Islam, persecuzione e sterminio dei cristiani

Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » mar ott 13, 2015 9:09 pm

Smettiamola di preoccuparci dei palestinesi che ci odiano. Occupiamoci solo dei cristiani che vengono uccisi 1 ogni 5 minuti
di Silvana De Mari 12/10/2015

http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... inuti.html

Ce l'avevo con la dittatura dell'omologazione sessuale, che porta al crollo di natalità necessario a farci diventare una repubblica islamica.

È cominciata l’Intifada fai da te: qualche morto al giorno e l’ebreo leva di torno.

Fino al mattino qualcuno è stato impiegato, studente o madre di famiglia, poi al pomeriggio si diventa terroristi. D’altra parte i palestinesi da 50 anni sono scolarizzati fino almeno a 16 anni, il livello più alto di tutta la regione, e sono scolarizzati su libri di testo finanziati dall'Unione Europea dove l’odio contro gli ebrei, non gli israeliani, gli ebrei, è istillato con una tale ferocia, che chi non desidera ucciderli è considerato un reprobo.

L’articolo 1 dello statuto di Hamas e l’articolo 1 dello statuto di Al Fatah, che sarebbero i moderati, recita: noi vogliamo la distruzione dello Stato di Israele.

Qual è lo scopo di questi morti? Qual è la strategia? Dio mi è testimone che la mia fede nella capacità di intendere e di volere delle gerarchie palestinesi non è eccelsa, ma nemmeno loro possono essere così stupidi da ritenere che a tre morti al giorno faranno fuori Israele.

La strategia siamo noi. Tutto questo serve per scatenare morti palestinesi, che come sempre occupano tutta la scena mediatica, mentre i cristiani nigeriani bruciati vivi nelle loro chiese insieme ai bambini cristiani iracheni crocefissi scompaiono nel buio dell’indifferenza. I morti palestinesi inoltre sostengono il vittimismo islamico che è uno dei componenti della conquista dell’Europa e del mondo. Gli israeliani difendono i loro vivi e puniscono l’assassinio di loro morti sono cattivi. Noi, più buoni, i nigeriani bruciai vivi e i bambini crocefissi neanche li nominiamo, così evitiamo di irritarci che sarebbe razzismo e islamofobia. I morti palestinesi servono a riempire la scena così da spingere sempre di più il mondo arabo a volere la distruzione nucleare di Israele, e il mondo occidentale ad accettarla con olimpica rassegnazione.

E se vogliamo che il conflitto Israele-Palestina termini, smettiamo di parlarne. Parliamo del fatto che ogni 5 minuti un cristiano viene ucciso, parliamo del bambino di 11 anni cui sono state amputate le dita davanti al padre per spingerlo ad abiurare. Siete preoccupati che il bambino possa vivere da invalido? Tranquilli, è già stato ammazzato.

Quindi, è tutto qui: noi ci occupiamo di cristiani e solo di cristiani, perché sono il gruppo più atrocemente perseguitato, e occupandoci solo di cristiani faremo tre miracoli: salveremo i cristiani, gli israeliani e i palestinesi, perché se non fosse sotto i riflettori, il conflitto si risolverebbe. Immediatamente.

Te ghè raxon!
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio ott 15, 2015 9:34 pm

Asia Bibi è al sesto anno di prigione

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... a-Bibi.jpg

https://www.facebook.com/MagdiCristianoAllam?fref=ts

SILVANA DE MARI - Asia Bibi è al sesto anno di prigione. È stata rinchiusa in una terrificante prigione pachistana sotto una falsa accusa di blasfemia per la colpa di essere cristiana. Nel Pakistan dove un ragazzo è stato bruciato vivo per la colpa di essere cristiano, Asia Bibi da sei anni vive in una prigione infinitamente più terribile di Guantanamo, nell'indifferenza di tutti.

Ma non nella nostra. Chiedo a tutti quelli che leggono questo post di prendere l'abitudine di portare un nastro giallo con un piccolo crocifisso attaccato. Il nastro giallo è per i prigionieri di guerra. Asia Bibi, è una prigioniera della terribile guerra che l'islam sta conducendo contro il cristianesimo. Un nastro giallo per Asia, con un crocefisso, che siate credenti o liberi pensatori, è irrilevante. Ma se siete credenti aggiungete una preghiera. Per Asia, per le studentesse nigeriano rapite, per le donne e le bambine stuprate a Mosul.

Che la nostra indifferenza non si mischi a quella delle gerarchie religiose corrotte, dei politici inutili, dei giornalisti venduti e dell'infinito numero di coloro che si uniformano all'imbecillità, alla dittatura del pensiero unico. Noi non dimentichiamo Asia. E tutte le mattine preghiamo per lei.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » dom ott 18, 2015 8:11 am

Svezia, cristiani attaccati: case marchiate e insulti
Cristianofobia e terrorismo jihadista finiscono per diventare due facce della stessa medaglia: quella dell'intolleranza. A Goteborg le case dei cristiani assiri sono marchiate con la "N" di "Nazareno
Ivan Francese - Sab, 17/10/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sve ... 83905.html

Un episodio inquietante, che richiama alla memoria precedenti che nessuno vorrebbe rivivere.
A Goteborg, in Svezia, i negozi di alcuni cristiani assiri sono stati imbrattati con la famigerata "N" di Nazareno, con cui i tagliagole di Isis erano soliti contrassegnare le case dei cristiani nel sedicente Califfato, soprattutto nella zona di Ninive. Lo riporta il quotidiano svesese Dagens Nyheter.
Come testimonia anche Il Foglio, la cittadina svedese è considerata una fucina per il reclutamento jihadista. Almeno 150 persone sarebbero partite per combattere in Medio Oriente.
Un ristoratore cristiano assiro, Markus Samuelsson, ha trovato i muri del proprio locale imbrattati con frasi come "convertitevi o morirete" e "il Califfato è qui". La polizia svedese ha aperto un'inchiesta per individuare gli autori delle minacce. Quello che è certo è che si tratta di una vicenda che riporta ai massimi livelli l'attenzione per due fenomeni inquietanti e in parte complementari: la cristianofobia e il terrorismo di matrice jihadista.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 8:03 pm

Il double standard degli islamici d'Australia quando si tratta di censurare Wilders

Nella spinosa questione del fanatismo islamista che travaglia ormai anche la società australiana, la caratteristica più sonora dei leader della comunità musulmana è stata, sinora, il silenzio

di Mario Rimini | 14 Ottobre 2015

http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/10/1 ... e_c337.htm

Nella spinosa questione del fanatismo islamista che travaglia ormai anche la societa' australiana, la caratteristica più sonora dei leader della comunità musulmana e' stata, sinora, il silenzio. Non che siano mancate loro le occasioni, le motivazioni, le circostanze per esprimersi. Tutt'altro.

Soltanto nell'ultimo anno, abbiamo avuto gli ostaggi del caffè Lindt nel centro di Sydney e l'esecuzione a sangue freddo di uno di loro da parte di Man Haron Monis, ufficialmente semi squilibrato, in realtà almeno semi sano, ex rifugiato iraniano fattosi islamista; i tanti adolescenti nati e cresciuti nel benessere di Sydney e Melbourne e partiti alla volta dell'Iraq e della Siria per arruolarsi nelle milizie del Califfo; Tarek Kamleh, il medico belloccio di Perth che compare regolarmente nei video propagandistici di Isis e proclama la sua militanza in favore dello Stato islamico invitando i colleghi a emulare la sua scelta; i numerosi raid delle forze dell'ordine nei sobborghi delle maggiori città australiane che hanno sventato attacchi terroristici imminenti.

Puntualmente, ognuno di questi avvenimenti è stato seguito da due processi paralleli e interdipendenti: da un lato, un collettivo processo di rimozione per cui poche, pochissime voci hanno osato sentenziare la certa appartenenza della parola Islam accanto alla parola "terrorismo", mentre la maggior parte dei media, della classe politica e dell'opinione pubblica si sono piuttosto preoccupati di ammonire i razzisti nostrani in malafede affinché non approfittassero delle circostanze per discriminare i musulmani d'Australia. E dall'altro lato, un'omertà che ha inghiottito il senso civico delle comunità islamiche ufficiali, che di norma si sono defilate, rilasciando raramente – e sotto pressione – soltanto qualche timida dichiarazione asciutta e vagamente moderata. Per poi richiudere alle loro spalle i cancelli delle moschee e dei centri culturali e degli uffici stampa e fare quello che fanno sempre per affrontare la crisi a loro interna: nulla.

Poi, però, e' arrivato il ragazzino del Jihad, Farhad Khalil Mohammed Jabar.
Poco meno di due settimane fa, questo imberbe curdo iracheno, nato in Iran e appena quindicenne, dopo la preghiera in moschea ha ammazzato a colpi di pistola un pover'uomo impiegato nella sede della polizia di Parramatta, secondo cuore finanziario e demografico dell'area metropolitana di Sydney.
E non frequentava, Farhad, un'oscura madrassa nascosta nell'anonimato della periferia. Pregava invece proprio nella grande moschea del quartiere, una delle maggiori sul territorio australiano, dove la sua radicalizzazione e conversione all'islamismo militante e terrorista si sono sviluppate e sono culminate con le pallottole nel cranio di un innocente ragioniere. La sorella, poco prima, era partita per la Turchia, prima tappa di un viaggio verso la Siria del califfo.

