Assad ha vinto la guerra. E i media ora scoprono i crimini dei ribelli
Fulvio Scaglione
6 gennaio 2019
http://www.occhidellaguerra.it/assad-ribelli-siria
In forma dubitativa, con ampio uso di condizionali e tra mille distinguo. Però adesso anche uno dei più diffusi quotidiani italiani si è accorto che il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani, installato nel Regno Unito, non è la bocca della verità. Che è “gestito da una sola persona”, la quale non ha mai dato conto di quali siano in realtà le sue fonti.
Questa persona si chiama Rami Abdulrahman, risiede a Coventry da molti anni e quando ancora viveva in Siria era un noto oppositore di Bashar al-Assad. La cosa in sé va benone, siamo o no per la libertà di opinione e di parola? Ma va un po’ meno bene quando ti atteggi a informatore libero e imparziale.
Lo stesso articolo non cita mai Abdulrahman ma aggiunge che l’Osservatorio “sarebbe finanziato da… agenzie occidentali, britanniche in particolare”, e in realtà è finanziato dal governo inglese. Che non ha mai raccontato la verità sui misfatti delle bande armate comunque definite “ribelli”, anche quando erano i tagliagole dell’Isis o di Al Nusra (ex Al Qaeda). E che le più accreditate agenzie internazionali, per esempio il Comitato internazionale della Croce Rossa, non hanno mai potuto confermare le affermazioni del suddetto Comitato contro l’esercito regolare siriano, accusato di affamare le popolazioni di molte città durante le operazioni militari.
Alla buon’ora. Ci sono voluti anni, e migliaia di articoli in cui invece l’Osservatorio era presentato come una fonte “terza” e affidabile, ma alla fine si fa strada la verità. Per i non moltissimi che, come noi, la ripetevano in tempi non sospetti, è comunque una soddisfazione.
Sarebbe una soddisfazione da poco, però, se restasse confinata in un bambinesco “io l’avevo detto”. Questo non conta niente. Conta molto, invece, il fatto che la gran parte dei media abbia raccontato l’atroce guerra civile siriana con un preconcetto che non poteva non distorcere la realtà. Poiché il cattivo era Assad, tutto ciò che andava contro Assad era buono. E se non era buono, comunque serviva alla causa. E quando la realtà smentiva la teoria, i suddetti media facevano come i leninisti e gli stalinisti di una volta e dicevano: è la realtà che sbaglia. È ciò che pensavano i politici americani, sauditi, turchi, inglesi, francesi. Ma appunto i politici. La stampa dovrebbe essere il loro cane da guardia, non la loro ancella.
Così l’Esercito libero siriano, diventato ininfluente dopo pochi mesi di conflitto, è stato raccontato come un protagonista. L’interventismo della Turchia e delle petromonarchie del Golfo Persico, grandi finanziatrici di Isis, Al Nusra e Fratelli Musulmani, mai sottolineata, e amplificata invece quella di Iran ed Hezbollah. Ogni civile morto era ucciso dai russi. Quando saltavano fuori le fosse comuni piene di persone assassinate dall’Isis e dagli altri gruppi “ribelli”, un riquadrino a pagina 38. La montagna di balle e distorsioni pian piano ha preso dimensioni tali da non poter più essere smantellata senza esserne travolti.
Lo si può fare adesso, come vediamo, perché l’Isis è stato sconfitto e la Siria sta uscendo dalle prime pagine. Il meccanismo, però, ha girato fino all’ultimo. Chi non ricorda le articolesse grondanti sdegno per la carneficina di Aleppo? I cannoni falciavano senza sosta i civili, l’ultimo pediatra-l’ultimo pompiere-l’ultimo blogger cadevano sotto i colpi, i bambini morivano come mosche, e tutto per colpa dei russi e degli assadiani. Pochissime parole erano state spese, negli anni precedenti, per compiangere gli aleppini bombardati giorno e notte dai “ribelli”, privati di acqua ed energia elettrica, chiusi nella parte occidentale della città e decimati giorno dopo giorno, ma pazienza. I nostri e i loro, serie A e serie B.
