Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:20 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:21 pm

Furlan o friulan
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marilenghe

Pasolini, lingua e popolo

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Pier Paolo Pasolini è sicuramente stato un grande intellettuale di respiro internazionale: scrittore, semiologo, regista e poeta, sperimentatore e provocatore. La sua opera è stata studiata sotto molti aspetti, ma pochi enfatizzano che fu anche un teorico e un’attivista dell’autonomismo friulano: questa è forse la parte della sua opera più trascurata e negletta.

Per sanare almeno in parte questo deficit, l’Istitût Ladin-Furlan “Pre Checo Placerean” ha ora pubblicato un libro a cura di Gianfranco Ellero dal titolo “Lingua poesia autonomia (1941-1949).

Il Friuli autonomo di Pasolini” che esce proprio nel 30° anniversario della sua morte e nel 60° dalla fondazione dell’Academiuta di lenga furlana, istituto di lingua e poesia da lui creato.

Pasolini, figlio di una friulana e di un militare fascista di Ravenna, trascorreva le vacanze estive a Casarsa della Delizia, il paese materno.
L’autore scrive, in “Empirismo eretico”, che fu proprio durante un’estate, quella del ’41, che sentendo il figlio dei vicini di casa pronunciare la parola “rosada” rimase folgorato da un’illuminazione: quella parola, e tutta la parlata friulana della destra del Tagliamento, era stata solo e sempre un insieme di suoni, nessuno l’aveva mai scritta.
Dopo questa epifania, scrisse e pubblicò nel 1942 le “Poesie a Casarsa”, che furono recensite positivamente da Gianfranco Contini, il grande critico letterario, come un riuscito tentativo di usare il dialetto della regione come una lingua. Attraverso la lingua Pasolini scopre un popolo, le sue tradizioni e la sua cultura e sulla lingua basa il suo pensiero autonomista.

Nella sua visione, una lingua era il fattore decisivo per l’identificazione di una regione storica (“…quello che è il riassunto, il simbolo, della nostra natura, di una gente, cioè il suo linguaggio”) e il friulano era una lingua e non un dialetto, come aveva già dimostrato scientificamente il goriziano Graziadio Isaia Ascoli sulla base delle sue peculiarità grammaticali e linguistiche.

Il poeta si ispirava ad altri letterati delle piccole patrie come Mistral (che aveva voluto ridare al provenzale la dignità di lingua letteraria): si può dire perciò che basasse la politica sulla poetica, e non viceversa.

L’esistenza di una lingua peculiare significava l’affermazione di una identità particolare, cui la tradizione letteraria poteva conferire dignità nella rivendicazione dell’autonomia.

L’autonomia politica legittimata da un mondo poetico, quindi. Studiando le letterature romanze, però, arrivò alla conclusione che ciò che mancava alla parlata della nostra regione fosse proprio questa tradizione letteraria elevata, in grado di raccontare l’anima e i miti di questo popolo di cristiani, di contadini e di emigranti.

Per questo prese le distanze dalla Società Filologica Friulana a cui si era iscritto nel ’43: l’istituzione era secondo lui colpevole di imporre il friulano centrale emarginando quello periferico e di alimentare lo stile letterario di Pietro Zorutti che sviliva la lingua riducendola al bozzettismo e alle chiacchiere da osteria.

Fondò pertanto la già citata Academiuta per educare i giovani poeti alla sua concezione estetica, nel tentativo di portare nella letteratura di lingua nazionale la freschezza e la purezza di una lingua letteraria nuova, il friulano.

Oltre a pubblicare poesie e fascicoli (“Stroligut di ca da l’aga” e “Stroligut”), tra il 1941 e il 1949 (anno in cui partì definitivamente per Roma) intervenne più volte su vari periodici per partecipare al dibattito autonomista e per esprimere e sostenere il suo pensiero.

Non si limitò comunque a costruire un impianto teorico, ma lo affiancò ad un intenso attivismo: già nel 1943 voleva lanciare un appello a parroci e podestà per risvegliare il sentimento di diversità storica e linguistica della “piccola patria” nel momento in cui lo stato fascista oramai precipitava.

Nel 1945 si iscrisse all’Associazione per l’autonomia fondata a Udine da Tessitori. L’anno dopo, però, Pasolini era deluso da quest’associazione che languiva e che non lo capiva; si avvicinò al marxismo e si iscrisse al Partito comunista.

Nel 1947 fu, assieme a Ciceri e D’Aronco, tra i fondatori del Movimento Popolare Friulano, che voleva sensibilizzare e smuovere l’opinione pubblica sul territorio. Entrò anche in polemica col Pci su due temi: l’eccidio di Porzus in cui era morto suo fratello e di cui il Partito non ammetteva la responsabilità e l’autonomismo che la Sinistra non accettava.

Pasolini invece riteneva che dovessero essere proprio le sinistre a cogliere il fisiologico sentimento autonomistico del popolo e a dargli carattere antiprovinciale e anticampanilistico poiché “in una regione che sia necessaria espressione storica, linguistica, etnica è ovvio che aumentino le possibilità di una civiltà in quanto coscienza” e si avrebbe quindi “il campo naturale del progresso sociale”.

La coscienza era dunque il nodo centrale: nel 1944 scrisse “ Verrà ben il giorno in cui il Friuli sarà cosciente di avere una storia, un passato, una tradizione!” e tre anni dopo “Il Friuli è ora sul punto di passare dall’essere al dover essere” sottolineando così il passaggio dal sentimento irrazionale all’autocoscienza.
La sua concezione era scevra da spinte separatiste (“….disinteressatissimo e deciso amore per l’Italia..”) e aperta ad una forma di europeismo che univa il Friuli a tutte le altre Piccole Patrie di lingua romanza, come la Provenza e la Catalogna.


