Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 8:57 pm

Diritto greco

Diritto greco antico
https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_greco_antico
Con l'espressione diritto greco antico non si può intendere uno specifico ordinamento giuridico, dato che ciascuna polis era governata da un proprio sistema di leggi, in regime giuridico di autonomia e autarchia (αὐτάρκεια). Si tratta infatti di un termine collettivo per riferirsi a una forma regionale e storicamente delineata di diritto positivo, basata tuttavia su un comune pensiero giuridico e sugli stessi principi. Così poteva avvenire che leggi come quelle dettate da Caronda per Katane venissero volutamente adottate da altre poleis. Si verificavano anche prestiti reciproci su scala minore, in particolar modo nel diritto commerciale. A causa della grande influenza politica e culturale dispiegata da Atene, il diritto attico esercitò un'influenza significativa sugli ordinamenti della altre poleis ed è anche quello che è meglio conosciuto, grazie alla prevalenza delle fonti.


Łe fonti del dirito
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... YtbWs/edit
Immagine
pagine 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 8:58 pm

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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 8:59 pm

TRACCE PREISTORICHE DEL DIRITTO SLAVO
http://www.fupress.com/scheda.asp?idv=2038
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 8:59 pm

Diritto romano

Il diritto romano trae origine dal preistorico diritto italico, dalle varianti dell'area centrale della penisola ed in particolare dal diritto etrusco

https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_romano
Con l'espressione diritto romano si indica l'insieme delle norme che hanno costituito l'ordinamento giuridico romano per circa tredici secoli, dalla data convenzionale della Fondazione di Roma (753 a.C.) fino alla fine dell'Impero di Giustiniano (565 d.C.). Infatti, tre anni dopo la morte di Giustiniano l'Italia fu invasa dai Longobardi: l'impero d'Occidente si dissolse definitivamente e Bisanzio, formalmente imperiale e romana, si allontanò sempre più dall'eredità dell'antica Roma e della sua civiltà (anche giuridica).
La prima fase, detta del diritto arcaico o quiritario, comprende il periodo che ha inizio con la fondazione di Roma e giunge alle Leggi delle XII tavole (dal 753 al 451 a.C.). In questo periodo, il diritto privato, compreso il diritto civile romano era applicato solo ai cittadini romani, ed era legato alla religione. Si trattava di una forma giuridica non sviluppata, quindi non contenente gli attributi di formalismo rigoroso, simbolismo e conservatorismo . Il giurista Sesto Pomponio disse: "All'inizio della nostra città, le persone iniziarono le loro prime attività senza alcun diritto scritto, e senza alcuna regola fissa: tutte le cose erano governate dispoticamente dai re". Si ritiene che il diritto romano sia radicato nella mitologia etrusca, con un'enfatizzazione dei rituali.

Łe fonti del dirito
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... YtbWs/edit
Immagine
pagine 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255, 256, 257


EL DIRITO NO ŁÈ NA ENVENSION DE ŁI ROMANI
viewtopic.php?f=176&t=304
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 8:59 pm

LE ORIGINI MEDIEVALI DEL DIRITTO COMUNE

https://www.facebook.com/groups/Medioev ... 5382778197

L'operazione dottrinale volta a fare del “riscoperto” diritto giustinianeo il diritto dell'imperatore medievale e in questa veste a configurarlo come l'universale ius commune della respublica christiana è posta in essere in compiuti termini teorici dalla scienza giuridica bolognese.
L'idea di una società cristiana legata non solo da una fede, ma anche da una legge comune, trova dunque la sua teorizzazione giuridica nelle riflessione della dottrina romanistica bolognese. Dal IX secolo in poi si pongono le scarne premesse ideologiche e di fatto della teorica bolognese sullo ius commune. La spinta dinamica del mito di Roma domina mundi agì in modo penetrante nella coscienza giuridica altomedievale: essa si tradusse non solo nell'idea che la respublica dei credenti in Cristo si unificasse sotto la guida del pontefice e la molteplicità degli ordinamenti politici sotto l'unico potere dell'imperatore consacrato a Roma, ma anche nella aspirazione a far convergere la contrastante pluralità delle leggi dei vari popoli che si trovavano a convivere sul comune territorio dell'impero verso l'universale diritto di Roma.


La recezione delle norme romane, nei testi canonistici, come lex saeculi della chiesa, ha concorso insieme ad altri fattori economico-culturali ad avviare il diritto romano ad essere idealmente celebrato come diritto generale.

A Pavia, capitale del Regnum Italiae, i giuristi che conoscevano già bene i testi romani e romano-canonici, si volsero ad integrare, correggere e interpretare le norme germaniche. È proprio in questa sede che per la prima volta il diritto romano viene ufficialmente qualificato come lex omnium generalis, cioè come legge territoriale, con generale valore sussidiario in caso di assenza o di lacunosità della norma germanica.

