Straje de li raxianti o ereteghi
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CATARI DI PADANIA E CATARI DI OCCITANIA
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di SERGIO SALVI
Dal X al XIII secolo, la Padania è stata davvero un terreno fertile per le “eresie”: o almeno per quelle fedi e quei movimenti religiosi che la Chiesa ufficiale considerava eretici. Basta fare in proposito un po’ di nomi: Patarini, Apostolici, Umiliati, Valdesi, Arnaldiani, Speroniani, Dolciniani, Poveri lombardi. Generalmente si trattava di focolai di rivolta contro un clero che si dedicava alacremente alla simonia (e il cui appetito erotico appariva diviso tra un numero considerevole di mogli e di concubine): una vera e propria rivolta nel nome del Vangelo e della morale cristiana.
Tra tutti i gruppi eretici, la presenza più organizzata e forse anche più originale fu quella dei Catari. I Catari professavano una fede di tipo gnostico nella quale grande risalto era dato alla compresenza nel mondo di due opposti principi, quello del Bene e quello del Male: una fede a proposito della quale si parla di dualismo e perfino di manicheismo.
La confessione catara che proveniva dall’Oriente, si diffuse particolarmente in quella che è arbitrariamente considerata la Francia meridionale (ed è in realtà l’Occitania) ma fu presente anche in Padania (considerata a torto Italia settentrionale). Ma c’è di più: esisteva un rapporto organizzativo abbastanza stretto non soltanto fra questi due gruppi nazionali ma anche tra i Catari dell’Europa occidentale e i Bogomili di Bosnia nonché i resti dei Pauliciani d’Oriente (anch’essi dualisti). Va da sé che i Catari (“puri” in greco) erano chiamati così dagli avversari: essi si designavano semplicemente come “cristiani” o “buoni cristiani”.
Si suppone fondatamente che sia esistito per un certo periodo una sorta di “Vaticano cataro” a Costantinopoli, dal quale dipendevano tutti i seguaci di questa pericolosa (agli occhi di Roma) eresia. E’ certo che colui che è considerato il primo cataro padano, Marco di Concorezzo, convertito da un occitano, sia stato ordinato vescovo proprio da Niceta, “papa” cataro di Costantinopoli. E’ certo anche che questo vescovo Marco si recò, insieme a Niceta, al concilio cataro occitano che si svolse a St. Felix-de-Lauragais nel 1167. Durante questo concilio, Niceta ordinò i vescovi catari di Tolosa, Carcassona e Béziers riorganizzando la chiesa catara in Occitania che fino a quel momento constava soltanto della diocesi di Albi (per questo i Catari erano detti anche Albigesi).
In quel momento, i Catari erano, in Occitania, davvero molti: una sorta di controchiesa con una disciplina ecclesiastica stretta, una dottrina stabilita e propri edifici di culto. Godeva dell’adesione convinta di buona parte della popolazione, soprattutto artigiani e umili lavoratori ma anche intellettuali, convinti dal buon esempio che davano i suoi militanti. Vi aderivano perfino alcuni signori feudali come il conte di Foix e i visconti di Albi, Carcassona e di Béziers. Il maggior signore occitano, il conte di Tolosa, simpatizzava per la loro fede. I Catari erano poi appoggiati dalle città “consolari” (i Comuni occitani) che, come le città padane, erano luoghi di libertà gelosissimi delle loro prerogative.
In questo clima di tolleranza e di democrazia religiosa si svolse nel 1165, a Lombers, nei pressi di Albi, un celebre dibattito pubblico tra teologi cattolici e dottori catari, del quale ci sono rimasti i verbali: dai quali si comprende che i Catari vinsero ai punti.
Il Papa di Roma cominciò a preoccuparsi di questa situazione e, non potendo intervenire direttamente, agì attraverso il re di Francia, bramoso di sempre nuove conquiste territoriali (e che aveva sovranità formale, anche se del tutto platonica, su quelle terre).
Il re di Francia si mosse di conseguenza e, con la famosa Crociata degli Albigesi, approfittò della motivazione religiosa per conquistare l’Occitania attraverso una guerra lunga e sanguinosa.
In Padania non esisteva ancora, per fortuna, a quei tempi un re d’Italia cui il Papa potesse rivolgersi. E la Santa Inquisizione, che era vigorosa quanto in Occitania, consegnava abitualmente i propri condannati al braccio secolare perché venissero “giustiziati”. I Francesi “giustiziavano” volentieri: i Comuni padani si rifiutavano invece abitualmente di fungere da braccio secolare delle autorità religiose ufficiali. Addirittura, quando alcuni simpatizzanti catari uccisero nel 1252 l’Inquisitore di Lombardia, Pietro da Verona, il Comune di Milano si rifiutò di punirli. Alla Chiesa non rimase che proclamarlo santo col nome di San Pietro Martire.
In Padania, comunque, il Catarismo non contò mai molti aderenti, al contrario che in Occitania e in Bosnia dove, con il nome di Bogomili, i Catari divennero, nel 1199, addirittura chiesa di stato e lo rimasero fino alla conquista ottomana.
In Padania, poi, una sorta di naturale ritrosia al “pensiero unico” portò a una moltiplicazione delle comunità catare che fece delle quattro diocesi esistenti anche diverse “scuole di pensiero” e di obbedienza teologica. La prima diocesi stabilita, quella di Concorezzo, aderì infatti al dualismo moderato che vedeva il Male subordinato al Bene. Dal nome di un vescovo successore di Marco, Garatto, prese il nome di “garattista”.
Fu chiamata “albanista”, dal nome di un suo vescovo, la nuova diocesi di Desenzano, che riprese invece il dualismo radicale abbandonato dai “garattisti”. Le altre due diocesi, quella di Mantova e quella di Vicenza, aderirono invece a una dottrina intermedia, quella professata dalla chiesa bogomila di Bosnia.
Mentre la chiesa catara di Occitania finì in maniera cruenta per mano dei crociati francesi, quella padana si esaurì nel tempo soprattutto per le diatribe intestine e per l’indifferenza progressiva delle popolazioni in mezzo alle quali si trovava ad operare. Fu, comunque, anch’essa perseguitata, talvolta in maniera durissima (sempre più dura via via che i Comuni medievali cedevano il passo alle Signorie).
I Catari occitani massacrati dai crociati francesi durante mezzo secolo di aggressione furono decine di migliaia. Questo genocidio collettivo terminò nel 1244 quando l’ultimo ridotto cataro, il castello di Montsegur, cadde in mano francese. Duecento superstiti vennero arsi vivi, ai piedi della roccaforte, nel nome della “vera fede”.
Duecento furono anche i martiri catari padani arsi vivi nel 1278 nell’Arena di Verona. Erano stati catturati, due anni prima a Sirmione, da Mastino della Scala, mentre stavano dibattendo pacificamente in un concilio teologico le loro diverse dottrine per tentare un accordo. Il Male procedeva dal Bene a causa di una ribellione di Satanael oppure era stato creato assieme al Bene da un Creatore impassibile che assisteva senza intervenire alla lotta tra la luce e la tenebra, la materia e lo spirito, all’interno degli uomini ?
Gli inquisitori di Roma non mostrarono mai nessun dubbio in proposito. Fecero coscientemente il Male peggiore: quello che pretendeva di perseguire il Bene col sangue delle proprie vittime.
Grazie alla collaborazione de “I quaderni padani”