Diritto africano
IL DIRITTO IN AFRICA | IL BIANCO E IL ROSSO
Emanuele Porcelluzzi
http://ilbiancoeilrosso.it/2010/01/21/i ... -in-africa
Il diritto è un’entità legata ai contesti, in cui si trova ad operare e viene elaborato, e, quindi, discorrendo di un continente (quello africano) saranno probabili significative variazioni storiche e geografiche. La storia dell’Africa è, in fondo, una storia globale perchè è da sempre un mercato aperto, che accomuna, tra l’altro, vari sistemi statuali nazionali ove si verificano tendenze comuni, figlie della storia globale. Perciò risulta legittimo parlare di diritto africano nella misura in cui lo è parlare di diritto europeo. Coltivando il diritto africano, si sono messe a fuoco metodologie di indagine poi utilizzate nello studio del diritto in generale. È proprio, in Africa, che l’antropologia giuridica è maturata, affinando la sua esperienza di ricerca. Si sono così sviluppate sensibilità dettate dal bisogno di indagare realtà giuridiche, che non si servono della scrittura, nel quadro di un rapporto di potere tra l’antropologo e l’informatore debole e compiacente. Nel diritto africano si è sviluppato il concetto di pluralismo giuridico perchè lo stato africano è, in gran parte, un’invenzione del colonialismo, è, da sempre, relativamente debole e non riesce ad imporre il diritto di sua produzione, soprattutto al di fuori delle città. Sopravvivono, indi, una miriade di ordini giuridici pre-statuali, fondati sul principio di territorialità, come accade nel diritto consuetudinario, valido all’interno di un villaggio o di personalità ossia di diritto applicato ad un soggetto in virtù del suo status. Ne consegue una realtà complessa, costituita da rapporti conflittuali o sussidiari e appellata pluralismo giuridico, utilizzata come modello per comprendere il diritto globalizzato. Il pluralismo africano è il prodotto di una stratificazione di tipo archeologico, tanto è vero che da un’analisi di un ordinamento giuridico tipico dell’Africa sub-sahariana risultano presenti i seguenti strati archeologici: un diritto consuetudinario tradizionale non scritto, tramandato tramite pratiche politiche e culturali, adattato a contesti di sopravvivenza difficili e, quindi, fondato sulla solidarietà del gruppo sia esso nomade o stanziale. Uno strato di diritto musulmano, incardinato sul principio di personalità, applicato ai soli musulmani. Uno strato di diritto coloniale, struttura violenta di spogliazione, che, oltre a codificare la discriminazione razziale ed inventare nuove identità etniche, pretende un monopolio territoriale.Il diritto coloniale, sia di matrice francese o inglese, esclude i nativi dalla proprietà privata e lotta contro quella del villaggio, rafforza strutture giuridiche statuali, creando uno stato proprietario protagonista dell’economia di estrazione mercè lo strumento della concessione amministrativa. Le citate strutture giuridiche fortemente stataliste e centralizzate, ostili nei confronti degli strati giuridici pre-esistenti, ritenuti arretrati e feudali, vengono ereditate dai nuovi stati indipendenti che, quasi vittime di una sindrome di Stoccolma, rafforzano i legami giuridici con la madrepatria coloniale che, dopo averli depredati, li strangola oggi con lo strumento del debito. Le spinte innovatrici accentuano tanto la polemica con il diritto tradizionale che la centralizzazione del potere senza coglierne l’incompatibilità profonda con i valori di società, fondate su solidarietà di gruppo. Infatti, la struttura giuridica della società africana risiede nella piena autonomia del gruppo familiare o etnico e nel conseguente principio di unanimità nella decisione politica, riguardante una molteplicità di gruppi. Di quì l’incompatibilità fra questa sensibilità giuridico-politica africana e la struttura statuale imposta dal colonizzatore, che pretende la centralizzazione della sovranità senza l’accordo del gruppo. Al diffondersi dell’ideologia del libero mercato, spinta da organismi globali dal potere irresistibile, si contrappone la struttura solidaristica del gruppo che è ancora il nemico più temibile di ogni schema di sfruttamento, tant’è che ogni strategia ideologica è buona per delegittimarla. La donna deve essere dunque liberata dalla cosiddetta schiavitù domestica, uguale all’uomo, e come lui lavorare e consumare sul mercato ed, eventualmente, non essere consumata sul mercato europeo del mestiere più antico del mondo. Poi, il fiorente mercato delle telecomunicazioni deve vendere immagini idealizzate dell’Occidente, producendo così mano d’opera di riserva e flussi migranti disperati, assai utili nella costruzione del mercato metropolitano della paura e della sicurezza. L’Africa è sempre al centro del mercato globale e i cinesi sono più graditi perchè almeno non usano l’ipocrisia dei diritti umani per legittimare la loro penetrazione nel continente africano.