Dalla roccaforte stessa del germanesimo, Pavia, la voce di più maestri di diritto si levava ad indicare in quella romana la lex generalis. Tuttavia, non è ancora possibile riscontrare alcuna saldatura teorica generale fra l'ideologia della renovatio imperii e la conseguente esigenza paradigmatica di una renovatio del diritto romano come legge universale dell'impero restaurato.
E' unicamente con l'opera dei maestri bolognesi che l'idea culturale di Roma diventa produttiva nel mondo del diritto. Nelle Quaestiones de iuris subtitulatibus del XII secolo, il glossatore Piacentino si richiama direttamente all'autorità divina come fondamento della indiscussa legittimità delle norme dell'impero: queste sono per eccellenza i precetti romani, le leggi emanate dai Cesari e dai loro successori per il proprio impero. Dall'unità dell'ordinamento giuridico non può che discendere l'unità del diritto; e poiché l'imperium romano cristiano è idealmente, per volere stesso di Dio, il definitivo ordinamento politico-temporale della comunità umana, l'unum ius non può essere che il diritto di quell'ordinamento, cioè il diritto romano. Al tempo delle Quaestiones, l'impero appariva ormai come un mosaico di ordinamenti giuridici particolari, come un insieme di piccole e grandi entità politiche tutte animate dalla naturale pretesa di un'indipendenza che andava dalla semplice autonomia a quella che in tempi moderni si sarebbe chiamata sovranità. Ciuscun ordinamento tendeva a reggersi con proprie consuetudini, proprie costituzioni, propri statuti, cioè con un diritto nuovo ed originale non di rado in contrasto con i principi romani, ma adeguato alla viva realtà delle peculiari esigenze locali.
La concreta struttura politico-sociale dell'impero post-feudale era caratterizzata dunque da una pluralità di ordinamenti giuridici di fatto più o meno indipendenti, con un conseguente fenomeno di particolarismo nel mondo delle fonti del diritto.
La società dei secoli XI e XII cominciava a vivere quella rigogliosa e robusta età di rinnovamento economico, sociale e culturale che si suole significativamente chiamare “rinascimento medievale”. Questa età di rinnovamento andava ricostituendosi secondo tendenze e ideali lontani da quelli del dissociato e atomistico mondo del feudo, costruendo istituzioni politiche originalmente corrispondenti al fiorire di un'economia libera e di una cultura critica tipicamente “cittadine”.
Il prepotente esplodere del rinascimento giuridico, il nascere cioè della grande scuola di diritto di Bologna e, con essa, di quella scienza giuridica occidentale fondata sul diritto romano che avrebbe dominato l'Europa per tutta l'età moderna. A Bologna però si profila un problema: la dottrina giuridica, come avrebbe conciliato il perseguimento dell'unum ius in un unum imperium, se questo impero era caratterizzato dalla pluralità degli ordinamenti giuridici creatisi di forza entro l'impero stesso?
Qualsiasi sforzo volto a paralizzare o a dichiarare priva di validità questa abbondante e anomala normativa sarebbe stato vano e utopistico, in quanto opposto ai tempi e alla vita stessa. Le nuove forze politiche nell'impero rivendicavano uno specifico titolo a disciplinare i propri rapporti interni , di diritto pubblico e di diritto privato. Queste norme erano nate come superamento, in ogni singolo territorio, del sistema della personalità del diritto. Era piuttosto con esse e non con le leggi personali che l'unum ius doveva ora misurarsi. L'idea principale, nello scioglimento di questo radicale contrasto, è rappresentata dall'espressione ius commune, che denominò la tipica concezione che la scienza giuridica medievale gradualmente si costruì per conciliare entro un quadro logico e razionalmente comprensivo il diritto romano dell'ordinamento universale e i vari diritti degli ordinamenti particolari. Tale espressione indicò il diritto romano imperiale come elemento di un sistema organizzato di fonti giuridiche coesistenti nel quale esso si coordinasse secondo certe regole ai diritti locali e particolari. Il concetto di ius commune costituisce l'indispensabile strumento per comprendere un dato storico di immensa portata nelle vicende della civiltà occidentale: come la scienza giuridica italiana, industriandosi a legittimare l'antico diritto romano quale diritto vigente dell'impero e a coordinarlo poi con le fonti locali, con stupefacente lavorio di interpretazione, ne abbia tratto in effetti un diritto del presente, suscettibile di essere poi variamente recepito e assimilato come patrimonio proprio delle nazioni del continente europeo. Si può così capire, allora, come il diritto romano, tornato a rivivere dopo sei secoli nel 'rinascimento giuridico' medievale e fatto oggetto di un profondo processo ricreativo da una impareggiabile giurisprudenza, abbia informato le categorie della moderna scienza del diritto e alimenti e sostanzi ancor oggi gli strati più profondi del pensiero giuridico occidentale. Il quadro del contrasto fra lo “ius proprium” degli ordinamenti particolari e l'”unum ius” dell'impero era dunque tracciato con chiarezza. Ma unum ius non vuol dire “diritto unico”, vuol dire “diritto unico dell'impero” ma non “diritto unico nell'impero”. Per il Calasso, l'unum ius rappresenta lo ius commune, vale a dire quell'unità da cui la molteplicità di questi diritti deriva, secondo il principio della filosofia tomistica “omnis multitudo derivatur ab uno”. Nel linguaggio del giurista medievale, commune diventa invece il diritto romano, cioè il diritto dell'impero universale: emanato in vista delle comuni e generali esigenze della respublica christiana, esso ha come propri destinatari tutti i vari popoli organizzati nei singoli ordinamenti particolari, che nell'impero, come in tutte le sue parti, si ricompongono in unità. In questo quadro teorico l'impero e il suo diritto (ius commune) divengono un “tutto”, una unità in cui si collegano, in sistematico rapporto di subordinazione, i molteplici ordinamenti particolari partecipanti di quell'unità, ciascuno con il suo diritto (ius proprium). In siffatta prospettiva lo ius commune è collocato dai giuriti in posizione di tassativa preminenza gerarchica.
Preparato ed impostato nel secolo XII, il regime del diritto comune si consolida ed assume pieno assetto pratico e dottrinale nei due secoli seguenti. A partire dal Duecento il concetto di ius commune è dunque al centro della speculazione attraverso cui la giurisprudenza medievale si sforza di raggiungere una conclusa formulazione giuridica dei due massimi problemi politici del tempo:

la questione dei rapporti fra impero e Chiesa e della reciproca rilevanza dei due ordinamenti normativi, civile e canonico;
la questione della specifica configurazione pubblicistica dei regni e delle civitates autonome rispetto all'impero, nonché il problema della giustificazione teorica e dei limiti di validità pratica dello ius proprium.

La giurisprudenza civilistica riuscì gradualmente a formulare il postulato della ordinatio ad unum delle due potestà supreme, sovrane e indipendenti, aventi ciascuna una propria iurisdictio, canonica e civile. L'ordinatio ad un unico fine delle due iurisdictiones primarie e universali, presuppone un loro stretto legame e un'intima unione fra norme canoniche e norme imperiali, costituenti insieme lo ius commune. Questa indissolubile coordinazione, quest'idea di una superiore conciliazione (specialis coniunctio), fu resa dai giuristi medievali mediante la celebre espressione utrumque ius. Tale formula indicava il rapporto essenziale fra le due sfere giuridiche universali, un rapporto fra due mondi distinti, ma allo stesso tempo coniuncti: lo ius commune si sostanziava così in entrambi i diritti.

I giuristi qualificarono come legittimamente autonomi e indipendenti anche i grandi comuni cittadini nati nell'impero: qualsiasi universitas superiorem non recognoscens era da riguardarsi come sibi princeps, come avente titolo ad esercitare entro i propri confini gli stessi poteri dei monarchi e dell'imperatore. Il problema per eccellenza diveniva quello di legittimare i comuni come fonte del diritto ...


Commento:

Alberto Pento

È buona cosa ricordare che il diritto non è un'invenzione dei romani o di Roma, poiché il diritto è insito nella vita stessa e relativamente a l'ambito umano esso nasce con l'uomo medesimo; Roma non è la Patria del diritto. E nemmeno possiamo confondere il diritto che vige in un impero co quello proprio di una democrazia vera.
Affinchè anche in area italica si possa evolvere verso una società veramente democratica come in Svizzera e realizzare una condizionde di vera responsabilità e sovranità piena degli uomini-cittadini e delle loro comunità, secondo mè è necessario liberarci del falso mito romano e di Roma come fonte primaria e superiore di civiltà, di cultura, di diritto e di spiritualità.
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » lun mar 06, 2017 9:00 pm

Diritto medioevale nell'area veneta

Ròtari (lat. Rothari) re dei Longobardi. - Duca di Brescia (n. 606 - m. 652), al potere dal 636, rafforzò l'autorità regia contro le spinte separatiste e ampliò le conquiste sui territori bizantini. Il suo Editto del 643 (ispirato alle tradizioni longobarde e al diritto romano, e che fu la base per l'Edictum regum Longobardorum) garantì per iscritto l'assetto politico, sociale e patrimoniale del regno.

