Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » mer feb 12, 2014 10:44 pm

Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense
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Re: I barbari romani

Messaggioda Berto » lun giu 23, 2014 3:16 pm

So łi romani basta coel ke dixe (me par) Tacito:

...Łi roba, łi masacra, łi rapina e co falbo nome łi ło ciàma enpero e endove łi ga fato el dexerto, łì łi conta de ver portà ła paxe...

«Quando ripenso alle cause della guerra e alla terribile
situazione in cui versiamo, nutro la grande speranza che questo giorno, che vi vede concordi, segni per tutta la Britannia l’inizio della libertà. Sì, perché per voi tutti qui accorsi in massa, che non sapete cosa significhi servitù, non c’è altra terra oltre questa e neanche il mare è sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. Perciò combattere con le armi in pugno, scelta gloriosa dei forti, è sicura difesa anche per i meno coraggiosi.
I nostri compagni che si sono battuti prima d’ora con varia fortuna contro i Romani avevano nelle nostre braccia una speranza e un aiuto, perché noi, i più nobili di tutta la Britannia - perciò vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere le coste dove risiede chi ha accettato la servitù - avevamo perfino gli occhi non contaminati dalla dominazione romana. Noi, al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall’isolamento e dall’oscurità del nome. Ora si aprono i confini ultimi della Britannia e l’ignoto è un fascino: ma dopo di noi non ci sono più popoli, bensì solo scogli e onde e il flagello peggiore, i Romani, alla cui prepotenza non fanno difesa la sottomissione e l’umiltà. Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria.
Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, quello chiamano pace.»

Testo latino:

‘Quotiens causas belli et necessitatem nostram intueor,
magnus mihi animus est hodiernum diem consensumque vestrum initium libertatis toti Britanniae fore: nam et universi costis et servitutis expertes, et nullae ultra terrae ac ne mare quidem securum inminente nobis classe Romana. ita proelium atque arma, quae fortibus honesta, eadem etiam ignavis tutissima sunt.
priores pugnae, quibus adversus Romanos varia fortuna certatum est, spem ac subsidium in nostris manibus habebant, quia nobilissimi totius Britanniae eoque in ipsis penetralibus siti nec ulla servientium litora aspicientes, oculos quoque a contactu dominationis inviolatos habebamus. nos terrarum ac libertatis extremos recessus ipse ac sinus famae in hunc diem defendit: nunc terminus Britanniae patet, atque omne ignotum pro magnifico est; sed nulla iam ultra gens, nihil nisi fluctus ac saxa, et infestiores Romani, quorum superbiam frustra per obsequium ac modestiam effugias. raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.
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Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:14 am

Ł’espansion miłitar romana ente l’ara tałega, łi masacri, łe rexistense e łe deportasion


El stermegno e ła deportasion dei liguri.

Liguri
https://it.wikipedia.org/wiki/Liguri

Liguri
viewtopic.php?f=134&t=735

I Liguri, un popolo fiero che si oppose ai Romani
31 gennaio 2016
Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve
(Diodoro Siculo) - di Monica Di Carlo

https://genovaquotidiana.wordpress.com/ ... -ai-romani

Deve essere genetica questa cosa che si dice, che i liguri non abbiano un buon carattere. Sin nella notte dei tempi preferivano stare ognuno per conto proprio, riunendosi eventualmente in piccolissime comunità per lo più familiari e allargando la cerchia solo nel caso in cui ci fosse da lottare per difendere il territorio. Erano più clan che popolo.

LA STORIA LA SCRIVONO I VINCITORI
Le cronache del tempo li dipingono come trogloditi, bestie selvagge e crudeli, oltre che ignoranti. Vero è, però, che di questo popolo di gente aspra, concreta e poco avvezza a socializzare (quello sì) hanno scritto soprattutto i Romani, cioè quelli che i Liguri li hanno avuti tante volte come indomabili oppositori delle loro campagne di espansione e quindi quel che si legge non può essere consideratio completamente attendibile. Tito Livio, ad esempio, riscrisse la storia di Roma in modo da esaltarne la grandezza e da nascondere sotto al tappeto la polvere di episodi meno onorevoli. Si dice, appunto, che la storia la scrivono i vincitori.

UNA SOCIETÀ MATRIARCALE DI ANALFABETI, CONCRETI E DEMOCRATICI
I Liguri, invece, di se stessi non scrissero mai niente, semplicemente perché non sapevano scrivere. Vivevano isolati dal resto del mondo. I piccoli gruppi che si aggregavano erano minuscole società matriarcali, anche se i padri riconoscevano i figli. I Liguri non riconoscevano la proprietà privata ed avevano una concezione democratica della conduzione dei loro piccoli villaggi, che in realtà erano spesso aggregazioni familiari. Non intrapresero mai campagne di colonizzazione e, a dire il vero, era persino difficile che si coagulassero e quando accadeva, era giusto per il tempo necessario a difendersi. Le alleanze con popoli vicini durarono poco perché i Liguri non riconoscevano gerarchie e autorità. Secondo Virgilio e Tito Livio i nostri antenati erano rozzi, totalmente ignoranti persino della loro stessa storia e l’arte nemmeno sapevano cosa fosse. Erano troppo impegnati a sopravvivere in un ambiente ostile, fatto di pietraie e di boschi dove tagliavano grossi faggi con asce di pietra affilate e robuste che sapevano lavorare perfettamente. Lo stesso Tito Livio parla di un popolo in eterna lotta con gli elementi e le belve e altre fonti descrivono i nostri antenati come ribelli, ovviamente perché rifiutavano di assoggettarsi all’Impero. In realtà, furono costretti a difendere la loro terra dall’invasione dei Romani e per quello da pacifici contadini (coltivavano lino e orzo, meli, noccioli e castagni), pastori e cacciatori che vivevano ognuno nel proprio piccolo territorio (all’inizio, qualche volta in capanne, ma più spesso nelle grotte, poi in minuscoli paesi a mezza costa) dovettero traformarsi in guerrieri. Cominciarono piuttosto tardi a lavorare il ferro (600 a. C.), ma erano maestri nella costruzione di armi e strumenti in pietra e osso.