Evoluzione del diritto consuetudinario in Africa e sistema dualistico di giustizia
Articolo, 15/09/2004
http://www.altalex.com/documents/news/2 ... -giustizia
Una nota di Danilo Desiderio
Evoluzione del diritto consuetudinario in Africa e sistema dualistico di giustizia
Danilo Desiderio
(Avvocato in Avellino)
Sembrerebbe a prima vista del tutto improprio parlare di un “diritto africano”, date le dimensioni del continente africano e considerato il fatto che in esso coesistono culture, etnie1, razze, lingue e religioni talmente differenti da far impallidire il più timido tentativo di adozione di un approccio comune nei confronti degli Stati che lo compongono. Nonostante infatti operino oggi in Africa numerose organizzazioni a carattere sovranazionale come l’OHADA (Organisation pour l’Harmonisation du Droit en Afrique), che si pongono per obiettivo l’armonizzazione del diritto fra gli stati membri (soprattutto del cd. “diritto d’affari”, allo scopo di offrire agli investitori esteri un quadro giuridico sostanzialmente omogeneo fra i vari Stati) è innegabile che esistano delle profonde differenze tra i sistemi giuridici dei vari Paesi africani. Se però ci riportiamo al periodo anteriore alle colonizzazioni, possiamo tuttavia individuare una matrice comune a tali diritti, costituita dalle antiche pratiche consuetudinarie, ossia da insiemi autonomi di regole a carattere obbligatorio per i loro destinatari, sviluppatesi presso ogni gruppo etnico e da questi posti a fondamento del proprio diritto tribale.
Il diritto consuetudinario infatti, tipico delle culture giuridiche più remote2, costituisce la fonte principale del diritto in Africa. Come tale si contrappone al diritto scritto, che a sua volta è espressione di poteri autoritativi i quali si avvalgono per la sua produzione di una procedura formale e legislativamente fissata.
Fin dalle epoche più remote, il diritto consuetudinario, tramandatosi oralmente ed arricchitosi per effetto di un processo di stratificazione degli usi e delle pratiche vigenti nell'ambito delle varie comunità tribali che si sono avvicendate, ha costituito la componente principale del diritto africano. Questo carattere di prevalenza è venuto a cessare nel XIX secolo quando, per effetto delle colonizzazioni, i singoli Stati africani hanno subito un processo di “acculturazione”, dovuto al contatto con altri sistemi e tradizioni giuridiche tipici degli Stati colonizzatori. Il diritto consuetudinario ha saputo però sorprendentemente resistere a tali cambiamenti, adattandosi ad essi, senza però amalgamarsi con il diritto “moderno” dal quale ancora oggi rimane visibilmente distinto.
L'imposizione del regime coloniale ha infatti determinato la nascita nelle società africane di un sistema “duale”, composto da un lato da un diritto di tipo occidentale, applicato da tribunali presieduti da giudici stranieri, la cui giurisdizione si estendeva su ogni persona sia per le questioni penali che civili, dall’altro lato da un diritto di natura consuetudinaria, applicato da tribunali composti dai capi tradizionali o da collegi di saggi che raccoglievano i componenti più anziani della tribù, del villaggio, o delle comunità in genere, i quali giudicavano su tutte le altre questioni. Quest’ultimo tipo di giustizia poggiava su principi diametralmente opposti a quelli della giustizia coloniale, svolgendo un ruolo di natura conciliativa, piuttosto che giurisdizionale, poiché il giudice consuetudinario, anzichè applicare la legge, cercava di guidare le parti verso il raggiungimento di un compromesso in cui, più che dare ragione ad una di esse e torto ad un’altra, si mirava a ricercare una soluzione idonea a preservare gli equilibri sociali. Accade così che in molti Paesi africani, ad un sistema ufficiale di risoluzione delle controversie, gestito da organi giudiziari statali, si sovrapponga un sistema non-giurisdizionale di risoluzione “amichevole” delle stesse, diffuso soprattutto in certi ambiti rurali. E’ il caso ad esempio del Senegal, uno dei Paesi africani che vanta un sistema giudiziario tra i più collaudati e stabili, in cui accanto ai Tribunali Dipartimentali, i Tribunali Regionali, le Corti d’appello e la Corte di Cassazione, esiste anche un sistema consuetudinario di risoluzione dei conflitti diffuso in relazione a certi tipi di controversie, come ad esempio nel settore della proprietà fondiaria: in tutto il Paese infatti sono diffusi, soprattutto nelle comunità rurali, degli appositi Consigli rurali che svolgono una funzione che è riconducibile grosso modo all’arbitrato3.
