Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2017 3:02 pm

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2017 3:03 pm

Dhimmitudine
https://it.wikipedia.org/wiki/Dhimmitudine

Dhimmitudine è un neologismo derivante dall'arabo dhimmi, usato per definire la discriminazione verso i non islamici da parte dei musulmani. Dhimmi (dialettalmente suona come zimmi; in in arabo: ذمي‎, traducibile come "protetto") è lo status giuridico riconosciuto ai non-musulmani che vivono in un sistema politico governato dal diritto musulmano.
La parola dhimmi è un aggettivo ma di norma è usato come un sostantivo in Occidente. Deriva dal sostantivo dhimma, che significa "patto di affidabilità" e denota la relazione giuridica tra non-musulmani e Stato islamico. "Dhimmitudine" aggiunge il suffisso "-tudine" all'aggettivo dhimmi, creando un nuovo sostantivo con un significato diverso da dhimma. A seconda degli autori, il termine assume significati diversi ma tra loro correlati: può avere una valenza esclusivamente storica o contemporanea o comprendere le due; può riferirsi all'intero sistema del dhimma o alle sole persone.

Dhimmi
https://it.wikipedia.org/wiki/Dhimmi
Un dhimmi (in arabo: ذمي‎, collettivo: أهل الذمة, ahl al-dhimma, "Gente della dhimma", Lingua turca zimmi) era un suddito non-musulmano di uno Stato governato dalla shari'a, la legge islamica.
Con Dhimma si intende un "patto di protezione" contratto tra non musulmani e un'autorità di governo musulmana. Lo status di dhimmi era in origine riferito solo all'Ahl al-Kitab ("Gente del Libro"), cioè ebrei e cristiani, ma in seguito anche zoroastriani, mandei e infine agli indù, ai sikh e ai buddhisti.
I dhimmi godevano di maggiori diritti rispetto ad altri soggetti non-musulmani, ma di minori diritti legali e sociali dei musulmani. Lo status di dhimmi venne applicato a milioni di persone vissute tra l'Oceano Atlantico e l'India dal VII secolo all'epoca moderna. Nel tempo, molti si convertirono all'Islam. Molte conversioni furono volontarie e motivate da diverse ragioni, ma le conversioni forzate giocarono un ruolo crescente soprattutto dal XII secolo sotto gli Almohadi nel Maghreb e in al-Andalus, in Persia e in Egitto, dove il Cristianesimo copto era ancora la religione numericamente dominante.

Apartheid
https://it.wikipedia.org/wiki/Apartheid
L'apartheid (in afrikaans pronunciato: [ɐˈpartɦɛit], in italiano: /apar'taid/ o /apar'tɛid/, letteralmente "separazione", "partizione") era la politica di segregazione razziale istituita nel secondo dopoguerra dal governo di etnia bianca del Sudafrica, e rimasta in vigore fino al 1994.
Fu applicato dal governo sudafricano anche alla Namibia, fino al 1990 amministrata dal Sudafrica. L'apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall'assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976 (International Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid), e quindi successivamente inserito nella lista dei crimini contro l'umanità. Per estensione, il termine è oggi utilizzato per rimarcare qualunque forma di segregazione civile e politica a danno di minoranze, ad opera del governo di uno stato sovrano, sulla base di pregiudizi etnici e sociali.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2017 3:03 pm

UNA STRATEGIA EFFICACE: ECCO COME L'ISLAM CANCELLA LA PRESENZA DEI CRISTIANI
di Andrea Morig

http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=449

C’è un sistema perfetto per annientare i cristiani e gli ebrei, senza lasciarne più traccia. Antico quanto basta per affermare che si tratta del metodo di sterminio più efficace, duraturo e sperimentato della storia. Quel meccanismo complesso si mette in moto gradualmente, a mano a mano che si applicano i princìpi della sharia, la legge coranica, e poco a poco soffoca le comunità non islamiche, riducendone inesorabilmente le dimensioni fino al nulla.
Si deve all’opera di Bat Ye’or, di cui esce ora in traduzione italiana un testo edito in francese nel 1991, Il declino della Cristianità sotto l’Islam. Dal jihad alla dhimmitudine (Lindau, pp. 576, euro 32), la descrizione storico-giuridica finora più accurata del processo di islamizzazione delle terre conquistate attraverso il jihad, la guerra santa.
Battaglie e imprese militari delle armate di Maometto e dei califfi suoi successori sono soltanto la premessa per dar vita a un’amministrazione in grado di mettere in ombra qualsiasi potenza colonizzatrice occidentale moderna.

PULIZIA ETNICA
Tutto ruota intorno al termine dhimmitudine, all’incirca traducibile con “apartheid” se quest’ultimo istituto giuridico non fosse che una pallida imitazione sudafricana della colossale operazione di pulizia etnica messa a punto dopo le invasioni dei musulmani nel Medio Oriente, in Africa, in Spagna e in Sicilia.
Dhimmi, letteralmente, significa “protetti”. Nella sostanza, indica le minoranze non islamiche appartenenti alle religioni del Libro, cioè i cristiani e gli ebrei, ai quali immediatamente dopo la loro sconfitta si applica un trattamento da cittadini di serie B.
Si inizia con un’imposizione fiscale discriminatoria che culmina nella jizya, un testatico dovuto dalla comunità degli “infedeli” ai nuovi dominatori. Sono questi ultimi a stabilire l’entità della somma, che rimane tale anche quando la popolazione assoggettata diminuisce numericamente. Così chi rimarrà fedele alla propria religione fatalmente vedrà aumentare la propria quota parte del tributo globale, fino a non poterne più sostenere l’onere. Anche per una ragione di mero calcolo economico, conviene convertirsi all’islam.
I musulmani, infatti, pagano individualmente la zakat, la tassa per il culto. Sono considerati cittadini di serie A. Ai dhimmi non è concessa nemmeno la proprietà fondiaria, ma soltanto la conservazione del possesso della terra, percepirne l’usufrutto ed ereditarla. Ma devono pagare il kharaj, l’imposta fondiaria. Perciò, quelli che un tempo erano imprenditori agricoli, si trasformano improvvisamente in lavoratori dipendenti, ai quali spetta mantenere le truppe d’invasione e rifornire le popolazioni arabe immigrate di cibo, vestiario e manufatti.
Il secondo ingranaggio, che scatta contemporaneamente, è la proibizione dell’apostasia. Si può abbandonare qualsiasi altra religione per convertirsi all’islam, ma il percorso inverso implica la morte. Ugualmente, a un “infedele” non è consentito contrarre matrimonio con una donna musulmana. Ovviamente, un musulmano può tranquillamente sposare (anzi è caldamente invitato a farlo) una donna di altra religione, poiché i figli saranno educati nella religione del padre, l’islam.
Va da sé che la manovra a tenaglia, così congegnata, ottiene lo scopo prefisso, cioè la scomparsa di tutto quanto testimonia l’esistenza di civiltà precedenti. Tutto dipende dall’intensità con cui si decide di azionare la leva del razzismo radicale. Ondate persecutorie, saccheggi sistematici e conversioni forzate si alternano con manifestazioni di tolleranza più o meno durature, sempre intese però a mantenere in vita le galline dalle uova d’oro, le comunità sottomesse che garantiscono il mantenimento gratuito ai dominatori musulmani, che a lavorare non ci pensano nemmeno.