La sua forma di autonomismo trovò però in Friuli scarsi sostenitori: forse ai più sembravano astrattezze, forse a molti mancava solo il coraggio di guardare avanti.

Alessia Pilotto


http://it.wikipedia.org/wiki/Academiuta ... ga_furlana

La sua concezione era scevra da spinte separatiste (“….disinteressatissimo e deciso amore per l’Italia..”) e aperta ad una forma di europeismo che univa il Friuli a tutte le altre Piccole Patrie di lingua romanza, come la Provenza e la Catalogna.

Ma coalo amor par l'Italia!
Si, sel fuse nato ancò, nol saria mia finio a Roma a ciuciar "càsi" de romani e a morir skisà in tel paltan cofà on pantegan.


Coalo amor?
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:21 pm

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Na poexia de Paxołini entel so furlan de Caxarsa:

Il dí da la me muàrt

Ta na sitàt, Trièst o Udin,
ju par un viàl di tèjs,
di vierta, quan' ch'a múdin
il colòur li fuèjs,
i colarài muàrt
sot il soreli ch'al art
biondu e alt
e i sierarài li sèjs,
lassànlu lusi, il sèil.

Sot di un tèj clípid di vert
i colarài tal neri
da la me muàrt ch'a dispièrt
i tèjs e il soreli.
I bièj zuvinús
a coraràn ta chè lus
ch'i ài pena pierdút,
svualànt fòur da li scuelis
cui ris tal sorneli.

Jo i sarài 'ciamò zòvin
cu na blusa clara
e i dols ciavièj ch'a plòvin
tal pòlvar amàr.
Sarài 'ciamò cialt
e un frut curínt pal sfalt
clípit dal viàl
mi pojarà na man
tal grin di cristàl.



Tradusion in veneto (xmisioto)

El dì de ła me morte

'Te na sità, Triest o Udin,
xo par on vial de tejàre,
de verta, co i muda
i cołor de łe foje,
mi vegnarò xo morto
sot' el sol ke brùxa
biondo (albo) e alto
e mi sararò łe çeje
łasando el çiel al so spenxor.

Sot de na tejàra tepia de verde
mi cołarò 'te 'l nero
de ła me morte
ke buta via i teji e 'l sol.
I bei zovin
łi corarà en sta łuxe
ke gò pena perdesta
xołando fora da łe scołe
co i riçi so ła cuca.

Mi sarò ‘ncora zovin,
co na bluxa ciàra,
e i dolsi cavej ca i péta xò
ente ła poldre agra.
Sarò ‘ncora caldo
e on pùto corarà pa' l’asfalto
tèpio del vial
el me poxarà na man
ente ła gàja de cristàl.



Tradusion in l/engoa tajana

Il giorno della mia morte

In una città, Trieste o Udine,
giù per un viale di tigli,
quando di primavera
le foglie mutano colore,
io cadrò morto
sotto il sole che arde,
biondo e alto,
e chiuderò le ciglia
lasciando il cielo al suo splendore.

Sotto un tiglio tiepido di verde,
cadrò nel nero
della mia morte che disperde
i tigli e il sole.
I bei giovinetti
correranno in quella luce
che ho appena perduto,
volando fuori dalle scuole,
coi ricci sulla fronte.

Io sarò ancora giovane,
con una camicia chiara,
e coi dolci capelli che piovono
sull'amara polvere.
Sarò ancora caldo,
e un fanciullo correndo per l'asfalto
tiepido del viale,
mi poserà una mano
sul grembo di cristallo

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... rlania.png
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:22 pm

Pier Paolo Pasolini, quando la Fallaci chiamò il Corriere: “Ucciso dai fascisti, devi scriverlo”
di Antonio Padellaro

I "latrati" del caporedattore la mattina dell'omicidio all'Idroscalo di Ostia, il corpo portato subito via, i possibili indizi compromessi dalla folla dei curiosi, il caso chiuso in poche ore con il fermo di Pelosi. E la voce della grande inviata: "Sono Oriana Fallaci. Ascolta bene...". Antonio Padellaro, allora giovane cronista, racconta la scena del delitto del secolo. E i dubbi ancora aperti 40 anni dopo
di Antonio Padellaro | 1 novembre 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... o/2174213/


“Sono Oriana Fallaci. Padellaro, ascolta bene: Pasolini è stato ucciso dai fascisti. DAI FASCISTI, devi scriverlo”. Sarà stato il giorno dopo la scoperta del corpo maciullato all’Idroscalo di Ostia e il telefono sulla mia scrivania nella redazione romana del Corriere della Sera (allora in via del Parlamento) vibrava di rabbia. Lusingato, ma anche intimorito dall’attenzione della grande collega, non sapevo cosa rispondere. Balbettai qualcosa sulle indagini di polizia, cose a cui la voce non era minimamente interessata. Voleva, anzi intimava un titolo sul Corriere dell’indomani, che non ebbe.

In quelle ore non avevamo alcun elemento di fatto per scrivere che Pier Paolo Pasolini era stato vittima di un agguato fascista, ma solo il sesto senso della Fallaci che virgolettai fedelmente. Non mi cercò più.
Non avevamo alcun elemento per scrivere che era stato vittima di un agguato fascista, ma solo il sesto senso della Fallaci che virgolettai fedelmente. Non mi cercò più

La mattina del 2 novembre 1975, fui buttato giù dal letto dai latrati inconfondibili di un redattore capo che usava l’espressione “cazzo” come normale convenevole sostitutivo di buongiorno e buonasera: “Cazzo – urlava –, corri subito a Ostia, hanno ammazzato Pasolini ”.
Al Corriere ero una specie di ragazzo di bottega addetto alla compilazione di certi microscopici articoletti che solo eccezionalmente potevo siglare con le iniziali A.P., e di cui molto mi gloriavo. Come mai, allora, il più grande giornale italiano, in grado di schierare un arsenale di prestigiose firme, di inviati specialissimi, di celebri scrittori ricorreva all’ultima ruota del carro per raccontare il delitto del secolo? La morte violenta del suo collaboratore più scandaloso e controverso, chiamato da Piero Ottone nel tempio bigotto di via Solferino, l’autore di quella rivelazione sul pozzo nero italico che dice: “Cos’è questo golpe? Lo so. Ma no ho le prove”. Perché proprio io? Me lo sono domandato spesso e mi sono dato l’unica risposta possibile: quel 2 novembre era un giorno festivo e nessun altro aveva risposto al telefono.

