Islam, persecuzione e sterminio dei cristiani

Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio mag 03, 2018 6:19 am

Centrafrica. Attacchi a una chiesa, a una moschea e a diversi ospedali a Bangui: 16 morti
01 maggio 2018

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... c9578.html

Strage durante la messa a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Una chiesa cattolica è stata attaccata da un commando armato di granate. Secondo i media locali ci sono almeno nove morti e decine di feriti.

Nella chiesa di Notre Dame di Fatima a Bangui - riferiscono fonti locali e siti di informazione religiosa - erano riuniti centinaia di fedeli per celebrare la fraternità di San Giuseppe. Improvvisamente sono comparsi, durante la messa, uomini armati che hanno cominciato a gettare delle granate. Tra i morti c'è anche un sacerdote. Il bilancio delle vittime e dei feriti è ancora provvisorio.

La chiesa di Notre Dame, nella capitale centrafricana, era già stata attaccata nel maggio del 2014. L'edificio di culto si trova molto vicino al quartieri PK5, l'enclave musulmana spesso al centro di scontri.

E la strage in chiesa non è stata l'unica esplosione di violenza etnica e religiosa a Bangui: sono stati attaccate infatti anche una moschea e diverse strutture ospedaliere, portando il bilancio delle violenze ad almeno 16 morti. Lo rivelano l'Onu, fonti ospedaliere e l'ong Medici senza frontiere.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 9:28 am

Indonesia, domenica di sangue: attaccate tre chiese, nove morti
Giovanni Neve - Dom, 13/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ind ... 25957.html

Orrore a Surabaya. Colpite tre chiese a distanza di pochi minuti. Una donna velata si fa esplodere insieme ai due figli. Poi altre due esplosioni

Un'altra domenica di sangue torna a segnare le drammatiche persecuzioni dei cristiani in Indonesia.

Una serie di esplosioni, in cui sono stati impiegati sia attentatori kamikaze sia auto bomba, ha colpito tre chiese causando la morte di almeno nove fedeli e ferendone una quarantina. I tre attacchi, probabilmente coordinati, sono stati sferrati in tre luoghi diversi di Surabaya, la seconda città più grande dell'Indonesia, situata nella parte orientale dell'isola di Java.

"Avevano programmato di attaccare gli obiettivi della polizia l'11 maggio - ha spiegato a Metro Tv il portavoce dell'Agenzia di intelligence nazionale, Wawan Purwanto - ma poiché eravamo pronti, hanno scelto obiettivi alternativi". La prima esplosione è avvenuta nella chiesa cattolica di Santa Maria alle 07:30 (in piena notte italiana). A seguire le esplosioni in una chiesa pentecostale e in una chiesa protestante con intervalli di una decina di minuti l'uno dell'altro. "A sferrare uno degli attacchi - ha svelato il portavoce della polizia, Frans Barung Mangara - è stata una donna velata che si è fatta saltare in aria insieme ai suoi due figli piccoli". I filmati trasmessi dalle principali televisioni indonesiane, poi, mostrano un motociclista che entra nei giardini della chiesa prima che la bomba esploda. Altre immagini mostrano, invece, un veicolo inghiottito dalle fiamme.

Quello compiuto oggi è probabilmente il più sanguinoso attacco degli ultimi anni. L'Indonesia è il più grande paese a maggioranza musulmana del mondo ed è colpita dai attacchi di militanti islamici dal 2000. L'intolleranza religiosa è andata aumentando negli ultimi anni. Gli attentati di oggi precedono di qualche giorno l'inizio del ramadan. Soltanto quattro giorni fa i detenuti hanno ucciso cinque poliziotti durante una rivolta scatenata dallo Stato islamico in un centro di detenzione della polizia vicino a Giacarta.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » ven giu 08, 2018 6:28 am

Genocidio armeno: La Turchia interviene duramente
Uzay Bulut
07/ giugno 2018

https://it.gatestoneinstitute.org/12477 ... no-turchia

L'annuale cerimonia di commemorazione del genocidio armeno che la sezione turca dell'Associazione per i diritti umani (IHD) e il Movimento di base europeo antirazzista (EGAM) avevano organizzato il 24 aprile – come fanno ogni anno dal 2005 – è stata bloccata dalla polizia, che ha sequestrato i cartelli e gli striscioni sul genocidio e ha controllato le fedine penali dei manifestanti. Tre attivisti per i diritti umani sono stati arrestati e poi rilasciati.

In un'intervista esclusiva al Gatestone, Ayşe Günaysu, un'attivista membro della Commissione dell'IHD contro il razzismo e la discriminazione, ha dichiarato che "mentre venivano condotti alla stazioni di polizia, i manifestanti fermati sono stati costretti ad ascoltare canzoni razziste contenenti parole ostili nei confronti degli armeni".

L'annuale cerimonia commemora il rastrellamento del 24 aprile 1915, l'arresto e il successivo massacro di più di 200 intellettuali armeni e leader della comunità armena di Istanbul per mano delle autorità ottomane – e il genocidio armeno che si consumò. Le vittime furono rinchiuse in una prigione, che oggi è un edificio che ospita il Museo di arte turca e islamica (Türk İslam Eserleri Müzesi). Gli armeni furono poi condotti alla stazione ferroviaria di Haydarpaşa, dove vennero trasportati in Anatolia per la fase finale dello sterminio. La Günaysu ha detto:

"Nel corso delle nostre commemorazioni, abbiamo mostrato le scene del crimine. Le abbiamo esposte al Museo di arte turca e islamica e alla stazione ferroviaria di Haydarpaşa, luoghi del crimine. Abbiamo letto ad alta voce e citato i nomi di oltre duemila città, paesi e villaggi armeni distrutti durante il genocidio. Abbiamo annotato i loro nomi e li abbiamo affissi su tabelloni. Pertanto, non abbiamo soltanto commemorato le vittime, ma abbiamo cercato di condividere con i cittadini turchi la verità sul genocidio".

