paleo-mesolitici, diventarono una parte attiva della tradizione, cioè un anello imprescindibile della catena comunicativa formata dall’intersezione di spazio, tempo e parola. Questo ‘poeta’ disceso dagli sciamani paleo-mesolitici era dunque, come spiega efficacemente Enrico Campanile, “il professionista della parola e nel suo ambito di competenza rientrava, quindi, tutto ciò che si realizza nella parola”: oltre che sacerdote, medico, giurista, storico, egli era “colui che in poesia ricordava e celebrava le imprese gloriose di principi ed eroi, sia del presente che del passato, mosso da divina ispirazione” Campanile,
1983, 40).

Non può essere messa in discussione l’esistenza e la vitalità di queste figure di poeti presso le popolazioni celtiche che abitavano da millenni i territori dell’Europa continentale: le testimonianze della loro presenza nelle fonti in lingua latina e greca sono copiose e autorevoli, a partire da una serie di iscrizioni, fino ad arrivare alla toponomastica e alle testimonianze degli autori ‘classici’.
In particolare, sappiamo che esistevano i bardi (da una parola celtica continentale del tipo bardos, ben attestata nell’irlandese antico bárd, nel gallese antico bardd, nel cornico barth, nel bretone barz, continuazioni di *gwrd(h)os ‘colui che alza la voce, colui che elogia’), i vates (figure ben attestate anche in area celtica insulare, dove i testi antichi parlano di fàith [in Irlanda] (che ci ricordano le fate) e di gwawd [in Galles], termini legati alla radice *uat- ‘essere ispirato, essere posseduto’) e i druidae vale a dire dei ‘druidi’ (gallico *druis, irlandese druí, gallese derwydd, bretone drouiz, da una radice *dru-wid- ‘colui che ha conoscenza sicura’) (per tutti questi dati, cfr. le bibliografia specifica cit. in Benozzo, 2006).

Va specificato che, per quanto gli autori classici distinguessero queste tre categorie intellettuali, “nella realtà indigena si trattava ancora di un’unica e omnicomprensiva figura che poteva recepire nomi diversi solo in rapporto alla specifica attività che attualmente in un dato momento svolgeva” (Campanile, 1991, 156).
Si può in ogni caso affermare che queste figure polivalenti di druidi-bardi-vati operanti nell’antica Gallia non solo sono un’incarnazione evidente del poeta-sacerdote indeuropeo, ma ne costituiscono addirittura il modello più rappresentativo, essendo al tempo stesso poeti, uomini legati al sacro e uomini di legge.
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Re: Epimenide da Creta

Messaggioda Berto » gio giu 26, 2014 9:25 am

Mumia axiatega tatouà (Mongolia)

http://www.stormfront.org/forum/t716951

http://images.google.it/images?svnum=10 ... 88&bih=432

Mumia (Mongolia)

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ltaega.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -mumia.jpg

http://artmagik.webs.com/pazyryktattoochieftan.htm

http://images.google.it/images?svnum=10 ... 88&bih=432
http://www.videolife.tk/pazyryk


http://www.spiegel.de/international/0,1 ... 00,00.html


http://picasaweb.google.com/JuliannaLee ... OfMongolia
http://picasaweb.google.com/JuliannaLee ... laanbaatar


http://www.spiegel.de/international/0,1 ... 00,00.html
Ancient Mummy Found in Mongolia
The spectacular find of the frozen remains of a Scythian warrior in Mongolia by an international team of archeologists could shed new light on ancient life. Some of those findings will be the subject of a major exhibition in Berlin next year.

Scientists in Berlin this week gave their first major press conference about the spectacular discovery of a frozen mummy in Mongolia's Altai mountains. The frozen corpse, embedded in permafrost, is considered one of the greatest archeological finds since climbers came across the mummified remains of Ötzi, the ice man, in an alpine glacier. The corpse of the Scythian warrior could help provide clues about how people lived 2,500 years ago and about what illnesses they suffered.