I FEROCI “AMBRONES”
Pare che i Romani chiamassero i Liguri “Ambrones”. Così, almeno, dice Plutarco che nel 102 a.C., parlando della battaglia di Aque Sextiae, ma, probabilmente, “Ambrones!” era solo del loro grido di battaglia, urlato quando nudi o seminudi (per dare l’impressione di essere selvaggi e temibili e mettere in mostra il corpo ben temprato) si scagliavano contro il nemico. Anche sulla vicenda della battaglia di Aque Sextiae, però, non c’è alcuna certezza. Certo è che i liguri si presentassero in battaglia con i corpi dipinti e che impastassero con l’argilla e il gessoi lunghi capelli acconcindoli come una criniera di cavallo. Indossavano solo un paio di calzari di cuoio ed un cinturone per fermare un mantello. Non amavano combattere con archi e frecce, che ritenevano disonorevoli perché escludevano il corpo a corpo. Brandivano lunghe lance dette “bug” e, in seguito, spade piuttosto scadenti (la lavorazione del metallo non fu mai il loro punto forte) Si proteggevano con uno scudo bislungo.

I LIGURI DALLE LUNGHE CHIOME
“Liguri” è un termine che deriva dal nome con cui i greci chiamarono questa etnia (Ligues), quando cominciarono l’esplorazione del Mediterraneo occidentale. Più tardi, i Romani chiamarono il popolo della nostra terra che occupava le colline più impervie “Liguri dai capelli lunghi”. Questa denominazione si rintraccia ancora nei testi ai tempi di Augusto.

ADORAVANO GLI ELEMENTI NATURALI E AVEVANO SACERDOTI SIMILI AI DRUIDI
Anche in tema di religione, i Liguri erano piuttosto “concreti”. Non immaginavano gli dei antropomorfi dei Greci o dei Romani, ma adoravano gli elementi della natura. Plinio parla di vette, alberi e sorgenti. Come per tutti i popoli antichi, le aree in cui si trovavano le sorgenti rappresentavano il luogo migliore dove fondare piccoli villaggi. Certamente i Liguri adoravano i 4 elementi, aria, acqua, terra e fuoco, dei quali parla per la prima volta Anassimene di Mileto e di cui dopo trattano Empedocle, Socrate e Aristotele. Si presume che avessero delle guide religiose, più simili ai druidi che ai sacerdoti romani.

LE SEPOLTURE NEL BOSCO
Le loro sepolture erano a volte segnalate da steli di pietra (le più famose sono quelle di Luni). Le sepolture erano concentrate in luoghi considerati magici, spesso in mezzo ai boschi. La vegetazione allestita ad hoc attorno alle sepolture era anche quella una sorta di rito capace di difendere i defunti.

BEVITORI DI BIRRA DAI CAPELLI INCOLTI
I testi antichi raccontano che i liguri strappavano alla terra ostile metro per metro, per poter coltivare, che bevevano (e quindi producevano) birra, che portavano i capelli lunghi e incolti. Vi si legge anche che il fatto di essere costretti a muoversi faticosamente tra le pietraie e ad affrontare forti dislivelli li faceva forti, asciutti e muscolosi. Cicerone parla dei Liguri nella “De lege agraria” come di uomini attivi, forti e intrepidi. Nello stesso modo ne parla Virgilio nelle Georgiche, per poi cambiare idea nell’Eneide definendoli come un popolo astuto, bugiardo e perfido, capace dimettere in atto trovate abili e insidiose. L’opinione viene condivisa da Catone e dalla maggior parte degli storici romani. Un popolo dominatore come quello dei Romani non amava il fatto di essere stato a lungo giocato da bande di rozzi montanari e contadini e, chiaramente, fece una “campagna stampa” che voleva denigrare i liguri. Nulla di nuovo sotto il sole, anche nel campo della comunicazione.

ALLEATI DI ANNIBALE
I Liguri tentarono di opporsi ai Romani per la prima volta nel 238 a.C. in alleanza coi Galli Boi, ma i contrasti nati tra i due popoli fecero abortire la rivolta. Si allearono poi con il cartaginese Annibale facendo alle sue truppe da guide nelle valli dell’appennino. La scofitta di Cartagine mise fine anche alle ostilità tra Liguri e Romani nel 180 a.C.

QUANDO I ROMANI TENTARONO DI DEPORTARE I LIGURI E QUESTI SI UCCISERO IN MASSA
Narrano i testi antichi che interi villaggi decisero per il suicidio di massa pur di non essere sradicati dalla propria terra. La deportazione era infatti il metodo utilizzato dai Romani per punire chi si opponeva e disinnescare possibili riorganizzazioni della rivolta. In realtà, una storia simile si legge anche nella storia degli Etruschi. Si narra infatti che una parte di quel popolo, pur di non cedere le armi e di non sottostare al potere dei romani, si gettasse nel “Bulicame”, una sorgente di acqua sulfurea calda (circa 58°C), sita appena fuori Viterbo, oggi stabilimento termale. La verità è che gli Etruschi si integrarono, tanto che gli ultimi tre re di Roma, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, furono, appunto, Etruschi. Allo stesso modo, i Liguri, pur non arrivando mai a integrarsi a tal punto da arrivare a gestire il potere come avevano fatto le popolazioni dell’alto Lazio e della Toscana, combatterono valorosamente per Roma nella guerra contro Giugurta ed in quella contro i Cimbri e i Teutoni.
Plinio racconta che di vera pace si può parlare nel 7 a.C., quando fu innalzato il trofeo delle Alpi alla Turbia (Monaco), col quale si vollero celebrare le vittorie di Augusto e l’unificazione dell’Italia entro il confine delle Alpi.
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Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:18 am