Sono trascorsi quarant’anni e non dirò che ricordo tutto perfettamente. Ma qualcosa sì. Da qualche anno, in via dell’Idroscalo di Ostia, nel luogo dove fu ucciso Pasolini, c’è un parco ben curato, impreziosito da un monumento alla scrittore e da citazioni dei suoi libri incise su lastre di marmo. Quel giorno mi trovai a camminare su uno sterrato impastato di fango e sangue. Il cadavere era già stato portato via ma per la polizia scientifica la minuziosa ricostruzione di quanto accaduto nella notte sarebbe stata ancora possibile. Prima, naturalmente, che la folla di persone accorse alla notizia e lasciate libere di sostare e passeggiare, come visitatori di una mostra, calpestassero e cancellassero ogni segno e impronta utili alle indagini. A ben guardare, le stazioni di quella via crucis erano unite da un filo rosso. Un pezzo di legno strappato alla staccionata macchiato di materia cerebrale.
La processione degli amici. Alberto Moravia che ripeteva sgomento: “E’ una cosa orribile orribile”. Ninetto Davoli: “Era le persona più buona del mondo”

Il solco circolare degli pneumatici dell’Alfa Gt di Pasolini e l’avvallamento lasciato dal corpo investito e schiacciato dall’assassino messosi al volante. Tutt’intorno, frammisti allo sfasciume della risacca una fioritura di fazzoletti di carta con il dna di prostitute e clienti che lì ogni notte si appartavano, e chissà anche dei massacratori, se ad agire era stato più di uno. Con l’arrivo delle telecamere Rai, i testimoni si fecero volentieri avanti. “L’ho trovato io”, sosteneva la signora Maria, “erano le sei e trenta e ho visto quella cosa in mezzo alla strada mi sono avvicinata ed era un corpo”. La processione degli amici. Alberto Moravia che ripeteva sgomento: “E’ una cosa orribile orribile”. Ninetto Davoli: “Non ci sono parole, era le persona più buona del mondo”. Mentre un tizio con un grosso cane al guinzaglio distillava massime di vita: “Se scherzi cor foco prima o poi t’abbruci”. La tesi dell’intellettuale communista e frocio che aveva avuto il benservito circolava già indiscutibile. Qualche passo oltre alcuni ragazzotti con i rayban d’ordinanza osservavano e ridacchiavano.

Per non prendere buchi cercavo di origliare i commenti dei cronisti di nera del Messaggero, del Tempo, di Paese Sera, vecchi lupi di mare che facevano capannello. Uno lo conoscevo, divideva i moventi dei delitti di sangue in due categorie dello spirito: robba de pelo e robba de culo. Non poteva avere dubbi.
Pino Pelosi aveva reso piena confessione. Un rapporto omosessuale finito male. Tutto chiaro. Caso chiuso. Invece non era chiaro quasi nulla

Tornato in redazione, trovai montagne di agenzie. A uccidere Pasolini era stato un giovane prostituto, Pino Pelosi, fermato dalla polizia a bordo dell’Alfa rubata. Aveva reso piena confessione. Un rapporto omosessuale finito male. Tutto chiaro. Caso chiuso.

Invece non era chiaro quasi nulla. E non mi riferisco alle successive ritrattazioni di Pelosi e alle contro inchieste condotte dagli amici del poeta con l’aiuto di esperti e avvocati: un puzzle delle tante omissioni e menzogne, ricostruito nel 1995 da Marco Tullio Giordana nel film “Pasolini un delitto italiano”. Anche a me cronista per caso, sembrava tutto strano. Il ritrovamento di Pasolini che risale alle sei e trenta del mattino ma i primi giornalisti che arrivano quando il corpo è stato portato via da ore. La scena del delitto violata e inservibile.
Poi, Oriana, ha vissuto altre vite e altre opinioni. Chissà che cosa scriverebbe oggi?

La tesi dell’omicidio a sfondo sessuale, subito proclamata dagli inquirenti senza se e senza ma. Fu davvero un agguato fascista come disse Oriana Fallaci? Dopo tanti anni, l’ipotesi più realistica ma non dimostrabile in sede giudiziaria (“Io so. Ma non ho le prove”) collega l’eliminazione dell’intellettuale più odiato dai poteri marci che assediavano il Paese (la P2, le trame nere) a qualcosa di più oscuro e complesso di una lite con un marchettaro. In quell’epoca, dare la colpa ai fascisti era in fondo una semplificazione quasi apodittica. Per lei che allora era la compagna di Alexandros Panagulis, imprigionato e torturato dai colonnelli greci non era facile liberarsi dall’angoscia dell’uomo nero. Poi, Oriana, ha vissuto altre vite e altre opinioni. Chissà che cosa scriverebbe oggi?
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:23 pm

Il fascismo secondo Pier Paolo Pasolini

http://www.nexusedizioni.it/it/CT/il-fa ... b2c13e6ff4

Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati.
L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari - umiliati - cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello “televisivo” - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.