Soltanto quest'ultimo episodio di violenza ha infine colmato la misura. L'assassinio a sangue freddo di un padre di famiglia impiegato della polizia poco prima che il turno di lavoro terminasse in un pomeriggio qualunque a Sydney ha finalmente aperto la bocca all'Imam della moschea di Parramatta, Neil El-Kadomi. E ha dichiarato, l'Imam, che nel sermone del venerdì avrebbe detto chiaro e tondo ai fedeli che l'Australia e' un bel posto e ci si vive bene in fondo, e che quindi le sue leggi vanno rispettate e chi non e' d'accordo - e ha usato qui, curiosamente, la classica espressione attribuita ai presunti xenofobi e razzisti australiani - e' libero "di tornare da dove e' venuto".

Meglio di niente. Ma certo ancor poco, considerando che quasi nulla ha invece detto il dottor Ibrahim Abu Mohammed, Gran Mufti d'Australia. Il quale si è rifiutato di qualificare l'attentato come "terrorismo", spingendo lo stesso Imam Kadomi a un rarissimo sfogo che mette in luce tensioni e divisioni all'interno dell'ermetica comunità islamica. In un breve scontro verbale – in arabo – al margine di un incontro al massimo livello tra l'Imam, il Gran Mufti e Mike Baird, Premier del New South Wales, i due rappresentanti musulmani si sono beccati per poi concludere intimandosi l'un l'altro di tacere. Il Gran Mufti, si mormora, simboleggia in parte il problema di una leadership che ha perso il contatto con la realtà dei fedeli, e soprattutto con le giovani generazioni. Per usare le parole esasperate di Kadomi, "non parla neanche l'inglese lui".

Poco e tardi, ancora, se si considera che le manifestazioni anti americane e contro "l'aggressione occidentale" nei confronti dell'Islam e la partecipazione dell'Australia alle campagne aeree in Iraq o in Siria mobilitano di solito almeno parecchie centinaia di persone appartenenti alle comunità islamiche locali. E spesso, con tanto di cartelloni che invocano la guerra santa e la decapitazione degli infedeli e tutto il repertorio ideologico del classico islamista militante. A Sydney, non molto tempo fa, erano persino comparsi bambini vestiti di nero come i piccoli martiri di Hamas a Gaza, con slogan che inneggiavano al martirio e all'esecuzione di chiunque non si pieghi alla verità del Corano.

Bene dunque per l'onestà tardiva dell'Imam, che poveraccio si è trovato per le mani il ferro incandescente della prova schiacciante – l'attentatore che apparteneva alla sua moschea. In cui, certo, qualcosa non funziona come dovrebbe. Male, purtroppo, la latitanza della vox populi dei musulmani d'Australia.

A questo proposito, risuona di uno iato improvviso la tempestiva, decisa, e stranamente dispositiva presa di posizione dei leader della comunità islamica libanese, che proprio in questi giorni hanno ufficialmente chiesto al governo australiano di cancellare il visto concesso – dopo anni di tentativi e di rifiuti – a Geert Wilders, il politico olandese erede di Fortuyn e della sua strenua profezia anti islamica. Il presidente dell'associazione islamica libanese, Samier Dandan, si è rivolto direttamente a Malcolm Turnbull, il primo ministro, chiedendogli di dichiarare Wilders persona non grata e paragonandolo al caso di un rapper americano, Chris Brown, cui l'Australia ha negato il visto di recente a causa dei suoi guai con la legge per violenza domestica. Insomma Wilders sarebbe l'equivalente di un marito violento che rischia di fuorviare il pubblico australiano, e di corromperlo. Nel caso specifico, la presenza del politico olandese nel paese rischierebbe, sostiene Dandan, di "indisporre" la comunità islamica australiana, quando invece ne abbiamo bisogno per arginare la radicalizzazione dei suoi membri.

Un tentativo poco felice e poco ortodosso di ingabbiare la libertà di espressione e il libero dibattito in una democrazia occidentale, da cui anche Wilders proviene e in cui ha pieno diritto di cittadinanza; ma anche un paradossale e alquanto ironico paragone con il rapper sotto accusa per aver picchiato la compagna. Perché si da il caso che soltanto lo scorso fine settimana, a Melbourne, nelle aule di una prestigiosa università, la Deakin University, si sia tenuta una conferenza organizzata da un gruppo salafista radicale il cui leader, un musulmano indiano messo al bando da svariati paesi come il Regno Unito e il Canada, predica la pena di morte per gli omosessuali, la lotta violenta contro i cristiani, l'antisemitismo estremo, l'apologia e anzi l'ammirazione per la persona e il messaggio di Bin Laden, e udite udite - la violenza contro le donne, le mogli, la cui sottomissione andrebbe assicurata anche con la forza.

Nessuno, tra i leader della comunità islamica, ha sollevato obiezioni ai visti concessi ai fondamentalisti. Nessuno ne ha parlato. E così gli islamisti hanno serenamente ottenuto il diritto di sbarrare la porta ai pochi giornalisti recatisi all'università per curiosare tra sermoni e sure. In nome dell'antirazzismo multiculturale.

??? Ma se la comunità islamica non parla, l'Australia, dal canto suo, non vuol sentire. La stampa rimane in maggioranza aggrappata all'imprimatur corretto e antirazzista per cui Wilders viene definito un politico "di estrema destra" ed e' soggetto a una regola ben chiara - non se ne parli. E se proprio si deve, se ne parli male. E' la stessa regola, ma al contrario, che viene applicata ai fondamentalisti Islamici: se proprio bisogna parlarne, si sprechino i caveat, per scongiurare l'accusa di razzismo. Un po' come il regime dei visti - spalancato per i salafisti apologeti del terrore, e arcignamente centellinato per Wilders, eretico e scomunicato dal culto antirazzista.???
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » mar ott 20, 2015 9:14 am

Aceh, islamisti attaccano le chiese: un morto e quattro feriti
di Mathias Hariyadi» 14/10/2015

http://www.asianews.it/notizie-it/Aceh, ... 35577.html
INDONESIA
La folla composta da fondamentalisti ha incendiato una chiesa, perché considerata irregolare e priva dei permessi di costruzione. Il tentativo di darne alle fiamme una seconda ha innescato gli scontri con la popolazione locale. Diverse famiglie cristiane in fuga nel timore di nuove violenze. Nei prossimi giorni è prevista la demolizione di altri 10 luoghi di culto cristiani.

Jakarta (AsiaNews) - È di un morto, quattro feriti e una chiesa incendiata il bilancio degli scontri confessionali registrati ieri nel distretto di Singkil, provincia di Aceh, nell’ovest dell’Indonesia, la zona più “islamica” del Paese musulmano più popoloso al mondo e soprannominata “La porta della Mecca”. Testimoni locali riferiscono che centinaia di musulmani hanno attaccato un primo luogo di culto cristiano perché “illegale” (e privo dei permessi di costruzione), dandolo alle fiamme. In seguito, la folla si è diretta verso una seconda chiesa, dando vita a scontri violenti che hanno provocato la morte di una persona e il ferimento di diverse altre.

Da qualche settimana si registra un incremento della tensione ad Aceh, nel contesto di una crescente pressione esercitata dalla frangia fondamentalista islamica locale. La scorsa settimana un gruppo di manifestanti ha organizzato una dimostrazione di piazza chiedendo la demolizione di quelle che definiscono “chiese prive delle licenze”.

In risposta, il governo locale ha acconsentito all’abbattimento ma avrebbe posticipato "troppo" l’inizio delle operazioni provocando il risentimento dei movimenti estremisti. Sono almeno 10 i luoghi di culto cristiani considerati “irregolari” perché privi dell’Imb (Izin Mendirikan Bangunan, il permesso di costruzione); l’inizio delle demolizioni era programmato per il 19 ottobre e si sarebbe concluso nel giro di due settimane. Alle chiese risparmiate - 14 in tutto - vengono concessi sei mesi per regolarizzare la propria posizione.

Husein Hamidi, capo della polizia di Aceh, riferisce che “dopo aver bruciato la chiesa, la folla - composta in maggioranza da membri del Muslim Youth Forum - ha cercato di attaccarne un’altra ma ha incontrato l’opposizione dei cristiani”. In seguito agli scontri fra estremisti e abitanti del villaggio di Dangguran (sotto-distretto di Gunung Meriah), aggiunge il funzionario, “un uomo è stato ucciso dopo aver ricevuto un proiettile in testa” e altri quattro sono rimasti feriti.

Secondo alcune fonti la polizia avrebbe operato diversi arresti, ma non vi sono al momento conferme ufficiali; intanto la situazione nel distretto - una enclave cristiana in un contesto a larghissima maggioranza musulmano - è tornata alla calma, anche se la tensione potrebbe precipitare nei prossimi giorni quando è prevista la demolizione di altre 10 chiese “illegali”. Alcune famiglie cristiane sarebbero già fuggite, nel timore di una escalation delle violenze.

L'Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, è spesso teatro di attacchi o gesti di intolleranza contro le minoranze, cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica (shari'a), in seguito a un accordo di pace fra Jakarta e Movimento per la liberazione di Aceh (Gam), e in molte altre aree (come Bekasi e Bogor nel West Java) si fa sempre più radicale ed estrema la visione dell’islam.