Dal 2010, l'IHD si riunisce alla stazione ferroviaria di Haydarpaşa per la commemorazione. Quest'anno l'associazione voleva organizzare la cerimonia in piazza Sultanahmet. La Günaysu ha spiegato:

"Non chiediamo l'autorizzazione all'ufficio del governatore di Istanbul per commemorare il genocidio. Ci limitiamo a telefonare e a comunicare l'ora e il luogo della cerimonia. Sui nostri striscioni c'è scritto: "Genocidio! Ammettetelo! Chiedete perdono! Risarcite i danni!" in inglese e in turco. La polizia ci ha detto che avremmo potuto organizzare l'evento, a condizione che non avessimo usato la parola 'genocidio'. Ma abbiamo risposto che non ci saremmo autocensurati e che ci saremmo riuniti in piazza Sultanahmet per commemorare le vittime del genocidio. Avevamo inoltre preparato un comunicato stampa, ma non abbiamo potuto leggerlo né diffonderlo ai mass media a causa dell'intervento della polizia. La polizia ci ha anche sequestrato gli striscioni e le foto degli intellettuali armeni arrestati il 24 aprile 1915".

Il comunicato stampa dell'IHD, che la polizia ha impedito di diffondere, recita parzialmente così:

"Alla radice di tutti i mali di questo paese si trova il genocidio commesso contro i cristiani dell'Asia Minore e della Mesopotamia settentrionale, contro gli armeni, gli assiri e i greci.

"Ora, ancora una volta con profondo rispetto ci inchiniamo dinanzi alla memoria delle vittime armene, assiro-siriache e greche del genocidio. E noi, i discendenti dei perpetratori del genocidio, esprimiamo ancora il nostro senso di vergogna per non essere in grado di evitare la continuazione del genocidio attraverso la sua negazione e le successive ondate di distruzione per generazioni".

Purtroppo, l'aggressione turca contro i rimanenti armeni continua. Il 28 dicembre 2012, una donna armena di 85 anni, Maritsa Küçük, fu picchiata e accoltellata a morte nella sua casa del quartiere di Samatya, dove risiede una delle più grandi comunità armene di Istanbul.

Ayşe Günaysu ha raccontato che:

"durante l'intervento della polizia e gli arresti avvenuti alla cerimonia di commemorazione in piazza Sultanahmet, la figlia di Maritsa Küçük, Baydzar Midilli, ha urlato: 'Mia madre è una vittima del genocidio, eppure continuate a dire che non c'è alcun genocidio!!!' Mentre i poliziotti si erano diretti versi di lei per arrestarla a causa della protesta, Eren Keskin, un avvocato che opera per la tutela dei diritti umani, li ha fermati dicendo loro che la madre della Midilli era stata uccisa perché armena. Un funzionario della polizia è poi intervenuto per evitare che gli agenti la arrestassero".

Il 24 aprile 2011 – data del 96° anniversario del genocidio – Sevag Balıkçı, un armeno che stava espletando il servizio militare obbligatorio, fu colpito a morte da un nazionalista turco. Il suo assassino deve ancora essere assicurato alla giustizia. Durante la commemorazione del mese scorso, sette anni dopo la morte di Sevag, la famiglia e gli amici del giovane si sono recati sulla sua tomba a Istanbul per rendergli omaggio. Secondo la Günaysu, gli agenti di polizia hanno detto a coloro che si erano riuniti davanti al sepolcro del ragazzo che non era loro consentito pronunciare discorsi in cui menzionare la parola "genocidio":

"C'era un gran numero di poliziotti armati al cimitero. Mentre la gente pregava, la polizia era pronta a intervenire. Due attivisti hanno chiesto agli agenti di rispettare coloro che stavano pregando e piangendo. Per fortuna, la polizia li ha ascoltati e si è allontanata di pochi passi dalla tomba".

Il genocidio cristiano perpetrato nella Turchia ottomana durò dieci anni – dal 1913 al 1923 – e colpì armeni, greci, assiri e altri cristiani. Provocò circa tre milioni di vittime. Sebbene sia trascorso un secolo, è ancora una ferita sanguinante per le vittime e i loro discendenti. Il quotidiano online Artı Gerçek ha di recente riportato la notizia che le ossa delle vittime sono ancora visibili in un lago nella Turchia orientale.

Civili armeni, scortati dai soldati ottomani, marciarono per le strade di Harput fino a una prigione nei pressi di Mezireh (l'odierna Elazig), nell'aprile 1915. (Fonte dell'immagine: Croce Rossa americana/Wikimedia Commons)

La gente del posto ha chiamato il lago "Gvalé Arminu" (il "lago armeno") dopo il massacro di più di un migliaio di uomini, donne e bambini avvenuto 103 anni fa. Secondo l'articolo di Artı Gerçek, sopravvissero allo sterminio soltanto due bambini, nascosti dagli abitanti del villaggio. Persino le ossa che emergono in estate, quando il lago si prosciuga, non hanno indotto ad avviare alcuna inchiesta da parte del governo turco, il quale continua a negare il genocidio e tenta in modo aggressivo di mettere a tacere chi cerca di parlarne.

Il 24 aprile, l'agenzia di stampa finanziata dal governo Anadolu Agency (AA) ha pubblicato un pezzo titolandolo: "La fonte di reddito delle lobby armene: L'industria del genocidio", sostenendo che la diaspora armena e la Repubblica di Armenia fanno delle affermazioni false riguardo alla "menzogna del genocidio armeno" per fini economici.