http://www.treccani.it/enciclopedia/rot ... longobardi

Vita e opere Della stirpe degli Harodi, fu eletto re (636) alla morte di Arioaldo. Riuscì a risollevare l'autorità centrale regia contro il separatismo dei duchi: ampliò le conquiste contro i Bizantini togliendo loro il litorale tirrenico da Luni alle Alpi e, nel Veneto, Oderzo. Ariano, rispettò però i cattolici; sposò Gundeberga, vedova del suo predecessore e figlia della regina Teodolinda. Il 22 nov. 643 R. emanò un editto (Editto di R.) col quale, alla vigilia di una grande spedizione contro i Bizantini (che avrebbe portato alla conquista della costa ligure e della città veneta di Oderzo), volle ricompattare il popolo-esercito dei Longobardi garantendo per iscritto l'assetto del regno, richiamandosi alle tradizioni della stirpe. L'editto ha le caratteristiche delle altre leges barbarorum e cioè rappresenta la codificazione delle antiquae leges patrum, accertabili attraverso il ricordo del re e degli antiqui homines, depositari delle tradizioni antiche. Non è però una semplice raccolta di consuetudini, perché vi è frequentemente espressa anche la volontà diretta del sovrano. L'editto di R. è considerato dal sovrano stesso come suscettibile di ampliamenti, che effettivamente sono intervenuti, sia per opera di R., sia dei suoi successori, particolarmente di Liutprando: il complesso dell'editto di R. e delle aggiunte e modificazioni apportate da Grimoaldo, Liutprando, Rachi e Astolfo, costituì l'Edictum regum Longobardorum. L'editto risente dell'influenza del diritto romano; più problematica è l'influenza delle antiche leggi degli Ostrogoti, giacché queste ultime sono andate perdute.


"Ius commune" e diritto veneto tra tardo Medioevo ed età moderna
http://www.dsg.univr.it/?ent=progetto&id=1390&lang=it

Bartolomeo Cipolla
https://it.wikipedia.org/wiki/Bartolomeo_Cipolla
Bartolomeo Cipolla (Verona, 1420 circa – Padova, 10 o 11 maggio 1475) è stato un giurista veneto-veneziano, se non uno dei maggiori dell'ultimo millennio, certamente uno dei più lungamente ripubblicati, ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia nel XV secolo.




Diritto veneziano

Gaetano Cozzi
ISBN: 88-317-7497-2
Anno: 2000
Editore: Marsilio Editori, Venezia
http://www.cini.it/publications/la-soci ... diritto-it

Raccolta di saggi sugli esiti del diritto veneto tra Sette e Ottocento, questo libro – come recita il sottotitolo – si articola in quattro sezioni, accomunate da una stessa metodologia di ricerca che, muovendo da aspetti particolari di una una secolare e consolidata tradizione giuridica, getta una luce più generale sulla politica e sulla società veneta nel lungo tramonto della Serenissima e nei decenni immediatamente successivi.
Così si parte dall’esperienza di commediografo dell’avvocato Carlo Goldoni per valutare complessivamente i risvolti del diritto e delle consuetudini metrimoniali, con le loro rigide regole e i ripetuti tentativi di scardinarle nel nome di una maggiore libertà di sentimenti; si esaminano i meccanismi della giustizia penale sia dal punto di vista degli imputati che da quello dei difensori, per allargare subito dopo l’analisi ai rapporti tra religione, moralità e giustizia, si valutano gli aspetti caratterizzanti degli statuti contemplati da Venezia per il suo Regno di Morea e insieme le ipotesi settecentesche di riforma del diritto penale nelle loro connessioni con il dibattito politico. Un’ultima sezione spinge lo sguardo al di là della caduta della Repubblica, spaziando dagli ex-possedimenti d’oltre Adriatico – dove si constata nelle isole jonie, una robusta sopravvivenza di lingua e diritto veneti per tutta la prima metà dell’800 – alla ex-capitale, alla quale infine si ritorna per cogliere, nella breve vita della Repubblica quarantottesca di Daniele Manin, le ultime eredità di questa gloriosa tradizione di politica del diritto.

INDICE

Prefazione
di Gaetano Cozzi

Note su Carlo Goldoni, la società veneta e il suo diritto

Padri figli e matrimoni clandestini
(metà secolo XVI- metà secolo XVIII)

Religione, moralità e giustizia a venezia: vicende della magistratura degli esecutori contro la bestemmia (secoli XVI – XVII)

Autodifesa o difesa?
Imputati e avvocati davanti al consiglio dei dieci
Il giuspatrono del doge su San Marco: diritto originario o concessione pontificia?
Venezia, una repubblica di principi?
La Repubblica di Venezia in morea. un diritto per il nuovo regno
Politica e diritto nei tentativi di riforma del diritto penale veneto del settecento
Diritto veneto e lingua italiana nelle isole jonie nella prima metà dell’ottocento
Venezia a metà dell’ottocento. la politica del diritto di Daniele Manin


http://www.ateneoveneto.org/content/upl ... V-2017.pdf


???