La scelta di inasprire leggi, regolamenti, norme e comportamenti non ha incontrato i favori di una larga fetta della popolazione locale, costretta a modificare in modo repentino abitudini e costumi radicati nel tempo. Fra le decisioni contestate dai cittadini di Aceh, vi sono tutta una serie di divieti rivolti in particolare alle donne: indossare jeans e gonne attillate, viaggiare cavalcioni a bordo di motocicli, ballare in pubblico perché "alimentano il desiderio”, festeggiare il San Valentino. L’ultimo caso riguarda la decisione di introdurre un “coprifuoco” per le donne, in via ufficiale per ridurre le molestie sessuali.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio ott 29, 2015 9:15 pm

Contro il terrorismo islamico dobbiamo combattere con l'arma della verità
di Silvana De Mari 29/10/2015

http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... erita.html

Ma a noi chi ce l’ha mai detto che si può vivere senza combattere? Come ci è venuta in mente un’idea così bizzarra? Ogni epoca ha la sua battaglia, come scoprono Sam e Frodo, personaggi de “Il Signore degli anelli”. Sam e Frodo odiano la guerra, odiano la violenza, vorrebbero restarsene a casa loro a bere tè e zappettare rose, ma quando l’oscuro signore attacca il mondo loro vanno a combattere per coloro che amano. Se non vi siete letti “Il Signore degli anelli”, leggetevelo. Se proprio non volete leggerlo, almeno leggete “Il Mito e la Grazia”, di Paolo Gulisano, e se nemmeno quello vi piace guardate il film, perché “Il Signore degli anelli” fa parte del nostro immaginario collettivo, è il poema epico della nostra epoca, contiene la nostra realtà, non possiamo ignorarlo.
La nostra realtà è Saruman. Con questo nome Tolkien indica un personaggio geniale: l’intellettuale oggettivamente preparato che però ha lo smisurato orgoglio del dialogo, l’idea delirante che si possa guardare negli occhi il male e non esserne penetrati. Saruman ha difeso Hitler a spada tratta, era “scientificamente dimostrata” la superiorità della razza ariana, che non solo non era superiore, non esisteva nemmeno. Saruman ha scodinzolato davanti a decine di milioni di morti spacciati per la necessaria strada verso la risoluzione dell’ingiustizia sociale, che è comunque meno grave dell’essere ammazzati.
Uno di questi milioni di morti me lo sono andata a vedere personalmente in Etiopia, e questa non è politica, porca miseria, è la mia storia, e nella mia storia ci sono anche un milione di contadini etiopi sterminati con la fame come in Ucraina negli anni ’30. Nella mia storia personale c’è anche il fatto che ho vissuto a Trieste, dove mio padre piantò una grana per le foibe, perché fosse riconosciuto ai morti impiegati statali lo stato di vittime di guerra (cambia la pensione alle vedove e agli orfani) e subì due attentati, uno dei quali contro tutta la sua famiglia e l’abbiamo scampata per un pelo, quindi se qualcuno vuol ricordarmi la moralità dei moralmente superiori, per cortesia salti un giro.
E ora Saruman si è inventato il dialogo con il terrorismo e l’orchitudine moderata. Quindi combattete tutti. La guerra non si fa solo con le armi che interessano il corpo, anzi quella è la guerra cui si arriva quando l’altra è stata già persa. L’altra è la guerra del pensiero, quella dell’anima. Non si tollera il male. La tolleranza è un mito nauseante. Tollerare il male vuol dire esserne complici. Non si dialoga con gli orchi. Chi dialoga con gli orchi sta costruendo ponti perché penetrino l’interno. C’è una sola arma: ed è la verità. Il dialogo con il terrorismo lo ha giustificato, lo ha beatificato, gli ha dato un palcoscenico e fiumi di denaro. A Beslan i bambini lo hanno pagato in maniera terrificante, centinaia di bambini. Ed è stato solo un inizio, un assaggio delle migliaia di bambini che lo stanno pagando in Iraq e in Siria. Il dialogo? No, non è fattibile. Il dialogo con gli orchi è un crimine che legittima i loro capi e la loro ideologia. Il dialogo con la Germania hitleriana ci ha regalato 50 milioni di morti, il dialogo con dei mostri atroci come Stalin e Mao ha permesso ad un'ideologia che ha fatto decine di milioni di morti di conquistare tutto il mondo culturale e contagiare una nazione dopo l’altra, dove gli stessi cittadini sono diventati il nemico da sterminare.
Quel l'ideologia non è arrivata fino da noi perché uomini armati difendevano le nostre frontiere. Saruman è stato il paladino del disarmo mono laterale. Disarma le tue frontiere e nascerà un mondo di pace. Il terrorismo poi è stato capito e ascoltato, e il risultato è che è aumentato a dismisura. O si combatte con le armi o si combatte con la parola. Non combattere non è da buoni, ma da vili. Le ragazze cristiane rapite in Nigeria sono state ridotte in schiavitù sessuale come le donne e bambine cristiane e yazide, donne e bambine, sono stuprate decine di volte al giorno. Noi tutte le sere andiamo a dormire nelle nostre case sicure, con le orecchie tappate per non sentire le loro urla. Non andiamo a prenderle? Se fossimo noi o nostra figlia o nostra nipote rinchiusa in un inferno in terra, dopo aver visto il fratello o il padre decapitato o crocefisso saremmo sempre tolleranti? Ci consolerebbe molto sapere che un accidenti di nessuno arriverà a liberarci perché in un'eventuale azione bellica morirebbero degli innocenti? E soprattutto quanto ci consolerebbe sapere che in Occidente di noi non si parla? Quindi le ragazze nigeriane, le studentesse cristiane rapite in Nigeria e le donne di Mosul non le andiamo a prendere, ma questa deve diventare la nostra battaglia. Sempre. Ovunque.
Portiamo sempre un nastro giallo con il crocefisso a ricordarle per quello che sono prigioniere di guerra, una guerra folle che ammazza 130.000 cristiani all’anno, uno ogni 5 minuti, nel tempo in cui avete letto questo pezzo ne è stato ucciso uno. Scriviamo di loro e appendiamo il pezzo nelle bacheche dei nostri uffici. Parliamo di loro se siamo insegnanti. Protestiamo contro chiunque parli di islam moderato. L’islam moderato non ha fatto una sola manifestazione a favore della loro liberazione e l’islam moderato se ne può andare all’inferno, tornarsene nella bella isola dove vive insieme al comunismo dal volto umano e ad Elvis che in realtà non è mai morto. E soprattutto se siamo credenti dedichiamo la messa a queste donne. Con una piccola somma, quello che si può dare, si può dedicare una messa. In genere lo si fa per i propri morti, ma la messa può essere dedicata anche ai vivi che siano nel dolore. Dedichiamo le messe, migliaia di messe, che queste donne siano continuamente ricordate, che si preghi per loro.
Si combatte con la parola, per Dio, e la parola non è dialogare con gli orchi, è dire la verità sul martirio delle loro vittime.

Tutti.
Basta un uomo, una donna o un hobbit per fare la differenza.
Ognuno di noi sarà quello che fa la differenza.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun nov 16, 2015 2:40 pm

Li xlameghi łi conta falbarie

A Virus su Rai2 smentito l'islamico che dice che l'islam è una religione di pace

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /Falso.jpg

http://www.magdicristianoallam.it/buong ... -pace.html

Buongiorno amici.
Ieri sera alla trasmissione “Virus”, condotta da Nicola Porro su Rai2, Reas Sayed, responsabile legale delle “Comunità islamiche di Milano, Monza e Brianza”, presente in studio e che si è qualificato come “cittadino italiano di fede musulmana”, ha affermato che l'islam sarebbe una religione di pace e di amore perché Allah nel Corano prescrive che “chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera”.

Quando ho avuto l'opportunità di replicare, ho chiarito che in realtà la lettura integrale di quel versetto coranico dice esattamente l’opposto:

“Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera . E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità.
I Nostri messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra.

La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso” (5, 32-33)

In questi due versetti coranici si specifica che:

1) La prescrizione concernente la sacralità della vita riguarda i “figli di Israele”, gli ebrei, non i musulmani.
2) La condanna dell'uccisione del prossimo non è assoluta. Uccidere il prossimo è legittimato se si uccide o si è “sparso la corruzione sulla terra”.
3) I “figli di Israele”, gli ebrei, sono condannati perché “molti di loro commisero degli eccessi sulla terra”.
4) La condanna per chi non crede e fa la guerra ad Allah e a Maometto, che seminano la corruzione sulla terra, “è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti”.

È evidente che la sacralità della vita non sussiste nell’islam.
Allah nel Corano legittima l’uccisione sia dell’omicida sia di chi “abbia sparso la corruzione sulla terra”. Che sono segnatamente gli ebrei ma anche i cristiani, più in generale i nemici dell’islam.

di Magdi Cristiano Allam 16/11/2015
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » lun nov 23, 2015 3:03 pm

Storia di fede e massacri. Il peccato mortale di essere cristiani
Inchiesta su uno sterminio silenzioso
di Matteo Matzuzzi | 22 Novembre 2015

“Nella notte tra il 18 e il 19 luglio del 2014, dei pick-up muniti di altoparlante circolavano nei quartieri di Mosul annunciando un ultimatum e distribuendo un volantino in cui si leggeva: i cristiani devono convertirsi all’islam, pagare la tassa, lasciare la città senza prendere nulla con sé entro il mezzogiorno del giorno seguente. O saranno decapitati. ‘Fra voi e noi non ci sarà che la spada’, precisava il volantino. Il risultato? Sono partiti tutti”.
Louis Raphaël I Sako,
Patriarca di Babilonia dei caldei

E’ un genocidio, punto. Bisogna chiamare le cose con il loro nome”. Bashar Warda, vescovo caldeo di Erbil, Kurdistan, primo punto d’approdo per i cristiani e yazidi cacciati dalle loro case nella piana di Ninive, sfrattati dall’avanzare dell’orda nera del Califfato islamico, scandisce e ripete ogni volta che può quella parola che imbarazza gli storici e pure tanti uomini di chiesa. Definizione controversa, quella di genocidio, basti pensare all’eterna disputa su quel che accadde nell’Impero ottomano in via di disfacimento un secolo fa, quando gli armeni furono condotti a tappe forzate da un capo all’altro dell’Anatolia, con i turchi che ancora oggi negano tutto e parlano di semplici “trasferimenti”. Per Warda “ci sono tutti gli elementi, gli eventi, le storie e le esperienze che soddisfano la definizione di genocidio”, e solo usando la corretta definizione “queste esperienze non saranno dimenticate, i sacrifici di questa gente non saranno dimenticati. Non si aspettino altri vent’anni per guardarsi indietro e dire ‘mi dispiace se non abbiamo fatto qualcosa di veramente decisivo’”, prosegue citando implicitamente la vergogna di Srebrenica e delle sue fosse comuni. Il patriarca di Baghdad, mar Louis Raphaël I Sako, nel suo ultimo libro “Più forti del terrore” (Emi), aveva chiarito perché a suo giudizio è corretto parlare di genocidio: “Se si confrontano gli avvenimenti passati con ciò che accade oggi, è l’ampiezza del dramma che cambia. Decine di migliaia di cristiani sono stati scacciati dalla piana di Ninive in un colpo solo. Nelle guerre precedenti, alcuni individui erano uccisi, oggi tutta la popolazione è colpita”. Questo, aggiungeva Sako, “è un attacco di massa il cui scopo è di far partire tutti i cristiani. Qui si può veramente parlare di epurazione religiosa e addirittura di genocidio”.