Pier Paolo Pasolini


Il monito di Pasolini: «Attenti al fascismo degli antifascisti»
Articolo di Luciano Lanna pubblicato su cronache del garantista, il 16/07/14
http://www.radicali.it/rassegna-stampa/ ... tifascisti

Quarant’anni fa, il 16 maggio 1974, Pier Paolo Pasolini scriveva sul Corriere della Sera uno dei suoi editoriali che ancora oggi restano nell’immaginario continuando a farci interrogare sul cuore del "caso italiano". Il tema era oggettivamente pasoliniano: "Il fascismo degli antifascisti". E il ragionamento che il poeta vi svolgeva era la continuazione di quanto andava spiegando da oltre un mese, a cominciare dall’editoriale "Gli italiani non sono più quelli", del 10 giugno, a quello su "Il potere senza volto", del 27 giugno, sino alle note riflessioni sulla rivoluzione antropologica e l’omologazione in Italia, dell’il luglio. Si tratta di alcuni degli articoli che verranno poi raccolti in un libro nel novembre 1975 nell’ultima opera pubblicata in vita da Pasolini: Scritti corsari. In tutti quegli articoli l’autore denunciava il fatto che nessuno in Italia si mostrava in grado di comprendere quanto stava realmente accadendo: «Una mutazione della cultura italiana, che si allontana tanto dal fascismo che dal progressismo socialista». In realtà, precisava Pasolini, era in atto un fenomeno devastante e inarrestabile di mutazione antropologica conseguente alla trasformazione del sistema di Potere: «L’omologazione culturale che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è or- mai la stessa...».
Sino al passaggio più importante: «Non c’è più dunque differenza apprezzabile, al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando, tra un qualsiasi cittadino italiano fascista -e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili...». E anche guardando ai giovani che in quel 1974 si chiamavano e venivano definiti "fascisti", Pasolini spiegava che si trattava di una definizione puramente nominalistica e che portava fuori strada: «È inutile e retorico - concludeva fingere di attribuire responsabilità a questi giovani e al loro fascismo ,-nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono è la stessa dell’enorme maggioranza dei loro coetanei». Il problema, semmai, era il nuovo Potere, non ancora rappresentato simbolicamente e dovuto alla omologazione della classe dominante, il quale stava omologando la società italiana. Si trattava - annotava preoccupato Pasolini - di un una omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre». E la strategia della tensione ne era a suo avviso una spia significativa che ne svelava l’altra faccia della medaglia...
Pasolini insomma, in totale controtendenza rispetto agli altri intellettuali suoi contemporanei, invitava a cogliere e contrastare il volto disumano del nuovo potere piuttosto che a rimuovere il problema rispolverando un antifascismo fuori contesto e fuori tempo massimo. «E bisogna avere il coraggio - aggiungeva - di dire che anche Berlinguer e il Pci hanno dimostrato di non aver capito bene cos’è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni». Perché infatti, si domandava il poeta, rilanciare trent’anni dopo la fine della guerra e del fascismo un’offensiva antifascista (che oltretutto portava fuori strada) invece di aggredire dalle fondamenta il nuovo potere senza volto, magari con le sembianze di una società democratica e di massa, «il cui fine è riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo»? E in questo passaggio Pasolini aggiungeva un’autocritica inedita e importante: «In realtà - confessava ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente. Non nascondiamocelo: tutti sapevano, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale... Ma nessuno ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla...». Chissà quanto si sarebbe scongiurato di quanto è avvenuto dopo in termini di messa in moto dell’antifascismo militante, della conflittualità destra/sinistra e dello stesso spontaneismo armato successivo - se si fosse dato ascolto, allora, a Pasolini? Ma la storia non si fa con i "se" e quanto lui scriveva oggi vale soprattutto come controcanto a una vicenda ancora tutta da analizzare storiograficamente.
Importante, inoltre, il fatto che il succo dell’articolo del 16 luglio riguardasse il "silenzio" mediatico e politico sui vincitori del referendum del 13 maggio, Marco Pan- nella e i radicali. Di fronte all’affermazione crescente di un potere a vocazione totalitaria - che si reggeva sul patto Dc-Pci-Confindustria-cultura consumista - i radicali apparivano a Pasolini come il solo fenomeno irriducibile ed eccedente.
«Nessuno dei rappresentanti del potere - annotava - sia del governo che dell’opposizione, sembra neanche minimamente disposto a compromettersi con Pannella e i suoi. La volgarità del realismo politica sembra non poter trovare alcun punto di connessione col candore di Pannella, e quindi la possibilità di esorcizzare e inglobale il suo scandalo». Il Partito Radicale e il suo leader Marco Pannella erano, spiegava il poeta, i reali vincitori del referendum sul divorzio del 12 maggio e proprio questo non gli veniva perdonato da nessuno. Ma, «anziché essere ricevuti e complimentati dal primo cittadino della Repubblica, in omaggio alla volontà del popolo italiano, volontà da essi prevista, Pannella e i suoi compagni - scriveva Pasolini - vengono ricusati come intoccabili. Invece che apparire come protagonisti sullo schermo della televisione, non gli si concede nemmeno un miserabile quarto d’ora di tribuna libera». Antifascismo pretestuoso e fuori tempo massimo, da un lato, e censura della presenza radicale, dal[‘altro. Una domanda è inevitabile: quanto c’è, quarant’anni dopo, di continuità con quella logica del potere?
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mar nov 03, 2015 10:26 pm

???

https://www.facebook.com/gaetano.cappel ... 1160726143


ricorre oggi san Pasolini. il grande intellettuale e profeta italiano. da giovane consegnò un compagno di scuola alla polizia fascista. passò poi con i comunisti che gli avevano trucidato il fratello. fu il primo a scagliarsi contro la cultura di massa - disprezzò i beatles e la televisione stando sempre in televisione. riuscì a fare l'apologia del comunismo in russia negli anni 70, quando anche le pietre sapevano che schifezza era. si scagliò contro il consumismo girando in ferrari e posando in total gucci. oggi molte scuole gli sono dedicate. egli infatti, pasolini, amò molto i regazzini.