LAVORI FORZATI
Perciò l’autrice, a cui si deve anche il termine “Eurabia”, descrive le dinamiche per le quali, quando abbisognava «l’esperienza dei cristiani in fatto di edilizia, arboricoltura e irrigazione - arti in cui i musulmani non eccellevano di certo, e che peraltro non praticavano - era opportuno farli insediare fra gli islamici per favorire lo sviluppo di quella città e indebolire gli infedeli». Un concetto di flessibilità, mobilità e delocalizzazione moderno, tanto quanto quello dei campi di lavoro organizzati dai nazionalsocialisti tedeschi e poi presi come esempio da comunisti russi e cinesi.
Senza l’opera di Bat Ye’or, che non fornisce soltanto un elenco freddo di date e avvenimenti, ma anche la cornice al cui interno si situano, molti episodi potrebbero apparire indipendenti. La realtà della dhimmitudine, al contrario, è il filo rosso, o meglio verde, che li collega, fino all’epoca contemporanea e ora minaccia l’Occidente dai ghetti dell’immigrazione musulmana. Le varie Dichiarazioni dei Diritti del Musulmano, scritte dai Paesi arabi in alternativa alla Carta dei Diritti dell’uomo approvata a Helsinki nel 1948, risalgono alla cultura della sharia tanto quanto la falsa tolleranza esercitata da 1.400 anni a questa parte dai governanti islamici.
Bat Ye'or, Il declino della cristianità sotto l’Islam. Dal jihad alla dhimmitudine, Ed. Lindau 2009, pp. 576, euro 32
Sconto su: http://www.theseuslibri.it

Fonte: Libero, 10/10/09
Pubblicato su BastaBugie n. 123
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2017 3:04 pm

L’eurabia è dentro di noi
di Giulio Meotti
2009/07/26

http://www.ilfoglio.it/articoli/2009/07 ... -noi-70680

William Underhill di Newsweek avrebbe potuto leggersi le statistiche dei delitti d’onore in Germania e discuterne con Seyran Ates, l’avvocatessa di Berlino che ha chiuso lo studio legale dopo l’ultima aggressione subita a una fermata del metrò. Seyran era con una cliente musulmana che voleva divorziare dal marito. Lui le pesta entrambe, gridando “hure!”, puttana. A pochi chilometri da lì avrebbe potuto visitare la Deutsche Oper, che ha cancellato dalla stagione lirica l’Idomeneo di Mozart per timore di rappresaglie islamiste. Sempre a Berlino avrebbe potuto parlare con il direttore del quotidiano tedesco Die Welt, Roger Köppel, che stava per essere pugnalato a morte da un giovane ingegnere di origine pakistana entrato nel suo ufficio armato di coltello. Avrebbe potuto studiarsi i numeri delle “ragazze scomparse” in Inghilterra, vittime dimenticate delle centinaia di matrimoni forzati che Benjamin Whitaker, in un rapporto per le Nazioni Unite, ha inserito tra le nuove schiavitù.
Avrebbe potuto andare a Stoccolma e prendere tra le mani una t-shirt di gran moda fra i giovani musulmani: “2030 – Poi prendiamo il controllo”. Avrebbe potuto vedere come nella penisola scandinava, austera e lontana, dove durante la guerra si ebbero straordinari gesti di protezione degli ebrei, a Stoccolma, Göteborg e Malmö, prima città europea a maggioranza islamica, le comunità ebraiche sono costrette a spendere un quarto del budget in misure di sicurezza. Lì avrebbe scoperto anche il cadavere di Samira Munir, la politica norvegese di origine pakistana minacciata di morte dagli islamisti per la sua difesa dei diritti delle donne. Il suo corpo è stato trovato non lontano dal centro di Oslo.

A Copenaghen avrebbe potuto far visita a Kurt Westergaard, il vignettista che disegnò Maometto col turbante-bomba e che oggi deve vivere con un sistema di protezione che allerta la polizia in caso di pericolo. Avrebbe potuto recarsi a Bruxelles e apprendere che il primo nome dei nuovi nati non è più da molto tempo François, ma Mohammed.

Avrebbe potuto fare un salto in Italia, dove ci sono circa trentamila donne musulmane che hanno subìto la mutilazione genitale. Qui, in mezzo a noi, ora. Avrebbe potuto vedere con i propri occhi come la croce rossa di San Giorgio sia scomparsa da aeroporti, taxi e pompieri in Gran Bretagna su pressione islamica. La stessa Gran Bretagna che oggi vede triplicare il numero delle corti islamiche. Avrebbe potuto andare nella moschea El Mouchidine di Osdorp, in Olanda, dove l’imam ha gridato “cani infedeli” ad alcuni studenti appena arrivati in gita scolastica davanti alla locale moschea. Da lì avrebbe potuto passare per Rotterdam, con i suoi quartieri segregati come monoliti e con i minareti dai quali si incita all’uccisione degli omosessuali. Già che c’era avrebbe potuto intervistare quell’insegnante di scuola elementare a Mozaiek che ha raccontato come i suoi studenti musulmani, in visita al museo Anna Frank di Amsterdam, le abbiano detto che “i nazisti avrebbero dovuto uccidere più ebrei”. Nella stessa città dove, oltre a Galileo, arrivarono gli ebrei spagnoli in fuga dall’Inquisizione e oggi invece regna la paura più glaciale. Avrebbe potuto sfogliare la fitta black list di scrittori, artisti, professori, giornalisti e politici minacciati di morte dal fondamentalismo. Pochi mesi fa, all’uscita da un supermercato, un islamista ha aggredito Robert Redeker, il filosofo francese costretto a nascondersi nel proprio paese per un articolo scritto tre anni fa: “Sei Redeker, hai insultato l’islam. Sei un mascalzone. Sei protetto, altrimenti finiresti male”.

William Underhill di Newsweek non ha fatto nulla di tutto questo. Perché, in piena legittimità, ha preferito esercitare una potenza rassicurante e dissuasiva su milioni di lettori del grande settimanale americano. Il giornalista americano ha cercato di spiegare che “Eurabia” è un mito, uno spauracchio,“una speculazione basata sulla speculazione”, una finzione costruita ad arte, la proiezione allarmista di una manciata di studiosi e politici della “far right”. La destra nasty, cattivissima, sporca, intollerante e xenofoba in cui secondo il cronista di Newsweek tutto si equivale, dal filoisraeliano e atlantista Geert Wilders all’antisemita, negazionista dell’Olocausto e suprematista bianco Nick Griffin del British National Party.

Dell’Eurabia il Foglio è andato a parlarne con la grande studiosa che ha coniato quel termine, ripreso e reso incandescente da Oriana Fallaci qualche anno dopo. Si tratta di Bat Ye’or, resa famosa in tutto il mondo da “Eurabia” (Lindau), ormai un modo di dire per indicare il rischio che l’occidente corre. Nel dicembre del 2002 apparve su Internet un suo articolo, tradotto in diverse lingue, dal titolo “Le dialogue Euro-Arabe et la naissance d’Eurabia”. Oriana Fallaci ne rimase folgorata e rese celebre questa storica durissima. In molti altri ripresero la tesi di Bat Ye’or, a cominciare da Niall Ferguson e Bernard Lewis. Nata in Egitto, cittadina britannica, residente in Svizzera, Bat Ye’or l’Eurabia la chiama anche “dhimmitude”, da dhimmi, cioè sottomessi, come venivano definiti i cristiani e gli ebrei che dall’ottavo secolo sono stati obbligati alla tassa sulle minoranze.