Fare stime è difficile, i numeri ballano e i censimenti non sono sempre possibili, data la situazione sul terreno sconvolto da anni di guerre e tensioni etniche e religiose. Quel che si può dire, è che rispetto a un paio d’anni fa il numero di paesi dove la persecuzione nei confronti dei cristiani è considerata estrema (cioè a livello massimo) è passato da sei a dieci, ha scritto di recente in un rapporto la Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla chiesa che soffre. A Cina, Eritrea, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Corea del nord si sono infatti aggiunti Iraq, Nigeria, Sudan e Siria. Certo, a Pechino le croci vengono rimosse dalle chiese perché considerate “troppo vistose”; i cristiani non allineati ai vescovi di nomina governativa pregano nella clandestinità, come i loro precursori duemila anni fa nelle catacombe. Nell’ultimo anno, nel solo Zhejiang, il restyling delle chiese (che è nient’altro che la rimozione della croce) ha coinvolto 425 edifici. “Ci sono troppe croci”, ha detto il segretario locale del Partito, preoccupato dalla poca armonia nello skyline cittadino. “La croce è il simbolo della nostra fede. Rimuovendo le croci, le autorità insultano la nostra fede, violano i nostri diritti che pure sono garantiti dalla Costituzione cinese”, diceva qualche tempo fa il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong. “All’inizio pensavo che la campagna derivasse da una decisione del governo locale. Poi sono giunto alla conclusione che la linea è quella dello Stato centrale. Ciò è una terribile regressione della politica religiosa” della Cina, chiosava.

Dal rapporto, però, balza subito all’occhio che “le nuove entrate sono tutte segnate dall’ascesa dell’estremismo islamico, che si conferma come una delle principali minacce alla comunità cristiana”. Emblematico è il caso dell’Iraq, dove le case dei cristiani sono state marchiate con la “N” di nazareno. Qui oltre centoventimila cristiani sono stati obbligati a scegliere se convertirsi o morire passati per la spada dei jihadisti. Le immagini diffuse nei mesi scorsi dai network del Califfato hanno testimoniato il ritorno delle enclave di dhimmi, dove i non musulmani tollerati sono chiamati a firmare contratti e a pagare tasse per aver salva la vita, a patto di non suonare le campane e di non costruire nuove chiese. In Nigeria, nella sola diocesi di Maiduguri centomila cristiani sono stati costretti alla fuga nell’ultimo biennio. Trecentocinquanta le chiese distrutte, date alle fiamme o rase al suolo. E’ di martedì sera l’ultimo attacco per mano di Boko Haram, a Yola, capitale dello stato di Adamawa, nel martoriato nord-est del paese. Quarantanove morti secondo gli ultimi bollettini della Croce Rossa (in continuo aggiornamento), cento feriti, dopo che un attentatore suicida si è fatto esplodere in una stazione di servizio, vicino a un mercato di frutta e verdura. L’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana, diceva la scorsa estate che per i combattenti di Boko Haram “la vita è niente; non gli importa nulla della loro vita: è inutile. Prendono, però, altre vite, questo è il problema. Vanno in chiesa, vanno al ristorante, vanno al mercato, vanno a scuola e mettono le bombe. Ciò significa che la loro filosofia di vita è irrazionale”. Il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, chiedeva anche l’uso delle armi per proteggere il popolo. Il governo “finora ha fatto poco. Ora dicono che lo faranno. Ci spero, ma sono un po’ scettico. A ogni modo, non basta condannare Boko Haram, perché che cosa insegna l’islam nelle sue scuole in Nigeria? A non rispettare le altre religioni. Se questo è il discorso normale, se i bambini crescono così, poi è chiaro che si crea un terreno fertile per l’emergere di Boko Haram o dell’Isis o di al Qaida”.

Davanti all’inferno sulla terra, tra i cadaveri bruciati che riempiono le strade, rimane la speranza che solo la fede può dare. Può sembrare paradossale, ma tutte le testimonianze dai luoghi della persecuzione narrano di una fede che si fa sempre più forte, nonché di una volontà ferma e sempre più convinta di rimanere nelle proprie terre, se necessario fino al martirio. “Nella mia diocesi di Aleppo, nel nord della Siria, siamo sulla linea del fronte di questa sofferenza. La mia cattedrale è stata bombardata sei volte e ora è inagibile. La mia casa è stata colpita più di dieci volte. Stiamo affrontando la furia di un jihad estremista. Potremmo scomparire presto”, ha scritto Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo. Noi, aggiungeva, “siamo il primo obiettivo della campagna di pulizia religiosa del cosiddetto Califfato. Veniamo massacrati quotidianamente e anche altri cristiani subiscono lo stesso trattamento”.

I mesi tra il 2013 e il 2015 sono stati catastrofici per i cristiani in diverse regioni del mondo. Non sono gli unici ad aver sofferto, certo. Ma tutti i dati mostrano come essi siano stati quelli più colpiti rispetto ai fedeli di altre religioni. L’International Society for Human Rights, con base a Francoforte, già nel 2012 sosteneva che l’ottanta per cento di tutti gli attacchi di discriminazione religiosa aveva come bersaglio proprio i cristiani. L’Unione europea – non certo entità d’emanazione pontificia – aggiustava la cifra, ma neanche più di tanto: settantacinque per cento. David Brooks, sul New York Times di martedì scorso, snocciolava qualche numero per dare l’idea del massacro silenzioso e spesso tollerato: “Nel novembre del 2014, prendendo un mese a caso, ci sono stati 664 attacchi jihadisti in quattordici paesi, che hanno causato la morte di 5.042 persone. Dal 1984 – aggiungeva Brooks – si stima che un milione e mezzo di cristiani sia stato ucciso dalle milizie islamiste in Sudan”. Una mappa del terrore che già un anno e mezzo fa, a Pasqua, aveva fatto dire al premier britannico David Cameron che “la cristianità è oggi la religione più perseguitata nel mondo”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio nov 26, 2015 4:02 am

I cristiani nei paesi islamici: a colloquio con Samir Khalil Samir
a cura di Aleksander Romanowski
http://www.paginecattoliche.it/teo_islam.htm

In un libro molto discusso e di notevole successo (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997, pp. 510, L. 49.000) il politologo americano Samuel P. Huntington delinea un possibile scenario di conflitto tra mondo islamico e Occidente, segnalando i fattori di attrito che ne sarebbero all'origine, tra i quali: l'islamizzazione della politica e della cultura nella maggior parte dei Paesi musulmani, la crescita dell'intolleranza verso le comunità non di fede maomettana, la violenza organizzata di sètte estremistiche, la pressione demografica delle popolazioni musulmane e l'emigrazione verso i Paesi occidentali, nonché altri fattori ancora. Per meglio capire che cosa è l'islàm alla fine del ventesimo secolo, e per accertare in quale misura siano persuasive le teorie di Huntington, il giornalista polacco Aleksander Romanowski ha intervistato Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e professore di islamologia all'università di Beirut, dove ha fondato un importante Centro studi di cultura arabo-cristiana, promuovendo in merito prestigiose collane editoriali, in intesa anche con la Casa editrice Jaca Book. Di padre Samir, che dal 1975 al 1986 ha insegnato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, segnaliamo infine il saggio storico apparso nel volume collettaneo Comunità cristiane nell'islàm arabo. La sfida del futuro (a cura di Andrea Pacini), pubblicato dalla Fondazione Giovanni Agnelli.