Il Diritto Veneto
http://www.europaveneta.org/areacultura ... zione.html

Per un amplissimo arco di tempo - dagli albori del Medioevo, fino all'avvento dei processi di codificazione che, specie nell'Ottocento, accompagnarono la creazione dei singoli ordinamenti giuridici da parte di ogni Stato - quasi tutto il mondo occidentale si resse su di un fondamentale assetto giuridico: nelle singole terre e città vigevano gli Statuti, compilazioni composte da un insieme di norme di varia natura, prodotte localmente sulla scorta di consuetudini. Il diritto statutario veniva poi integrato in modo massiccio dal Ius Commune, formato in massima parte da leggi romane e canoniche.

Per quanto riguarda il "diritto veneto", con tale definizione si intende l'ordinamento che ebbe vigenza nella Veneta Serenissima Repubblica: anch'esso si formò sotto forma di statuto, tuttavia vantò la prerogativa di escludere il diritto romano persino come fonte integrativa, prevedendo al suo interno criteri per integrare le proprie lacune e producendo sempre nuove disposizioni.

Sino ad oggi si è pensato che l'originalità di tanti principi giuridici adottati in terra veneta fosse dovuta alle esigenze peculiari dell'aristocrazia locale, non considerando che lo Stato si limitava a recepire - attraverso le magistrature - le regole che la società veneta aveva maturato con l'uso nel corso del tempo.

???
??? È oggi possibile confutare la tesi ufficiale che, senza fare alcun distinguo, presuppone la vigenza generalizzata del diritto romano nelle Venetiae durante l'Evo Antico; in epoca imperiale alcuni istituti di diritto pubblico di matrice romana ebbero applicazione tra i Veneti, ma ben poco si è indagato per verificare la sopravvivenza anche nei secoli I-V d.c. di fondamentali organi di derivazione locale, quali le assemblee popolari, che certamente furono attive tra i Veneti antichi sin dall'Età del Bronzo. A maggior ragione, quando nei secoli VI, VII e VIII cadde la sovranità imperiale di Roma, i Veneti perpetuarono le loro tradizioni giuridiche, riuscendo a potenziarle e a ripristinare pienamente il proprio diritto pubblico. ???

Dopo il Mille Venezia consolida la sua compagine statuale articolandola nei vari organi. Su questo punto sarebbe tutta da rivedere l'impostazione consueta (solo in minima parte accolta da Maranini) che riconduce l'evoluzione costituzionale dello Stato veneto nell'alveo dell'esperienza comunale tipica del Medioevo: basti solo pensare alla distanza siderale che divide la figura del Doge da quella del podestà, a partire dalla durata breve e predefinita della carica di quest'ultimo.

"Anche il doge veneziano ha il dovere della neutralità di fronte alle lotte di parte, ed è non meno del podestà limitato e controllato. Ma, lungi dal rappresentare come il podestà quasi la personificazione tangibile di un assoluto liberalismo, della indifferenza cioè dello Stato di fronte alle diverse correnti sociali e ideali, il doge veneziano è l'espressione caratteristica di una determinata ideologia, di una determinata politica. Non è uno straniero, che dia affidamento di essere estraneo allo spirito del luogo; al contrario è un cittadino veneziano, anzi un membro, scelto sempre fra i più sicuri e provati, di quella classe aristocratica che intende consolidare e perpetuare il suo dominio, facendo della sua grandezza la grandezza di Venezia. Ciò è della massima importanza, poichè ogni istituto ha non solo un valore materiale ed immmediato, dovuto alle funzioni che è chiamato ad assolvere, ma assume anche un valore più alto e maggiore ... in ragione dei principi etici, sociali, politici dei quali costituisce una proclamazione e una attuazione tangibile" (Maranini, La Costituzione, I pp. 164-165).

???
Insomma, i Veneti fondarono un proprio autonomo ordinamento (inteso come Stato e leggi) sulla base dell'identità nazionale consolidatasi nei millenni, mentre un simile processo non ebbe luogo presso tanti altri popoli, privi di basi altrettanto salde. Avvantaggiata dal non aver subito nè i condizionamenti del sistema feudale, né la subalternità al Sacro Romano Impero, la Veneta Serenissima Repubblica segue nella storia una strada tutta sua, riconoscendo come unica fonte giuridica valida le leggi da essa statuite e concependo il diritto come elemento fondante della sua sovranità.


???

I FONDAMENTI GIURIDICI DELLA SERENISSIMA.
16 agosto 2015 di Millo Bozzolan
di Edoardo Rubini
https://www.venetostoria.com/?p=2456

Con buona pace degli Illuministi, il diritto perfetto non è di questa terra. Solo il diritto di un sistema autoritario prescinde dalla società che deve governare (ma a questo portano le astrattezze illuministe, se applicate con rigidi dogmi). Compito di un sistema giuridico è armonizzare i rapporti tra i consociati con opportune norme che conservino (adottandola senza stravolgerla) la Civiltà ereditata da tempi immemori, poiché essa contiene in sé i principi sacri. La fede religiosa è il fondamento centrale dell’identità etnica. A sua volta, sull’identità storica si dovrebbe fondare la sovranità politica (almeno come capacità di autodeterminazione).