Poi è arrivata, in Iraq, la campagna per la liberazione di Mosul, occupata nel 2014 dall’Isis. La lunga battaglia (da ottobre 2016 e luglio 2017) è stata raccontata come una missione di gloria, tutta bella pulitina, una bomba intelligente qua, una incursione chirurgica là. Questa, sì, una cosa ben fatta.
Purtroppo sono, anche qui, arrivate le notizie vere. Gli alti comandi militari Usa parlavano di mille civili morti, e invece secondo le ricerche dell’Associated Press sono almeno 11mila. E il presidente della Commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento iracheno, Kakim al-Zamely, ha raccontato di 23 mila militari caduti in battaglia, con oltre 70 mila feriti. In questo caso, però, nessun ultimo pediatra, nessun Elmetto Bianco da candidare al Nobel per la Pace, pochissimo sdegno e via andare.
Ma il crimine più grave di questo modo di fare (dis)informazione è un altro. Sta nel fatto che è stata tolta dignità a una larga parte della popolazione siriana. Il punto non è e non è mai stato decidere se il presidente siriano è un benefattore dell’umanità o un aguzzino. Dibatterne non è lecito ma doveroso. Quello che non si doveva fare, ed è invece stato fatto, era decidere che chi non era dalla parte dei “ribelli” era un collaborazionista, un complice, un uomo o una donna in malafede, quasi di sicuro un corrotto, forse un potenziale assassino. Milioni di uomini e donne, dai vertici delle Chiese cristiane agli operai delle fabbriche distrutte, sono stati trasformati in mostri perché non la pensavano come opinion makers e giornalisti che nella maggior parte dei casi non sapevano nulla della Siria e men che meno si sognavano di metterci piede. Quel che quei milioni di siriani sentivano, ciò che loro a torto o a ragione pensavano, era senza valore. Loro stessi erano senza valore.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.
La Turchia minaccia gli Stati Uniti: "Via dalla Siria o entriamo in azione"
Lorenzo Vita
10 gennaio 2019
http://www.occhidellaguerra.it/turchia- ... -cavusoglu
La Turchia avverte gli Stati Uniti: o si ritirano nei tempi previsti, o invaderà il nord della Siria. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, durante un’intervista con il canale Ntv, ha dichiarato: “Se il ritiro sarà ritardato adducendo scuse ridicole, come il fatto che i turchi stiano massacrando i curdi, cosa che non riflette la realtà, renderemo effettiva questa decisione””. E per decisione, intende quella di entrare con le forze armate nel nord della Siria.
Le frasi arrivano dopo lo scontro fra Recep Tayyip Erdogan e John Bolton. Due giorni fa, il presidente turco si è rifiutato id incontrare il Consigliere per la Sicurezza nazionale americano dopo che questi, a Gerusalemme, aveva detto di considerare prioritaria la protezione delle milizie curde. Frasi che erano state respinte dai turchi, che invece hanno detto di considerare le milizie Ypg al pari di altri gruppi terroristi, come lo stesso Stato islamico. E che adesso si preparano a entrare in azione per confermare il loro vero e unico obiettivo dall’inizio del conflitto: costruire nel nord della Siria una sorta di protettorato turco debellando la resistenza curda.
Ieri, la posizione statunitense è stata ribadita dal segretario di Stato Mike Pompeo, in missione in Iraq: “È importante fare tutto quello che è in nostro potere per assicurare che coloro che hanno combattuto al nostro fianco rimangano in sicurezza”. Il funzionario Usa, in visita a Baghdad e nel Kurdistan iracheno, ha ribadito la convinzione che il ritiro americano dalla Siria non debba avere effetti negativi sulla cooperazione tra Stati Uniti e Iraq, né sul rapporto con le forze curde impegnate sul campo.
Ma la mossa americana appare in ritardo, o quantomeno ipocrita, rispetto a quanto già realizzato (e non solo minacciato) dalle forze armate di Ankara con la complicità Usa. I curdi sono stati più volte abbandonati dal Pentagono per lasciare spazio all’alleato turco. E nonostante Erdogan continui a minacciare direttamente Washington, è del tutto evidente che fra Turchia e curdi, gli strateghi Usa abbiano già scelto: e l’opzione ricade sul Sultano. Ma con un occhio di riguardo alle milizie Ypg, che rappresentano in ogni caso una preziosa spina nel fianco, oltre che un’arma di ricatto, sia verso la Turchia che verso gli altri governi locali.