La dottoressa Rachel Ehrenfeld, una delle autorità mondiali in materia di finanziamento occulto al terrorismo e direttrice dell’American Center for Democracy di New York, nel suo libro “Funding Evil” ha seguito le tracce lasciate dalle varie organizzazioni non governative che servono da facciata per l’incanalamento dei fondi occulti verso l’islamismo in Europa. Il suo libro venne pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice Bonus Books. Dopodiché Ehrenfeld riceve una email spedita dagli avvocati inglesi di un milionario saudita da lei citato, in cui le intimano, fra l’altro, di togliere dalla circolazione e distruggere tutte le copie invendute del libro, scrivere un pubblica lettera di scuse e fare una donazione a un ente di carità indicato dai sauditi. Per intentare la causa di diffamazione contro Rachel Ehrenfeld, ai sauditi basta acquistare una ventina di copie del libro “Funding Evil” su Internet e farsele recapitare in territorio inglese. La battaglia legale, durata due anni, è terminata il 20 dicembre 2007 alla Corte d’Appello dello stato di New York. Ehrenfeld è stata condannata.

Il caso Ehrenfeld è pura Eurabia. “Se William Underhill cervava di contestare la crescente influenza islamica in Europa e la sua ostilità ai valori occidentali, ha fallito”, dice al Foglio Rachel. “Sostiene che le proiezioni demografiche sui musulmani come maggioranza in Europa nel 2025 sono false. Ma quali studi porta a suo favore?”. E comunque “il vero problema non è la demografia, ma l’imposizione di norme basate sulla sharia e che contraddicono la società libera, democratica e capitalista”. Come nel suo caso. “Il reporter di Newsweek ignora l’influenza politica, finanziaria, sociale e culturale, la rapida espansione della sharia basata su istituzioni finanziarie in Europa. I leader islamici in Europa non propongono integrazione, ma cinque volte al giorno incitano alla distruzione degli ‘infedeli’ che hanno aperto loro la porta. E distruzione non significa necessariamente violenza, ci sono molti modi per indebolire ed eliminare la cultura e i valori occidentali. Fondi sauditi o provenienti da Golfo, filantropia islamica e fondi finanziari di Hezbollah e Hamas, Hizb ut-Tahrir e Al Muhajiroun, per citare soltanto alcune organizzazioni terroristiche internazionali, stanno esportando la sharia nella vita di tutti i giorni in Europa. La politica stessa degli europei riflette l’influenza islamica. I discorsi dell’odio contro gli ebrei sono in crescita, così come ogni critica dell’islam e dei musulmani è proibita. Questa non è l’Europa liberale di dieci anni fa”.
Ciò che non emerge dall’analisi di Newsweek è la sottomissione delle donne musulmane europee. Psicologa alla City University di New York, Phyllis Chesler è una madrina del movimento femminista (il suo “Le donne e la pazzia”, è stato un libro di culto alla fine degli anni Settanta). “Bat Ye’or ha ragione quando descrive Eurabia”, dice Chesler al Foglio. “Perché mentre molti immigrati musulmani amano l’occidente, ce ne sono altrettanti ostili alla modernità, alla democrazia, agli ‘infedeli’. Non vogliono assimilarsi o integrarsi. Hanno il compito di convertire i dhimmi e governare lo stato secondo la sharia. Vivono in Europa, ma è come se non avessero mai lasciato il Pakistan, la Turchia, l’Afghanistan, l’Algeria. Hanno creato un universo parallelo, pericoloso per l’Europa. In questo senso l’islam è il più grande esecutore al mondo di un apartheid di genere e religioso. Donne in burqa, niqab, hijab, sono ovunque nelle strade europee. I delitti d’onore infestano l’Europa e, come ho sempre cercato di dimostrare, sono omicidi ben diversi dalla violenza domestica dell’occidente. L’Europa ha accolto il flusso di immigrati ostili per dimostrare che non era ‘razzista’, che non erano stati gli europei a uccidere sei milioni di ebrei. Oggi si ritrovano così a giustificare l’olocausto di Israele predicato dai musulmani”.

Arriviamo a lei, la teorica di Eurabia, Bat Ye’or. “La copertina di Newsweek e l’articolo di William Underhill pretendono di spiegare che l’emergenza dell’Eurabia è una speculazione. Ma Eurabia esiste, viviamo nell’Eurabia, non è il domani, ma oggi, qui. Eurabia rappresenta un’ideologia che, per raggiungere i suoi obiettivi, fa leva su numerosi strumenti strategici, politici e culturali. E’ un nuovo ‘spazio della dhimmitudine’ creato dai politici, dagli intellettuali e dai media europei, Eurabia è un’entità culturalmente ibrida, fondata sull’antioccidentalismo e sulla giudeofobia. Quando le sinagoghe e i cimiteri ebraici devono essere sorvegliati come nei paesi islamici dove i mausolei cristiani ed ebraici sono distrutti perché la libertà di espressione e di fede non è un diritto costituzionale, questa è Eurabia. Il dialogo euro-arabo ha importato in Europa la tradizione anticristiana e antiebraica dell’islam inscritta nell’ideologia jihadista da tredici secoli. Quando in Europa critici dell’islam, musulmani e non musulmani, devono nascondersi o vivere sotto la protezione delle guardie del corpo, come Geert Wilders e molti altri, questa è Eurabia. Le celebri caricature di Flemming Rose, riprese anche da altri giornali, a cui hanno fatto seguito le minacce di morte al filosofo francese Robert Redeker, autore di un articolo, ritenuto blasfemo, apparso su Le Figaro il 19 settembre 2006, hanno esasperato l’opinione pubblica. Quando l’insegnamento nelle università, nella cultura, nell’editoria viene controllato in gran parte dalla Anna Lindh Foundation o dalla Alleanza delle civilizzazioni (strumento dell’Organizzazione della conferenza islamica, ndr), questa è Eurabia. Quando i bambini ebrei non possono frequentare una scuola pubblica senza essere aggrediti e i ragazzi ebrei sono minacciati per strada, o rapiti e uccisi come il francese Ilan Halimi, questa è Eurabia. Quando dimostrazioni islamiche di massa nelle città europee invocano la distruzione di Israele, questa è Eurabia. I nostri multiculturalisti non ci danno le chiavi per conciliare i valori della sharia con quelli della laicità europea, i contenuti della Carta islamica dei diritti umani con quelli della Dichiarazione universale, l’espandersi dell’imperialismo islamico e i principi di libertà e uguaglianza tra i popoli e tra i sessi”.

Nell’analisi di Bat Ye’or, Eurabia è un continente in balia della paura, del silenzio, della dissimulazione e della diffamazione, che non ha ormai più niente a che vedere con l’Europa che conoscevamo. “Eurabia è un coacervo di società lacerate tra la xenofobia, il desiderio di riscatto, l’autodifesa e la disperazione, nel graduale sfaldarsi dei loro leader politici, disperatamente aggrappati ai cliché che hanno costruito in trent’anni. Eurabia esiste laddove ci sono donne velate e le leggi della sharia sono applicate, quando l’ideologia islamica e antisionista fiorisce, dove le istituzioni democratiche non sono che il ricordo scarnificato del proprio passato”.

