Jean-Claude Juncker killer d'Europa
di Paolo Biondani e Leo Sisti
26 ottobre 2018
http://m.espresso.repubblica.it/interna ... refresh_ce
Una voragine nei conti dei 28 Paesi dell’Unione europea: mille miliardi di euro all’anno, tra elusione ed evasione fiscale. Multinazionali che non pagano le imposte e smistano decine di miliardi di dollari dei loro profitti, accantonati grazie a operazioni finanziarie privilegiate in Lussemburgo, verso altri paradisi rigorosamente “tax free”. Stati membri dell’Unione che si fanno concorrenza sleale sulle tasse. È disastroso il bilancio che sta lasciando Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, nonché ex padre-padrone del Granducato, mentre imbocca l’ultimo anno del suo mandato, in scadenza dopo le elezioni del 2019: il suo viale del tramonto.
L'INCHIESTA INTEGRALE SULL'ESPRESSO IN EDICOLA DA DOMENICA 28 OTTOBRE
Ormai ogni giorno il numero uno della Ue deve incrociare i ferri con populisti e sovranisti, pronti a sfidare regole, limiti e vincoli europei. In Italia ad attaccarlo è soprattutto Matteo Salvini, con un avvertimento: «Pensi al suo paradiso fiscale in Lussemburgo». Dove Juncker è stato presidente del Consiglio dal 1995 al 2013 e, già prima, più volte ministro delle Finanze, esordendo con il primo incarico politico nel 1982, ad appena 28 anni. Ed è proprio il Lussemburgo il vero nodo del caso Juncker, di cui ora approfittano i nemici dell’Europa. Il nodo di un paese fondatore della Ue che spinge i ricchissimi a eludere le tasse.
L'Espresso, nel numero in edicola con La Repubblica da domenica 28 ottobre, pubblica un'inchiesta sul presidente della Commissione europea e sul problema strutturale dei sistemi fiscali nazionali che favoriscono le grandi aziende danneggiando i cittadini oberati di tasse. L'articolo documenta il ruolo centrale di Juncker nelle politiche che hanno reso il Lussemburgo il primo paradiso fiscale interno all'Unione europea. Uno scandalo svelato a partire dal novembre 2014, proprio mentre Juncker si insediava al vertice della Ue,dall'inchiesta “LuxLeaks”, firmata dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), di cui fa parte l’Espresso in esclusiva per l'Italia. Analizzando oltre 28 mila documenti riservati, i giornalisti del consorzio hanno rivelato i contenuti degli accordi fiscali privilegiati (tax rulings) con cui il Lussemburgo di Juncker ha garantito a 340 multinazionali, da Amazon ad Abbott, da Deutsche Bank a Pepsi Cola, di pagare meno dell’uno per cento di tasse.
Ora l'Espresso in edicola pubblica i documenti interni dei lavori delle due commissioni speciali d'indagine istituite dall'Unione europea dopo lo scandalo LuxLeaks. Oltre al Lussemburgo, i commissari hanno esaminato i sistemi fiscali di altri paesi che garantiscono fortissime riduzioni delle tasse per le multinazionali, dall'Olanda al Belgio, dall'Irlanda a Malta. Una concorrenza sleale tra Stati che, secondo le stesse autorità europee, provoca un danno complessivo, tra elusione ed evasione fiscale, quantificato nell'astronomica cifra di «mille miliardi di euro all'anno».
L'inchiesta dell'Espresso documenta anche le manovre politiche e le pressioni di singoli governi, tra cui spicca il Lussemburgo, per bloccare tutti i progetti europei di riforma fiscale. E per tenere segreti ai cittadini gli accordi privilegiati che da anni garantiscono enormi vantaggi tributari ai colossi mondiali dell'economia. L'articolo svela anche gli interventi diretti di Juncker, come capo del governo lussemburghese, a favore di multinazionali, come Amazon, che ora sono al centro delle indagini europee sull'elusione fiscale.
http://www.chiarelettere.it/author/biondani-paolo
Panama Papers: "Lo scandalo non è finito". Intervista a Paolo Biondani
di Marco Dozio- 18 Maggio 2016
http://www.ilpopulista.it/news/18-Maggi ... ndalo.html
È lo scandalo finanziario del secolo. Eppure dopo il clamore iniziale, sui Panama Papers pare scesa una coltre di silenzio e indifferenza. Anche in Italia. Nessuno o quasi ne parla. E nessuno ha pagato. Finora.