???
In questo senso i Veneti hanno seguito nella storia una strada tutta loro. Avvantaggiata dal non aver subito i condizionamenti del sistema feudale, la Repubblica Serenissima ha concepito il diritto come elemento distintivo della propria sovranità. Possiamo quindi analizzare la struttura del Diritto antico, paragonando l’ordinamentoveneto con quello europeo, tra Medio Evo ed Età moderna.
DIRITTO VENETO
Ius costitutum (promissione dogale, statuti veneziani, capitolari)
Deliberazioni dei Consilia
Consuetudini approvate
analogia legis et iuris
poteri discrezionali del giudice
statuti dei Veneti Dominii

DIRITTO COMUNE (ROMANO)
Corpus iuris civilis
leggi imperiali
diritto canonico
statuti delle singole terre

Dagli albori del Medio Evo, fino all’avvento della codificazione ottocentesca (che accompagnò la creazione dei singoli ordinamenti statali), quasi tutto il mondo occidentale si resse su un fondamentale assetto giuridico: nelle singole terre o città vigevano gli Statuti (compilazioni composte da un insieme di norme di varia natura, prodotte localmente sulla scorta di consuetudini), tuttavia integrati dal jus commune d’ascendenza romana, diede all’Europa un comune assetto giuridico. Non così nelle terre venete.

Il diritto veneto rappresenta un’eccezione: anche esso si formò sotto forma di statuto (ovvero norme prodotte in loco), tuttavia vantò la prerogativa di escludere il diritto romano persino come fonte integrativa. L’ordinamento che ebbe vigenza nella Veneta Serenissima Repubblica disponeva di criteri per “autointegrare” le proprie lacune; inoltre, dopo il medio evo, diede corso a una produzione legislativa del tutto autonoma, anticipando di molti secoli gli stati moderni. Sino ad oggi si è pensato che l’originalità di tanti principi giuridici adottati in terra veneta fosse dovuta alle esigenze peculiari dell’aristocrazia locale, non considerando che lo stato si limitava a recepire, attraverso le Magistrature, le regole che la società veneta aveva maturato nell’uso da tempo immemore, con servandone così i valori…


Comun, Arengo, Concio, Mexoevo, Istitusion
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » mar mar 07, 2017 6:59 am

Diritto cinese

https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_cinese
Il diritto cinese riguarda lo studio della scienza giuridica relativa alla storia, la tradizione e l'attuale ordinamento vigente nella Repubblica Popolare Cinese.

La Cina ha una tradizione giuridica di circa 4.000 anni, in gran parte di norme scritte. Fino al XX secolo l'esperienza giuridica cinese si è formata in maniera totalmente indipendente dalle esperienze occidentali e si presentava decisamente differente.

La prima pietra miliare del diritto cinese è il Fa jing, il "Classico delle Leggi", risalente al I millennio a.C. e composto da Li Kui, seguito poi dal Qinlü ("Legge dello stato Qin"), compilato basandosi sul primo. Se il primo è stato importante storicamente e culturalmente, il secondo lo è stato politicamente in quanto è stato il primo diritto unitario cinese in sostituzione a quello variegato dei vari regni. Durante il periodo della dinastia Tang il diritto cinese era abbastanza evoluto da poter influenzare quello dei vicini regni, come Giappone, Corea e Vietnam, in particolare nella distinzione tra i "riti" (li) e le "punizioni" (xing). Era un diritto decisamente iniquo e poco sviluppato, creato quasi esclusivamente per far fronte a illeciti di natura criminale.

Il diritto tradizionale cinese è basato su due tipi di fonti, i li e i fa, i primi di origine morale gli altri di origine normativa. La prima forma, basata sugli insegnamenti di Confucio, non concepiva diritti ma solo doveri verso la società o aspetti di essa, come la famiglia; i fa si accostano molto di più all'idea di legge occidentale, ma non hanno avuto sempre un indirizzo univoco, essendosi discostati ad esempio da i li durante la dinastia Qin che ordinò la cancellazione dei libri relativi al confucianesimo, ed avendo invece trovato una forma di raccordo durante quella Han. Il sistema antico era molto chiuso e vedeva la Cina al centro del mondo, oltre che contribuì a plasmare la mentalità cinese, tuttora rimasta, che la legge sia un precetto assoluto e allo stesso tempo un modello di comportamento.
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » mar mar 07, 2017 7:00 am