Padre Samir, all'inizio di questo secolo i cristiani nei Paesi musulmani del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale erano circa il 25% della popolazione; oggi, alla fine del secolo, questo numero è sceso al 7%. Perché i cristiani nei Paesi islamici stanno scomparendo?
I motivi della diminuzione dei cristiani nei Paesi musulmani sono vari, anche se la proporzione da lei indicata per l'inizio del secolo mi sembra troppo alta.
I musulmani si moltiplicano più dei cristiani anzitutto per motivi demografici. Il primo è la poligamia, che era assai diffusa in ambiente rurale. Il secondo è quello igienico: fino a cinquant'anni fa, cioè prima della diffusione degli antibiotici, la mortalità infantile era molto più diffusa tra le popolazioni musulmane che nelle popolazioni cristiane dello stesso Paese (essendo i cristiani spesso più educati); questo handicap dei musulmani è felicemente scomparso oggigiorno. Il terzo è dato dal fatto che i cristiani hanno una concezione della famiglia che dà più importanza all'educazione della prole, e li spinge a un autocontrollo delle nascite. Le famiglie cristiane, solitamente di più alto livello culturale, hanno mediamente tre-quattro figli contro otto-dieci figli delle famiglie musulmane. In questo modo cresce il divario tra cristiani e musulmani.
C'è poi una motivazione socio-culturale, ed è la più importante: il cristiano non gode nel mondo musulmano della parità con gli altri e della libertà come è intesa oggi. Vorrei spiegare questo partendo dal Corano.
La posizione del cristiano nel mondo islamico è contemplata dal Corano e dalla successiva tradizione. Il cristiano è una persona che deve pagare imposte particolari e che, essendo tollerato nella comunità musulmana, rimane sempre in una posizione di subalternità. Il Corano (sura IX, versetto 29) usa l'espressione "umiliazione" (wa-hum sâghirûn). L'interpretazione di questa parola dipendeva dai califfi: una volta i cristiani erano obbligati a cedere il passo ai musulmani, altra volta non era permesso loro di usare il cavallo (dovevano usare il mulo). In ogni caso il Corano dà la possibilità di "umiliare" i cristiani. Se un fanatico, un capo villaggio, un uomo politico vuole colpire i cristiani, può sempre farlo. Prendiamo alcuni esempi dall'Egitto: se si costruisce una chiesa, essa non può essere più alta della moschea; i cristiani non possono utilizzare nelle chiese altoparlanti, mentre tutte le moschee li utilizzano; non si può portare la croce in un luogo pubblico; ai cristiani è severamente vietato far conoscere la loro religione, mentre essi stessi sono oggetto di forte islamizzazione, e altri divieti ancora.
Questo sistema non era tanto cattivo e funzionò per diversi secoli, perché l'islàm riconosceva sempre il diritto di culto religioso. I popoli sottomessi dovevano accettare la loro posizione di sottomissione, conservando la libertà di culto.
(???) Ma a partire dal secolo scorso, i cristiani che vivevano nelle società musulmane aspiravano alle libertà godute nel mondo occidentale: la libertà di coscienza, di stampa, di pensiero, oltre alle libertà politiche: detto altrimenti, aspiravano a essere semplicemente cittadini, nel senso pieno della parola, e non a essere tollerati dai musulmani, anche se talvolta da questi molto stimati. Non volevano ricevere i propri diritti da altri, ma partecipare alla costruzione del loro Paese a parità di diritti e di doveri. Essi partecipavano a un grande movimento di idee, mentre i musulmani rimanevano molto indietro. Si capisce allora perché le aperture verso il mondo occidentale venissero sempre dai cristiani.
Nel VII e VIII secolo - il periodo delle conquiste territoriali dei musulmani - i cristiani conservavano l'eredità del mondo ellenistico. Gli arabi musulmani notavano la grande differenza tra la loro cultura beduina e la cultura greca dei cristiani di Damasco, di Alessandria, di Antiochia. Allora i conquistatori chiedevano ai conquistati di trasmettere loro questa cultura. Così per secoli i cristiani hanno trasmesso la scienza, la filosofia, la medicina al mondo arabo musulmano. E sono stati loro per secoli i più grandi scienziati e filosofi del mondo arabo. I primi grandi filosofi musulmani compaiono nel X secolo, ma sono tutti discepoli dei cristiani. Al-Farabi, riconosciuto dagli arabi come il più grande filosofo dopo Aristotele, è discepolo di tre maestri cristiani. Questo processo si riduce man mano che i cristiani diventano musulmani e i musulmani assorbono la cultura dei popoli conquistati.
Alla fine del XVI secolo, esattamente nel 1584, il papa Gregorio XIII fonda a Roma il Collegio maronita, dove vengono accolti i cristiani maroniti provenienti da Cipro e dal nord del Libano. Ivi si formano, studiano le varie scienze, imparano le lingue (latino, greco, italiano e altre lingue europee). Così nella Chiesa maronita si forma un'élite intellettuale e religiosa.
All'inizio del XVIII secolo essi creano in Libano la prima scuola di tipo occidentale nel mondo arabo. Nello stesso periodo, i missionari cattolici organizzano scuole ad Aleppo. In questo modo, nell'ambiente cristiano si forma una nuova cultura che è in equilibrio tra la cultura classica orientale (araba, siriaca, poi turca) e la cultura occidentale, latina. Nell'Ottocento si verifica ciò che il mondo arabo chiama la Nahda (rinascimento), che è opera dei cristiani e che continua fino all'inizio del XX secolo.
Nell'impero ottomano i cristiani lavoravano al servizio dello Stato, mentre altri, grazie alla conoscenza delle lingue, esercitavano le attività commerciali. Essi formavano una classe di funzionari, di intellettuali e di commercianti.
In Egitto, nel XIX secolo, il pascià Mehmet Alì, per formare gli egiziani alla cultura occidentale, chiama dalla Siria scienziati e uomini di cultura cristiani che conoscevano sia la lingua araba sia le lingue occidentali. Nell'Ottocento essi sono un'élite culturale ed economica: organizzano l'università, fondano i primi giornali, compreso il più grande giornale egiziano al-Ahram, scrivono i primi romanzi, creano la cinematografia, ma anche le prime industrie. Anche le leggi egiziane sono fatte sul modello delle leggi europee. Non a caso il Cairo e Alessandria sono considerate città occidentali.
Un fenomeno simile si verifica all'inizio del XX secolo in Turchia. La rivoluzione militare di Kemal Atatürk del 1923 mira ad avvicinare la Turchia all'Occidente, sopprimendo nel 1924 il califfato, simbolo dell'unione tra potere temporale e potere religioso. In questa società il cristiano sta bene perché trova spazi di libertà.
Il processo di reislamizzazione comincia con la crisi del mondo arabo provocata dalla fondazione dello Stato d'Israele nel 1948. Si può dire senza pregiudizio alcuno che Israele è stato creato in modo del tutto ingiusto: per la prima volta nella storia moderna si è istituito ex nihilo uno Stato a spese di un altro popolo, cancellando la sua identità. Si è voluto creare uno Stato con gente che per la maggior parte è venuta da fuori, specialmente dall'Europa dell'Est. Per il mondo arabo Israele è creazione dell'Occidente, cioè del mondo percepito come cristiano (purtroppo, nella mentalità musulmana perdura l'identificazione del mondo occidentale con il cristianesimo). L'Occidente, per lavare la sua cattiva coscienza, dà agli ebrei la terra che è di altri.
Questo fatto provoca uno shock. I musulmani tentano di reagire ma, sul piano politico, non possono far niente né contro Israele né contro l'Occidente, che sta dietro Israele. Aumenta perciò il loro rancore insieme alla frustrazione. L'islàm appare come l'unica fonte in cui rinvenire la forza per opporsi all'imperialismo occidentale e al sionismo. Cominciano anche i movimenti popolari contro i governi di certi Paesi arabi ritenuti complici dell'Occidente. Nel 1952 Nasser prende il potere in Egitto. La sua rivoluzione antioccidentale non aveva carattere religioso, ma di riflesso colpirà i cristiani come persone legate all'Occidente. E così ha inizio la fuga dei cristiani da questo Paese. La situazione si ripete in Irak e in Siria e, come sempre, i primi a pagare sono i cristiani arabi che vivono in questi Stati.
La lotta più che secolare dei cristiani e dei musulmani colti dei Paesi arabi, per una certa concezione dello Stato distinto dalla religione, viene vanificata in pochi anni dai movimenti nazionalistici e dalla islamizzazione delle società.
La situazione peggiora dopo le disfatte degli arabi nelle guerre contro Israele e dopo la crisi del petrolio. La caduta dell'Unione Sovietica non migliora la situazione perché gli arabi pensano che il mondo occidentale, dopo aver sconfitto il suo grande nemico comunista, riunirà le sue forze per combattere i musulmani. Direi che il mondo arabo è affetto da un complesso di persecuzione: vede dappertutto complotti contro l'islàm. Al tempo stesso cresce negli arabi la convinzione che solamente l'islàm è capace di far fronte all'Occidente.
Ho fatto questa lunga introduzione storica per spiegare perché il numero dei cristiani nei Paesi arabi, tanto consistente un secolo fa, è diminuito e sempre più diminuisce.
La politica dietro la religione
Negli ultimi anni si nota una violenta campagna di persecuzione contro i cristiani nei Paesi abitati dai musulmani: i fedeli vengono uccisi e le chiese date alle fiamme. Che cosa sta succedendo oggi nel mondo islamico? Perché l'islàm permette l'uso della violenza contro i fedeli delle altre religioni?
Per capire che cos'è l'islàm bisogna cominciare dall'inizio, cioè dal progetto di Maometto volto a unificare tutte le tribù arabe sotto la guida di una sola persona e a creare un impero arabo nella penisola arabica. Questo progetto era l'aspirazione della tribù dei Coreisciti cui apparteneva Maometto. E Maometto, in modo geniale, è riuscito a realizzarlo.
Maometto attua il suo progetto a Medina, dove è fuggito da La Mecca nell'anno 622. La gente lo accoglie come una persona capace di organizzare la città per far meglio fronte a La Mecca, la città rivale. All'inizio l'attività di Maometto ha carattere amministrativo e politico: stipula un patto con le tre ricche tribù ebraiche presenti a Medina, ma poi le espelle e comincia piccole guerre (in dieci anni condusse quaranta guerre, secondo la prima e più famosa sua biografia, quella di Ibn Hisciàm), amministra la città istituendo un sistema politico, giuridico e fiscale-amministrativo.
Il suo grande progetto politico include anche la religione, la fede in un Dio unico. Sul piano religioso recupera tutto quello che può: le antiche tradizioni arabe, la tradizione di Abramo, di Ismaele, elementi dell'ebraismo e del cristianesimo. Dal paganesimo arabo provengono i riti del pellegrinaggio alla Mecca che verranno islamizzati: si rivela così come l'unico vero leader dell'Arabia.
L'islàm non è dunque solo la fede in un unico Dio e la preghiera: possono pensarla così solo quanti ignorano l'islàm e proiettano su di esso la propria mentalità cristiana. L'islàm è una totalità socio-politica, culturale e religiosa. Lo stesso si può dire della moschea: non è una chiesa musulmana, cioè non è solo un luogo di preghiera, ma anche di studio e di dibattiti politici. Lo sanno bene i politici del mondo musulmano, che sorvegliano le moschee in modo guardingo, dato che di là sono spesso venute fuori le rivolte e le ribellioni.
Purtroppo, la maggior parte dei cristiani paragona l'islàm al cristianesimo, pensando che l'islàm sia come una versione araba del cristianesimo, leggermente diversa da esso. I cristiani lo fanno con intenzioni buone, convinti che così comportandosi sono più vicini allo spirito del Vangelo. Invece pensare in tal maniera è da ingenui. Perché la prima regola del dialogo è di rispettare gli altri nella loro diversità, e considerarli per quello che sono, senza pretendere che tutte le religioni siano simili o che abbiano lo stesso scopo.