Nello stesso giorno, l'AA ha pubblicato un altro articolo titolato "I turchi ricordano come sfuggirono all'oppressione armena". Secondo il mito turco, furono di fatto gli armeni "traditori" a perseguitare i turchi; e i turchi agirono per legittima difesa per liberarsi degli armeni assassini. Un'affermazione corrente da parte dei turchi è: "Se lo meritarono".

Le menzogne e la propaganda di Stato, le quali ritengono le vittime responsabili del loro stesso annientamento, sono ciò che consente la continua persecuzione turca degli armeni rimasti nel paese, compresa la trasformazione delle loro chiese in moschee e la profanazione delle tombe e delle chiese armene da parte dei cacciatori di tesori.

Il governo turco deve smetterla.

Uzay Bulut, musulmana di nascita, è una giornalista turca e membro dello Haym Salomon Center. Attualmente vive a Washington D.C.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » ven giu 15, 2018 8:17 pm

Egitto, Ramadan: bevono, cristiani arrestati
giugno 15, 2018

https://www.tempi.it/cristiani-arrestat ... yQARiB9ijI

Nessuna legge nel paese giustifica simili comportamenti, anche se nel 2016 è stata emessa una fatwa che afferma: durante le ore di digiuno «nessuno è libero di mangiare o bere»

Il Ramadan, il mese sacro per i musulmani, finisce oggi e molti cristiani sono sollevati in Egitto. Anche quest’anno, infatti, alcuni estremisti hanno approfittato della festività per perseguitare la minoranza copta nel paese, che conta circa per il 10 per cento della popolazione.

«PERCHÉ BEVI DURANTE IL RAMADAN?». Hani Shamshoun Girgis, fotografo cristiano di 31 anni, dipendente del quotidiano Tahrir, è stato fermato il 5 giugno alla stazione di Giza dalla polizia. Quando gli agenti, dopo aver frugato nel suo zaino, hanno trovato all’interno una bottiglietta d’acqua l’hanno accusato di non osservare il Ramadan. «Si sono arrabbiati e mi hanno portato alla stazione di polizia ferroviaria come se fossi un criminale. Nell’ufficio un agente mi ha detto: “Perché ti porti dietro una bottiglietta d’acqua durante il Ramadan?”. Io gli ho risposto che non digiunavo perché sono cristiano, allora ha cominciato a insultarmi e mi ha detto che dovevo considerarmi in stato di fermo fino al calar del sole». Girgis ha chiamato il suo datore di lavoro, che è riuscito a tirarlo fuori dopo due ore ma «l’esperienza è stata umiliante, soprattutto per me che durante il Ramadan, per rispetto, non mangio e non bevo davanti ai miei colleghi musulmani», dichiara il fotografo a World Watch Monitor.

PESTAGGI. Un incidente simile riguardante il mese sacro è accaduto ad Adel Ayoub, contadino copto di 52 anni del villaggio di Beni Ibrahim, nel governatorato di Asyiut. Il 6 giugno, mentre beveva un bicchiere d’acqua fuori da casa sua, è stato aggredito da un gruppo di giovani: «Perché non rispetti il Ramadan?», gli hanno chiesto. Appena hanno udito la risposta («non digiuno perché sono cristiano») lo hanno malmenato fino quasi a farlo svenire. La stessa cosa è accaduta nella città di Helwan a un conducente cristiano di autobus, picchiato da un gruppo di islamisti per aver bevuto un tè.

LA FATWA. Nessuna legge in Egitto giustifica simili comportamenti, anche se nel 2016 un membro del centro di ricerca islamico Fatwa House, Shawki Allam, ha emesso un decreto religioso secondo il quale durante le ore di digiuno «nessuno è libero di mangiare o bere» nel paese, a prescindere dalla religione dell’individuo.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun lug 23, 2018 7:25 pm

La comunità internazionale ignora il genocidio dei cristiani in Nigeria
Raymond Ibrahim
17 luglio 2018

https://it.gatestoneinstitute.org/12720 ... c.facebook

In quello che l'Associazione cristiana della Nigeria definisce un "genocidio puro", altri 238 cristiani sono stati uccisi e un certo numero di chiese sono state profanate dai musulmani alla fine di giugno, in questo paese dell'Africa occidentale. Questi ultimi attacchi portano il bilancio delle vittime cristiane a oltre 6mila dall'inizio del 2018.

Secondo una dichiarazione congiunta dell'Associazione cristiana, un'organizzazione ombrello di diverse confessioni cristiane, "non c'è dubbio che l'unico scopo di questi attacchi sia la pulizia etnica, l'appropriazione di terre e la rimozione forzata degli autoctoni cristiani dalla terra dei loro antenati e dalle loro radici".

La dichiarazione ha condannato i recenti attacchi, "in cui più di 200 persone sono state brutalmente uccise e le nostre chiese distrutte senza alcun intervento da parte delle agenzie di sicurezza, nonostante le numerose richieste d'aiuto loro fatte".

La nota congiunta aggiunge che la maggior parte dei 6mila cristiani massacrati quest'anno erano "principalmente bambini e anziani. (...) Ciò che sta accedendo in (...) Nigeria è genocidio puro e deve essere immediatamente fermato".

I dettagli dell'uccisione di queste migliaia di persone, sebbene raramente riportati, sono spesso raccapriccianti: molti cristiani sono stati fatti a pezzi o decapitati con il machete; altri sono stati bruciati vivi (rinchiusi nelle chiese o nelle abitazioni); e le donne vengono spesso molestate o stuprate prima di essere massacrate.

Sia il governo nigeriano sia quello americano hanno a lungo cercato di presentare questo annoso jihad come una disputa territoriale tra ricchi (chiaramente sempre cristiani) e poveri (ovviamente sempre musulmani).