Diritto giapponese

https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_giapponese
Il diritto giapponese ha elementi di somiglianza con il diritto cinese per principi, valori e tendenze culturali, in particolare Confucianesimo e Taoismo, e nel contempo differenze dovute alla diversa struttura sociale e alla diversa storia del Giappone.
Nasce con gli editti di riforma di Taika (646) che istituiscono uno stato accentrato intorno alla figura dell'imperatore, considerato al di sopra delle leggi e sottoposto solo alla legge naturale immutabile. Il diritto è inteso come l'osservanza delle regole sociali, raccolte in compilazioni giuridiche articolate in "ritsu" (regole repressive) e "ryo" (regole amministrative). Le regole sono applicate da funzionari preparati in apposite scuole.
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » mar mar 07, 2017 7:00 am

Diritto indiano

https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_ind%C3%B9
L'espressione legge indù o diritto indù nel suo uso corrente si riferisce al sistema di leggi personali (cioè, matrimonio, adozione, eredità) applicato agli induisti, specialmente in India. La legge indù moderna fa quindi parte della legge dell'India stabilita dalla Costituzione dell'India (1950).
Anteriormente all'indipendenza indiana nel 1947, la legge indù formava parte del sistema giuridico coloniale britannico e fu formalmente stabilita come tale nel 1722 dal governatore generale Warren Hastings che dichiarò nel suo Piano per l'amministrazione della giustizia che "in tutte le cause riguardanti eredità, matrimonio, casta e altri usi o istituzioni religiosi, le leggi del Corano riguardo ai Maomettani e quelle degli Shastra riguardo agli Indù devono essere invariabilmente applicate". La sostanza della legge indù attuata dai Britannici era derivata dalle prime traduzioni dei testi sanscriti noti come Dharmaśāstra, i trattati (śāstra) sul dovere religioso e giuridico (dharma). I Britannici, tuttavia, scambiarono i Dharmaśāstra per codici legislativi e non si resero conto che questi testi sanscriti non erano utilizzati come enunciazioni di diritto positivo prima che essi scegliessero di farlo. Piuttosto, i Dharmaśāstra contengono ciò che potrebbe chiamarsi una giurisprudenza, cioè una riflessione teorica sul diritto pratico, non un'enunciazione del diritto della terra in quanto tale. Un altro senso della legge indù, allora, è il sistema giuridico descritto e immaginato nei testi dei Dharmaśāstra.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Preistoria e storia del diritto, fonti varie

Messaggioda Berto » mar mar 07, 2017 9:14 am

Diritto islamico


Shariʿah o sharia
https://it.wikipedia.org/wiki/Shari'a
Shariʿah o sharia (in arabo: شريعة‎, sharīʿa) è un termine arabo dal senso generale di "legge" (letteralmente "strada battuta"), che può essere interpretata sotto due sfere, una più metafisica e una più pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿah è la Legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini.

Sharia o legge islamica per Maometto ed il Corano
viewtopic.php?f=188&t=1460

La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8731864964


Islam e integrazione: il problema della Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani
Written by Staff Rights Reporter on Gen 25, 2015

http://www.rightsreporter.org/islam-e-i ... itti-umani

Si fa un gran parlare di integrazione da parte degli stranieri e si arriva pure a sostenere che l’aumento dell’estremismo islamico in Europa sia il frutto proprio della mancanza di una adeguata politica di integrazione.

Noi non siamo molto d’accordo con questa teoria e spieghiamo perché. Secondo il nostro modestissimo parere la mancata integrazione degli stranieri nei Paesi europei (nel nostro caso parleremo di Italia) non dipende tanto dalla situazione sociale in cui molti stranieri si vengono a trovare, che è certamente importante, ma non decisiva per una piena comprensione dei valori che alimentano le nostre democrazie, valori che dovrebbero essere proprio alla base di qualsiasi forma di integrazione. Per capire meglio il nostro ragionamento prendiamo proprio i casi più eclatanti di mancata integrazione che riguardano principalmente gli immigrati musulmani (anche di seconda e terza generazione) che in moltissimi casi rifiutano di accettare quei valori fondamentali su cui si basano le democrazie europee, valori che fanno capo a due documenti specifici che sono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In particolare, inutile negarlo, lo scontro tra la nostra cultura e quella musulmana si manifesta su tutti quegli articoli che parlano di libertà individuali e di parità di Diritti tra generi e soprattutto nel differente approccio al concetto di legge. Mentre nelle due dichiarazioni sopra citate i punti focali sono i Diritti Individuali basati esclusivamente su un concetto laico del Diritto, nella Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani il concetto di fondo è la legge islamica, la Sharia, che si basa esclusivamente su precetti religiosi.