È chiaro che gli Stati Uniti non possono abbandonare la Turchia. Né la Turchia, con le sue minacce, può scegliere di punto in bianco di abbandonare la Nato e l’asse con l’Occidente. Ma Erdogan gioca in modo spregiudicato su due fronti. E questa soluzione gli consente di avere una posizione privilegiata e da battitore libero in tutto il Medio Oriente.
La guerra in Siria non è finita. E noi vogliamo tornare sul campo per raccontarvela. Scopri come aiutarci
Tanto è vero che lo stesso ministro Cavusoglu ha annunciato che i leader di Iran, Russia e Turchia si incontreranno di nuovo per discutere del futuro della Siria. Il ministro ha anche precisato che sarà il Cremlino a proporre una data per il trilaterale fra Erdogan, Vladimir Putin e Hassan Rohani. Ed è un annuncio che conferma la volontà turca di radicare i rapporti con Mosca e Teheran sul fronte siriano anche per ottenere maggiore autonomia rispetto all’Alleanza atlantica e agli Stati Uniti. E così “Vorremmo restare in contatto con la Russia durante questo processo così come con l’Iran, che è uno dei giocatori attivi nella regione, che ci piaccia o no”, ha detto Cavusoglu.
È con queste premesse che deve essere compreso l’annuncio della Turchia sulla preparazione di un’operazione in Siria. La terza, dopo Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’Ulivo. Erdogan vuole garanzie sul suo “protettorato” nel nord del Paese devastato da quasi otto anni di guerra. E la soluzione del ritiro Usa permetterebbe ad Ankara di monitorare la parte nordorientale della Siria senza avere i curdi protetti dal Pentagono e dalla coalizione internazionale a guida americana. Ecco perché Erdogan guarda a Iran e Russia e continua ad affermare che sia necessario il ritiro americano.
Ma ci sono alcuni dubbi che riguardano la possibile espansione della Turchia in Siria. Ed è per questo che la Casa Bianca e il Pentagono hanno iniziato a riflettere sul ritiro. Erdogan è legato a doppio filo alla Fratellanza Musulmana e al governo del Qatar, mentre gli Stati Uniti hanno due alleati fondamentali in Medio Oriente che vanno dalla parte opposta: Arabia Saudita e Israele. Lasciare il Sultano prenda il sopravvento rischia di essere un clamoroso boomerang che a Washington preoccupa. E molto.
Pompeo: “Ritireremo le truppe dalla Siria ma la lotta all’Isis continua”
Paolo Mastrolilli
2019/01/10
https://www.lastampa.it/2019/01/10/este ... agina.html
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha confermato il ritiro americano dalla Siria. In un conferenza stampa al Cairo, dopo l’incontro con il presidente Abdel Fatah al-Sisi, ha precisato che gli Stati Uniti ritireranno le loro truppe. “La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stata presa, lo faremo”. Ha aggiunto però che l’America continuerà a combattere “il terrorismo dell’islam radicale”. La minaccia, ha detto “è reale, l’Isis esiste ancora, lo combatteremo in molte regioni del mondo, il nostro impegno è reale”. In Siria, dopo il ritiro dei militari sul terreno, “lo faremo in altri modi”, verosimilmente con raid e azioni di commando come già per esempio in Yemen.
Il discorso all’Università americana
Pompeo ha poi tenuto nel pomeriggio l’atteso discorso all’Università americana, incentrato sulla politica dell’Amministrazione Trump in Medio Oriente e sulle minacce dell’Iran. Il capo della diplomazia americani ha detto che gli Usa si impegneranno con l’appoggio degli alleati affinché “l’Iran lasci la Siria, fino all’ultimo stivale”, ma lo faranno con mezzi diplomatici. Poi ha aggiunto che gli Stati Uniti non possono accettare che Hezbollah come “importante presenza” in Libano e faranno in modo che venga ridotto il suo arsenale di razzi e missili. Pompeo ha insistito che l’America è “una forza del bene” e le sue forze armate sono impegnate a liberare i Paesi, non a occuparli. Ha rassicurato gli alleati che la presenza americana nella regione non è in discussione, anche se i Paesi arabi devono impegnarsi di più “contro l’estremismo” e contro le interferenze iraniane. Le dichiarazione arrivano dopo le tappe in Iraq e Giordania, altri Paesi in prima linea contro l’Isis. Il segretario di Stato visiterà anche i Paesi del Golfo, compresi Qatar e Arabia Saudita.