Teotobourgo – ła rexistensa dei xermani a łe połedeghe de espansion enperial-militar dei romani
na bataja de tera ke come coela de mar a Lepanto la ga canvià el corso de la storia d’Ouropa
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... xSeTg/edit

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Teotoburgo – el degheio par li barbari romani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... VUY00/edit

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Xermagna de Taçito: istitusion e costumi
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... EyLUU/edit
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Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:26 am

El masacro e ła rexistensa dei Caledoni

http://ilfattostorico.com/2011/04/23/la ... na-legione

La scomparsa della Nona Legione ha a lungo lasciato perplessi gli storici, ma potrebbe essere un agguato brutale l’evento che ha forgiato il confine tra Inghilterra e Scozia, si chiede l’archeologo Miles Russell, della Bournemouth University.

(BBC)

Una delle leggende più durature della Britannia romana riguarda la scomparsa della Nona Legione.

La teoria che 5.000 dei migliori soldati di Roma si persero tra le nebbie della Caledonia mentre marciavano a nord per sedare una ribellione, costituisce la trama di un nuovo film, “The Eagle” (L’Aquila). Ma quanto di questa storia è vera?
È facile capire il fascino delle storie che circondano la perdita della Nona Legione romana – un gruppo di guerrieri britanni che, sfavorita, infligge una sconfitta umiliante a un esercito professionale ben addestrato e pesantemente armato. È il trionfo finale del perdente, una improbabile storia di vittoria contro ogni pronostico.
Recentemente, tuttavia, la storia è penetrata ulteriormente nella coscienza nazionale di Inghilterra e Scozia.
Per gli inglesi, il massacro della Nona è una sorta di “David” nazionale che riesce ad avere la meglio su un “Golia” europeo inarrestabile.
Per gli scozzesi, visto il dibattito sul governo decentrato e l’identità nazionale, per non dire l’impatto culturale di Braveheart, il racconto è diventato quello degli highlander amanti della libertà che resistono agli imperialisti inglesi.
La leggenda della Nona acquisì forma grazie alla scrittrice Rosemary Sutcliff, il cui capolavoro, “The Eagle of the Ninth”, divenne subito un bestseller alla sua pubblicazione nel 1954.
Da allora, generazioni di bambini e adulti sono state incantate dalla storia di un giovane ufficiale romano, Marcus Aquila, e del suo viaggio a nord del Vallo di Adriano per scoprire la verità su suo padre, perso insieme alla Nona, e per trovare lo stendardo della legione, l’aquila di bronzo.
Gli storici hanno dissentito, teorizzando che la Nona non sparì assolutamente in Gran Bretagna e sostenendo che libro e film siano sbagliati. La loro teoria è stata molto più banale: la legione fu vittima di un trasferimento strategico, passando dalle fredde distese del nord dell’Inghilterra alle aride terre del Medio Oriente. Qui, poco prima del 160 d.C., furono spazzati via in una guerra contro i Persiani.
Il problema è che non c’è uno straccio di prova che la Nona sia mai stata portata fuori della Britannia. È solo una supposizione che nel tempo è diventata certezza. Tre mattonelle recanti il numero dell’unità della Nona trovate a Nimega, in Olanda, sono state utilizzate per sostenere l’idea del trasferimento dalla Britannia.
Ma esse sembrano tutte essere datate verso l’80 d.C., quando distaccamenti della Nona erano effettivamente sul Reno a combattere tribù germaniche. Non provano che la Nona lasciò definitivamente la Gran Bretagna.
In effetti, le ultime tracce certe relative all’esistenza della Legione in qualche parte dell’Impero romano provengono da York, dove un’iscrizione, risalente al 108 d.C., dice che la Nona stava ricostruendo la fortezza in pietra. Tra quel momento e la metà del secondo secolo, quando venne compilato un registro di tutte le legioni, l’unità aveva cessato di esistere. Cos’era successo?
I primi anni del II secolo furono profondamente traumatici per la Britannia. Lo scrittore romano Frontone osservò che, durante il regno dell’imperatore Adriano (117-138 d.C.), un gran numero di soldati romani fu ucciso dai Britanni.
Il numero e la portata di queste perdite rimangono sconosciute, ma evidentemente erano significative. La Storia Augusta, compilata nel III secolo, fornisce ulteriori dettagli, osservando che quando divenne imperatore Adriano, “i Britanni non potevano essere tenuti sotto il controllo romano”.
Il problema britannico era di profonda preoccupazione per il governo centrale romano. Grazie ad una lapide recuperata a Ferentino, in provincia di Frosinone, sappiamo che dei rinforzi di emergenza di oltre 3.000 uomini furono mandati sull’isola, nei primi mesi del regno di Adriano. L’imperatore stesso visitò l’isola nel 122 d.C., al fine di “correggere molti errori”, portando con sé una nuova legione, la Sesta.
Il fatto che risiedettero nella fortezza legionaria di York suggerisce che le “grandi perdite” di truppe militari, accennate da Frontone, si erano verificate tra le file della Nona. Sembrerebbe che la Sutcliff avesse ragione, dopo tutto.
Fu la Nona, la più esposta e la più settentrionale di tutte le legioni in Britannia, ad aver sopportato il peso maggiore della rivolta, finendo i suoi giorni a combattere i ribelli nel tumulto di inizio II secolo.
La perdita di una simile unità d’élite militare ebbe un risvolto inaspettato che si riverbera fino ai giorni nostri. Quando l’imperatore Adriano visitò la Britannia, si rese conto che c’era un solo modo per garantire la stabilità dell’isola: costruire un muro.
Il Vallo di Adriano venne progettato per tenere gli invasori fuori dal territorio romano e per garantire che potenziali ribelli dentro la provincia non avessero alcuna speranza di ricevere sostegno dai loro alleati a nord. Da questo momento, le culture su entrambi i lati del muro si svilupparono a ritmi e in modi molto diversi.
L’eredità finale della Nona fu la creazione di un confine permanente, che divise per sempre la Gran Bretagna. Le origini di ciò che sarebbero diventati i regni indipendenti di Inghilterra e Scozia possono essere fatte risalire alla perdita di questa legione romana.

