El mito roman entel nasionałeixmo tałian

Re: El mito roman entel nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » gio feb 09, 2017 2:15 pm

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Maurizio Bettini, classicista e scrittore, insegna Filologia Classica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, dove ha fondato il Centro «Antropologia e Mondo antico». Dal 1992 tiene regolarmente seminari presso il Department of Classics dell’Università della California (Berkeley). Cura la serie «Mythologica» presso Giulio Einaudi Editore e collabora con la pagina culturale de La Repubblica.

A cura di Luca Valentini

http://www.ereticamente.net/2017/02/ere ... ntini.html


1) Nell’ambito degli studi romanologici, il suo approccio antropologico rappresenta un’assoluta novità: a suo parere, quale apporto innovativo può addurre questa inedita prospettiva?

<< La novità non è proprio assoluta. In passato c’erano già stati studi che andavano in questa direzione: cito per tutti il commento ai Fasti di Ovidio di J. G. Frazer, e diversi lavori (soprattutto sulla religione romana) che sono andati nella sua direzione in Inghilterra. Il tipo di ricerca che abbiamo introdotto noi, al Centro AMA, usa ovviamente riferimenti antropologici più recenti rispetto a questi: il vantaggio lei mi chiede? Di far vedere i Romani in una luce differente, di mettere al centro dell’attenzione temi che non fanno parte del ventaglio di domande che di solito si rivolgono alla cultura romana: un rinnovato interesse per il mito a Roma, una più attenta considerazione per le forme della parentela, per quelle della metafora – intesa non come ornamento retorico, ma come strumento cognitivo – per il mondo animale, e così via >>.

2) Nel suo testo “Elogio del Politeismo” ha evidenziato chiaramente il differente grado di tolleranza tra la religiosità arcaica e quella di origine abramitica: ritiene che la tolleranza in ambito sacrale e non solo debba essere una virtù per cui impegnarsi culturalmente?

<< Certo, direi che si tratta del primo e principale impegno che deve impegnarci culturalmente nella società contemporanea, di nuovo afflitta dallo spettro del conflitto di religione, che credevamo per sempre allontanato dai nostri orizzonti. Comprendere le ragioni dell’intolleranza, capirne i fondamenti, per smentirne in ogni momento le pretese e le false giustificazioni. Questa è davvero cultura, pensiero critico >>.

3) Sempre nel medesimo testo, è posta un’interessante precisazione circa la natura del termine “politeismo”, quale neologismo di natura prettamente moderna: l’intolleranza religiosa può, pertanto, essere intesa come un “modus cogitandi” estendibile al di là di ogni appartenenza, anche nei confronti di quei movimenti spirituali che oggigiorno si propongono come continuatori dell’Antica Religione e che sono portatori di un forte settarismo?

<< Qualsiasi movimento religioso, se settario, è automaticamente intollerante. O meglio, lo sono tutti quelli che si pongono come esclusivi, che dichiarano: il nostro dio, i nostri culti, sono gli unici “veri”, tutti gli altri sono falsi. È questa la radice del male, l’esclusivismo >>.

4) Nell’opera collettanea “Con i Romani”, da Lei curata e coordinata, è emersa una nuova prospettiva inerente la Romanità, non una civiltà egoicamente identitaria, ma una tradizione che da città è divenuta Orbs, Mondo, quale estensione imperiale e continuo del sacro Limes: Roma può aver realizzato nella storia la mitica Repubblica ideale prefigurata da Platone?

<< Nessuno è mai riuscito a realizzare la Repubblica di Platone – e forse dovremmo dire per fortuna, dato il carattere sostanzialmente totalitario che la caratterizzava -. Roma però è riuscita a mettere insieme un Impero che si fondava sull’assenza di conflitto religioso, favorendo anzi l’integrazione fra le divinità e soprattutto sulla forza del “diritto”: è questa la grande creazione dei Romani, il diritto. Certo esso non valeva per tutti, solo per i cittadini. Ma era già molto >>.

5) In un altro suo testo “Dei e uomini nella Città”, tale prospettiva viene rafforzata sia nella concezione del diritto sia nell’interpretazione dell’aratro operante il Sulcus Primigenius a forma circolare e non quadrato: simbolicamente come cambia la prospettiva rispetto alle interpretazioni del passato?

<< Ho cercato di mettere in evidenza il senso di apertura, e insieme di interesse per la “mescolanza”, che pervade il mito di fondazione della Città. Si tratta di un mito che, mentre prefigura (imperialisticamente) la creazione non di una città, ma addirittura di un “mondo”, nello stesso tempo ne mette alla base uomini di provenienze diverse, che portano ciascuno una zolla di terra della proprio terra d’origine per mescolarla assieme alle alte nella fossa di fondazione. Un forte simbolo di integrazione e insieme un forte rifiuto del culto, assai pericoloso, per la “purezza” >>.