E chiarissimo e lampante che tra le due visioni di insieme la differenza è abnorme e non conciliabile. E’ quindi impossibile che un qualsiasi residente in Europa possa accettare che i propri concetti di Diritto laici vengano spazzati via da un concetto teocratico che in molti punti fa addirittura a pugni con quanto stabilito dalle dichiarazioni dei Diritti accettate nel nostro continente in quanto stabilisce con chiarezza la supremazia della legge islamica rispetto alle leggi nazionali. In particolare nei seguenti articoli che non possono in nessun caso essere accettati in Europa e che, per dirla tutta, andrebbero messi fuorilegge:

Art. 4 – Il diritto alla giustizia

1) Ogni individuo ha diritto di essere giudicato in conformità alla Legge islamica e che nessun’altra legge gli venga applicata…

5) Nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla Legge islamica. Il musulmano ha il diritto di rifiutare che gli si ordini una simile empietà, chiunque esso sia: «Se al musulmano viene ordinato di peccare, non è tenuto né alla sottomissione né all’obbedienza» ( ḥadīth )[1].

O ancora la definizione di equità di un processo e di presunzione di innocenza:

Art. 5 – Il diritto ad un processo giusto

1) L’innocenza è condizione originaria: «Tutti i membri della mia Comunità sono innocenti, a meno che l’errore non sia pubblico» ( ḥadīth ). Questa presunzione di innocenza corrisponde quindi allo «statu quo ante» e deve rimanere tale, anche nei confronti di un imputato, fino a che esso non sia stato definitivamente riconosciuto colpevole da un tribunale che giudichi con equità.

2) Nessuna accusa potrà essere rivolta se il reato ascritto non è previsto in un testo della Legge islamica… …

4) In nessun caso potranno essere inflitte pene più gravose di quelle previste dalla Legge islamica per ogni specifico crimine: «Ecco i limiti di Allah, non li sfiorate» (Cor. II:229)…

Inoltre, relativamente al libero pensiero, troviamo delle fondamentali differenze tra le due Dichiarazioni; infatti per i Paesi firmatari della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si legge:

Articolo 18

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Articolo 19

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

mentre nella Dichiarazione islamica troviamo:

Art. 12 – Il diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola

1) Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica: «Se gli ipocriti, coloro che hanno un morbo nel cuore e coloro che spargono la sedizione non smettono, ti faremo scendere in guerra contro di loro e rimarranno ben poco nelle tue vicinanze. Maledetti! Ovunque li si troverà saranno presi e messi a morte» (Cor., XXXIII:60-61). … 4) Nessun ostacolo potrà essere frapposto alla diffusione delle informazioni e delle verità certe, a meno che dalla loro diffusione non nasca qualche pericolo per la sicurezza della comunità naturale e per lo Stato: «Quando giunge loro una notizia rassicurante o allarmante, essi la divulgano; se l’avessero riferita all’Inviato di Dio e a quelli di loro che detengono l’autorità, per domandare il loro parere avrebbero saputo se era il caso di accettarla, perché di solito si fa riferimento alla loro opinione» (Cor. 4,83).

Ora, è chiaro che se anche le seconde generazioni di musulmani crescono apprendendo che i loro Diritti sono tutelati dalla Dichiarazione islamica dei Diritti Umani invece che dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani o dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, lo scontro tra civiltà e ideologie diverrà immancabile e a farne le spesa sarà proprio quella integrazione di cui tanto si parla.

E qui sarebbe il caso anche di fare un lungo ragionamento sul concetto di integrazione, che non significa che noi europei ci dobbiamo adattare alle usanze e alle leggi di chi viene nel nostro continente ma è esattamente il contrario. Come si risolve questo problema? Si risolve dal basso, inserendo obbligatoriamente lo studio dei Diritti Umani nelle scuole e un piano di studio che compari le varie dichiarazioni e ne evidenzi le differenze in termini di Diritto. Se a una bambina musulmana viene spiegato che lei ha gli stessi Diritti di un maschio musulmano quando questa andrà a casa saprà che qualsiasi forma di costrizione nei suoi confronti è di fatto una violazione della legge, della nostra legge che è l’unica che tutti sono tenuti a rispettare se veramente vogliono essere integrati. Ed è questo il punto focale della nostra iniziativa: è impossibile accettare che la legge islamica prevalga sulle leggi nazionali e per questo che dai prossimi giorni daremo il via a due iniziative congiunte. La prima è volta a chiedere che in Italia l’insegnamento dei Diritti Umani così come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani venga reso obbligatorio e non come semplice complemento dello studio del Diritto Civile. La seconda iniziativa è volta rendere fuorilegge la dichiarazione islamica dei Diritti Umani in quanto chiaramente incompatibile sia con le nostre leggi che con tutte le legislazioni dell’Unione Europea in quanto pone la legge islamica al di sopra delle leggi nazionali, un vero e proprio bastione contro l’integrazione. Le due iniziative, in particolare quella in Europa, verranno aperte da un dettagliato esposto che renderemo pubblico appena possibile cioè non appena verranno recepiti e messi in discussione, il che ci auguriamo avverrà prima possibile.


http://web.jus.unipi.it/wp-content/uplo ... ulmano.pdf
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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