Fonte: BBC.


http://it.wikipedia.org/wiki/Caledoni

I caledoni o Confederazione caledone erano un gruppo di tribù appartenente alla popolazione dei pitti, popolazione celtica dell'Età del ferro che viveva in Caledonia, tradizionalmente delimitata a sud dai fiumi Forth e Clyde e corrispondente in gran parte all'odierna Scozia. Non si sa con quale nome loro chiamassero se stessi. Erano costruttori di fortezze collinari e contadini e furono perennemente in guerra coi romani, che di fronte all'accanita resistenza di questo popolo, abbandonarono il progetto di occupare stabilmente i loro territori.

http://www.treccani.it/enciclopedia/bri ... taliana%29


=============================================================================================================================

El primo acanpamento roman lè sta desfà da la grande rejna Budicca:
-na eroesa o eroa o eroina d’Ouropa-

http://it.wikipedia.org/wiki/Budicca

Boudicca o Boudica, Boudicca, Boadicea, Buduica, Bonduca, oltre a molte altre forme (33 – 60/61 d.C.) è stata una regina della tribù degli Iceni, che viveva nell'odierna zona di Norfolk (Inghilterra orientale). Guidò la più grande rivolta anti-romana delle tribù dell'isola.
Molti sono i modi in cui è stato tramandato il nome della regina, a causa di diverse corruttele presenti in molti manoscritti medioevali, ma è ormai abbastanza certo che la forma corretta sia Boudicca o Boudica, derivante dalla parola celtica *bouda, cioè vittoria (in irlandese *bua e in gallese *buddug). Il nome è attestato in alcune iscrizioni: Boudica in Lusitania, Boudiga a Bordeaux e Bodicca in Britannia. Basandosi sull'evoluzione del gallese e dell'irlandese, Kenneth Jackson conclude che la forma corretta del nome sarebbe stato Boudica, che si pronuncia /bəʊ'diː.ka:/. Tuttavia, molti pronunciano in maniera scorretta: /buː.dik'ə/. Le fonti principali su questi eventi sono Tacito e Cassio Dione Cocceiano.

« Era una donna molto alta e dall'aspetto terrificante. Aveva gli occhi feroci e la voce aspra. Le chiome fulve le ricadevano in gran massa sui fianchi. Quanto all'abbigliamento, indossava invariabilmente una collana d'oro e una tunica variopinta. Il tutto era ricoperto da uno spesso mantello fermato da una spilla. Mentre parlava, teneva stretta una lancia che contribuiva a suscitare terrore in chiunque la guardasse. »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, 62, 2)

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... udicca.jpg
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Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:27 am

El masacro e ła rexistensa dei Veneti de ła Bretagna

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http://it.wikipedia.org/wiki/Veneti_(Celti)

La popolazione celtica dei Veneti abitava la zona del Morbihan, in Bretagna (all'epoca parte della Gallia).

La loro città più famosa (probabilmente la loro capitale) era Darioritum (oggi nota come Vannes), menzionata nella Geografia di Tolomeo.

« I Veneti sono il popolo che, lungo tutta la costa marittima, gode di maggior prestigio in assoluto, sia perché possiedono molte navi, con le quali, di solito, fanno rotta verso la Britannia, sia in quanto nella scienza e pratica della navigazione superano tutti gli altri, sia ancora perché, in quel mare molto tempestoso e aperto, pochi sono i porti della costa e tutti sottoposti al loro controllo, per cui quasi tutti i naviganti abituali di quelle acque versano loro tributi.. »
(Giulio Cesare: de bello Gallico, III, 8)

I Veneti furono una grande ed influente potenza marittima e commerciale. Avevano una forte organizzazione ed erano probabilmente dotati di un Senato.

Avevano un'importante flotta per commerciare con le Isole britanniche e l'Italia, da cui diffusero il vino e l'olio, (che i Romani avevano impiantato in Armorica da Bordeaux ???) nell'Armorica stessa e nella Britannia partendo da Vannes e dall'attuale regione del Malouine, in particolare a Hengistbury Head (non lontano da Bournemouth nel Dorset attuale) e contemporaneamente vendendo tra l'altro prodotti salati, salumeria che erano ben conosciuti ed apprezzati a Roma, nonché stagno, piombo e rame provenienti dalla grande isola.

Più a sud dell'Armorica c'erano i Namneti, stanziati nella foce della Loira e che diedero il loro nome alla città di Nantes.
I Namneti erano chiamati Sanniti da Strabone e da Tolomeo (Giulio Cesare, de bello Gallico, II, c-8).
I Namneti furono per molto tempo semplicemente una tribù dei Veneti.
« I Pictoni erano ostili ai Veneti come si può dedurre dalla loro alleanza con il proconsole Giulio Cesare nella sua prima campagna e dalle navi costruite o fornite ai Romani da parte loro, dei Santoni a da altri popoli gallici per facilitare la rovina del Veneti. »
(Cesare, de B. G., VIII e III, 11)

Nel 56 a.C. le navi di Cesare fornite dagli altri popoli gallici distrussero la flotta veneta nella battaglia del Morbihan.
Il parlamento fu passato per le armi e le donne ed i bambini venduti in schiavitù.



