Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile...http://raffaeleferroni.blogspot.it/2011 ... il-25.htmllunedì 25 aprile 2011
Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile...
Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile bisognerebbe far mente chiara sul fatto che "i cattivi" non erano tutti così cattivi e, soprattutto, che "i buoni non erano tutti così buoni".
In che senso?
E' presto detto: Ci sono voluti sessant'anni perchè agli occhi della massa Giampaolo Pansa, uno che era sempre stato di sinistra e che proprio da quella sinistra è stato prontamente all'occorrenza rinnegato, sconvolgesse la coscienza almeno di quella parte di Italiani che oltre a guardare il grande fratello leggono qualchè libro, con il suo "Il sangue dei vinti".
Eh si, perchè mentre la gente di destra con la testa sulle spalle, come si ritiene il sottoscritto, è pronta a condannare e condanna perpetuamente i crimini commessi dai fascisti nascosti dietro un'ideologia per la quale molti si sono fatti prendere la mano, la sinistra ha taciuto sempre, e sempre vorrebbe poter continuare a tacere sui crimini commessi dai suoi "eroi" ai danni di coloro che nella stragran maggioranza dei casi avevano, come unica colpa, quella di essere figli, mogli, parenti, fidanzate, nipoti, amici, di chi aveva portato la camicia nera o aveva avuto la tessera del partito fascista che fu. Mettiamoci bene in testa che i figli di buona donna che nascosti dietro al fascismo avevano commesso crimini efferati, fra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 si sono improvvisamente trasformati in partigiani, sono diventati comunisti, hanno stracciato vecchie tessere e vecchi ideali... quelli più che fascisti erano criminali o, nella migliore delle ipotesi, bulli di squadra.
Festeggerei il 25 aprile come "liberazione" se i comunisti non l'avessero fatta una loro prerogativa, peché bisogna sottolineare che l'Italia dal nazi-fascismo non l'hanno liberata i partigiani ma gli Americani, i quali avevano ben altra forza e altre risorse. E fu così che però i partigiani si arrogarono la memoria storica non di aver combattuto e resistito fino all'arrivo delle truppe alleate (senza poi chiedersi quale differenza avrebbe fatto la loro assenza sulla liberazione - probabimente nessuna) bensì quella di aver vinto la guerra ed aver "liberato" l'Italia.
Ora, i partigiani non erano tutti comunisti, erano un'eterogeneità di gruppi alcuni dei quali avevano nobilmente creduto nella resistenza, ci mancherebbe! Ma la parte comunista come solito, quando c'è stato da godere di una vittoria e raccogliere meriti ha fatto la voce più grossa e si è saputa vendere meglio con quel modus operandi che è tipico degli impostori. Da questo vennero nascoste le azioni che subito dopo quella "liberazione" vista con i loro occhi (o meglio "paraocchi") si rivelarono forse il peggior momento della storia della nostra Nazione.
Lo so che in questo momento se qualche "comunista della vecchia guardia" sta leggendo si sente ribollire il sangue, ma non può che farmi piacere perché è la prova che la verità è tale e fa male, quindi calco la mano e porto qualche esempio:
Walter Ascari
Bastiglia (MO) 27 aprile 1945.
Alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero nell’abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna.
Ascari non era fascista, ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le “Radiose Giornate” quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo “Stato Borghese“.
Giunti in località Montefiorino alcuni partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il malcapitato come dei forsennati; altri con l’ausilio di una canna di bambù lo seviziarono fino a rompergli parte dell’intestino. Ma era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter Ascari. “A morte!” “A morte!” Urlavano gli assassini… Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra… Qualcosa di speciale… Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell’umana cattiveria.
Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di quel pover’uomo.
(fonte)
Ines Gozzi:
Ines Gozzi era una ragazza ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO).
Era il 21 gennaio 1945 quando una squadra di partigiani dell' "onoratissima" brigata Garibaldi fece irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre.
I due furono portati in un casolare in aperta campagna e qui legato il genitore e costretto ad assistere inerme, la ragazza venne violentata a turno e seviziata brutalmente da coloro che poi ebbero la sfrontatezza di definirsi "coraggiosi salvatori della patria". (sono noti ulteriori dettagli ma preferisco ometterli in quanto mi viene il voltastomaco solo a pensarci, e a pensare a come chi li ha commessi abbia poi potuto vivere una vita da impostore accettando chissà quante volte l'epiteto di "eroe").
Le atrocità si protrassero per tutta la notte e quando fu ormai giunta l'alba i "coraggiosi partigiani" finirono padre e figlia con numerosi colpi di pistola alla testa.
Vennero ritrovati cadaveri solo alcuni giorni dopo ed il corpo della ragazza era talmente straziato e sfigurato da dover essere nascosto agli occhi della madre.
Giuseppina Ghersi:
Il 26 aprile 1945 i genitori di Giuseppina, che aveva solo 13 anni, si recarono al lavoro presso il loro ingrosso di frutta e verdura, erano passate non da molto le 6 del mattino quando furono fermati da alcuni partigiani armati e successivamente tradotti al Campo di concentramento di Legino. Ivi arrivati furono loro sequestrate le chiavi di casa e del magazzino della merce. Dopo circa mezz’ora fu tradotta al campo anche la cognata che viveva nella loro casa che nel frattempo, unitamente al magazzino, venne depredata di oro e denaro e merci.