Da alcuni anni la morsa dell’apartheid politico, economico, culturale, artistico e scientifico di Eurabia si è stretta intorno a Israele. Di questo Newsweek non parla affatto. “E’ stata la questione palestinese lo strumento utilizzato dal jihad per disgregare l’Europa: essa ha costituito infatti il fondamento e l’impianto organico su cui è sorta Eurabia, il cuore dell’alleanza e della fusione euroarabe, germogliate sul terreno dell’antisionismo. Ora, i rapporti tra Europa e Israele, cristianesimo ed ebraismo, non investono soltanto l’ambito geostrategico, ma rappresentano il vincolo ontologico e la linfa vitale di tutta la spiritualità dell’Europa cristiana. Israele, infatti, si è costruito sulla liberazione dell’uomo, mentre la dhimmitudine lo imprigiona nella schiavitù. Eurabia è figlia del ‘palestinismo’ e non mi meraviglierei se un giorno, sotto la bandiera dell’Eurabia palestinizzata, i soldati eurabici corressero a sterminare in Israele i discendenti della Shoah. Il secondo Olocausto sarà chiamato: ‘Pace, amore e giustizia per la Palestina’ e ‘Liberazione dall’apartheid’”.
Leggendo Newsweek e gli altri campioni del giornalismo liberal si capisce quanto l’America sia ben lontana per capire Eurabia, che è un’idea e un destino più che una geografia o un flusso migratorio. L’oceano separa le certezze ireniche di William Underhill dalla paura che striscia nelle nostre città. Sebbene proprio in Eurabia sia nato l’11 settembre 2001. In un quartiere di vecchie case d’anteguerra in mattoni rossi, in una larga e squallida strada che fronteggia una ringhiera di sbarre. E’ a Wilhelmsburg, il quartiere industriale di Amburgo, in tre locali al terzo piano, che abitava e pregava Mohammed Atta, il capo degli attentatori delle Twin Towers. Furono pianificate in Eurabia quel milione di tonnellate di detriti e tremila esseri umani trasformati in un mucchio di rovine fumanti.


https://it.wikiquote.org/wiki/Bat_Ye%27or

Quando le sinagoghe e i cimiteri ebraici devono essere sorvegliati come nei paesi islamici dove i mausolei cristiani ed ebraici sono distrutti perché la libertà di espressione e di fede non è un diritto costituzionale, questa è Eurabia. Il dialogo euro-arabo ha importato in Europa la tradizione anticristiana e antiebraica dell'islam inscritta nell'ideologia jihadista da tredici secoli. Quando in Europa critici dell'islam, musulmani e non musulmani, devono nascondersi o vivere sotto la protezione delle guardie del corpo, come Geert Wilders e molti altri, questa è Eurabia. Le celebri caricature di Flemming Rose, riprese anche da altri giornali, a cui hanno fatto seguito le minacce di morte al filosofo francese Robert Redeker, autore di un articolo, ritenuto blasfemo, apparso su Le Figaro il 19 settembre 2006, hanno esasperato l'opinione pubblica. Quando l'insegnamento nelle università, nella cultura, nell'editoria viene controllato in gran parte dalla Anna Lindh Foundation o dalla Alleanza delle civilizzazioni (strumento dell'Organizzazione della conferenza islamica, ndr), questa è Eurabia. Quando i bambini ebrei non possono frequentare una scuola pubblica senza essere aggrediti e i ragazzi ebrei sono minacciati per strada, o rapiti e uccisi come il francese Ilan Halimi, questa è Eurabia. Quando dimostrazioni islamiche di massa nelle città europee invocano la distruzione di Israele, questa è Eurabia. I nostri multiculturalisti non ci danno le chiavi per conciliare i valori della sharia con quelli della laicità europea, i contenuti della Carta islamica dei diritti umani con quelli della Dichiarazione universale, l'espandersi dell'imperialismo islamico e i principi di libertà e uguaglianza tra i popoli e tra i sessi.
Ora, i rapporti tra Europa e Israele, cristianesimo ed ebraismo, non investono soltanto l'ambito geostrategico, ma rappresentano il vincolo ontologico e la linfa vitale di tutta la spiritualità dell'Europa cristiana. Israele, infatti, si è costruito sulla liberazione dell'uomo, mentre la dhimmitudine lo imprigiona nella schiavitù. Eurabia è figlia del "palestinismo" e non mi meraviglierei se un giorno, sotto la bandiera dell'Eurabia palestinizzata, i soldati eurabici corressero a sterminare in Israele i discendenti della Shoah. Il secondo Olocausto sarà chiamato: "Pace, amore e giustizia per la Palestina" e "Liberazione dall'apartheid".
Ora, i rapporti tra Europa e Israele, cristianesimo ed ebraismo, non investono soltanto l'ambito geostrategico, ma rappresentano il vincolo ontologico e la linfa vitale di tutta la spiritualità dell'Europa cristiana. Israele, infatti, si è costruito sulla liberazione dell'uomo, mentre la dhimmitudine lo imprigiona nella schiavitù. Eurabia è figlia del "palestinismo" e non mi meraviglierei se un giorno, sotto la bandiera dell'Eurabia palestinizzata, i soldati eurabici corressero a sterminare in Israele i discendenti della Shoah. Il secondo Olocausto sarà chiamato: "Pace, amore e giustizia per la Palestina" e "Liberazione dall'apartheid".
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2017 3:06 pm

Nazismo islamico = dhimmitudine
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » mer mar 22, 2017 10:43 pm

Apartheid de Umar


La Carta di Umar - Il regolamento imposto ai non musulmani nella Spagna medievale sotto il dominio islamico
18 ottobre 2014
http://islamicamentando.altervista.org/carta-umar

Tratto da «il Timone» n. 62, aprile 2007

Tra i molti fantasmi che si aggirano per l’Europa, uno dei più conosciuti è quello del multiculturalismo e la sua effigie è la Spagna moresca, la mitica Al Andalus, dove lo splendore dei tesori d’arte e l’eccezionale ricchezza culturale ed economica riportano a un’epoca in cui ebrei e cristiani sarebbero vissuti in pace sotto il dominio musulmano, senza che le loro comunità fossero perseguitate. In tal modo, un Islam tollerante e benefico potrebbe proporsi come ipotesi per una nuova Europa unita, stavolta sotto il segno della Mezzaluna.

La Croce, ahimé, non solo non gode di buona stampa ma, soprattutto in Spagna, è divenuta sinonimo di intolleranza e di fanatismo.

Per capire quale fosse realmente la situazione di ebrei e cristiani sotto il dominio islamico in Spagna bisogna rifarsi, necessariamente, alle norme che regolano la “dhimma”, la sottomissione dei Popoli del Libro alla legge coranica. La “Carta di Umar”, il secondo califfo dopo Maometto, divenne, nelle successive versioni, una sorta di manuale per governanti e principi e vale la pena riportare le condizioni cui dovevano sottoporsi i “dimmi” (i non musulmani):

1. non costruire e non riparare chiese, conventi ed eremi;
2. ospitare qualunque musulmano per almeno tre giorni;
3. non dare asilo ad alcuna spia;
4. non nascondere ai musulmani qualsiasi cosa possa loro nuocere;
5. non manifestare la propria religione, non predicarla, e permettere la conversione all’ Islam;
6. fare posto a sedere ai musulmani;
7. vestire in modo da essere riconosciuti come cristiani e non somigliare ai musulmani;
8. non utilizzane la sella e non portare armi;
9. non vendere bevande fermentate;
10. rasarsi la parte anteriore del capo come segno distintivo;
11. non mostrare croci e bibbie in pubblico;
12. non alzare la voce nelle chiese davanti a musulmani;
13. divieto di processioni per la Pasqua;
14. funerali silenziosi;
15. non costruire case più alte dei musulmani;
16. non colpire un musulmano;
17. non sposare una musulmana.