Purpio come kel ga fato Moamed co li ebrei d'Arabia:

Chiunque uccida in nome di Cristo va contro il Vangelo. Chi uccide per Maometto segue il Corano: non si fermerà mai, non può fermarsi, se si ferma va contro i suoi precetti.

http://www.ioamolitalia.it/blogs/verita ... cetti.html

Le religioni non si giudicano dal loro peggio, perché tutti hanno un peggio: la ferocia è una parte fondamentale del cervello umano, non c'è sistema ideologico per quanto compassionevole che non sarà infiltrato dalla ferocia.
La religione cristiana si è diffusa in Europa, continente dove si sovrapponevano e si scontravano popolazioni feroci, romani e barbari e ovviamente è stata infiltrata di ferocia.

Le religioni si giudicano dal loro meglio: arte scienza, politica letteratura musica. L'idea di uguaglianza giuridica degli uomini è nata nell'Europa cristiana, non in Arabia e non in Cina, perché è figlia del cristianesimo.
La religione islamica vieta la filologia: dove non c'è pensiero filologico non c'è pensiero filosofico, dove non c'è pensiero non c'è pensiero scientifico, tecnologico, finanziario. L'islam vieta il teatro (menzogna); le narrazioni (menzogna. Ci sono solo le Mille e una notte e sono vietate da Talebani e corti somale); vieta la musica (Allah verserà piombo fuso nelle orecchie di coloro che l'hanno ascoltata); vieta i diritti umani, che sono contrari al Corano; vieta la democrazia che è blasfemia: il potere deve appartenere ad Allah e alla sue leggi, la sharia, non può appartenere al popolo.
Chiunque uccida in nome di Cristo va contro il Vangelo: può farlo per qualche secolo, un millennio, due (non è ironico: due millenni non sono nulla paragonati alla storia umana e sono pochi per modificare un istinto di violenza connaturato) ma prima o poi si ferma.
Chi uccide per Maometto segue il Corano: non si fermerà mai, non può fermarsi, se si ferma va contro i suoi precetti.

l'ISLAM HA TRE PILASTRI CHE NON POSSONO ESSERE CONTRADDETTI: IL CORANO, LA VITA DI MAOMETTO E LA UMMA (insieme dei precetti).

Il profeta Maometto sterminò tutti gli ebrei maschi dell'Arabia, e vendette donne e bambini come schiavi: chi afferma che uccidere gli ebrei è sbagliato e possedere o vendere schiavi è sbagliato e offende il profeta Maometto.
Il profeta Maometto fece condannare l'adultera, graziata ovunque da secoli alla lapidazione.
Chi afferma che lapidare una donna o una ragazzina è sbagliato offende Maometto, chi lapida guadagna merito.
Maometto fece uccidere in tre occasioni persone, due uomini e una donna, che lo avevano deriso.
Si trattava di due poeti e una poetessa che avevano scritto versi sarcastici: chi afferma che è sbagliato uccidere chi deride Maometto sta offendendo l''islam. Chi uccide coloro che hanno deriso Maometto fa un'opera meritoria.
La terza moglie di Maometto aveva 8 anni. Come ha abbondantemente spiegato Khomeini nell'islam sciita e la totalità dei Gran Mufti nell'islam sunnita, sposare una bambina di 8 anni non è solo permesso, ma raccomandato. Chi lo trova sbagliato offende il profeta.

VERSETTI TRATTI DAL CORANO

"Annuncia a coloro che non credono un doloroso castigo ....uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati".
"Uccidete tutti gli infedeli. Fino all'ultimo. Con qualsiasi mezzo".
"Quando incontrerete infedeli, dovete ucciderli fino a farne grande strage, e stringete forte le catene dei prigionieri".
"Uccideteli ovunque li incontrate".
"Dovete circondarli e metterli a morte ovunque li troviate, uccideteli ogni dove li troviate, cercate i nemici dell'islam senza sosta".
"Gli infedeli devono essere uccisi o crocefissi e le loro mani ed i loro piedi tagliati dalla parte opposta".
"Instillerò il terrore nel cuore dei non credenti, colpite sopra il loro collo e tagliate loro la punta di tutte le loro dita".
Chi non segue questi precetti va contro l'islam.


Il Vangelo ordina la separazione di chiesa e stato: tempo un paio di millenni ci siamo arrivati: è un concetto difficile perché è contrario all'istinto di potere insito in ciascuno di noi, ma ci siamo arrivati.
Nell'islam ogni distinzione tra potere religioso e statale è impensabile, una contraddizione in termini. Dove è stata ottenuta (Turchia di Ataturk, Persia dello Scia) è stata una situazione imposta ed è rimasta una situazioni di equilibrio instabile.
Peraltro quelli che uccidevano in nome di Cristo c'erano un po' di tempo fa, e se io fossi vissuta ai loro tempi li avrei combattuti.
Chiedo scusa per l'arroganza, ma se fossi campata nel 1600, credo che gli attributi ce li avrei avuti per salire insieme a Giordano Bruno sul suo rogo. Vivo adesso e adesso il nemico è l'islam ed è una guerra mortale.
Il mio nemico è l'islam, non gli islamici, che sono fratelli, e che è un mio compito liberare affermando la verità: che sono vittime di un'ideologia falsa e disumana.
Chi la verità non ha il coraggio di pronunciarla sta incatenando degli essere umani a un giogo atroce.
La trappola con cui si è fermato questo folle muro di silenzio è una serie di affermazioni propagandate dalle pseudoscienze e divenute il verbo: tutte le civiltà sono uguali, tutte le religioni hanno uguale valore; non dobbiamo criticare la civiltà degli altri, mai.
O usciamo da questo muro di ipocrisia e menzogna che è il politicamente corretto o moriremo.
E quello che è peggio lasceremo i fratelli nati nell'islam intrappolati in un totalitarismo atroce.
Quindi usciamo: usciamo oggi. Un mio carissimo amico ha l’abitudine di parlare con i musulmani, spiega la bellezza del cristianesimo: ne ha convertiti tre, ed ecco qui la soluzione. Se ogni cristiano converte un musulmano, il problema dell’invasione islamica dell’Europa sarà risolto. Questo è ordinato nel Vangelo.
Chi “rispetta” le religioni altrui, cioè non ha il coraggio di pronunciare le parole ”la tua religione è falsa” sta violando il Vangelo.