Il ruolo svolto da questi giudici consuetudinari nell’ambito delle società africane non è stato intaccato né dall’arrivo dei giudici occidentali all’epoca coloniale, né dall’istituzione delle giurisdizioni moderne dopo il raggiungimento dell’indipendenza da parte dei vari Paesi africani.
Tali tribunali infatti, benché non riconosciuti ufficialmente, furono inizialmente tollerati dalle amministrazioni coloniali, che lasciarono che essi esercitassero la propria giurisdizione, ma esclusivamente sugli africani e, limitatamente all’applicazione del solo diritto consuetudinario in vigore nella zona di rispettiva competenza. Oggi essi continuano ad esistere nella stragrande maggioranza dei Paesi africani, e con essi, la strutturazione di tipo dualistico della giustizia africana. Anzi, a conferma di quanto sia sentito questo tipo di giustizia, si può citare un antico detto, diffuso ancora oggi in tutta l’Africa francofona, secondo cui “Un bon arrangement vaut mieux qu’un mauvais procès” (un buon accomodamento vale più di un cattivo processo).
Ma a fronte di questo profondo radicamento della giustizia consuetudinaria, la giustizia “ufficiale” africana viceversa, sembra essere caduta oggi in una profonda crisi: i sistemi giudiziari dei vari Paesi africani, organizzati secondo forme, regole e procedure identiche a quelle utilizzate nei Paesi occidentali, scontano una generale mancanza di credibilità e di fiducia da parte dei cittadini, aggravata dalla scarsa trasparenza della loro attività e dall’analfabetismo in cui versa buona parte della popolazione. Si aggiungano poi a ciò la parzialità, la corruzione, la negligenza e spesso anche l’incompetenza dei giudici, nonchè la loro forte politicizzazione4.
Venendo ad analizzare le caratteristiche del diritto consuetudinario africano, possiamo constatare che uno dei suoi caratteri più sorprendenti, come di tutti i sistemi di diritto non scritto, è rappresentato dalla flessibilità: nel corso della storia esso ha sempre obbedito a ragioni di opportunità, ed ha sempre saputo dare prova di notevole capacità di adattamento a fatti nuovi ed a circostanze differenti, piuttosto che a cambiamenti dell’ambiente economico, giuridico, politico e sociale. Esso ha saputo addirittura adattarsi all’introduzione dei sistemi giuridici stranieri (come quelli europei), sovrapponendosi ad essi e dando vita a fenomeni di pluralismo giuridico, caratterizzato dalla sussistenza di fonti assai diverse fra loro che in un certo modo hanno saputo mantenersi distinti. E’ il caso della Mauritania, dove coesistono ben quattro sistemi giuridici: il diritto islamico, il diritto consuetudinario africano, il diritto arabo-beduino e consuetudinario berbero e il diritto civile moderno5. Si può citare come esempio anche il Cameroun, paese che ha subito sia la colonizzazione francese che tedesca (sebbene siano rimaste poche tracce del colonizzatore tedesco all’interno del sistema giuridico camerunese), dove accanto ad un diritto di origine occidentale, che costituisce il diritto moderno, sussistono le giurisdizioni di diritto tradizionale, fortemente radicate e basate su usi e tradizioni ancestrali.