Nel 2012, ad esempio, il presidente Bill Clinton affermò che la "disuguaglianza" e la "povertà" sono "ciò che alimenta tutte queste cose" (le "cose" sono un riferimento al massacro dei cristiani in corso in Nigeria). L'ex sottosegretario di Stato americano per gli Affari africani, Johnnie Carson, dopo un attentato a una chiesa nigeriana avvenuto il giorno di Pasqua del 2012 in cui morirono 39 fedeli, disse che voleva "cogliere l'occasione per sottolineare un punto chiave, ossia che la religione non alimenta la violenza estremista". Secondo quanto riferito, l'amministrazione Obama acconsentì a investire 600 milioni di dollari in una iniziativa USAID lanciata per accertare le "vere cause" dei disordini e delle violenze in Nigeria – che ovviamente sono di natura socio-economica, e a quanto pare mai religiosa.

Ma nella sua recente dichiarazione, l'Associazione cristiana della Nigeria nega queste affermazioni. Dopo aver detto che il governo nigeriano – il quale presenta gli attacchi come scontri tra agricoltori e pastori – consente sempre ai responsabili delle stragi di "farla franca", l'associazione chiede:

"Come può essere uno scontro quando un gruppo [i musulmani] continua ad attaccare, uccidere, mutilare e distruggere, e l'altro gruppo [i cristiani] viene costantemente ucciso, mutilato e i loro luoghi di culto distrutti? Come può essere uno scontro quando i pastori cacciano gli agricoltori nei loro villaggi/comunità e gli agricoltori scappano per salvarsi la vita?"

Il 2 maggio, il Forum nazionale degli anziani cristiani – un'ala dell'Associazione cristiana della Nigeria i cui membri hanno un'età media di 75 anni e provengono dalle sei zone geopolitiche della Nigeria – si è incontrato con l'Alta commissione britannica nel tentativo di ricevere sostegno. (Alcuni giorni prima dell'incontro, circa 30 pastori musulmani avevano preso d'assalto una chiesa durante la messa mattutina e ucciso una ventina di parrocchiani e due sacerdoti.) Ecco, in sintesi, le questioni sollevate dal gruppo:

È chiaro agli anziani cristiani che il JIHAD è stato lanciato in Nigeria dagli islamisti del nord della Nigeria, con a capo il gruppo etnico dei Fulani [i "pastori"]. Questo jihad si basa sulla dottrina dell'odio insegnata nelle moschee e nelle madrasse nel nord della Nigeria, nonché sull'ideologia suprematista dei Fulani. Usando tanto il jihad convenzionale (violento) quanto quello furtivo (civiltà), gli islamisti del nord della Nigeria sembrano determinati a trasformare la Nigeria in un sultanato islamico e a rimpiazzare la democrazia liberale con la sharia come ideologia nazionale. L'obiettivo è ovviamente quello di soppiantare la Costituzione con la sharia come fonte di legislazione. L'attuale Costituzione del 1999 è contaminata da una duplice ideologia conflittuale di democrazia e sharia. Ci sono alcuni valori che non sono negoziabili in una società pluralistica e sembra che i sostenitori del Califfato non rispettino questo. Una Nigeria basata su due ideologie non può essere la Nigeria dei nostri sogni. Vogliamo una Nigeria, dove i cittadini siano trattati equamente davanti alla legge a tutti i livelli. (...) Dato che i cristiani costituiscono oltre il 50 per cento della popolazione nigeriana, l'obiettivo degli islamisti è quello di creare gravi conflitti i quali, se non sono controllati, rischiano di degenerare in un'altra guerra civile. Già, gli islamisti stanno uccidendo i cristiani rimanendo impuniti e distruggono i vulnerabili luoghi di culto dei cristiani e le loro comunità a un ritmo allarmante e disumano.

Il fatto che 6mila cristiani "per lo più bambini, donne e anziani", siano stati massacrati solo nei primi sei mesi di quest'anno induce a pensare che la violenza si intensifica solo se non viene controllata. Questa è la storia della persecuzione operata dai musulmani in Nigeria ai danni dei cristiani.

Agli stessi pastori musulmani c'è voluto il triplo del tempo (un anno e mezzo, tra dicembre 2013 e luglio 2015), ad esempio, per massacrare complessivamente 1.484 cristiani (532 uomini, 507 donne e 445 bambini), ferire gravemente 2.388 cristiani (1.069 uomini, 817 donne e 502 bambini) e per incendiare o distruggere 171 chiese.

Il governo nigeriano e la comunità internazionale, tuttavia, fin dall'inizio hanno fatto ben poco per affrontare la situazione. Questa mancanza di partecipazione non è sorprendente: non riescono nemmeno a riconoscere le sue radici, ossia l'intollerante ideologia del jihad. Di conseguenza, il bilancio delle vittime cristiane non ha fatto che aumentare – e probabilmente continuerà a crescere in modo esponenziale – fino al momento in cui questa realtà non sarà soltanto riconosciuta, ma anche affrontata.

Il governatore dello Stato nigeriano di Anambra, Willie Obiano (al centro), visita una ragazzina ferita, sopravvissuta a un attacco mortale alla chiesa cattolica di St. Philip, a Ozubulu, l'11 agosto 2017. (Fonte dell'immagine: Channels TV video screenshot)

Raymond Ibrahim è autore di Crucified Again: Exposing Islam's New War in Christians (pubblicato dalla casa editrice Regnery in collaborazione con il Gatestone Institute, nell'aprile 2013),
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun lug 23, 2018 7:25 pm

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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun lug 23, 2018 7:25 pm

Giordania. Ecco come vivono i cristiani
LeoneGrotti
maggio 31, 2018

https://www.tempi.it/nel-paese-islamico ... 1YOc7h9ijI

In Giordania i cristiani non sono oggetto di violenza ma restano cittadini di serie B e devono sottostare alla sharia: la testimonianza del vescovo Salim Sayegh.