"The mummy is unbelievably valuable to science," Hermann Parzinger, president of the German Archeological Institute (DAI), said on Thursday in Berlin. He described the mummy recently discovered in Mongolia as a "one of a kind find" that could increase our knowledge about the nutrition and health of early man.

The mummy, which is believed to be about 2,500 years old was a 30-to-40 year-old man with blond hair, and was found in very good condition, Patzinger said. It's too delicate for exhibition, but new techniques developed following other recent discoveries of frozen mummies will enable scientists to study the remains in detail. The newly discovered Altai mummy has been compared to the discovery of Ötzi in southern Tyrol in 1991 and a tattooed Siberian ice princess in 1993.

The mummy was found in a difficult to access part of the Altai mountain region at an altitude of 2,600 meters (8,500 feet) in an area bordering Mongolia, China and Russia. Scientists from Germany, Mongolia and Russia came across the intact burial mount of the Scythian warrior in permafrost ground at the end of July. The Scythians were a nomadic people who lived around 700 years BC in a region that spanned from southern Russia and the Ukraine to the Dnieper River.

The warrior, whose cause of death has not been determined, was buried in full dress. "He wore a fur coat made of marmot fur with sheep's wool lining and adorned with sable," Parzinger said. Beneath the fur coat, traces could be found of woven wool pants. The man's feet were covered by knee-high felt boots. "There could be more surprises when we remove the clothing from the partly mummified body," he added. Parzinger said researchers believe the decorations indicated he was a man of nobility.

The scientist also said there would likely by a major exhibition in Berlin next year about the Scythian warrior discovery that would, he hopes, include some of the artifacts found at the site. The man was buried together with two horses whose bridles are still in good condition. Parts of the animal carcasses were also still intact -- including flesh, skin and hide.

The finds are currently being studied in the Mongolian capital city of Ulan Bator. "But we're still not certain what will be restored," DAI President Patzinger said.


Tradusion de na makina:
Antica mummia ritrovata in Mongolia

La spettacolare trovare dei resti congelati di un guerriero Scita in Mongolia da un team internazionale di archeologi potrebbe gettare nuova luce sulla vita antica. Alcuni di questi risultati saranno oggetto di una grande mostra a Berlino il prossimo anno.

Gli scienziati a Berlino questa settimana hanno dato la loro prima conferenza stampa più importanti sulla scoperta spettacolare di una mummia congelata nelle montagne della Mongolia Altai. Il cadavere congelato, incorporato nel permafrost, è considerato uno dei più grandi reperti archeologici da scalatori sono imbattuto i resti mummificati di Ötzi, l'uomo di ghiaccio, in un ghiacciaio alpino. Il cadavere del guerriero Scita potrebbe contribuire a fornire indicazioni su come si viveva 2500 anni fa e su ciò che hanno sofferto malattie.

"La mummia è incredibilmente importante per la scienza, la" Hermann Parzinger, presidente del tedesco Archeological Institute (DAI), ha dichiarato il Giovedi a Berlino. Ha descritto la mummia recentemente scoperto in Mongolia come un "unico nel suo genere a trovare" che potrebbe aumentare le nostre conoscenze sulla nutrizione e sulla salute dell'uomo primitivo.

La mummia, che si ritiene essere di circa 2500 anni fa era un 30-a-uomo 40 anni con capelli biondi, ed è stato trovata in ottime condizioni, Patzinger detto. E' troppo delicato per la mostra, ma le nuove tecniche sviluppate a seguito di altri recenti scoperte delle mummie congelate consentirà agli scienziati di studiare i resti in dettaglio. La mummia di recente scoperta Altai è stata paragonata alla scoperta di Ötzi, nel sud Tirolo nel 1991 e una principessa di ghiaccio siberiano tatuato nel 1993.

La mummia è stata trovata in un posto di difficile accesso parte della regione di Altai montagna ad una altitudine di 2.600 metri (8.500 piedi) in una zona al confine con la Mongolia, Cina e Russia. Scienziati provenienti da Germania, Mongolia e Russia sono imbattuto la sepoltura intatta monte del guerriero Scita (???) in terra permafrost alla fine di luglio. Gli Sciti erano un popolo nomade che ha vissuto circa 700 anni aC in una regione che si estendeva dal sud della Russia e dell'Ucraina verso il fiume Dnieper.