La flessibilità del diritto consuetudinario è ben visibile nell’evoluzione subita dalle regole sulla proprietà fondiaria, che ammettono oggi la possibilità di possedere individualmente delle terre, a differenza delle epoche anteriori in cui la terra apparteneva alla famiglia od al gruppo ed il privato cittadino non poteva possederla in proprio, né tantomeno venderla.
Un’altra caratteristica fondamentale del diritto consuetudinario africano è rappresentata dalla sua particolare dinamicità: esso è infatti un sistema le cui regole evolvono in maniera particolarmente rapida con il tempo, per tenere conto delle modificazioni delle condizioni sociali ed economiche.
Prima delle colonizzazioni, quando ancora non esistevano delle raccolte scritte di leggi, la maggior parte dei gruppi etnici aveva sviluppato un proprio diritto di natura consuetudinaria, ricomprendente gli usi autoctoni delle comunità tradizionali, alla cui violazione venivano collegate delle sanzioni locali. Solo pochi Stati prevedevano la possibilità che un’autorità (il sovrano) emettesse degli atti con valore di legge.6
Oggi questo enorme patrimonio, in gran parte disperso (vista la tradizione della maggior parte dei popoli africani a tramandarlo esclusivamente per via orale), è oggetto di un intenso lavoro di ricostruzione e ricerca da parte di molti Stati, i quali si sforzano ora di recuperarlo e di raccoglierlo per iscritto7.
Ma non bisogna pensare che i diritti consuetudinari siano uniformi in tutti i gruppi etnici. Anche all’interno di uno stesso gruppo etnico possono esistere delle differenze, legate a fattori diversi quali la lingua, la prossimità, l’origine, la storia, la struttura sociale ed il sistema economico locale. Accade infatti talvolta che il sistema di diritto consuetudinario in una certa città sia diverso da quello di una città vicina, anche se i due gruppi appartengono alla stessa etnia e parlano perfino la stessa lingua. E’ il caso ad esempio del gruppo di lingua kusasi, in Ghana, dove è possibile distinguere gruppi etnici come gli Agolle ed i Toende, ciascuno dei quali ha un proprio sistema di diritto consuetudinario. In generale però, le regole del diritto consuetudinario dei gruppi etnici che parlano la stessa lingua tendono ad essere abbastanza similari, anche se in alcuni casi sono state rilevate delle differenze abbastanza sensibili, le quali mostrano come sia errato parlare di un diritto consuetudinario uniforme applicabile a tutti i membri di uno stesso gruppo linguistico.
Per comprendere perché le norme del diritto consuetudinario hanno carattere vincolante per i loro destinatari è necessario indagare più da vicino la natura e la portata della struttura sociale e politica nelle società tribali. L'organizzazione sociale delle società tradizionali si basa infatti su una rete assai articolata di gruppi di relazione, la cui cellula di base è costituita dalla famiglia, che intesa in maniera estesa, al punto da ricomprende l’intera stirpe, viene a costituire un gruppo sociale più vasto chiamato “clan”. Un sistema di legami tra clan costituisce a sua volta la tribù, che raccoglie persone che appartengono a varie stirpi, ma che parlano la stessa lingua e che hanno le stesse tradizioni. In ogni gruppo esiste un capo, scelto a causa della sua grande età, che è responsabile dinanzi al capo del gruppo di livello immediatamente superiore. Così, il capo stesso di una famiglia nucleare, che comprende due genitori ed i loro bambini, è responsabile dinanzi al capo della stirpe, che è responsabile dinanzi al capo del clan, responsabile a sua volta dinanzi al capo della tribù. Il capo controlla il terreno agricolo e gli altri beni del gruppo, arbitra le vertenze ed impone sanzioni per controllare il comportamento dei membri del gruppo. A tale riguardo, i poteri dei capi e dei vecchi della stirpe possono essere estremamente estesi. Inoltre, i capi esercitano anche un'autorità morale e rituale, basata sulla credenza di una loro associazione di tipo mistico con gli antenati della tribù. Le relazioni di gruppo determinano la nascita di una serie di diritti e di obblighi ben definiti a carico dei membri del gruppo. I diritti ed obblighi di parentela sono assai specifici quando l'individuo entra in contatto con dei membri della sua stirpe, ma diventano più generali man mano che il grado di relazione si allarga. Il rispetto di tutte le norme tradizionali è infine garantito grazie ad un sistema di sanzioni che possono variare secondo il grado di parentela. Il tipo di sanzione può andare dalla censura all’ammenda, all'ostracismo od anche all'esclusione8.