Il 27 aprile verso le 10 del mattino, le guardie minacciarono di morte la moglie per sapere dove fosse la figlia tredicenne. Terrorizzati i Ghersi accompagnarono le guardie a prenderla presso l'abitazione di conoscenti in via Paolo Boselli a Savona, da dove fu presa e condotta al campo.
Nel pomeriggio la ragazza fu condotta in un cortile e le guardie ci giocarono a pallone, riducendola in uno stato comatoso, perdendo tanto sangue da non avere più la forza di chiedere aiuto.
Poi le guardie, non paghe di quanto appena ignobilmente commesso, presero a malmenare la madre della eagazza ed alle cinque successive batterono il padre con il calcio del moschetto, sulla testa e sulla schiena, chiedendogli di rivelare dove avesse nascosto altri soldi e altro oro.
Verso le 18 furono condotti in via Niella, al Comando partigiano, dove fu loro detto che a loro carico non era emerso nulla. Furono tuttavia portati al Carcere di S. Agostino.
Dopo 12 giorni fu rilasciata la Signora Ghersi e l'11 giugno, senza mai essere stato interrogato fu liberato il padre della ragazza che apprese in tale occasione che sua figlia Giuseppina era stata violentata ed uccisa.
Il corpo senza vita della ragazza fu abbandonato nel cimitero di Zinola, (Savona) nell'aprile del 1945.
Rolando Rivi.
Il 10 aprile del 1944 Rolando Rivi, quattordicenne seminarista esce di chiesa, torna a casa, i suoi genitori vanno a lavorare nei campi. Rolando, con i libri sottobraccio, si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa.
Indossa, come sempre, la sua veste nera. Inseparabile veste nera.
A mezzogiorno, non vedendolo ritornare, i genitori lo vanno a cercare. Tra i libri, sull'erba trovano un biglietto: "Non cercatelo. Viene un momento con noi, partigiani". Il papà e il curato di San Valentino, don Camellini, in forte ansia cominciano a girare nei dintorni alla ricerca del ragazzo. Che cosa sarà mai capitato?...
Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro "base". Rolando capisce con chi si trova. Quelli lo spogliano della veste talare che li irrita troppo. Lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano. Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente; rimarrà nelle mani di quegli ignobili personaggi (che poi probabilmente saranno stati osannati e portati come eroi da chi si credette liberato da loro)
Una valanga melmosa di bestemmie contro Cristo, di insulti contro la Chiesa e contro il Sacerdozio, di scherni volgari si abbatté su di lui. Quindi (secondo quanto hanno detto alcuni testimoni) l'orrore della flagellazione sul suo corpo puro di ragazzo. E l'indicibile, che è preferibile non raccontare.
Rolando, innocente, piange e geme come un agnello condotto al macello, prega nel suo cuore e chiede pietà. Tuttavia, nella sua anima, posseduta da Cristo, è forte e sereno. Qualcuno si commuove e propone di lasciarlo andare, perché è soltanto un ragazzo e non c'è motivo o pretesto per ucciderlo. Ma altri si rifiutano: "Taci, o farai anche tu la stessa fine". Prevale l'odio al prete, all'abito che lo rappresenta.
Decidono di ucciderlo: "Avremo domani un prete in meno"!
Scende la sera ormai. Lo portano, sanguinante, in un bosco presso Piane di Monchio (Modena).
Davanti alla fossa già scavata Rolando comprende tutto. Singhiozza, implora di essere risparmiato. Gli viene risposto con un calcio. Allora dice: "Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà.
Si inginocchia sull'orlo della fossa e prega per sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra nel suo sangue.
Quelli lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche. La veste del prete diventa un pallone da calciare; poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Era il 13 aprile 1945, Rolando aveva quattordici anni e tre mesi.
Come potrei festeggiare quindi il 25 aprile assieme a coloro (e rischiando di venire identificato con gli stessi) i quali osannano ancora oggi i partigiani?
No, mi dispiace, mi dispiace per i miei nonni che di 25 aprile non se ne perdevano uno, loro avevano fatto la guerra, erano stati deportati come prigionieri dopo l'8 settembre del 1943 e per loro la "liberazione" era la fine della guerra, delle sofferenze, il ritorno alle famiglie con la speranza di non dovervisi più allontanare. Non gli interessava della politica (almeno in quei frangenti) festeggiavano la fine della guerra e di questo loro sentimento non posso che provare un profondo rispetto.
Ma oggi io, che sono di destra ma non sono fascista perchè è un periodo che non ho vissuto, perchè considero anacronistica l'espressione della nostalgia di quei momenti, perché vedo nei giovani che "giocano" a fare i neofascisti lo stesso atteggiamento patetico che vedo nei ragazzotti ventenni che si iscrivono all'associazione partigiani probabilmente per il solo desiderio di appartenere a qualcosa, che scelgono un atteggiamento politico alla stregua di una tifoseria calcistica, oggi io quando la ragione sta prevalendo sui sentimenti e la politica più che mai divide perché è venuto a galla l'olezzo delle schifezze tenute nascoste per più di mezzo secolo, io NON posso festeggiare unendomi a certa gente. Non sono per l'abolizione di questa festività, ma così dipinta a sostegno di criminali che hanno infangato i buoni propositi di coloro che si sono davvero sacrificati, indipendentemente dalla parte dalla quale stessero, proprio non la sento mia.
Pubblicato da Raffaele Ferroni