«La Giordania è uno dei paesi migliori del Medio Oriente dove essere cristiani» e nonostante questo i cristiani sono «discriminati, soprattutto a scuola, anche se la discriminazione non sfocia mai in violenza grazie all’impegno del re Abdallah II». Così monsignor Salim Sayegh (foto in basso) ha riassunto la situazione dei suoi fedeli nel Regno Hascemita. Intervenuto il 26 maggio a un evento organizzato a Parigi dal forum “Jésus le Messie”, il vescovo emerito del Patriarcato latino di Gerusalemme, nonché vicario patriarcale per la Giordania, ha spiegato quanto sia difficile per una «terra islamica» accettare l’altro da sé nonostante i migliori sforzi delle autorità politiche.

TRE PER CENTO. La Giordania era un territorio a maggioranza cristiana, ma dopo l’invasione islamica cominciata nel VII secolo i fedeli, non potendo pagare il tributo umiliante (jizya), si convertirono uno dopo l’altro, diminuendo sempre di più. Oggi i cristiani sono «solo il 3%» della popolazione e grazie soprattutto alla politica tollerante della monarchia «godono di pace e sicurezza. Le chiese non vengono attaccate, i cristiani sono rispettati, non vengono oppressi e il re insiste sempre che siamo tutti, musulmani e cristiani, una sola famiglia in Giordania», spiega monsignor Sayegh.

TERRA ISLAMICA. Nonostante questo, «quando i musulmani diventano maggioranza in un paese, la considerano terra islamica e impongono determinate regole», continua. La Costituzione della Giordania, pur affermando l’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di razza o religione, riconosce l’islam come religione ufficiale dello Stato e fa della sharia la fonte principale della legge. «Il non musulmano di conseguenza è intrinsecamente discriminato. Un cristiano non può diventare primo ministro o ministro degli Interni o capo dell’esercito, perché una terra islamica non può essere governata da un non musulmano».

LIBERTÀ RELIGIOSA. La discriminazione, continua il vicario patriarcale per la Giordania, è evidente quando si tratta di tutti quei temi che, non essendo disciplinati dal codice penale o civile, sono affidati alla giurisprudenza islamica e ai tribunali della sharia. Pur essendo garantita formalmente la libertà religiosa, è emblematico il caso degli “apostati”, di quelle persone cioè che si convertono dall’islam al cristianesimo: «Secondo la giurisprudenza devono essere condannati a morte, così viene insegnato anche nelle scuole», racconta il vescovo emerito del Patriarcato latino di Gerusalemme. «In Giordania chi rinuncia all’islam perde la patria potestà sui figli, è considerato automaticamente divorziato dalla moglie e non può più sposarsi, non potendo godere dei diritti civili. Alla sua morte, inoltre, i beni vengono ereditati dallo Stato». Niente di tutto ciò avviene invece quando un cristiano si converte all’islam.

MATRIMONI MISTI. Per quanto riguarda i matrimoni misti, un cristiano non può sposare una donna musulmana, mentre l’inverso è permesso, e i figli della coppia sono automaticamente musulmani. Se un cristiano si converte all’islam i suoi figli diventano automaticamente musulmani e se vogliono, una volta compiuta la maggiore età, essere riconosciuti come cristiani, devono recarsi in un tribunale della sharia «dove verranno definiti apostati», con tutto quello che ne consegue.

«I CRISTIANI NON SONO CITTADINI». Anche a scuola «il fondamentalismo è in aumento. Professori estremisti nelle scuole e nelle università fanno molta pressione sugli studenti cristiani, che dovrebbero avere diritto a studiare la propria religione, come previsto dalla legge, anche se non accade e sono costretti a studiare l’islam». Inoltre, prosegue monsignor Sayegh, «nei libri di testo viene scritto che i cittadini giordani sono tutti musulmani. Il fondamentalismo del ministero dell’Educazione non riconosce dunque che i cristiani possano essere cittadini della Giordania. Spesso poi i musulmani si rifiutano di sedersi vicino ai cristiani o non stringono loro la mano. Malgrado la moderazione per cui la Giordania è conosciuta, questa discriminazione esiste in molti settori, anche se bisogna dire che non sfocia mai in violenza».

«FRANCESI, STATE ATTENTI». Davanti a questi fatti, spiega il vescovo emerito, risulta chiaro che «non esiste l’islam moderato o fondamentalista: esiste solo l’islam. Ci sono poi dei musulmani che possono essere definiti moderati perché accettano l’altro, ma l’islam è questo. Qui in Francia c’è uguaglianza tra cristiani e musulmani, perché esiste la laicità, ma in terra islamica c’è solo la sharia e l’uguaglianza non è possibile perché la religione regola tutto: dalla società alla cultura alla politica». Dunque, conclude monsignor Sayegh con un monito, «i francesi devono stare attenti perché i musulmani si approfittano della libertà religiosa europea per instaurare l’islam ed espandersi. E poiché i musulmani sono refrattari alla laicità, anche la laicità in Francia è in pericolo».
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio ott 25, 2018 7:04 am

"Vivere in mezzo agli islamici ci fa diventare più cristiani"
Stefano Filippi - Mer, 24/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/vivere-me ... xRD4YQNLCw

Da 15 anni è vescovo in Arabia Saudita: "Non è facile coltivare la fede ma laggiù la gente trova ancora il fiato per venire a messa la sera"

Dal 2003 monsignor Paul Hinder, frate cappuccino svizzero, è vescovo nella penisola arabica, la terra santa dell'islam. Vive ad Abu Dhabi e gira in continuazione le sue parrocchie sparse su un territorio enorme, poche e con scarsi spazi ma affollatissime di fedeli, tutti immigrati. Prova sulla sua pelle le limitazioni imposte da sceicchi ed emiri ai cristiani, è molto realista sulle difficoltà del dialogo interreligioso, ma non si nasconde, affronta i rischi, incontra tutti, tiene viva la fede di oltre due milioni di cattolici venuti da tanti Paesi nella regione araba per lavorare.