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1 Basti pensare che la sola Nigeria, lo Stato africano più popoloso, conta più di 250 gruppi etnici, tra cui i maggiori sono costituiti dagli hausa, dai fulani, dagli yoruba, gli ibo, gli edo, gli ijaw e gli ibibio, i nupe, i tiv ed i kanuri. Nello Stato si parlano poi oltre 60 lingue. Per fare un altro esempio, si può citare il caso dell’Etiopia, nel Corno d’Africa, la cui popolazione, di circa 63 milioni di abitanti, è suddivisa in ben 70 etnie che parlano oltre 200, tra lingue e dialetti vari, tra cui l'amharico (lingua ufficiale), il galla (parlato dagli Oromo, che rappresentano il 40% della popolazione), che costituiscono le lingue principali.
2 Henry Sumner Maine, nella seconda metà dell’800, nel descrivere il diritto delle società cosiddette primitive (tra cui annoverava in particolare la società indiana), osservava, in “Village Communities in the East and West”, che in India “ciascun individuo appare schiavo delle consuetudini del gruppo a cui appartiene”.
3 A.B. Fall, “Le juge, le justiciable et les pouvoirs publics: pour une appréciation concrète de la place du juge dans les systèmes politiques en Afrique“, in Revue électronique Afrilex, n° 03/2003
4 Il giudice africano sembra non manifestare, riguardo il potere politico, alcuna indipendenza reale che ne garantisca l’imparzialità (A.B. Fall, ult. cit.).
5 F.A.O., Fiche documentaire: Mauritanie – « Les femmes, l'agriculture et le développement rural »
6 E’ il caso del Rwanda, dove al re (Mwami) era consentito di emanare dei decreti (iteka). (per un approfondimento si rimanda a A. Keità, L. Pes – Università del Piemonte Orientale, Alessandria 2004, “Antropologia giuridica, diritto comparato e diritti africani”, su http://www.jp.unipmn.it/didattica/dispe ... stemig.doc)
7 Quello dell’oralità è sicuramente uno degli aspetti più affascinanti, ma al tempo stesso più problematico della cultura africana: non esistendo la scrittura, importata tramite le colonizzazioni, storicamente (ed ancora oggi) la cultura si è tramandata prevalentemente per via orale. La fine dell’esperienza coloniale nel continente africano ha come conseguenza evidente la creazione di un gran numero di Stati, i quali, per la maggior parte, trovandosi per la prima volta di fronte a un’esperienza organizzativa di tipo statuale (e non solo più tribale) hanno provveduto a dotarsi di Costituzioni e leggi scritte. La caratteristica dell'oralità, espone tuttavia gli africani un serissimo problema di perdita delle proprie conoscenze e della propria identità. Uno dei sistemi adottati in tutta l'Africa subsahariana per tramandare tale cultura è la "griotterie", incentrata sulla figura del “griot”, una sorta di cantastorie, vera e propria biblioteca vivente che ha il compito di tramandare di generazione in generazione quello che potremmo definire il sapere in senso lato, fungendo così da custode della cultura del suo popolo.
8 P. Kuruk, “Le droit coutumier africain et la protection du folklore”, in UNESCO - Bulletin du droit d’auteur, Vol XXXVI, n.2, 2002
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Il manifesto 12 gennaio 2010
Codici Africani
Un saccheggio in nome della legge
Ugo Mattei
http://www.inventati.org/apm/penale/mat ... 100112.pdf
Diritto consuetudinario, islamico, anglosassone e «socialista». Sono questi i livelli che hanno
caratterizzato i sistemi giuridici africani nel corso della storia. Un milieu andato in pezzi con la
caduta del Muro e sostituito da un'ideologia che in nome del libero mercato ha legittimato le
politiche neocoloniali nel continente.
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Diritto africano- i principali istituti giuridici, Schemi riassuntivi di undefined. Università di Perugia
Università di Perugia
Scienze politiche
https://www.docsity.com/it/diritto-afri ... ici/334533