Pertanto un musulmano va visto come membro del suo movimento socio-politico-culturale-religioso. Se qualcuno si converte all'islàm, compie non soltanto un gesto religioso, ma anche una scelta politica, sociale, culturale, giuridica. Per esempio i croati sono chiamati tali secondo un criterio etnico, e i serbi pure; invece un croato o un serbo che si è convertito all'islàm, viene chiamato "musulmano", come se perdesse la sua origine etnica.
Voglio ripetere, ancora una volta, che l'islàm è un progetto politico che include la religione (come, in senso contrario, il comunismo era un progetto politico che escludeva la religione). L'islàm è un sistema integrale che può facilmente scivolare verso il totalitarismo, perché lo scopo dell'uomo politico musulmano, anzi il suo dovere, è di sostenere la religione musulmana.
In tutte le regioni del mondo dove i musulmani diventano maggioranza - Bosnia, Cecenia, province occidentali della Cina, in certe zone delle Filippine -, essi chiedono l'indipendenza politica. A loro non basta la libertà religiosa, proprio perché lo scopo ultimo dell'islàm è una società integralmente basata su determinate visioni politiche. Dietro la religione c'è anche un progetto politico. Altri esempi. Il corso di religione per i musulmani in Germania include quasi sempre l'insegnamento della lingua e delle usanze turche; mentre in Francia, quando si insegna l'islàm, si insegna anche la lingua araba e le usanze nord-africane. Infatti religione e cultura sono quasi inseparabili nell'islàm. In tal maniera, i governi europei pagano professori che insegnano non solo una religione, ma anche lingue e culture che non hanno niente a che fare con la cultura tedesca o francese.
È questo che rende l'integrazione in Europa degli immigrati musulmani generalmente più difficile dell'integrazione di altri immigrati. Il fatto è che il musulmano fa fatica a dissociare la fede dalla sua cultura. Se dunque gli si chiede di rinunciare parzialmente alla propria cultura per fruire di quella europea nella quale ha scelto di vivere, il musulmano immigrato ha l'impressione che gli si chieda di rinunciare all'islàm. Eppure, anche se difficile, anzi doloroso, quella rinuncia è indispensabile per permetterne l'integrazione, ed è benefica perché arricchisce l'islàm di nuove dimensioni culturali.
È questo, per noi cristiani, il grande problema: essendo l'islàm società, cultura e religione, come vivere in un sistema musulmano che ha come fine l'islamizzazione di tutti gli aspetti della vita della società?
Adduco qualche esempio. Già prima dell'alba, gli altoparlanti delle moschee svegliano tutti per la preghiera, proclamando che "la preghiera vale più del sonno". La radio deve interrompere i programmi e i notiziari per trasmettere le preghiere musulmane. L'islàm è materia obbligatoria anche per i non musulmani, cioè per i cristiani. Anche nelle scuole private cattoliche, prima di cominciare le lezioni, si deve leggere e commentare qualche brano del Corano. La radio diffonde tutta la giornata passi coranici. La televisione è sempre più islamizzata nei programmi. I film sono spesso ispirati alla storia musulmana e talvolta hanno finalità chiaramente apologetiche o proselitistiche.
Anche nelle minime cose l'islàm interferisce. Per esempio, un cristiano in Egitto non può allevare un maiale, perché ciò può dare fastidio a qualche musulmano. Anni fa un musulmano ci ha denunciati alle autorità, perché allevavamo dei maiali nel nostro seminario (circondato però da alte mura) e la polizia ci ha costretti ad ammazzarli, divieto che perdura fino a oggi.
In questo modo chi vive in Egitto deve agire da musulmano, altrimenti viene escluso dalla società. Un cristiano non si accorge nemmeno quando si comporta da musulmano. Come possiamo meravigliarci allora che, in questo clima d'oppressione e di strangolamento, i copti egiziani diventino musulmani a migliaia ogni anno, oppure emigrino?
Cresce anche il fenomeno dei matrimoni misti. La ragazza cristiana che sposa un musulmano ha teoricamente il diritto di rimanere cristiana. In pratica diventa però impossibile, poiché non erediterebbe e i figli sarebbero comunque legalmente musulmani, anche se battezzati. Se inoltre capita un divorzio, i figli sono automaticamente affidati "alla parte migliore" come dice la legge, cioè a quella musulmana.
Al contrario, l'islàm non autorizza per legge l'unione tra una musulmana e un cristiano. Il motivo è politico: il matrimonio non è un affare d'amore, è un progetto di società, di vita, serve anche ad aumentare il numero dei credenti. Capo di questa società famigliare è l'uomo. Una donna musulmana non può sposare un cristiano, perché i figli sarebbero cristiani, salvo che il cristiano non si converta all'islàm. Il caso contrario è impossibile: un musulmano che si converte al cristianesimo o all'ebraismo, deve essere ucciso in quanto apostata.
Diventa ovvio che, in questa situazione, non è nemmeno possibile parlare di libertà di coscienza. Il sistema islamico è coerente, conferisce alle persone una grande consapevolezza di forza, ma non lascia spazio agli individui, alla libertà e a chi è diverso. Chi più soffre in questo sistema totalizzante sono i non musulmani, cristiani ed ebrei, nonché i musulmani che hanno una cultura diversa.
Recentemente ho preso parte a un convegno in Tunisia, uno degli Stati musulmani più laici. Ho posto ai partecipanti la domanda: è possibile uno Stato islamico laico, dove le autorità politiche siano neutrali sul piano religioso? Mi hanno risposto sinceramente che al presente non è possibile.
La speranza dei cristiani nei Paesi islamici è di poter aiutare i musulmani a entrare nel mondo moderno sotto l'aspetto socio-politico. Lo Stato moderno non può opporsi alla religione, ma non può nemmeno identificarsi con una religione. Il mondo musulmano vive oggi un momento di duro confronto tra religione e modernità.
I musulmani in Europa
Abbiamo parlato della presenza dei cristiani nel mondo musulmano. Soffermiamoci un po' sull'altro argomento: la presenza dei musulmani tra noi, in Europa.
Prima di tutto occorre sapere che i musulmani considerano i Paesi europei come un luogo ideale per vivere da musulmani. Me l'ha confermato ancora di recente uno sceicco: "Un musulmano trova in Inghilterra, in Francia e in altri Paesi europei una totale libertà per vivere da musulmano. Perciò si può considerare che l'Europa sia uno spazio chiamato dar al-Islàm, la casa dell'islàm". Due anni fa uno dei capi della comunità sciita di Beirut, lo sceicco Hussain Fadlallah, in un dibattito televisivo aveva rilevato che "l'Occidente è luogo ottimale per vivere la nostra religione, lì abbiamo più libertà che in certi Paesi musulmani. Perciò invito ad andare a diffondere l'islàm in Europa, dove c'è grande apertura e tolleranza".
Queste parole sono una bella testimonianza in favore dell'Europa; ma ci fanno capire il rischio o semplicemente l'ambiguità legata alla presenza musulmana in Europa. Questo rischio viene dalla concezione che certi politici occidentali hanno della tolleranza. Per certuni, la tolleranza significa che tutti quanti possono fare ciò che ritengono conforme alle loro idee e alla loro tradizione. Questa visione mi sembra assai pericolosa, perché la società verrebbe a frantumarsi e la sua identità si dissolverebbe.
L'Europa ha impiegato secoli per creare la sua identità, per affinarla, per renderla aperta agli altri senza tuttavia sminuire la propria. L'identità europea, acquisita con tanta fatica, è patrimonio di tutta l'umanità. Se adesso quel patrimonio storico e culturale dovesse essere dilapidato, disperso con il pretesto che dobbiamo aprirci a tutte le culture e religioni, che dobbiamo essere "tolleranti", allora non sarei d'accordo. Ciò significherebbe autodistruzione. L'Europa potrebbe aprirsi proponendo agli altri i suoi valori di democrazia, dando loro la libertà di inserirsi nella società.
Non è giusto che la gente venga in Europa perché qui trova lavoro e libertà, e nello stesso tempo ne rifiuta la cultura e i valori. Direi che quanto si sta verificando in Europa è una forma di sfruttamento, di colonialismo all'inverso. Come, nei secoli precedenti, i colonizzatori del vecchio continente andavano nel Terzo Mondo per sfruttarlo senza assimilarsi alle società indigene, così oggi certi musulmani vengono in Europa solo per guadagnare denaro, rifiutando tutto ciò che è europeo e pretendendo di poter edificare qui la società musulmana. Come potrebbe, la stragrande maggioranza dei cittadini europei, tollerare questo fenomeno? C'è il grave rischio che questa migrazione sia vissuta come una invasione culturale. Non è dunque da stupirsi se questo crea il rifiuto del diverso e la xenofobia!
Adesso, in Europa, si fa una fortissima propaganda islamica. Gli attivisti che visitano le famiglie musulmane proclamando: "Voi siete diversi", fanno male non alla Francia o alla Germania, ma agli stessi musulmani, perché impediscono agli immigrati una naturale integrazione. Purtroppo si sta affermando una mentalità ghettizzante: un musulmano, dovunque va, si presenta come diverso. Non era così quarant'anni fa.
I musulmani, nei Paesi europei, devono scegliere: o l'integrazione o la ghettizzazione. Se il musulmano vuole vivere a modo suo, come ha sempre vissuto, e secondo le proprie legittime tradizioni ancestrali, dovrebbe tornare nel suo Paese anziché emigrare. Gli Stati europei, per facilitare l'integrazione degli stranieri di diversa cultura, dovrebbero limitarne e controllarne l'immigrazione. Altrimenti, il corpo sociale rifiuterà gli stranieri, come l'organismo rifiuta spesso un trapianto. E questo non perché la gente è razzista o fanatica, ma perché ci vuole tempo per imparare a vivere insieme, nella differenza. Accettare un numero illimitato di stranieri, come vogliono certi politici, può essere autodistruttivo. Il problema non è ideologico, ma pratico; e mi sembra che, per il bene dell'emigrante come per quello dell'autoctono, si debbano fare delle opzioni ragionevoli, non ideologiche.
Ho l'impressione che l'Occidente, già da molto tempo, stia perdendo la propria identità. Non sa veramente chi è. Questa perdita d'identità non riguarda soltanto la religione, ma anche la cultura, i valori, l'etica. Come si fa allora a confrontarsi con un'altra identità quale l'islàm, che non è una religione nel senso abituale dei cristiani, ma un sistema integrale (religioso, politico, sociale, culturale, giuridico)?
Le differenze tra il sistema integrale islamico e la realtà occidentale sono grandi. Prendiamo, per esempio, il ruolo della donna. Secondo la legislazione musulmana, nel giudizio ci vogliono due donne contro un uomo; alla figlia spetta la metà di eredità che compete al figlio. Ancora: la donna deve accettare la poligamia, anche se inizialmente il marito aveva lasciato intendere che sarebbe stato monogamo: è libero, quando vuole, di prendere un'altra moglie se può permetterselo. Con grande facilità il marito può ripudiare la moglie, e neppure è obbligato a fornire una giustificazione. Quando la ripudia, non è tenuto a pagare gli alimenti, se non per nove mesi, finché si è certi che essa non porta in grembo un figlio di lui. Parlare di queste differenze legali e sociologiche non è razzismo, è serietà oggettiva: la vita a due è troppo impegnativa per affrontarla alla leggera.
Perciò accettare in Europa tutto quello che il sistema musulmano racchiude, significa minare la democrazia e l'identità occidentale, significa l'autodistruzione.
Il rapporto dell'Europa con le altre realtà, islàm compreso, è caratterizzato da una malattia che chiamerei meaculpismo. Gli occidentali sembrano provare gran piacere a battersi il petto esclamando mea culpa, mentre gli altri non hanno nessuna voglia di riconoscere i propri errori.