E confessa che spesso sono i suoi stessi fedeli a essergli di esempio: «Per loro la Chiesa è una patria, cosa che non riscontro in altre parti del mondo».

Come decise di farsi frate? La Svizzera non sembra terra di molte vocazioni.

«Lo era quando entrai in seminario. Nel 1963 la provincia svizzera dei cappuccini contava 800 membri, era la più grande di tutto l'ordine. Ora siamo 130, e non è ancora finita».

Prete nel deserto fin da giovane.

«Sono nato in una famiglia cattolica e praticante, dei quattro fratelli abbiamo scelto in due la vita religiosa: un benedettino e un cappuccino. Mi sentivo attirato dalla liturgia, avevo una buona impressione del mio parroco e di uno zio materno che era fratello laico cappuccino. La conoscenza di queste due persone, unite al clima nella famiglia, mi aiutò a trovare questa strada. I problemi veri sono venuti dopo».

A che cosa si riferisce?

«Ho vissuto il Sessantotto alle università di Monaco e Friburgo. Tanti miei cari amici lasciarono la tonaca e la Chiesa, è stato molto duro. Però sono grato che il Signore e qualche confratello mi abbiano aiutato a restare nella strada che scelsi 56 anni fa quando entrai in noviziato».

Com'è finito vescovo in Arabia Saudita?

«Nel 1994 il capitolo generale dei cappuccini mi elesse tra i consiglieri. Avevo la responsabilità per le province di lingua tedesca e francese e dal '95 anche del Vicino Oriente: Turchia, Libano, Terrasanta e Golfo, zona affidata ai cappuccini, compreso il vicario apostolico dell'Arabia. Nel 2001 bisognava avvicendare il settantacinquenne vescovo Giovanni Gremoli. Una prima terna di nomi tornò indietro, un altro confratello rifiutò. A quel punto, erano già passati due anni, il ministro generale mi disse: Finora ti ho protetto, ma se ora qualcuno pronuncia il tuo nome, in coscienza non posso più tenerti fuori».

E lei?

«Qualche giorno dopo andai a Gerusalemme per la Settimana santa. Il Giovedì santo sono sceso al Getsemani e ho pregato anch'io: Signore, fammi passare questo calice, però sia fatta la tua volontà. Tornai con la pace nel cuore, speravo non capitasse ma nel caso ero pronto. Il 15 dicembre il cardinale Crescenzio Sepe mi chiese di diventare ausiliare di monsignor Gremoli e il 30 gennaio fui ordinato vescovo ad Abu Dhabi. Velocissimo».

Quant'è grande la sua diocesi?

«Nel 2004, quando arrivai, comprendeva Arabia Saudita, Yemen, gli Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Bahrain. Nel 2011 il Vaticano decise una riorganizzazione: Arabia Saudita, Bahrain e Qatar furono unite al Kuwait nel vicariato dell'Arabia settentrionale e gli altri Paesi formarono il vicariato dell'Arabia meridionale, il mio».

Quanti cattolici ci vivono?

«Non ci sono statistiche affidabili. Direi almeno due milioni e mezzo. Molti vivono in Arabia Saudita dove, com'è noto, non esistono luoghi di culto ma soltanto una pastorale interna discreta. Per il mio vicariato conto circa un milione di persone».

Parrocchie?

«Ne abbiamo 8 negli Emirati e fra poco se ne aggiungerà un'altra, 4 nell'Oman e 4 nello Yemen, che però non funzionano per colpa della guerra. Nel vicariato del Nord esiste una sola parrocchia per tutto il Qatar, enorme: ho costruito io la chiesa tra il 2007 e il 2008. In Bahrain se ne trovano 3, in Kuwait 4 ma solo 2 chiese vere».

Ovviamente tutti immigrati.

«Tutti. Sono lì a tempo, devono rinnovare il loro permesso ogni 2-3 anni, incluso il vescovo».

Anche lei?

«Ho un visto di un anno, stavolta non me l'hanno dato triennale come di solito. Spero lo faranno la prossima volta, anche se potrei avere già finito il mandato».

Che cosa fa un vescovo cattolico nel cuore dell'islam?

«Ogni anno mi reco in tutte le parrocchie, di solito le visite pastorali prendono da fine gennaio a inizio giugno. Durano dai 4 agli 8 giorni, come per esempio a Dubai: è una delle parrocchie più grandi del mondo, ha oltre 300mila fedeli, anche se non tutti possono venire in chiesa. Incontro i gruppi e le persone che vogliono parlare al vescovo. Impartisco migliaia di cresime, 800 soltanto a Dubai. Incontro tutti i preti, individualmente e in gruppo, vediamo i problemi e prendo decisioni quando necessario. Dico qualche parola in ogni messa. Dal venerdì mattina alla domenica sera parlo in più di 20 celebrazioni a migliaia di persone».

Faticoso?

«Non ho mai predicato tanto come nei Paesi del Golfo. È un lavoro enorme. In Europa ero abituato a predicare in tedesco e francese e occasionalmente in italiano, ma non in inglese che qui è la lingua franca. Ancora non mi è così facile. Poi ho l'amministrazione ordinaria del vicariato e i rapporti con i governi locali e con Roma».

È difficile vivere la fede in quei Paesi?