Trump e il lento ritiro dalla Siria: le due condizioni poste dai suoi consiglieri
Guido Olimpio
7gennaio 2019
https://www.corriere.it/esteri/19_genna ... 0e0b.shtml
Nulla è definitivo nella crisi siriana. Non potrebbe essere diverso visto i mutamenti di posizione repentini, le manovre, i tanti attori. Nelle ultime ore gli Usa hanno ricalibrato l’agenda per l’eventuale ritiro delle truppe mentre HTS, coalizione di ispirazione qaedista, ha dato una grande spallata nel nord. E il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha riferito che la Turchia ha promesso di continuare la campagna contro l’Isis dopo il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e di proteggere i combattenti curdi (alleati degli americani), che temevamo un’offensiva di Ankara.
Rientro prudente
Donald Trump aveva intimato un rientro entro 30 giorni dei circa 2 mila soldati impegnati nella parte orientale e nel sud della Siria. Poi ha deciso di concedere più tempo al Pentagono orfano del suo stratega, Jim Mattis, costretto alle dimissioni perché contrario a questa politica: allora - è stato detto - il contingente tornerà a casa entro 120 giorni. Infine una nuova precisazione. Il presidente ha dichiarato di voler un rientro cauto e prudente, ma ha ribadito che il “tutti a casa” è confermato. La puntualizzazione è coincisa con la missione nella regione del suo consigliere, John Bolton, che ha visitato Israele e sarà poi in Turchia. L’alto esponente statunitense è noto come “interventista”, specie in chiave anti-Iran, e raccoglie gli umori dell’establishment che non condivide la “visione” della Casa Bianca.
Le due condizioni
Proprio Bolton ha spiegato che i soldati americani faranno i bagagli solo dopo la sconfitta totale dell’Isis e se la Turchia garantirà che non lancerà l’offensiva contro i curdi siriani dell’YPG, alleati fondamentali dell’Occidente nella guerra al Califfato. Quindi ha aggiunto che nuclei di militari potrebbero restare nella base di al Tanf, nella zona sud della Siria. Un avamposto creato pensando ad un contrasto dell’azione iraniana. E, in futuro, come è stato sottolineato dalla stessa amministrazione potrebbero esserci azioni di forze speciali Usa a partire dall’Iraq. Questi sono i desideri del Pentagono che però si scontrano con la volontà di Trump, deciso a disimpegnarsi lasciando che siano Turchia, Russia e Iran a occuparsi del “calderone”. Non è contento neppure Israele, che teme di restare isolato. In questo vuoto si è ipotizzato anche un rilancio della vecchia idea di The Donald: mandare nella zona curda reparti forniti da paesi musulmani amici (Emirati, Marocco, Egitto…). Un piano che dovrebbe legarsi ad un programma di ricostruzione per villaggi e città devastate dal conflitto. Ma l’opzione B pare più un auspicio (forse un sogno) oppure è solo un tentativo di sondare il terreno in vista di future sistemazioni. Necessarie. Anche perché lo Stato Islamico, per quanto in ritirata, continua a colpire con la tattica della guerriglia/terrorismo. Lunedì un attacco suicida ha causato molte vittime a Raqqa.
I ribelli
Interessante, intanto, la manovra a sorpresa condotta dal movimento Hayat Tahrir Al Sham. Ben organizzato, con un buon arsenale, ha conquistato posizioni che erano tenute da guerriglieri filo-turchi a ovest di Aleppo e fin verso il confine con la Turchia. Notevole il bottino di guerra strappato agli avversari. La fazione, che sul piano formale si è distanziata dalla casa madre qaedista, cerca di incamerare chilometri quadrati di territorio e località per diventare l’interlocutore principale nel caso di trattative.