Quanto al tributo, la jizya, esso doveva essere pagato in modo umiliante: il suddito deve stare in piedi davanti all’esattore seduto, poi deve chinare il capo e beccarsi uno scappellotto. Questo rituale poteva variare a seconda delle interpretazioni, andando da un semplice versamento, privo di umiliazioni, a un rituale violento, con strappo della barba e botte sulle mani.

Questa ghettizzazione si rifletteva anche nelle carniere amministrative, di norma chiuse ai non musulmani e all’esercizio della giustizia che vedeva cristiani ed ebrei perennemente sfavoriti. A essi, però, erano riservati altri lavori, come raccogliere la spazzatura e pulire le latrine. In cambio di tutto ciò veniva concessa salva la vita, ma questo patto era quanto mai fragile e sottoposto alla buona volontà e alla buona fede dei musulmani. Un’accusa di oltraggio alla fede islamica bastava a portare il cristiano in tribunale con tutte le incognite del case.

Come fu possibile allora che la cristianità spagnola si sottomettesse a un simile regime per secoli? La questione va guardata, per una volta, con un’ottica militare e politica, poiché la normativa islamica era strumentale alle grandi conquiste del primo secolo di vita della nuova religione. Nel 722, un secolo esatto dopo l’Egira di Maometto verso Medina, l’Islam dominava gran parte del mondo conosciuto: Siria, Palestina, Persia, Africa settentrionale e Spagna erano sottoposte alla legge islamica e questo grazie a un’accorta politica di accordo con le popolazioni conquistate. Ognuna di queste era stata convertita all’Islam e messa in condizioni di non nuocere agli occupanti, ma l’eccezione notevole fu proprio quella della cristianità spagnola. Dal 711, anno della battaglia di Guadalete in cui fu infranto il regno visigoto, al 721, in cui fu compiuta la conquista di quasi tutta la penisola iberica, arabi e berberi avevano schiacciato le resistenze più deboli e negoziato con quelle più forti, facendo le opportune concessioni. Gli iberici, però, non si convertirono in massa, come era successo a persiani, berberi e siriani e quelli che lo fecero lo fecero dopo due secoli di dominazione. Mancò la spinta propulsiva dei convertiti e i musulmani nella penisola iberica furono, inizialmente, una ristretta minoranza che non poté compiere nuove durevoli conquiste in Francia. Le vittorie di Carlo Martello, a Poitiers e in Provenza, hanno proprio questa fondamentale radice: la carenza di effettivi da parte moresca.

I cristiani spagnoli adottarono due linee di condotta: una più accomodante, l’altra di resistenza a oltranza, per quanto non armata, a causa della propria debolezza militare. Dalla prima corrente ebbe origine l’adozionismo, quell’ eresia che considerava Gesù nella sua sola natura umana ma “adottato” da Dio. L’eresia fu condannata nel 785 e poi nel 794, proprio negli anni in cui il califfo Abd-er Rahman faceva costruire la moschea di Cordova laddove sorgeva la cattedrale, obbligando i cristiani a lavorare alla sua edificazione. I martiri iberici non furono numerosi e ne vengono ricordati solo alcuni per il primo secolo di occupazione. Poi dall’inizio del IX secolo in poi, il loro numero cominciò a crescere man mano che diventava evidente come l’Islam stesse soffocando la Chiesa un poco per volta. Più volte i cristiani di Cordova e di Toledo insorsero contro l’occupazione islamica e ogni volta la repressione fu spietata e sempre più generalizzata. Nell’837 Toledo insorse nuovamente e ci volle un assedio in piena regola per piegarne la resistenza. Molti cristiani mozarabi (da “musta’rib”: arabizzati) emigrarono verso nord, dove i reami cristiani in piena espansione erano ben lieti di accoglierli, ma altri scelsero la via del martirio consapevole pur di risvegliare le coscienze del propri confratelli.

Nell’851 il cristiano Isacco professò apertamente la propria fede e chiese al giudice di convertirsi prima di essere giustiziato. Nello stesso anno Nunilone e Alodia, figlie di padre musulmano e madre cristiana, violarono la legge islamica che le voleva musulmane dalla nascita e furono martirizzate anch’esse. Nei dieci anni successivi, vi furono almeno altri 46 martiri nella sola Cordova. Spesso erano figli di matrimoni misti come Adolfo e Giovanni di Siviglia o sposi come Aurelio e Sabighora, sacerdoti come Rodrigo, denunciato dal proprio fratello musulmano. L’accusa fu quella di apostasia o di oltraggio alla religione e, in verità, bastava dire che Maometto non era ispirato da Dio per commettere tale reato. Il fenomeno fece scalpore e spinse il califfo a convocare, nell’852, un concilio che condannò la voluttà di martirio ma questo non fermò il capo della rivolta, il sacerdote Eulogio, che continuò a polemizzare apertamente con le autorità moresche, tanto da essere eletto arcivescovo e primate di Spagna. Tale titolo non lo poteva sottrarre alla giustizia moresca, in attesa di un suo passo falso o, in altre parole, di una nuova confessione di fede. Così, nel marzo dell’859, una convertita, Leocricia, chiese la sua protezione ed egli gliel’accordò di buon cuore. Fu per questo motivo che venne subito arrestato, giudicato e sgozzato in una data che è diventata terribilmente significativa per la Spagna moderna: l’11 marzo, il giorno degli attentati di Madrid.

Dopo di lui vi furono altri martini, come la monaca Laura di Cordova e altri ancora nei secoli successivi, seppure in misura minore, così come è vero che le conversioni all’islam aumentarono di molto. Ma la resistenza, anche solo passiva, dei cristiani spagnoli costrinse i califfi a portane nella penisola nuovi immigrati e, con essi, le divisioni tribali e razziali che, rinate in terra iberica, portarono alla frammentazione dei “regni di taifas” (una serie di città-stato islamiche) e, in conclusione, alla scomparsa della Spagna moresca. Al suo posto si instaurava il potere del sovrani cristiani, pronti ad accordare privilegi ed esenzioni ai sudditi musulmani quando la situazione militare era precaria, ma altrettanto disposti a dar prova di intolleranza quando la ragion di stato lo chiedeva. Non era tempo per società multiculturali; non lo era stato prima e c’è da chiedersi se lo sia oggi.



Il patto di ʿOmar, stipulato nel 637, è un trattato di sottomissione ispirato, sembra, dal secondo califfo ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb (634-644) oppure, meno probabilmente, dal califfo omayyade ʿOmar II (682-720), che l'avrebbe fatto redigere nel 717 per regolare i rapporti sociali ed economici con la "Gente del Libro" (segnatamente, cristiani ed ebrei), abitante nelle terre conquistate dai musulmani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Omar

Le versioni più antiche pervenute datano al XIII secolo ed è dunque tutt'altro che certo attribuire proprio al califfo omayyade la paternità di tale documento. Alcuni studiosi mettono addirittura in forse l'autenticità di tale atto, che sembra più che altro "una compilazione relativa a disposizioni elaborate progressivamente, di cui alcune potrebbero essere datate al tempo del regno del califfo Omar II". Da qui un'incertezza che non ha potuto finora essere definitivamente risolta.[1]. L'origine del cosiddetto Patto - che patto propriamente non sarebbe, quanto piuttosto un'imposizione dei vincitori musulmani sui popoli vinti di altre fedi monoteistiche, i quali non avevano la possibilità di obiettare alcunché - sarebbe stata l'incipiente adozione di una serie di restrizioni, più o meno pesanti e più o meno odiose, sia di carattere militare sia attinenti alla sicurezza interna che, da contingenti, si trasformarono col tempo in divieti legali e sociali veri e propri[2].