Il guerriero, la cui causa di morte non è stata stabilita, è stato sepolto in alta uniforme. "Indossava un cappotto di pelliccia di pelliccia di marmotta con fodera in lana di pecora e ornata di zibellino," Parzinger detto. Sotto la pelliccia, le tracce potrebbero essere trovati di pantaloni di lana intrecciata. i piedi dell'uomo erano coperti da stivali di feltro al ginocchio. "Ci potrebbe essere più sorprese quando togliamo i vestiti dal corpo mummificato in parte", ha aggiunto. Parzinger detto ricercatori ritengono che le decorazioni indicato era un uomo di nobiltà.

Lo scienziato ha anche detto che ci sarebbe probabilmente da una grande mostra a Berlino il prossimo anno sulla scoperta guerriero Scita che, spera, comprendono alcuni dei reperti trovati al sito. L'uomo è stato sepolto insieme a due cavalli, i cui freni sono ancora in buone condizioni. Parti delle carcasse degli animali sono stati ancora intatta - tra cui carne, pelle e cuoio.

I reperti sono attualmente allo studio nella capitale mongola di Ulan Bator. "Ma siamo ancora certi che non verranno ripristinati," DAI presidente Patzinger detto.

ngolianHistoryUlaanbaatarTraditionalArt ... OfMongolia
http://picasaweb.google.com/JuliannaLee ... laanbaatar

http://pierluigimontalbano.blogspot.com ... ca_05.html

"Dea dei papaveri". Statuetta d'argilla proveniente da Gazi, Creta. 1500 a.C. (Museo Archeologico di Hiraklion)


Copia etrusca
http://www.flickr.com/photos/j4p/4376079000

Antenati
Il "Sarcofago degli sposi" proviene da Cerveteri, dalla necropoli della Banditaccia, ed è una grande urna-cinerario in terracotta. Risale alla seconda metà del VI secolo a.C. ed è considerato uno dei capolavori della plastica etrusca, fortemente influenzato dall’arte ionica. Singolare, nella raffigurazione dei coniugi, è il complesso e prezioso gioco delle mani oggi vuote, ma che in origine dovevano reggere coppe e patere, per un’ultima libagione. La coppia è sdraiata sul letto conviviale provvisto di materasso, coperta e cuscino, in posizione di perfetta parità, particolare che la dice lunga sul ruolo della donna nella società etrusca. Tracce di pittura sulle gambe del letto conviviale, detto "kline", provano che in origine tutta la superficie della terracotta era ravvivata da un’intensa policromia.
Il marito, dal petto possente e muscoloso, con lunghi capelli e barba , appoggia affettuosamente il braccio destro sulla spalla della consorte. Le espressioni serene dei volti, i gesti pacati, parlano di un reciproco amore e, soprattutto, di un profondo rispetto. La donna porta ai piedi le scarpe a punta dette "calcei repandi" e in testa il "tutulus", caratteristici capi di abbigliamento etruschi di origine orientale. Ha lunghe trecce che le scendono anche sul petto ed è vestita di tunica e manto. Gli occhi allungati e obliqui dei coniugi non riproducono, naturalmente, una caratteristica etnica, ma rispecchiano lo stile arcaico. Le dimensioni dei corpi – a grandezza pressoché naturale – rivelano la maestria raggiunta dagli etruschi nel modellare e nel cuocere l’argilla fin dall’epoca arcaica. La ricchezza delle decorazioni di superficie, l’attenzione alla resa delle figure con piani morbidi e sfuggenti, tutto parla della raffinatezza dell’arte etrusca dell’epoca, che aveva saputo recepire le conquiste anatomiche e spaziali greche, facendole proprie ed esaltandole con una più spiccata attenzione naturalistica.
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Re: Epimenide da Creta

Messaggioda Berto » mar mar 03, 2015 12:00 am

Spirtoaƚetà da ƚa pristoria, shamanexemo e coxmołoja shamana
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