«Non è facile da nessuna parte. Però l'ambiente musulmano ci aiuta a essere più coscienti. Ascoltare cinque volte al giorno la chiamata alla preghiera musulmana è un richiamo anche per noi, per la nostra pratica. Vedere come loro vanno alla moschea è uno stimolo: non dobbiamo prendere la nostra fede come scontata».

L'islam dominante non vi è di ostacolo?

«La gente che ci visita dall'India o dalle Filippine dice che la propria gente è più attiva nel Golfo che in patria. Noto che la Chiesa per molti è una patria di appartenenza, in senso spirituale ma anche come luogo dove si incontrano persone di diverse etnie che credono nelle stesse cose. La partecipazione di tanti gruppi è stupenda e mi stupisce ancora dopo tutti questi anni».

È sorpreso di vedere tanta gente in chiesa?

«Quando sono tornato dopo 2 mesi di assenza a causa di un intervento chirurgico in Svizzera, ho celebrato messa la sera di un giorno feriale e la chiesa era piena, saranno state mille persone. Quando penso ad altre regioni del mondo, mi dico che lì hanno tutte le libertà ma non le usano per coltivare la fede: da noi questa gente lavora tutto il giorno e ha ancora fiato di venire a messa la sera. È qualcosa di straordinario».

Si lavora 6 giorni negli Emirati?

«A volte anche 7, soprattutto il personale domestico. È un problema sociale enorme, nonostante i progressi fatti nella protezione dei lavoratori. C'è chi li tratta in modo decente e li paga come dovrebbe, ma per molti altri i domestici sono schiavi. E non solo per i locali, ma anche per occidentali con elevate posizioni sociali».

Com'è la sua esperienza con l'islam?

«Non esiste soltanto un islam. In Arabia predominano i sunniti, nell'Oman gli ibaditi, nello Yemen si trovano sunniti e il ramo sciita degli huthi. Negli Emirati almeno l'80% dei musulmani è straniero: pakistani, indiani, indonesiani, bengladesi. Anche se si chiamano tutti fratelli tra di loro, come del resto anche noi, un musulmano pakistano non è allo stesso livello di quello emiratino: malgrado la umma, la famiglia islamica, rimangono differenze sociali e forse anche di ordine razziale».

I cattolici sono rispettati?

«Mi è capitato di essere invitato durante il ramadan in qualche famiglia per la festa della sera dopo il digiuno, è uno scambio di familiarità e amicizia che ho sempre ammirato. Poi magari esagerano perché vanno avanti quasi tutta la notte e di giorno sono stanchi e devono digiunare di nuovo. Vado come religioso, non mi nascondo, e non posso lamentarmi».

Nemmeno con le autorità?

«Non ho timore di incontrare gli ufficiali del governo e i diplomatici. È chiaro, quando si arriva al punto loro sono il top della religione. A volte qualcuno mi domanda come mai una persona può essere buona e perbene senza essere musulmano: per loro le due cose coincidono».

Si può dialogare tra fedi diverse se una delle due si considera superiore?

«Un dialogo interreligioso fatto a Riad o Abu Dhabi è diverso da quello che si fa a Roma, Vienna o New York, è evidente. Ci si esprime più liberamente altrove. Però è importante conoscere le persone, vedersi e parlarsi a faccia a faccia».

Che limitazioni subiscono i cattolici?

«La pratica religiosa può avvenire soltanto all'interno dei terreni concessi alle parrocchie. Però io non devo presentare la mia omelia al governo, a differenza dell'imam che deve recitare il testo ufficiale del ministero o presentare il suo testo in anticipo: in questo senso siamo quasi più liberi. Tuttavia, non possiamo agire fuori dei luoghi che ci sono attribuiti, nemmeno nei villaggi distanti centinaia di chilometri da una chiesa. Se qualche volta ci rechiamo nei villaggi lontani, per incontrare i nostri fedeli, lo facciamo a nostro rischio. Ma è impressionante vedere la gente all'interno, isolata ma felice anche solo di vedere il vescovo che non ha paura di recarsi da loro».

Conversioni dall'islam?

«Naturalmente no, è tabù. I cristiani possono diventare musulmani, sono i benvenuti, ma a noi è vietato convertire».

Potete costruire liberamente le chiese?

«Non è facile ottenere i permessi. Ci vuole molta pazienza e anche insistenza. Siamo obbligati a non esporre nessun segno esplicitamente cristiano all'esterno, nulla di visibile da fuori: croci, campanili, statue. I divieti sono esplicitati nei contratti di concessione dei terreni».

A chi appartengono i terreni?

«Ci vengono concessi per lo più con una forma di comodato gratuito. La costruzione è a carico nostro. E se un giorno l'emiro decide che in quel posto sarebbe meglio fare altro, dobbiamo sloggiare».

È capitato?

«Sì, ad Abu Dhabi negli anni '80. La prima chiesa si trovava nel quartiere turistico e degli affari e ci proposero di trasferirla nel centro dell'isola. Per noi è stata una benedizione: là era più bello ma la nostra gente vive altrove e ora siamo in un posto migliore. Potrebbe capitare di nuovo».

Quindi per lei l'islam ha una certa tolleranza con i cristiani.

«Ad Abu Dhabi sì. C'è pure un ministro per la tolleranza e uno per la felicità, perché la gente dev'essere felice».

Anche i cattolici?

«Dovremmo esserlo per natura».

Avete spazi sufficienti?

«In realtà ce ne vorrebbero di più ampi, le strutture parrocchiali sono troppo piccole e non c'è molto posto per il catechismo, le attività pastorali e anche la liturgia. Ad Abu Dhabi due chiese sorgono sullo stesso terreno, a pochi metri di distanza: la cattedrale di san Giuseppe e la chiesa di santa Teresa. Questo ci consente maggiore flessibilità: possiamo iniziare una messa anche se un'altra è ancora in corso».