I popoli conquistati - ebrei, mazdei o cristiani che fossero - denominati dhimmi, in cambio del pagamento di tasse come la jizya ed eventualmente il kharāj, si videro riconosciuto il diritto di continuare a professare la propria religione ma costretti in contraccambio a subire diverse regole evidentemente discriminatorie (non potevano per esempio fare proselitismo o edificare nuovi luoghi di culto).
Il Patto di ʿOmar enumera le condizioni della sottomissione al potere politico islamico dei popoli vinti. Il documento, a prescindere dalla sua autenticità, divenne fondamentale nell'elaborazione legale dello status dei dhimmi nel periodo classico della giurisprudenza musulmana.

Da questo trattato sono rimasti invece esclusi i politeisti (a quei tempi ancora numericamente consistenti). Il Patto infatti imponeva che chi tra loro non si fosse convertito all'Islam non avrebbe più potuto vivere in quei territori. Oggi cristiani e musulmani palestinesi vedono il documento come avente forza di legge, anche dopo più di 14 secoli.

Dopo aver sconfitto i bizantini nella battaglia del Yarmuk conquistando la Palestina, Gerusalemme rimaneva però inafferrabile per i musulmani guidati da ʿAmr ibn al-ʿĀṣ grazie alle sue mura. Mentre era in corso l'assedio, il Patriarca Sofronio annunciò che non avrebbe firmato un trattato di resa se non col califfo stesso, ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb, invitandolo a Gerusalemme. ʿOmar accettò per metter fine all'ormai inutile spargimento di sangue.

ʿOmar partì da Medina con un solo servitore che fece viaggiare con lui sopra una dromedaria. Dopo un lungo viaggio, essi giunsero alla periferia di Gerusalemme in un giorno piovoso.
Quando il Patriarca Sofronio vide i due uomini arrivare, chiese ai musulmani quale di loro fosse ʿOmar. Essi gli risposero che il Califfo era quello con le redini dell'animale in mano. Al ché Sofronio consegnò le chiavi della città di Gerusalemme, aprendogli le porte, e sottoscrivendo il trattato che avrebbe regolamentato i rapporti fra i conquistatori e i nuovi sudditi della Umma.

Ai dhimmi fu concesso il diritto di praticare privatamente i propri riti religiosi. Fu prevista anche la protezione personale e dei beni, ma la punizione per le infrazioni commesse nei loro confronti era più leggera rispetto a quella prevista nei confronti di un musulmano. In certe epoche i diritti potevano variare o addirittura scomparire.

Per assicurarsi quei diritti, i dhimmi dovettero giurare lealtà ai conquistatori musulmani, pagare una apposita tassa (testatico) per i maschi adulti (la jizya), e in generale mostrare deferenza e umiltà nei contatti sociali.

Dal Sirāj al-mulūk di Abū Bakr Muḥammad ibn al-Walīd al-Ṭarṭūshī (m. 1126), il più antico autore che abbia riportato il contenuto del cosiddetto Patto:
« ʿAbd al-Raḥmān b. Ghanm (morto nel 78 E./697) ha detto:

Quando ʿOmar b. al-Khaṭṭāb, che Dio sia compiaciuto di lui, accordò la pace ai cristiani di Siria, noi gli scrivemmo quanto segue:
Nel nome di Dio Clemente Misericordioso.
Questo è il patto che il servo di Dio, ʿOmar, Comandante dei credenti, diede alla gente di Ælia. Egli diede loro sicurezza per loro stessi, il loro denaro, le loro chiese, le loro croci, i loro malati e i sani, e per tutta la comunità; che le loro chiese non siano occupate né distrutte e che niente manchi nelle loro proprietà in tutto o in parte, né nelle loro croci, né niente del loro denaro, e non vengano obbligati a lasciare la loro religione e che nessuno di essi sia maltrattato e che nessun ebreo viva in Ælia con loro.

La gente di Ælia dovrà pagare il tributo come tutti gli abitanti delle altre città e dovrà espellere i Romei e i banditi. Chi di essi decide di partire sarà sicuro e avrà la sicurezza per se stesso e per il suo denaro finché raggiunga la sua destinazione. Chi di essi rimane avrà la sicurezza e avrà gli obblighi del tributo come tutti i cittadini di Ælia.
Chi, tra la gente di Ælia, volesse prendere il suo denaro e andarsene con i Romei avrà la sicurezza fino a quando li raggiunga.
Chiunque sta in Ælia dei popoli della terra chi vuole può restare e avrà l’obbligo di pagare il tributo come tutta la gente di Ælia, e chi lo desidera potrà andare con i Romei, e chi lo desidera potrà tornare dai suoi parenti, e non si prenderà nulla del suo raccolto.
Quanto è incluso in questa lettera ha il patto di Dio e la fiducia del suo Profeta e la fiducia dei Califfi e la fiducia dei fedeli musulmani, se essi (i cristiani) pagano il tributo, come si deve”.
I testimoni su questo sono stati Khālid b. al-Walīd, ʿAmr b. al-ʿĀṣ, ʿAbd al-Raḥmān b. ʿAwf e Muʿāwiya b. Abī Sufyān. Scritto e sigillato il 15 (dall'Egira)

Noi cristiani:
Non costruiremo, nelle nostre città e nelle loro vicinanze, nuovi monasteri,
chiese,
conventi,
celle per monaci,
neppure ripareremo, di giorno o di notte, quegli edifici che stanno andando in rovina
o che sono situati nei quartieri dei musulmani ...
Noi non daremo rifugio, nelle nostre chiese o nelle nostre abitazioni, ad alcuna spia
né la nasconderemo ai musulmani
Non manifesteremo pubblicamente la nostra religione
né convertiremo alcuno
Non impediremo ad alcuno dei nostri parenti di entrare nell'Islam, se lo desidera.
Noi mostreremo rispetto nei confronti dei musulmani, e
ci alzeremo dal nostro posto se desiderano sedersi.
Non cercheremo di assomigliare ai musulmani negli abiti, nei cappelli, turbanti, calzari e acconciatura di capelli
Non parleremo come loro
e non impiegheremo i loro titoli onorifici.
Non saliremo su alcuna sella,
e non ci cingeremo di spade, non indosseremo alcuna arma, neppure le trasporteremo sulle nostre persone.
Non scolpiremo sigilli in lingua araba
Non venderemo bevande fermentate (alcoliche)
Non faremo vedere le nostre croci o i nostri libri nelle strade o nei mercati dei musulmani
Noi potremo suonare il batacchio delle campane solo molto delicatamente
Noi non alzeremo la voce durante servizi religiosi nelle chiese oppure in presenza di musulmani
e neppure alzeremo la voce quando seguiremo il nostro morto.
Non useremo luci in alcuna strada dei musulmani o nei loro mercati
Non seppelliremo il nostro morto vicino ai musulmani
Non prenderemo schiavi che siano stati assegnati ai musulmani
Non costruiremo case più alte di quelle dei musulmani. »

(da Jacob Marcus, The Jews in the Medieval World. A Sourcebook, 315-1791, New York, JPS, 1938, pp. 13-15)

Diverse imposizioni previste nel Patto di ʿOmar sono tuttora in vigore in diverse parti del mondo islamico, dove è vietato alle minoranze religiose fare proselitismo ed è piuttosto arduo, se non impossibile (come in Arabia Saudita) ottenere il permesso per la costruzione di nuovi luoghi di culto.
Inoltre vari palestinesi cristiani e musulmani fino ad oggi continuano a vedere il documento come avente forza di legge, anche dopo oltre 14 secoli.