???

http://www.filosofico.net/pasolini.htm
Il 15 ottobre del 1949 viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne avvenuta, secondo l'accusa nella frazione di Ramuscello: è l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Dopo questo processo molti altri ne seguirono, ma è lecito pensare che se non vi fosse stato questo primo procedimento gli altri non sarebbero seguiti.


https://it.wikipedia.org/wiki/Pederastia
https://it.wikipedia.org/wiki/Amado_mio


Coki, cocaria, veła, xmoca, gay e altre stranbarie
viewtopic.php?f=44&t=264

Famoxi coki de ara veneta:

Catulo, Paxolini e Lele Mora: tre veneti a Roma

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Pier Paolo Pasolini - La vita -- Pelosi e il fantasma di Pasolini. - di Dacia Maraini

Se Pasolini avesse voluto architettare una vendetta postuma non avrebbe potuto inventare niente di più inquietante e romanzesco: il suo assassino, da ragazzo indifferente, svogliato, semianalfabeta, violento, bugiardo, apatico ed egoista, si è trasformato, attraverso la famigliarità col fantasma della sua vittima, come lui stesso racconta, in un giovane uomo inquieto, pensoso, capace di soffrire e quindi anche di capire ciò che prima gli era estraneo, voglioso di apprendere e perfino di scrivere. L'assassino Pino Pelosi è diventato, per osmosi col ricordo assillante del mite poeta Pasolini, anche lui scrittore e poeta. Non è stupefacente?
Pino Pelosi, detto "la rana", si è buttato fin da bambino nel furto e nella rapina. L'inquietudine, la povertà, la cattiva educazione, certamente lo hanno spinto su quella strada. Nella sua vita randagia era prevista anche qualche piccola concessione sessuale in cambio di soldi. Eppure Pelosi insiste che non è mai stato una "marchetta". "Tutto quell'inferno per un pompino da ventimila lire" dice a pagina 45. E anche noi ci stupiamo. Ma l'inferno l'ha fatto lui.
Dobbiamo ringraziare Pino Pelosi per averci regalato, con questo libro, un ritratto molto veritiero di se stesso. La scrittura, come si sa, non riesce a mentire e la verità, per lo meno quella psicologica, trapela da ogni rigo.
Quando Pelosi dice che Pasolini, nel momento della schermaglia, è diventato un altro, "una bestia irriconoscibile", in realtà parla di se stesso. Come apprendiamo andando avanti nella lettura. Non è proprio lui che in certe situazioni si trasforma in maniera sorprendente diventando feroce e cieco, finendo per brutalizzare proprio le persone che gli stannoa cuore? Non ha fatto così con il suo compagno di cella solo perché lo guardava male? Non ha fatto così con la sua amata Maria Pia perché sospettava di non essere più amato? L'ha presa a calci e a pugni. Per pentirsi subito dopo e scrivere "non so come ho potuto farlo, non lo so e basta".
Non stentiamo a credere che la stessa cosa sia successa con Pasolini, il quale, probabilmente, senza volerlo, lo aveva ferito (a parole) nel suo rozzo orgoglio maschile.
Più volte Pelosi dice "non volevo ammazzarlo". Così come dice della sua ragazza "non volevo picchiarla". Ma l'ha fatto. Sembra che in certi momenti una forza più grande di lui si impossessi del suo corpo e lo spinga verso la brutale cancellazione dell'altro. Atto di cui poi si pentirà, continuando ad insistere che lui non è così, che quell'agire non appartiene alla sua natura.
Pelosi dice che Pasolini era conosciuto per il suo masochismo. Anche noi amici lo sapevamo. Pasolini non avrebbe mai fatto del male a nessuno, mai avrebbe minacciato e violentato. Lui semmai cercava qualcuno che, in un gioco erotico, lo malmenasse un poco. Era questo il suo segreto. Di solito i ragazzi a cui si accompagnava sapevano che era un gioco e stavano alle regole di quel gioco.
Ma Pino Pelosi ha un carattere poco giocoso, non conosce l'intuizione, è privo di pazienza, non sa cos'è la tolleranza ed ha uno scarso senso delle proporzioni. Lui, di fronte ad una schermaglia amorosa, che del resto aveva accettato per denaro, (ma che cos'è questo se non "fare marchette"?) si è sentito ferito nella sua idea di virilità ed ha reagito nel suo modo cieco e furioso. E non dica che non si è accorto di averlo messo sotto le ruote della macchina il corpo di Pasolini. Se ha avuto tanta prontezza da guidare la macchina in piena notte, dobbiamo pensare che avesse anche la sensibilità per accorgersi che gli stava montando sopra. D'altronde un corpo umano non è un tappeto.
Escludo, conoscendolo, che Pasolini lo abbia minacciato o abbia voluto penetrarlo con un bastone. È probabile invece che abbia riso su quel falso pudore del ragazzo per provocare in lui una reazione e suscitare quella lotta giocosa che era la sua preferita. Proprio per farsi picchiare, come scrive con molta sincerità nel suo ultimo romanzo, Petrolio. Non certo per farsi ammazzare.
____________________
Postfazione di Dacia Maraini al volume "Io, angelo nero" scritto da Pino Pelosi sull'omicidio di Pasolini
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mer nov 04, 2015 7:29 am

Wu Ming 1, scrittore
Ott 2015 11.01
La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
http://www.internazionale.it/reportage/ ... ario-morte


1. “Quel bastardo è morto”