Prendiamo per esempio le crociate. Ho partecipato l'anno scorso a un convegno tenutosi ad Halle, in Germania, su questo argomento. Tutti gli specialisti presenti hanno confermato che nella letteratura araba la parola "crociata" non esiste! Gli autori arabi parlano delle guerre dei Franchi (Farang: genovesi, ungheresi, eccetera), ma non di guerre religiose, perché la vita era allora fatta di periodi di guerre alternati a periodi di pace, e spesso i Franchi erano alleati con un principe musulmano contro altri Franchi congiunti in alleanza con qualche altro principe musulmano. Solo recentemente gli arabi hanno preso dall'Occidente la parola "crociata", per descrivere una fanatica guerra di religione. Ma questo significato non corrisponde alla realtà storica. Tutte le guerre sono da condannare, ma nel contesto storico d'allora la guerra era una delle forme di relazioni, come il commercio o i patti di pace.
In questo quadro storico, mi sembra ridicolo ciò che numerosi cristiani hanno fatto tre anni fa in occasione del nono centenario della prima crociata (1095): chiedere perdono ai musulmani per ciò che i loro presunti antenati avevano fatto contro le popolazioni islamiche. Questo denota in primo luogo mancanza di senso storico, perché all'epoca la guerra non era stata vista affatto dai musulmani come qualcosa di reprensibile; e denota altresì un complesso di colpevolezza profondamente radicato, il che, come tutti i complessi, è da curare (proprio con il realismo storico).
Ma più grave è che ci siano persone convinte che, recitando di continuo il mea culpa, dimostrano di essere più fedeli al Vangelo. Che stupidaggine! Non bisogna fidarsi dei buoni propositi di certi cristiani, che dicono sempre: "Siamo tutti fratelli, siamo tutti buoni, tutti ci vogliamo bene, tutte le religioni si propongono la pace...". Sono generalità pericolose. Certo che siamo fratelli, ma taluni fratelli si rivelano talvolta nostri nemici. Non è neanche vero che tutti ci vogliamo bene, né che tutte le religioni si propongono la pace. È proprio questo che si deve dimostrare con i fatti. Secondo una certa mentalità ecclesiastica non bisogna parlare delle differenze, ma sottolineare solo le cose che ci uniscono. A mio giudizio questo atteggiamento è spesso sbagliato. Direi piuttosto che dobbiamo, prima di tutto, chiamare le cose con il loro nome e sostenere la verità intorno a noi.
Porto un esempio. Una decina di anni fa, il cardinale Pappalardo regalò ai musulmani tunisini residenti a Palermo una chiesa del '700 non più in uso, come atto di fraternità. Tutta la stampa cattolica elogiò questo gesto. Per me fu una cosa sbagliata. Se qualcuno vuole costruirsi una moschea e ha i permessi necessari, può farlo, perché per le moschee i fondi non mancano. Due giorni dopo, leggendo la stampa tunisina, ebbi la conferma di aver ragione. I giornali scrivevano sulle prime pagine: "La vittoria dell'islàm sul cristianesimo, il cardinale di Palermo obbligato a trasformare una chiesa in moschea". Di questo la stampa cattolica non parlò.
Pensare sempre che l'altro è come me, semplicemente di altra religione, costituisce un'ingenuità. Un cristiano, l'arcivescovo di Palermo, fa un gesto di carità pensando che esso sarà inteso come tale; invece no, l'altro l'ha inteso come gesto di debolezza: "vittoria dell'islàm sul cristianesimo". Porgere cristianamente "l'altra guancia" può essere capito come un invito a schiaffeggiarti, a distruggerti. Non è vero che tutti i gesti sono universalmente recepiti. L'intenzione mia vale per me, non per gli altri, e non sempre un gesto di carità crea carità.
In Europa risiedono più di dieci milioni di musulmani. Per loro vivere in Europa può costituire anche l'opportunità di scoprire non solo la democrazia, la cultura, la giustizia sociale, ma anche la figura di Cristo. Secondo me, questo aspetto dei nostri rapporti con i musulmani è quasi sempre trascurato dalla Chiesa. I musulmani hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo. Non hanno avuto questa possibilità nei loro Paesi, perché il contesto sociale lo impediva. Ma quando vengono in Occidente, tale contesto sparisce, non sono più schiavi del gruppo, ognuno può fare le sue scelte. Io considero il diritto di conoscere Cristo al pari del diritto al lavoro, all'educazione, a essere curati. Vorrei dire ai cristiani d'Occidente: se un musulmano ha il diritto di conoscere Gesù Cristo, tu hai il dovere di proporglielo così come cerchi d'informare qualcuno che non ha conoscenza, come cerchi di dare la cultura a chi non ce l'ha. Perché il nostro più grande tesoro è la fede, che ha creato questa cultura, che ha elaborato questi valori.
Ho sentito dei sacerdoti che dicevano di voler rispettare la libertà dei musulmani, la loro identità. Addirittura, ho conosciuto un ecclesiastico che per anni rifiutava di battezzare un musulmano che voleva diventare cristiano, per non "sradicarlo", come lui diceva. Ma Cristo si è indirizzato agli uomini di ogni cultura. Con quale diritto si può rifiutare il dono dello Spirito, se Dio lo manda? Che cristiani siamo se non vogliamo condividere con gli altri il nostro più grande tesoro? Non possiamo pensare di dare loro solamente da mangiare.
In Oriente la gente è più spirituale, sia i cristiani sia i musulmani. Lì, di norma, la fede è più importante che il cibo. L'islàm ci può insegnare tante cose. L'atteggiamento di fede di un musulmano è molto profondo, talvolta sino al fanatismo. A Catania ho sentito dei senegalesi, senza lavoro e in condizioni di illegalità, dire a un italiano: "Ma tu, perché non ti fai musulmano?". Essi, sociologicamente debolissimi, erano fortissimi dal punto di vista religioso. Questa è una lezione per i cristiani d'Occidente. La fede è un dono preziosissimo da coltivare, da comunicare, da predicare.
Il Papa & la speranza
Il Santo Padre ha espresso il desiderio di recarsi in pellegrinaggio sulle orme di Abramo. Troverà ancora dei cristiani in Medio Oriente?
A essere precisi, dobbiamo dire che nella terra di Abramo, nell'Irak (a Ur, Mosul, Ninive), il Papa non troverà che pochi cristiani.
Se va in Terra Santa, troverà a Betlemme una maggioranza musulmana (per il momento il sindaco della città è ancora cristiano, ma solo per salvare le apparenze). A Nazaret, troverà ugualmente una maggioranza musulmana, per non parlare di Gerusalemme. Dunque, anche nei luoghi più cari al cristiano, quelli che evocano la vita di Cristo, i cristiani sono diventati una minoranza nella minoranza.
La Turchia, ai tempi di Bisanzio, era tutta cristiana. Oggi, il Patriarca di Costantinopoli ha meno fedeli di un parroco di Roma, e a sud della Turchia, là dove i cristiani siriaci erano numerosissimi, non superano nemmeno il 5%.
Persino nel Libano, i cristiani arrivano oggi appena al 40%. La situazione peggiorerà sempre più per i motivi indicati all'inizio: lo sviluppo demografico dei musulmani, particolarmente degli sciiti, e l'emigrazione dei cristiani. Un cristiano in Libano si sente sempre meno sicuro, sia a causa della diminuzione della presenza cristiana sia a causa dell'islamizzazione lenta, ma costante. I cristiani, per far fronte ai problemi economici o per mandare i figli a studiare all'estero, vendono le terre che passano ai musulmani. Si capisce, allora, perché oggi in Libano i cristiani stanno perdendo terreno demograficamente, geograficamente e politicamente. Questa è la realtà.
Mi sembra umanamente impossibile fermare il processo di sparizione dei cristiani nei Paesi musulmani del Medio Oriente. Tuttavia qualcosa si può fare: nell'immediato, bisognerebbe consolidare le comunità per consentire loro di vivere dignitosamente e in pace.
Non vorrei però dare un'immagine nera della situazione. Per conto mio, vedo il problema diversamente. Forse i cristiani spariranno un giorno dal Medio Oriente; ma ciò che importa è che, se emigrano, lo facciano portando con loro una fede granitica come la roccia. Infine, che importa se un giorno non ci siamo più (in realtà sarà di danno per chi ci rimane, cioè per i musulmani)? L'importante è che rechiamo con noi la fede dovunque andiamo, la comunichiamo a chi non ce l'ha più o a chi vive nel dubbio.
Che cosa fare, allora, perché i cristiani non spariscano nei Paesi musulmani?
L'Occidente potrebbe fare molto, se volesse. La comunità internazionale, per esempio, non dovrebbe tollerare l'occupazione del Libano da parte della Siria e d'Israele. È una duplice occupazione che fa comodo all'Occidente.
Bisogna protestare con i governi qualora si verifichino casi di intolleranza verso i cristiani nei Paesi arabi. Ma perché nessuno interviene quando vengono violati quotidianamente i diritti umani in Arabia Saudita e nei Paesi del Golfo? Per non perdere gli affari, si chiude un occhio sui tanto sbandierati diritti dell'uomo. Il male dell'Occidente è di aver sostituito ai suoi valori religiosi, sociali ed etici i "valori" economici. L'Occidente pretende di essere il simbolo della libertà, della democrazia e della giustizia, ma non lo è per motivi economici. Noi sentiamo questa indifferenza dell'Occidente, che ha perso la propria credibilità.
Che cosa chiediamo all'Occidente? Prima di tutto, più coerenza, più rispetto per i suoi stessi princìpi e valori che sono la sua vera grandezza. In secondo luogo, vi chiediamo di non perdere la vostra identità cristiana, che ha fondato la cultura, la supremazia della legge, la democrazia. Non a caso la democrazia è nata nel mondo cristiano, e non nel mondo buddista, induista o musulmano. Può sembrare che la democrazia sia sorta contro la Chiesa. Ma in profondità non è vero, anche se la Chiesa ha impiegato del tempo per accettare di rinunciare al suo potere terreno. L'ateismo è nato solo nell'ambiente cristiano, e non poteva nascere altrove. Perché è la libertà della Chiesa che lascia prosperare anche l'ateismo.
Se l'uomo occidentale rinuncia alla sua fede, rinuncia in realtà a ciò che è la matrice di quei valori, la fonte delle fonti, cioè la visione cristiana. Ai miei amici agnostici e atei, dico: "Io vi rispetto per quello che siete, ma potreste anche riconoscere che i valori che proclamate sono valori cristiani avulsi dalla religione, e che la vostra cultura è la cultura cristiana che ha preso movenze areligiose". Sono convinto che, sul piano culturale, il cristianesimo apre la strada ai grandi princìpi della democrazia, della giustizia, della libertà.
Per questo, in Occidente, anche i non credenti dovrebbero sostenere i cristiani dei Paesi musulmani, perché sono loro che aprono la strada a questi valori. C'è chi, in nome dell'umanesimo, vuole aiutare tutti. A costoro dico: "Riflettete". I musulmani aiutano i musulmani e non gli altri, gli ebrei aiutano gli ebrei, a meno che non convenga loro, per motivi di immagine, aiutare qualcun altro. I cristiani nei Paesi musulmani pensano: "Siamo già in minoranza, svantaggiati politicamente ed economicamente. Se non ci aiutano i nostri fratelli di fede, chi ci aiuterà?" Da tutto ciò si evince la mancanza di solidarietà cristiana, ossia del vincolo religioso che ci fa sentire uniti e solidali con gli altri.
Ma questo non ci toglie la fiducia di sapere che il Signore ci ha affidato una missione riguardo ai nostri compagni di vita, i musulmani: quella di indicare un progetto di società basata sulla libertà umana, sul rispetto della persona (uomo o donna, credente o ateo che sia), sull'amore della giustizia e della democrazia. Sentiamo intuitivamente che questi valori sono portati avanti dalla nostra fede nel Vangelo di Cristo. Con i nostri poveri mezzi cerchiamo di proporre questo Vangelo e questi valori.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixlam (persecousion e stermegno dei creistiani)