Nell'agosto 2015 i miliziani dello Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi hanno conquistato una cittadina siriana popolata da cristiani, al-Kareten. Gli abitanti non sono fuggiti ma hanno chiesto di restare, accettando le condizioni loro imposte dagli occupanti. Lo Stato islamico ha emanato un documento che contiene un elenco di condizioni da rispettare. Reso pubblico, il documento si ispira in molte sue parti al Patto di Omar[3].
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 10:17 am

ONU, NEUER AI PAESI ARABI: "DOVE SONO I VOSTRI EBREI?"

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3120722713

Magistrale intervento del Presidente dell' UN Watch, Hillel Neuer, che in risposta alle accuse di Apartheid e di discriminazione rivolte a Israele, non solo ha ricordato che nello Stato ebraico vivono 1,5 milioni di Arabi, ma ha anche chiesto a tutti gli Stati arabi/islamici dove sono finiti i "loro" Ebrei.

"Il milione e mezzo di Arabi in Israele, qualunque sfida debbano affrontare, gode di pieni diritti, di votare e di essere eletto alla Knesset; lavorano come medici e avvocati, fanno parte della Corte Suprema.

Ora, vorrei chiedere ai membri di questa commissione, la commissione che ha stilato il report, quegli Stati arabi che abbiamo appena ascoltato: Egitto, Iraq e tutti gli altri, quanti Ebrei vivono nei vostri Paesi?

Quanti Ebrei vivono in Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Marocco? Una volta il Medio Oriente era pieno di Ebrei.

L'Algeria aveva 140.000 Ebrei. Algeria, dove sono i tuoi Ebrei?

L'Egitto contava 75.000 Ebrei. Dove sono i vostri Ebrei?

Siria, avevi decine di migliaia di Ebrei. Dove sono i tuoi Ebrei?

Iraq, avevi più di 135.000 Ebrei. Dove sono i tuoi Ebrei?

Presidente, dove sta il vero Apartheid? Perché c'è una commissione delle Nazioni Unite sul Medio Oriente che non include Israele? È dagli anni '60 e '70 che si rifiutano di includere Israele. Dov'è l'Apartheid, Signor Presidente?"



Israele un paradiso di libertà anche per arabi, musulmani, cristiani e gay
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 11:59 am

Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà
viewtopic.php?f=141&t=1381

Umma
viewtopic.php?f=188&t=2529


Origine del jihād: dogma e strategia
Scritto il 20 settembre 2014

http://islamicamentando.altervista.org/ ... -strategia

L’islam, religione rivelata in lingua araba da un profeta arabo, nacque in Arabia nel VII secolo e si sviluppò in seno a una popolazione le cui tradizioni e usanze erano influenzate da un particolare ambiente geografico. Per questo, pur mutuando dalle religioni bibliche il nucleo essenziale del loro insegnamento etico, esso incorporò elementi culturali locali, propri dei costumi delle tribù nomadi o parzialmente sedentarie che popolavano il Hijaz. Queste tribù, che costituivano il nucleo militante della comunità islamica, attraverso la guerra le assicurarono il costante sviluppo delle sue risorse e dei suoi adepti. Fu così che nel giro di un secolo gli arabi islamizzati, originari delle regioni più aride del pianeta, ne conquistarono gli imperi più potenti, e al tempo stesso assoggettarono i popoli che avevano dato vita alle civiltà più prestigiose.

Il jihād (la guerra santa contro i non musulmani) nasceva dall’incontro tra le consuetudini del grande nomadismo guerriero e le condizioni di vita di Maometto a Yathrib (più tardi Medina), dov’era emigrato nel 622 sfuggendo agli idolatri di La Mecca. Priva di mezzi di sostentamento, la piccola comunità musulmana in esilio viveva a carico dei neoconvertiti di Medina, gli ansar ovvero gli ausiliari. Ma poiché tale situazione non poteva protrarsi, il Profeta organizzò alcune spedizioni volte a intercettare le carovane che commerciavano con La Mecca. Interprete della volontà di Allāh, Maometto riuniva in sé i poteri politici del capo militare, la leadership religiosa e le funzioni di un giudice: «Chiunque obbedisce al Messaggero, obbedisce a Dio» (Corano IV,80).

Fu così che una serie di rivelazioni divine, elaborate ad hoc per tali spedizioni, vennero a legittimare i diritti dei musulmani sui beni e la vita dei loro nemici pagani, e furono creati versetti coranici finalizzati a santificare di volta in volta il condizionamento psicologico dei combattenti, la logistica e le modalità delle battaglie, la spartizione del bottino e la sorte dei vinti. A poco a poco fu definita la natura delle relazioni da adottare nei confronti dei non musulmani nel corso delle imboscate, delle battaglie, degli stratagemmi e delle tregue, ossia dell’intera gamma di strategie in cui si articolava la guerra santa necessaria ad assicurare l’espansione dell’islam.

La politica adottata da Maometto nei confronti degli ebrei di Medina, nonché degli ebrei e dei cristiani delle oasi del Hijāz, determinò quella dei suoi successori nei confronti degli abitanti indigeni ebrei e cristiani dei paesi conquistati. Gli ebrei di Medina furono o depredati e cacciati dalla città (sorte toccata ai Banū Quynuqā e ai Banū Nadīr, 624-625), o massacrati, a eccezione dei convertiti all’islam, delle donne e dei bambini, che furono ridotti in schiavitù (come accadde ai Banū Qurayza, 627). E poiché tutte queste decisioni furono giustificate mediante rivelazioni di Allah contenute nel Corano, esse assunsero valore normativo e divennero una componente obbligata della strategia del jihād. I beni degli ebrei di Medina andarono a costituire un bottino che fu spartito tra i combattenti musulmani, in base al criterio per cui un quinto di ogni preda era riservato al Profeta. Tuttavia, nel caso dei Banū Nadīr Maometto conservò la totalità del bottino poiché questo, essendo stato confiscato senza colpo ferire, secondo alcuni versetti coranici (LIX,6-8) spettava integralmente al Profeta, incaricato di gestirlo a beneficio della comunità islamica, la umma. Fu questa l’origine del fay’, ossia del principio ideologico, gravido di conseguenze per il futuro, in base al quale il patrimonio collettivo della umma era costituito dai beni sottratti ai non musulmani.

Fu nel trattato concluso tra Maometto e gli ebrei che coltivavano l’oasi di Khaybar che i giureconsulti musulmani delle epoche successive individuarono l’origine dello statuto dei popoli tributari, tra gli ebrei e i cristiani – designati collettivamente come Gente del Libro (la Bibbia) – e gli zoroastriani persiani.

Secondo questo trattato, Maometto aveva confermato agli ebrei di Khaybar il possesso delle loro terre, la cui proprietà passava invece ai musulmani a titolo di bottino (fay‘). Gli ebrei conservavano la loro religione e i loro beni in cambio della consegna di metà dei loro raccolti ai musulmani. Tuttavia tale statuto non era definitivo, in quanto Maometto si riservava il diritto di abrogarlo quando lo avesse ritenuto opportuno1.