Quando c’è discrepanza aperta tra il Vangelo e l’autorità ecclesiale, noi sappiamo che l’autorità ecclesiale è stata infiltrata.
Se ogni laico converte un musulmano ai valori della laicità il problema sarà risolto. La soluzione è la nostra voce, che non deve tacere.
Dobbiamo parlare, senza mai fermarci, spiegare convincere.

E allora il mondo sarà salvato.
Pochi giorni fa ero in una scuola a tenere una conferenza e c’erano questi meravigliosi bambini che si chiamano Ibrahim e Fatima: voglio che Ibrahim e Fatima crescano da persone libere e vivano nella luce.

di Silvana De Mari 20/01/2015 10:01:06

Bel toco, scrito ben, co la testa e col cor, gràsie!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:27 am

El masacro e ła rexistensa de łi Ebrei a Maxada

viewtopic.php?f=110&t=373

Masada
http://it.wikipedia.org/wiki/Masada

Immagine
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Il pianoro-fortezza di Masada; sulla destra è chiaramente visibile l'imponente rampa di accesso costruita dai Romani

http://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_giudaiche

MASADA TRA REALTA’ E MITO

di Francesca Poretti

http://www.webalice.it/fporetti/articol ... oretti.htm

Chi si è recato per turismo nello Stato di Israele – sicuramente in tempi più tranquilli di quelli attuali – non ha potuto non dedicare almeno una intera giornata alla visita di uno dei siti archeologici più affascinanti del mondo, Masada, la fortezza che fu teatro di una vicenda particolarmente drammatica, ancor oggi piena di chiaroscuri, ma non per questo meno attraente, collocata com’è tra mito e storia.

Masada, ignorata dagli ebrei per circa 1800 anni, tornata alla ribalta dell’attenzione dopo la pubblicazione in ebraico, nel 1923, de La Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, è diventata, per il moderno Stato d’Israele (1948), il simbolo della resistenza giudaica contro la persecuzione. Ma soltanto dopo gli scavi archeologici, ivi condotti a partire dagli anni ‘60, si è potuto ri-crivere la sua storia, dando larga credibilità al drammatico racconto di Giuseppe Flavio.

Il presente lavoro si propone di rileggere, alla luce delle scoperte archeologiche, il testo di Giuseppe Flavio che racconta l’ultima notte di Masada, al fine di riconsiderare alcuni problemi interpretativi su ciò che veramente accadde.

Dopo la conquista di Gerusalemme (70 d.C.) da parte dei Romani, erano rimasti tre focolai di resistenza: la fortezza di Macheronte sul Mar Morto, l’Herodium, cioè la fortezza di Erode a Gerusalemme e, infine, Masada, prospiciente la sponda occidentale del Mar Morto, nel deserto di Giuda. Le prime due furono espugnate subito, mentre Masada resistette più a lungo e fu conquistata solo nel 73 d.C., in seguito al suicidio collettivo di circa mille ebrei.


Sulle tracce del terribile assedio romano di Gerusalemme
Tre brocche e una lampada di duemila anni fa rinvenute in una cisterna dove gli assediati mangiavano di nascosto, come racconta Giuseppe Flavio

http://www.israele.net/sulle-tracce-del ... erusalemme

Una piccola cisterna annessa a un edificio è stata portata alla luce di recente durante uno scavo archeologico che la Israel Antiquities Authority sta conducendo nei pressi del Muro Occidentale (“del pianto”), vicino all’Arco di Robinson, nel parco archeologico di Gerusalemme. Dentro la cisterna c’erano tre brocche da cucina intatte e una piccola lampada a olio di ceramica che risalgono ai tempi della prima guerra giudaica (66-70 e.v.). Il vasellame è stato rinvenuto nel canale di drenaggio che è stato interamente portato alla luce, dalla Vasca di Siloe, nella Città di David, all’inizio dell’Arco di Robinson.
Secondo Eli Shukron, direttore degli scavi per la Israel Antiquities Authority, “questa è la prima volta che siamo in grado di collegare dei reperti archeologici con la carestia che ebbe luogo durante l’assedio di Gerusalemme al tempo della rivolta anti-romana. Le brocche da cucina intatte e la lampada a olio in ceramica indicano che la gente scendeva nella cisterna dove mangiava di nascosto il cibo contenuto nelle brocche senza farsi vedere da nessuno, il che corrisponde al racconto fornito da Giuseppe Flavio”. Nel suo libro “La guerra giudaica”, Giuseppe descrive l’assedio romano a Gerusalemme e la tremenda fame che esso provocò all’interno della città accerchiata. Nella sua drammatica descrizione della carestia a Gerusalemme, egli racconta dei ribelli ebrei che cercavano il cibo nelle case dei loro fratelli. Costoro, scrive Giuseppe, nascondevano il cibo che possedevano per timore che venisse rubato dai ribelli e lo mangiavano negli angoli più nascosti delle loro case.
«La fame aumentava il furore dei ribelli – scrive Giuseppe Flavio – E poiché non si trovava grano da nessuna parte, essi irrompevano nelle case per rovistare: se ne trovavano, percuotevano gli abitanti per aver negato di averne; se non ne trovavano, li torturavano sospettandoli d’averlo nascosto troppo bene. … Molti barattavano segretamente le loro proprietà per una misura di grano, se erano ricchi, di orzo se erano poveri. E rinchiusi nei più nascosti recessi della casa, alcuni lo divoravano crudo com’era, tanta era la loro fame; altri lo mettevano a cuocere, secondo necessità e paura. Non c’era più da nessuna parte una tavola imbandita». (Giuseppe Flavio, “La guerra giudaica”, Libro V).
(Da: MFA, 27.6.13)