Quante messe si celebrano?

«In inglese 3 al giorno dal lunedì al giovedì, 6 il venerdì, 3 il sabato e 8 la domenica. Chi lavora può venire a messa soltanto il venerdì, giorno festivo dei musulmani. Poi ne diciamo altre in 15 lingue diverse: i miei preti sono frati cappuccini provenienti da 20 province diverse del mondo».

È contento del suo percorso?

«È stato duro all'inizio. Ricordo la prima volta che venni negli Emirati come visitatore, quando non c'era ancora il rischio di diventare vescovo. Mi dicevo: mai potrei sopravvivere da queste parti. È andata diversamente. Ma ho detto sì e ora sono grato. Non avrei mai avuto una vita così ricca, interessante, in un punto strategico per la politica internazionale e per la religione. Celebro messa per numerosi ambasciatori cattolici, che vengono in chiesa mescolandosi tra i fedeli. E una volta anche per un presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi: alle 8 venne nella cappella della casa episcopale, poi prendemmo il caffè. In un convento svizzero non mi sarebbe mai successo».
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » dom dic 30, 2018 9:11 pm

EGITTO, IMPOSSIBILE COSTRUIRE CHIESE/ La legge aggirata per isolare i cristiani: lo stato non le riconosce
30.12.2018 - Paolo Vites

https://www.ilsussidiario.net/news/este ... 829000/amp

In Egitto costruire nuove chiese è diventato impossibile, paradossalmente proprio grazie a una nuova legge che dovrebbe tutelare i cristiani. “Cristiani e musulmani sono amici e fratelli fino a che non viene costruita una nuova chiesa” spiega un cristiano copto egiziano al sito Mada Masr. “Appena viene costruita una chiesa, scoppiano i problemi”. La minoranza cristiana egiziana soffre da decenni discriminazioni e persecuzioni in Egitto, mai risolte nonostante ripetuti tentativi di riconciliazione da parte delle autorità. Nel 2016 è stata approvata una legge che deve riconoscere ufficialmente le quasi 5mila chiese esistenti nel paese (di cui circa 3mila appartenenti alla chiesa copta), ma a novembre 2018 di queste risultavano riconosciute solo 508. Con questi ritmi ci vorranno almeno dodici anni per riconoscerle tutte. E nel frattempo non se ne potranno costruire di nuove.


IL TRUCCO DIETRO ALLA LEGGE SULLE CHIESE

Molte di quelle esistenti sono in condizioni rovinose, ma senza la loro legalizzazione non è possibile neanche fare lavori di ristrutturazione. Il governo del presidente al-Sisi ha autorizzato la costruzione di 508 nuovi edifici religiosi, ma solo 8 di essi hanno ricevuto l’autorizzazione. Sebbene quindi la legge sia stata formulata con l’intenzione di riconoscere ai cristiani pari diritti con i musulmani, l’obbiettivo è lontanissimo, anzi secondo i cristiani il vero scopo di questa legge è di isolarli, mentre c’è bisogno di una legge che riconosca lo stesso numero di edifici religiosi tra musulmani e cristiani. Il tutto mentre sono numerosi gli attacchi e i fenomeni di bullismo nei confronti delle chiese e dei cristiani. Dopo la costruzione di una nuova chiesa copta nella città di Klum al-Raheb, si sono verificati violenti attacchi con l’arresto di 19 persone rilasciate in tempi molto brevi dalle autorità.



I 34 cristiani copti decapitati 3 anni fa, da non mai dimenticare
Giulio Meotti
26 dicembre 2018

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 9295924282

Li ricordate? 34 cristiani copti giustiziati in un video dello Stato islamico. Accadeva tre anni fa. Il giorno di Natale, ieri, i corpi di questi cristiani sono stati finalmente ritrovati in una fossa comune in Libia. L'Isis li definiva “gli adoratori della croce appartenenti all’ostile Chiesa etiope”. Nella parte finale del filmato, un uomo mascherato affermava: "Noi giuriamo su Allah che voi cristiani non sarete mai al sicuro, neanche nei vostri sogni, neanche in roccaforti, fino a quando non abbraccerete l’islam”. Quelle povere teste decollate, che rotolavano nel deserto a sud delle coste italiane, furono derubricate dai nostri media e politici in fretta sotto il “già visto”. Perché morire sgozzati dallo Stato islamico soltanto perché cristiani ha sempre fatto meno notizia che morire affogati su una nave stipata di disperati in mezzo al Mediterraneo. Al termine del filmato della decapitazione dei trenta cristiani etiopi si vedono i campanili di Mosul, in Iraq, abbattuti dall'Isis. Beh oggi mi è caduto l'occhio su un'altra notizia, altrettanto terribile: “Natale a Mosul senza cristiani”. Il genocidio ha funzionato bene, anzi benissimo, grazie anche al menefreghismo europeo e di tanti ecclesiastici più preoccupati a non apparire “islamofobi” che a difendere i propri fratelli. Avete letto o sentito la notizia da qualche parte oggi?

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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » dom dic 30, 2018 9:13 pm

Asia Bibi la cristiana pachistana assolta ma non ancora liberata dopo 10 anni di prigione
viewtopic.php?f=196&t=2807
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6954466874

Asia Bibi la pachistana della minoranza cristiana perseguitata dai nazi maomettani, assolta e ancora non liberata dalla Corte Suprema pachistana dopo varie condanne e 10 anni di prigione, madre di cinque figli.
I pachistani la vorrebbero uccidere come hanno già ucciso alcuni suoi protettori e difensori, stanno protestando in tutto il Pakistan per ucciderla.
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Come già fatto dal criminale Maometto e come scritto nel suo demenziale Corano
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