Giornalista dell’Espresso, Paolo Biondani è tra gli autori dell’inchiesta, condotta con un pool di reporter internazionali, che ha scoperchiato il vaso di pandora della finanza offshore. Perché i Panama Papers, a un mese dalle rivelazioni, sembrano già finiti nel dimenticatoio?
Difficile dirlo. In alcuni Stati le società offshore rivelate dai Panama Papers coinvolgono la classe di governo, dunque anche per questo motivo che c’è stato il tentativo di minimizzare. Altrove esistono iniziative importanti, che per adesso sono sottotraccia. A livello di Ocse, l’organismo che redige le liste nere, che decide quali Stati si possono considerare attendibili sul piano della collaborazione fiscale e giudiziaria, esiste un’attività intensa per costringere Panama a dare tutte le carte.
Esiste davvero la volontà politica di aggiustare le distorsioni del sistema?
Pare che per la prima volta non sia successo tutto invano. Almeno a livello di Europa, Usa e in generale dei paesi Ocse sembra che ci sia la volontà di attuare un giro di vite. Dipenderà molto anche da chi vincerà le elezioni soprattutto in Usa e Gb. Obama ha segnato una svolta per quanto riguarda l’evasione fiscale ai danni degli Usa. Anche Cameron ha annunciato un giro di vite rispetto ai paradisi fiscali britannici tipo Virgin Islands.
È uno scandalo sociale prima che giudiziario?
Si tratta di far pagare un minimo di tasse ai super ricchi. La realtà è che queste persone pagano zero. La popolazione più ricca colloca le proprie attività economiche in paradisi fiscali in cui non si paga nulla. Ripeto, nulla. Nelle Virgin Islands le tasse sugli utili aziendali sono zero. Da noi c’è l’idraulico o il metalmeccanico che pagano il 40 o il 50% di tasse. E il miliardario paga zero. Un’indecenza. Inoltre questo sistema permette di avere l’anonimato: un problema per i Paesi che si ritengono civili. Non è tollerabile che il narcotrafficante, il mafioso o il terrorista possano sfruttare i canali dell’economia ordinaria.
Perché in Italia tra le centinaia di persone coinvolte nessuno ha fatto una chiara ammissione? C’è la corsa a minimizzare e a nascondersi?
Dopo la pubblicazione degli elenchi abbiamo ricevuto solo una o due lettere di smentita. E in quelle liste abbiamo identificato con certezza assoluta 280 italiani. A chi l’ha fatto abbiamo risposto pubblicando i documenti su Internet.
Si trattava di una persona famosa?
Era Carlo Verdone. Che a quel punto ha cambiato versione, dicendo che è stato indotto in errore da una persona di cui si è fidato. Ma la stragrande maggioranza delle persone coinvolte non ha detto nulla. Finché lo scrive un giornale possono anche infischiarsene, visto che in questo Paese passata la bufera ci si dimentica di tutto. Il problema per loro inizierà se e quando l’Agenzia delle entrate riuscirà ad avere da Panama le carte ufficiali, quelle col timbro. E a quel punto per queste 280 persone saranno dolori.
Quasi 10 anni fa con Vittorio Malagutti e Mario Gerevini ha scritto il libro “Capitalismo di rapina” (Chiarelettere). Da allora è cambiato qualcosa?
Mi capita di riprendere in mano quel libro: è impressionante constatare come i metodi e le ruberie di certo capitalismo italiano e di alcune banche di provincia siano poi stati riscontrati ai massimi livelli internazionali, in meccanismi molto più grandi. Parlavamo di Parmalat o della Banca Popolare di Lodi: sembravano classici casi di illegalità italiana, poi abbiamo visto come è fallita Lehman Brothers. Non era soltanto un’anomalia italiana, ma la spia di un sistema finanziario globale completamente sregolato.