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... romani.jpg


“Per la redenzione di Sion, Anno quattro” della rivolta
Rinvenute presso Gerusalemme 114 monete dei ribelli ebrei contro l’Impero Romano

http://www.israele.net/per-la-redenzion ... la-rivolta


Un piccolo tesoro di monete risalenti al quarto anno della rivolta ebraica contro Roma, coniate pochi mesi prima della caduta di Gerusalemme nel 70 e.v., è stato rinvenuto una quindicina di chilometri a ovest della capitale, la scorsa estate, durante i lavori per l’ampliamento dell’autostrada n. 1 che collega Gerusalemme a Tel Aviv. Il team di archeologi della Israel Antiquities Authority guidati da Pablo Betzer ha esplorato i resti di un piccolo villaggio ebraico di epoca romana vicino alla moderna città di Abu Ghosh e fra le rovine ha trovato una piccola giara rotta contenente 114 monete di bronzo coperte di verderame.

Le monete sono tutte della stessa grandezza ed età, probabilmente provenienti dalla stessa zecca. Sono tutte contrassegnate con la dicitura “Per la redenzione di Sion” e “Anno quattro”, il che indica che sono state forgiate durante il quarto anno della rivolta contro l’Impero Romano, ossia tra la primavera del 69 e la primavera del 70 e.v. Sono decorate con le quattro specie bibliche – palma, mirto, cedro e salice – e con un vaso che può simboleggiare i recipienti usati nel Tempio. Le monete vengono ora ripulite e studiate dagli specialisti della Israel Antiquities Authority.
L’archeologo Pablo Betzer con le monete della rivolta ebraica di duemila anni fa

L’archeologo Pablo Betzer con le monete della rivolta ebraica di duemila anni fa

E’ la prima volta che viene rinvenuta una collezione così grande di monete dei ribelli ebrei, spiega Betzer, sottolineando che la loro identica datazione è assai insolita. “Ci dice che la persona che teneva questo tesoro l’aveva ricevuto in un unico lotto. L’avrà ricevuto dalla dirigenza dei ribelli. Probabilmente lui stesso faceva parte della dirigenza. Forse – ipotizza l’archeologo – erano fondi destinati all’acquisto di armi e provviste per i combattenti ebrei contro le legioni romane. Si tratta di monete coniate pochi mesi prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme”. Infatti alla fine i ribelli non riuscirono a resistere e nell’estate del 70 e.v. i romani schiacciarono la ribellione distruggendo il Tempio di Gerusalemme e massacrando gli abitanti della città.

Come molte città e villaggi che non si erano sottomessi all’autorità romana durante e dopo la rivolta, anche il piccolo villaggio di Hirbet Mazruk venne distrutto: il livello della distruzione è riconoscibile nel sito appena sopra quello dove sono state trovate le monete.

La Israel Antiquities Authority continuerà a studiare il sito per saperne di più sui villaggi agricoli ebrei di quel periodo.

(Da: Times of Israel, 5.8.14)


Goere e rivolte judaeghe antiromane
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_giudaiche
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_gi ... iuseppe%29
https://it.wikipedia.org/wiki/Assedio_d ... e_%2870%29
https://it.wikipedia.org/wiki/Diaspora_ebraica
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_e ... ntro_Gallo
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Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:41 am

El masacro e ła rexistensa de łi Istri a Nexasio

Stermegno de łi istro-iliri de Nexasio
viewtopic.php?f=110&t=375

Nexasio

http://it.wikipedia.org/wiki/Nesazio

Nesazio, oltre ad essere molto probabilmente il maggiore centro degli Istri (Histri), loro capitale regale e religiosa da cui dopo la penisola stessa prese il nome, salì all'onore delle cronache al momento della conquista romana nel 177 a.C.: il castelliere fu una delle ultime sacche di resistenza nella penisola (assieme ai due centri fortificati di Mutila e Faveria, pure essi nella bassa Istria) e sopportò un lungo assedio e la deviazione delle acque che lo rifornivano prima d'essere espugnato e saccheggiato.
Prima dell'entrata delle truppe romane buona parte della residua popolazione, tra cui il re histro Epulo (o Epulone) e l'intera sua corte, preferì il suicidio piuttosto che arrendersi e cadere in schiavitù a un nuovo sistema romanizzato da loro visto come barbaro ;
i rimanenti sopravvissuti furono quasi tutti ridotti in schiavitù
.