Elisei Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche, gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli, sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. “Quel bastardo è morto”, taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.
Marcello Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato gomme d’automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi: aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I medici del carcere lo avevano accusato di “simulare”. Le guardie lo avevano trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.
Il 15 dicembre si dimette il direttore del carcere Carmelo Scalia, ufficialmente per motivi di salute. A parte questo, per la morte di Elisei non pagherà nessuno. Inchieste e processi scagioneranno tutti gli indagati.
Leggendo della vicenda, Pier Paolo Pasolini rimane sconvolto. “Non so come avrei scritto un articolo su questa orribile morte”, dichiara alla rivista Noi donne del 27 dicembre 1959. “Ma certamente è un episodio che inserirò in uno dei racconti che ho in mente, o forse anche nel romanzo Il rio della grana”. Un romanzo rimasto incompiuto, poi incluso tra i materiali della raccolta Alì dagli occhi azzurri (1965). Se dovessi scrivere un’inchiesta, aggiunge, “sarei assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei governanti”.
Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni
L’agonia e la morte in solitudine di Marcello Elisei scaveranno a lungo dentro Pasolini, fino a ispirare il finale di Mamma Roma (1962). Ma nel 1959 Pasolini non è ancora un regista. Ha 37 anni, è autore di raccolte poetiche, sceneggiature e due romanzi che hanno fatto scalpore: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ha già subìto fermi di polizia, denunce, processi. Per censurare Ragazzi di vita si è mossa direttamente la presidenza del consiglio dei ministri. Eppure, a paragone dello stalking fascista, del mobbing poliziesco-giudiziario e del linciaggio mediatico che l’uomo sta per subire, questa è ancora poca roba.
Nel libro collettaneo Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte (Garzanti 1977) Stefano Rodotà riassume la questione in una frase: “Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975”. E anche oltre, va precisato. Post mortem. Rodotà parla di “un solo processo”, lunga catena di istruttorie e udienze che trascinò Pasolini decine e decine di volte nelle aule di tribunale, perfino più volte al giorno, tra umiliazioni e vessazioni, mentre fuori la stampa lo insultava, lo irrideva, lo linciava.

...

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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mer nov 04, 2015 7:37 am

Ti scrivo. Pasolini, io ti odio
Gilda Policastro

http://www.doppiozero.com/materiali/ppp ... io-ti-odio

Caro Pasolini, io ti odio. Sì, ti odio, anche se non sta bene venirtelo a dire nel quarantennale della tua morte. E quale morte, poi. Parole non ci appulcro: lo faranno, vedrai, nei convegni di accademici, nei dibattiti dell’internet, in tivù, sui giornali. Una volta di più, sempre così, da quarant’anni. La data fatidica sarà un andirivieni da quel tributo alla bruttezza che è, insieme, l’exegi monumentum nel luogo che ti fu fatale. Chissà a che punto sono le indagini, chissà se quel Pelosi, etc. Ho visto, come tutti, il film di Ferrara, che abbracciava la tesi della bravata e più non dimandare. Vedi, sono due volte che te lo cito, e quanto ti piaceva non stiamo qui a ribadirlo. Ti sarebbe piaciuto essere come lui, e in parte lo sei diventato, se non altro ti studiano allo stesso modo nelle università americane. Potrei dirti, come farebbe chiunque, quanto sia cambiata e al tempo stesso immobile l’Italia da allora, da quando te ne sei andato. Pagine attualissime, le tue, dicono. La mutazione antropologica, il genocidio culturale. E quanto sia inattuale, di contro, quel tuo essere sempre sul pezzo: non c’era tema del presente tuo contemporaneo che non ti stesse a cuore, che non ti fosse caro. Ma io ti odio. Ti odio al punto che ho chiuso i tuoi libri, i dvd e non voglio più saperne di te. Mi dispiace, certo, della tua fine becera, non solo le botte, ma ti passarono sopra con le ruote, peggio di un cane. E riconosco, al pari degli altri, la tua lungimiranza, l’essere al tempo stesso lucido e visionario. Non è per disistima che ti odio, ma il contrario. Perché i tuoi libri posso anche chiuderli, ma li so. E ritornano, si ripropongono le tue immagini cupe e ossessive nella mia vita reale. Non c’è quasi giorno in cui non mi capiti di assistere, ad esempio, per caso e di passaggio, a qualche manifestazione di quello che chiamavi l’insincero amore della coppia borghese. La coppia, dicevi, è maledetta. Lo scrivevi in più luoghi, ma quello che sempre ricordo, fino a farne un’ossessione a mia volta, è quello del tuo romanzo ultimo, Petrolio, in cui quel personaggio che chiami il Merda, a significare tutto il tuo disprezzo per la gioventù venduta al capitale, abbraccia la sua fidanzata Cinzia. E la abbraccia come un sacco di patate e camminano e camminano tanto che il braccio gli duole, al Merda, ma pure, non si stacca nemmeno per un momento da Cinzia, la sua fidanzata. E quando per lo sturbo e l’oppressione gli viene meno del tutto la forza, non trovi suggello migliore del dantismo ennesimo: il povero Merda, eccolo, cade come corpo morto cade. Ora, Pasolini: tu che ti schifavi dei capelloni e delle ragazze coi jeans attillati, cosa diresti (è un refrain abituale anche il cosa direbbe oggi, Pasolini: del papa che perdona le abortiste, ad esempio, e dei matrimoni gay, e del film che ti fa morire frocio e massacrato dai pischelli che ti caricavi verso il litorale), cosa diresti, allora, oggi, della costante esposizione nei social? Quell’insincerità dell’esibizione che ha del tutto ribaltato la privacy borghese (ipocrita e perbenista, non ti diamo certamente torto su questo, meno che mai), un filmino vacanze ininterrotto, il diario in pubblico delle casalinghe come degli intellettuali? Casalinghe e intellettuali sono categorie inadatte, peraltro, a questi tempi, mio odiato Pasolini, in cui tu forse troveresti il modo di twittare o chattare su whatsapp con meno volgarità e pressappochismo di quanto non sia divenuto abituale. La preghiera dell’uomo del terzo millennio: ciaomammaguardacomemideverto, con l’hashtag. Sei sempre stato un eccellente comunicatore, ti odio anche per questo, come ti odiavano i tuoi avversari di sinistra, che temevano la facies reazionaria di quelle idee di palingenesi dal basso, vita operosa e sana senza i miraggi del benessere. Ma che male c’era, poi, nel desiderare la motoretta o la ragazza inguainata nei jeans? Era quella, la tabe dei tempi, l’abbigliamento? Eri proprio fissato con sta cosa delle chiome e dei vestiti, il conformismo (lo dici tanto in Divina Mimesis che in Petrolio) partiva dagli abiti che conservavano l’odore di negozio e l’etichetta. Ma perché, te come ti vestivi, di stracci? E che male c’era ad averci la tivù, gusti un po’ meno individuali, l’omologazione? Caro Pasolini, quest’anno, come ogni anno, il 2 novembre, il giorno stesso dei morti comuni, rimuori pure tu e ti risuscitano a suon di cazzate. Oggi è morto un poeta, dissero ai tuoi funerali. Sarebbe ormai tempo che ne nascessero altri, che dici? Io intanto non smetto di odiarti, perché solo l’odio e il conoscere resistono al tempo, non l’essere odiati, l’aver conosciuto.
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Berto » mer nov 04, 2015 7:55 am