Messaggioda Berto » gio dic 17, 2015 3:52 pm

La piccola (ma sorprendente) rinascita cristiana del Marocco raccontata da un convertito
Abd-al-Halim, medico e coordinatore della Chiesa anglicana, spiega il “boom” di conversioni dall’islam. Un fenomeno che non ha nulla a che fare col proselitismo
marzo 27, 2015 Benedetta Frigerio

http://www.tempi.it/la-piccola-ma-sorpr ... nByleLdXug


Proprio mentre il fondamentalismo islamico conquista terreno con le armi dei jihadisti, in uno dei più importanti paesi a maggioranza musulmana, il Marocco, aumentano le conversioni al cristianesimo. Lo spiega in una intervista al sito Aleteia.org Abd-al-Halim, medico di 57 anni, convertitosi al cristianesimo quando ne aveva 41.

NON SOLO POVERI. Abd-al-Halim è il coordinatore della Chiesa anglicana marocchina, una realtà che – spiega l’uomo – sta crescendo rapidamente: circa 16 anni fa gli anglicani erano 400 nel paese, oggi la comunità è triplicata superando i mille fedeli. L’incremento delle conversioni è cominciato negli anni Novanta, ma negli ultimi 4 anni c’è stata un’accelerata che ha portato a oltre 400 nuovi ingressi nella comunità. E non corrisponde alla realtà la vulgata locale secondo la quale gli anglicani “sfruttano la povertà” offrendo aiuti per attrarre gli indigenti: il medico spiega che la maggior parte dei convertiti dall’islam appartengono al contrario alla classe medio alta. Si tratta per lo più di ingegneri, artisti, impresari, soldati, ma anche casalinghe e studenti, tutti accomunati dalla percezione di «un islam restrittivo, fondato su una dottrina errata» e «del cristianesimo come religione della tolleranza e dell’amore».

IN SEMICLANDESTINITÀ. È questo secondo Abd-al-Halim il motivo per cui le conversioni sono in aumento, nonostante in Marocco, dove l’islam è la religione di Stato, il proselitismo sia vietato. Infatti, sebbene a Marrakesh ci siano 7 chiese ufficiali, 6 a Casablanca, 5 a Rabat e una a Laayoune, e sebbene il paese sia considerato trai i più aperti del mondo islamico, i cristiani neofiti si devono nascondere. «Possiamo praticare la religione solo in segreto», racconta Halim. «Per ragioni di sicurezza siamo costretti ad operare come se fossimo un’associazione segreta. E quando una chiesa cresce troppo (più di 20 persone) si deve dividere in due entità in modo da evitare di attirare l’attenzione». I cristiani si incontrano quindi nelle case: «Dobbiamo essere discreti perché la maggioranza delle persone non tollera il fatto che siamo arabi ma non musulmani. Il maggior pericolo che corriamo viene dall’ignoranza». Anche la legge concorre a determinare il clima di sospetto, visto che l’articolo 220 del codice penale marocchino punisce il proselitismo con il carcere da sei mesi a tre anni. E sebbene il re Mohamed VI sia un sovrano liberale, il leader del Consiglio dei teologi di Casablanca, Radwan Bin Shakrun, ricorda che «l’apostasia è il peccato più grave che un musulmano possa commettere».

UN TREND SENZA PRECEDENTI. Sebbene non sia raro che i cristiani e i convertiti subiscano ingiuste persecuzioni giudiziarie anche nel “moderato” Marocco, il fenomeno registrato da Abd-al-Halim sembra essere ormai un chiaro trend. «Ciò che Dio sta facendo in Nord Africa non ha precedenti nella storia missionaria», ha detto un anno fa al Cbn il regista Tino Qahoush, laureatosi alla Regent University di Londra, mentre girava la regione proprio per documentare questo “ritorno” al cristianesimo. «Ho il privilegio di registrare testimonianze e di ascoltare in diretta storie di uomini e donne, di tutte le età, che hanno visto apparire davanti ai propri occhi la presenza reale di Dio, come una visione, mentre altri mi hanno raccontato di come per loro la conversione sia tutt’altro che una semplice luce che appare». Che si tratti di episodi mistici o di incontri più “ordinari”, Qahoush non può evitare di domandarsi «come mai Gesù visiti il mondo musulmano in questo momento storico».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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