Castełàri istriani
viewtopic.php?f=152&t=739

http://www.crsrv.org/it/istria_tempo/PDF/01-44.pdf

da paxena 29

http://www.crsrv.org/it/istria_tempo/PDF/45-70.pdf


Castełàri furlan istriani
viewtopic.php?f=43&t=829

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... istria.jpg

I castellieri erano situati in cima a colli conici
http://www.crsrv.org/it/istria_tempo/PDF/45-70.pdf

I castellieri erano situati in cima a colli conici, sugli speroni sovrastanti le valli di alcuni paleocorsi d’acqua, su pianori circondati da profonde doline carsiche, lungo la costa marina e sulle isole. I loro numerosi ruderi sono oggi facilmente individuabili nel paesaggio grazie alle cime tronche delle alture e alle pendici terrazzate, senza dire che diverse città odierne, specie quelle in quota, si sono sviluppate dagli antichi castellieri. Lo confermano pure le numerose indicazioni topografiche tuttora in uso, come Gradina, Gradac, Gradišće o Gračišće, Stari grad, Castellier, Castelvenere ecc.
Nell’ elenco del 1903, C. Marchesetti ne conta, nell’area che comprende le isole del Quarnero, l’Istria fino alla Fiumara, la Carniola, il Litorale sloveno e la valle dell’Isonzo, ben 455 unità, di cui circa 350 nella penisola istriana.
Non sappiamo quando tutti questi abitati nacquero, quanto a lungo vissero o quando la vita vi si spense. Solo in pochi di essi sono stati effettuati scavi archeologici, e nella maggioranza dei casi la datazione viene stabilita in base alle caratteristiche dei tanti reperti di superficie di frammenti fittili.


Leggendaria Nesazio: la Micene istriana dai mille segreti
http://www.istriadalmazia.it/archivio-i ... iew&id=197
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Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » dom gen 11, 2015 11:51 am

El masacro e ła rexistensa dei Daci

Daci

http://www.treccani.it/enciclopedia/dac ... _Storia%29

Antica popolazione danubiana. Talvolta indicati nelle fonti greche genericamente come geti, i d. abitarono le regioni poste lungo il corso (e soprattutto a N) del basso Danubio. In un primo tempo essi appaiono divisi in tribù raramente concordi: contro una di queste, i triballi, guerreggiò nel 335 a.C. Alessandro Magno; le spedizioni successive di sovrani ellenistici contro i d. si risolsero per lo più in insuccessi. Le popolazioni daciche raggiunsero l’unità sotto Burebista, il quale riportò (ca. 60-44 a.C.) vari successi contro le popolazioni sarmatiche e scitiche e le città greche del Mar Nero. Ai romani i d. si presentarono come una popolazione a sedi fisse dedita in parte alla pastorizia e all’agricoltura, in parte allo sfruttamento dei giacimenti minerari (oro, ferro, sale) di cui erano ricche le regioni montane. La società era rigidamente divisa in popolo e nobili: questi ultimi erano i capi politici e religiosi del paese. L’unificazione raggiunta con Burebista tornò periodicamente a disgregarsi nelle epoche successive. Pare che Augusto imponesse loro una specie di protettorato formale; le scorrerie dei d. nelle province limitrofe di Mesia e Pannonia li posero in aperto contrasto con i romani. Al tempo di Domiziano (ca. 85 d.C.) i d. inflissero una pesante sconfitta alle truppe inviate contro di loro dall’imperatore, ma furono poi a loro volta sconfitti presso Tape. L’imperatore preferì, malgrado la vittoria, accordarsi col nuovo re Decebalo. Traiano non accettò la situazione che s’era così determinata e in due campagne (101-102 e 105-107) debellò la resistenza dei d. e del loro intelligente e forte re Decebalo il quale, sul punto di esser catturato, preferì togliersi la vita. La Dacia fu allora ridotta a provincia romana. Essa occupò, nel periodo della massima estensione, i territori corrispondenti all’od. Transilvania, alla Moldavia a O del fiume Prut, alla Valacchia, a parte della Galizia merid. e della Bucovina. La regione godette di una vita fiorente; molti centri divennero colonie o municipi, furono costruite strade, sfruttate le miniere di ferro e di oro. Capoluogo rimase l’antica capitale, Sarmizegetusa (od. Grădişte). Da Adriano fu divisa in Dacia superiore e inferiore, e da Marco Aurelio in tre distretti, Dacia Porolissense, Apulense, Maluense. Subì incursioni al tempo di Marco Aurelio, di Caracalla, di Valeriano e di Gallieno; fu abbandonata da Aureliano, il quale trasportò le truppe a S del Danubio in un territorio che chiamò Dacia Ripense (suddiviso ulteriormente in Dacia Ripense e Mediterranea).


http://it.wikipedia.org/wiki/Conquista_della_Dacia

http://it.wikipedia.org/wiki/Decebalo
Immagine


Łe fortese de rexistensa Dacia ai romani:

http://it.wikipedia.org/wiki/Fortezze_d ... 3%C8%99tie
Costruite nello stile del murus dacicus, le sei fortezze dacie dei monti Orăştie, oggi in Romania, vennero costruite in un periodo che va dal I secolo a.C. al I secolo d.C. come protezione dai conquistatori romani.
I loro resti, estesi e ben conservati, presentano l'immagine di una vigorosa e innovativa civiltà dell'età del ferro. Oggi, i cercatori di tesori sono molto assidui nelle ricerche in questa area, in quanto la Romania è carente in questo campo legislativo.
Le sei fortezze: Sarmizegetusa Regia, Luncani - Piatra Roşie, Costești - Blidaru, Costești - Cetăţuie, Căpâlna e Băniţa, che insieme formavano il sistema difensivo di Decebalo, sono state dichiarate patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

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Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense

Messaggioda Berto » lun mar 02, 2015 7:52 am

El masacro dei Luxitani

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... xitani.jpg


http://it.wikipedia.org/wiki/Lusitani
http://en.wikipedia.org/wiki/Lusitanians
(e dagheła co sta foła de łi endouropei ke no łi vol dir gnente)
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