PPP e ła Callas
so contento ke anca sto poro omo el gapie vesto na sciantina de amor de e co na bona dona

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Pier Paolo Pasolini e Maria Callas, storia di un amore impossibile
«Una passione platonica, lei voleva convertirlo all'eterosessualità», racconta Dacia Maraini. «Io li sorpresi a baciarsi, lui la adorava. E la sua mamma tifava affinché si sposassero», ricorda Piera Degli Esposti. Segreti, memorie e gelosie della struggente love-story fra la soprano e il regista ucciso 40 anni fa, la notte fra l'1 e il 2 novembre
di Candida Morvillo
http://www.iodonna.it/personaggi/interv ... resh_ce-cp

Quando Maria Callas e Pier Paolo Pasolini s’incontrarono, lei era reduce da nove anni d’amore con il miliardario Aristotele Onassis, “nove anni di sacrifici inutili”, aveva commentato amareggiata. Il tycoon greco l’aveva piantata in asso per sposare Jackie, la vedova di John Fitzgerald Kennedy. Lei di Pasolini non era curiosa affatto, era convinta che fosse uno dei soliti intellettuali comunisti e barricaderi. Il regista, da parte sua, temeva la diva viziata e capricciosa, usa a lussi che lui aborriva. Li fecero incontrare Franco Rossellini e Marina Cicogna, che dovevano produrre la Medea di Pasolini e avevano pensato alla Callas come protagonista. In quei mesi, tra il 1968 e il 1969, anche il regista era amareggiato per motivi sentimentali. La sua ossessione aveva un nome: Ninetto Davoli, che lo faceva impazzire, poiché sosteneva che gli era impossibile innamorarsi.
Quello fra la Callas e il regista ucciso 40 anni fa, il 2 novembre 1975, fu un amore struggente e incompiuto, l’incontro di due anime fragili e inquiete. Nelle lettere, lei si firmava “Maria fanciullina”, lui le scriveva “tu sei come una pietra preziosa”.

Insieme in Africa
Maria s’illudeva di poterlo “guarire” dall’omosessualità, faceva di tutto per stargli accanto, lo seguiva nelle trasferte più disagevoli e, un Natale, lo accompagnò in Africa per i sopralluoghi di un’Orestiade che non sarà mai girata. Con loro, c’erano Alberto Moravia e la scrittrice Dacia Maraini, che a Io Donna, ha raccontato: «In Mali, facevamo i casting tra le capanne, non era comodo, ma Maria era innamorata di Pier Paolo e si illudeva di convertirlo all’eterosessualità. Sul palco era un drago, ma nella vita era una bambina di un’ingenuità sconfinata». E Pasolini? «La amava, ma di amore platonico», sostiene la Maraini.

Il bacio
Ma c’era qualcosa in più del platonico. Non solo perché i paparazzi, a un certo punto, li sorpresero a baciarsi sulle labbra in aeroporto. Piera Degli Esposti, nel 1969, recitava in Medea. Al magazine Sette ha raccontato: «Avevo la particina di un’ancella, priva di battute, ma Pasolini mi faceva fare la controfigura di Maria: non voleva che lei si stancasse troppo. Anche lui la amava. Ricordo la dolcezza con cui esclamava: “Sei splendida, Maria”. Li ho sorpresi che si baciavano, abbracciati, nella sala costumi. La madre di Pier Paolo, Susanna, voleva che si fidanzassero. Quando giravamo a Grado o a Pisa, la signora Pasolini arrivava tutti i sabati e faceva lunghe chiacchierate con Maria, che era di splendido umore, era allegra, e a tavola rideva, coi bigodini in testa, perché era innamorata. Un giorno, si incendiò un capanno sulla spiaggia, c’eravamo tutti e anche la Callas, Pier Paolo arrivò correndo e urlando “Maria”. Per lui, noi altri potevamo anche essere morti, gli interessava solo Maria».