6) Sempre nella medesima opera, in riferimento alla nascita di Minerva sancita nei Fasti di Ovidio, si esprime un concetto secondo cui è la comunità politica che forma e crea gli Dei e non i Numi la societas: è questo un motivo di assoluta diversità della Romanità rispetto alle culture italiche contigue, come, per esempio, quella degli Etruschi?

<< Di sicuro è un modello molto romano, in sintonia con l’alto concetto che i Romani ebbero della cittadinanza: la civitas, il civis, erano questi i modelli che li hanno guidati nella creazione della loro “civiltà”. Pensi che, ad esempio, secondo il diritto Romano si potevano addirittura istituire “eredi” certi dèi! Certi, non tutti …>>.

7) La sua indagine ha, poi, posto l’attenzione anche sull’eroe fondativo, cioè il pio Enea, la cui mitistoria si dibatte tra interpretazioni di natura opportunistica e di politica imperiale (Carandini), oppure di natura identitaria come epico ritorno in patria nella stirpe dardanica o, ancora, come topos letterario, ripreso dalle opere omeriche, che esplicitano un preciso percorso esoterico: può sinteticamente fornirci il suo punto di vista?

<< I Romani avevano bisogno, come molti popoli antichi, di darsi un mito d’origine. Scelsero di darselo troiano per due motivi: da un lato perché questo poneva in relazione la loro origine con il più grande poema epico della classicità, l’Iliade. Avere almeno ‘un piede’ dentro l’Iliade, era importante, nobilitante; dall’altro, però, li liberava dalla necessità di cercare i propri antenati fra i Greci: un popolo a cui da un lato dovevano già troppo, dall’altro avevano anche sottomesso >>.

8) In un’altra opera collettanea “Giuristi nati”, a cui ha prestato la sua collaborazione, è emersa tutta l’importanza della dimensione giuridica nella civiltà romana: ritiene che, in tale ambito, Sacro e Diritto possano aver svolto un ruolo simbiotico ed organico?

<< Certo, è difficile pensare le società antiche senza tener sempre conto del fatto che in esse la religione aveva un ruolo centrale. Non parlerei però di “sacro”, piuttosto di religione: intendendo con questa parola qualcosa di più laico, come culti, leggi, norme, feste, calendario, ludi … da ciò che normalmente si intende con “sacro”. In questa prospettiva diritto e religione a Roma si intrecciano, basta pensare che il sacerdozio non era una carriera a sé, ma un ruolo fra altri ruoli cittadini, di carattere politico >>.

9) In tale ottica, anche per ciò che è stato scritto in un fascicolo del suo Dipartimento dell’Università di Siena sulle “parole di potenza”, può configurarsi, sia in ambito sacrale sia in ambito giuridico, una predisposizione magica del Romano, quale attitudine a modificare attivamente la realtà?

<< I Romani hanno sempre rifuggito dalla magia, fin dall’inizio. Tendevano a mettere il soprannaturale sotto il controllo dello stato, il più possibile: basta pensare al discredito di cui a Roma hanno sempre goduto vates et harioli, gli indovini >>.

10) Infine, nel ringraziarla per la cortese disponibilità dimostrata nei nostri confronti, le chiediamo quali novità editoriali e di studio debbano aspettarsi i lettori di EreticaMente, che con tanta attenzione seguono le sue indagini antropologiche del mondo antico?

<< Un libro che verrà tra breve pubblicato da Einaudi, dal titolo “A che servono i Greci e i Romani? L’Italia e la cultura umanistica”. Una riflessione sul nostro rapporto, oggi, con il mondo classico >>.


Alberto Pento

Al mondo, in Europa e in Italia non esistevano soltanto i romani e la loro religiosità politeista; se il cristianismo ha preso piede nell'Europa a dominio politico imperiale romano ci sarà una qualche ragione, forse la religiosità e la politica romana avevano qualche pecca sgradevole. I romani distruggevano tutti gli dei dei popoli conquistati altro che rispetto: ricordo la distruzione del tempio ebraico di Salomone e del santuario celtico dell'isola di Mona e così in tanti altri casi, laddove i popoli non si assoggettavano al potere romano e traevano forza politica per contrastare l'invasione romana, dalla loro religiosità. Non dimentichiamo l'assassinio dell'ebreo Cristo. Questo professore non mi pare per nulla un buon antropologo.


Spiritualità e religiosità non sono la stessa cosa
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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