L’anello degli equivoci
La Callas ci credeva. Finito l’ultimo ciak, nella laguna di Grado, Pasolini le regalò un anello: un’antica corniola di Aquileia incastonata in una veretta d’argento con fregi romanici, che aveva fatto cercare con cura all’amico pittore Giuseppe Zigaina, originario di quelle parti. Maria scambiò il dono per una dichiarazione, per il preludio a una richiesta di matrimonio che tuttavia non sarebbe mai arrivata.

L’estate più bella
L’estate successiva, quella del 1970, la passarono insieme. Stettero un intero mese a Tragonisi, un’isola dell’Egeo di proprietà di Perry Emiricos, un melomane e armatore e miliardario greco, amico della Callas. Non era il genere di invito che poteva allettare Pasolini, il quale invece accettò: anche lui non sapeva stare lontano da Maria. Furono lunghe giornate e serate di chiacchiere e confidenze, in cui si raccontarono la loro intere vita. Di giorno, in spiaggia, lui la ritraeva su foglietti ripiegati in quattro, intingendo un pennino in infusi di petali di fiori e acqua di mare. Di quell’estate, restano 14 ritratti di Maria e dieci poesie a lei ispirate, che Pasolini compose quando di notte, immancabilmente, si ritraeva e si ritirava nelle sue stanze. Maria Callas in quei versi pubblicati nella raccolta Transumanar e organizzar non veniva mai nominata, eppure era lei la “ragazza ancora orgogliosa di essere di città e piena della morale antica” e nelle poesie spunta anche un anello che allude a un “momento della verità”.

Destini incrociati
In riva al mare di Tragonisi, Maria non aveva smesso di sperare. E riprese a crederci, poco dopo, quando Ninetto Davoli s’innamorò di una ragazza e decise di sposarsi, lasciandole libero il campo, almeno in teoria. Ora, la Callas era convinta che come Davoli, anche Pasolini potesse scegliere l’eterosessualità, la famiglia, i figli. Ma la disperazione di Pier Paolo era troppo grande. Nell’agosto del ’71 aveva scritto all’amico Paolo Volponi: «Sono quasi pazzo di dolore. Ninetto è finito. Dopo quasi nove anni Ninetto non c’è più. Ho perso il senso della vita. Penso soltanto a morire o cose simili. Tutto mi è crollato intorno: Ninetto con la sua ragazza disposto a tutto, anche a tornare a fare il falegname (senza battere ciglio) pur di stare con lei; e io incapace di accettare questa orrenda realtà, che non solo mi rovina il presente, ma getta una luce di dolore anche in tutti questi anni che io ho creduto di gioia».

L’addio
In quei giorni, la Callas aveva scritto al suo Pier Paolo: «Sono infelice per te, ma contenta che ti sei confidato in me. Caro amico, sono infelice che non posso essere vicina in questi momenti difficili per te come lo sei stato tu spesso con me. Tu sai bene, in fondo, che sarebbe andata così. Ti ricordi a Grado, in macchina, si parlava con Ninetto di amore e che so io e dentro in me le mie antenne, tu dici, me lo dicevano quando Ninetto diceva che non si innamorerebbe mai. Sapevo che diceva delle cose che era troppo giovane per capire. E tu, in fondo, uomo tanto intelligente lo dovevi sapere. Invece ti attaccavi anche tu a un sogno fatto da te solo perché è così, anche se ti addoloro con questa predicuccia piccola…». Finì lì, però. L’incontro d’anime, l’amore impossibile, si sfilacciò fra gli impegni dell’uno e dell’altra, Maria a Parigi, Pier Paolo a Roma. In fondo, la Callas stessa aveva vissuto “un sogno fatto da lei sola”, come in uno dei versi scritti da Pasolini nella solitaria notte di Tragonisi del 10 agosto 1970: “Ma tu dirai ciò che dicono le ragazze selvagge, su quel molo umile, abitato da due soli corpi, parole che non hanno nessuna risonanza nella realtà”.
Il che, poi, era un po’ quello ch’era accaduto all’attrice Laura Betti, la quale sosteneva che lei e Pasolini “avevano i loro ninetti” ma che “erano una coppia” e che non digerì ma la stagione d’intesa fra la Callas e Pasolini. Ricordando la partenza dei due per l’Africa, ammise: «Ero gelosissima. Per farsi perdonare, Pier Paolo avrebbe dovuto farmi un grosso, grosso regalo; proprio come un marito, qualcosa che gli costasse molti soldi».

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https://it.wikipedia.org/wiki/Ninetto_Davoli
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Re: Paxołini de Caxarsa: Pier Paolo Pasolini

Messaggioda Sixara » mer nov 04, 2015 6:47 pm

Berto ha scritto:so contento ke anca sto poro omo el gapie vesto na s.ciantina de amor de e co na bona dona

Nò solo ke co la Càlas, anca kela orenda de la Laura Betti, come ca se vede, famoxa pa le scenate de jeloxia ke la gh inpiantava ( a ke titolo pò?)... nol jera on 'poromo', Paxolini, caxo mai le jera tute kele done ca ghe ndava drio, le 'poverete'. 'Zerte done i la ga sta mania de 'convertire' el so amigo omosesuale e lè ben ridicola e patetica sta aspira'zion cuà e porasè 'borghese' , tel senso ke l intendea lu, ma anca omàna, molto umana.
La Callas la ghi n ea pasà bastan'za te la so vita amoroxa pa ndarse tore anca de i pensieri pa Paxolini, ma pare ca no se pòsa fare n altro modo: tuti ke i ghe core drio a on 'ideale', l inteletuale a el borgataro, la cantante a el poeta... tuti stereotipi or de la fine, e da zente cusì fina ghe saria stà da spetarse calcoséta de pì de tute ste storie da romanzeto roxa.
La Callas, come tanti, la lo ga doparà Pierpaolo, cusì come ke lu el ghe n à doparà tanti, màsa or de la fine. E amor nol se presta a èsare doparà.
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