La umma continuò a ingrandirsi e ad arricchirsi grazie alle spedizioni contro le carovane e le oasi – abitate da ebrei, cristiani o pagani – dell’ Arabia e delle regioni di confine siro-palestinesi (629-632). Tali agglomerati, situati a nord di Ayla (Eilat), nel Wādī Rum e nei pressi di Mu’tah, erano circondati da tribù arabe nomadi. Quando esse si schierarono con Maometto gli stanziali, terrorizzati dalle razzie, preferirono trattare con il profeta e concordare il pagamento di un tributo. Attingendo a fonti contemporanee, Michele il Siro rievoca quegli eventi:

[Maometto] cominciò a radunare delle truppe e a salire a tendere delle imboscate nelle regioni della Palestina, al fine di persuadere [gli arabi] a credere in lui e a unirsi a lui portando loro del bottino. E poiché egli, partendo [da Medina], si era recato più volte [in Palestina] senza subire danni, anzi, l’aveva saccheggiata ed era tornato carico <di bottino>, la cosa [la predicazione di Maometto] fu avvalorata ai loro occhi dalla loro avidità di ricchezze, che li portò a istituire la consuetudine fissa di salire lì a fare bottino… Ben presto le sue truppe si misero a invadere e a depredare numerosi paesi [… ]. Abbiamo mostrato in precedenza come, sin dall’inizio del loro impero e per tutta la durata della vita di Maometto, gli arabi partissero per fare prigionieri, saccheggiare, rubare, tendere insidie, invadere e distruggere i paesi.2

Alla morte del Profeta (632), quasi tutte le tribù del Hijāz avevano aderito all’islam, in Arabia l’idolatria era stata vinta e le Genti del Libro (ebrei e cristiani) pagavano un tributo ai musulmani. Il successore del profeta, Abū Bakr, represse la rivolta dei beduini (ridda) e impose loro l’adesione all’islam e il pagamento dell’imposta legale (zakāt). Dopo aver unificato la Penisola, egli portò la guerra (jihād) al di fuori dell’Arabia. Il jihād consisteva nell’imporre ai non musulmani una di queste due alternative: la conversione o il tributo; il rifiuto di entrambe obbligava i musulmani a combatterli fino alla vittoria (9:29). Gli arabi pagani potevano scegliere tra la morte e la conversione; quanto agli ebrei, ai cristiani e agli zoroastriani, in cambio del tributo e in base alle modalità della conquista, essi potevano «riscattare» le loro vite e al tempo stesso mantenere la libertà di culto e il sicuro possesso dei loro beni. Nel 640 il secondo califfo, Ornar ibn al-Khattāb, cacciò dal Hijāz i tributari ebrei e cristiani appellandosi alla dhimma (contratto) di Khaybar: la Terra appartiene ad Allah e al suo Inviato, e il contratto può essere rescisso a discrezione dell’imam, leader religioso e politico della umma e interprete della volontà di Allah. Ornar invocò altresì l’auspicio espresso dal profeta: «Nella Penisola Arabica non devono coesistere due religioni»3. La dottrina del jihād mutua le pratiche razziatorie tipiche dei nomadi, ma mitigandole con una serie di ingiunzioni contenute nel Corano. Furono i giureconsulti musulmani a ratificare in base alla dogmatica coranica le strategie e le tattiche delle operazioni militari legate alle guerre di conquista, il trattamento da riservare ai popoli vinti, il regime fiscale e lo status da assegnare ai territori conquistati (decima, kharaj, fay‘).

Questi giureconsulti si impegnarono a discriminare, nel colossale bottino costituito dai paesi e dai popoli sottomessi, tra i beni dello Stato (fay‘) e quelli delle tribù che avevano partecipato al jihād. Essi adottarono una classificazione fiscale delle terre conquistate funzionale alle modalità della conquista e ai trattati di resa, autentici o fittizi che fossero, nei concetti di jizya (testatico sui non musulmani), kharaj (imposta in natura o in denaro sulle loro terre) e fay‘ (beni dello Stato), che furono tutti inseriti in una concezione teologica della guerra di conquista: il jihād.

Fu dunque il diritto di conquista a determinare la categoria fiscale da applicare a un territorio (decima o kharaj) e a regolare lo status dei suoi abitanti. Questa classificazione fu attribuita dai giureconsulti medievali al secondo califfo, Omar ibn al-Khattāb.

Secondo tali giuristi, Omar avrebbe negoziato le condizioni della resa in funzione del tributo versato dai non musulmani, e si sarebbe opposto alla riduzione in schiavitù e alla spartizione immediata delle popolazioni stanziali produttrici di ricchezza, due misure che rischiavano di distruggere la fonte stessa della potenza araba, poiché i beduini non erano né abbastanza numerosi per popolare i nuovi territori, né abbastanza abili per lavorarli. Infatti i loro clan, composti da mercanti carovanieri e da una maggioranza di pastori nomadi, ignoravano le complesse tecniche economico-amministrative proprie di civiltà culturalmente evolute quali quella persiana e bizantina. Per imporre le sue decisioni, il califfo avrebbe invocato quelle prese da Maometto al tempo delle guerre contro gli ebrei di Medina, quando egli aveva confiscato i beni dei Banū Nadīr, classificandoli come fay‘, per amministrarli a beneficio della umma; quanto agli ebrei di Khaybar, il Profeta li aveva dispensati dalla schiavitù in cambio del tributo imposto sui loro raccolti.

Ornar avrebbe fatto riferimento a tali precedenti per decretare che i popoli scritturali vinti, poiché avevano negoziato la loro resa, erano protetti dalla schiavitù e dai massacri dallo stesso Stato islamico, che garantiva la sicurezza delle loro vite, dei loro beni, della loro fede, e si asteneva dall’intromettersi nei loro affari.

Questi popoli costituivano il fay‘ della umma, cioè il bottino che, in quanto appartenente alla collettività, sarebbe stato sottratto alla spartizione individuale e amministrato dal califfo.

Si formò così la peculiare categoria sociopolitica e religiosa dei «protetti» o dhimmī. Da allora Omar avrebbe introdotto nel diritto bellico concernente le popolazioni vinte una distinzione giuridica tra il bottino umano, spartito individualmente secondo le modalità della conquista, e i dhimmī, bottino collettivo soggetto al tributo. Per quanto riguarda la terra, egli si sarebbe rifatto al precedente stabilito da Maometto a proposito dei beni dei Banū Nadīr per distinguere tra le prede da spartirsi tra i singoli conquistatori e quelle che costituivano la proprietà fondiaria collettiva dello Stato musulmano.

Le conversioni all’islam e le confische dei terreni da parte dei nomadi trasferirono a poco a poco le terre del kharaj nella categoria fiscalmente privilegiata di «terre della decima». Per giunta, poiché i contadini dhimmī abbandonavano i campi e i beduini, che non erano in grado di coltivarli, li lasciavano incolti, il territorio imponibile e gli introiti dello Stato diminuivano considerevolmente. Per arginare questo duplice processo di impoverimento, i califfi omayyadi e i primi abbasidi presero una serie di misure finalizzate a vincolare il kharaj alla terra. I contadini dhimmī, in quanto fonte di reddito imponibile, furono protetti dalle usurpazioni e dalle rapine.

Alcuni testi di diritto islamico specificano la natura, la base di calcolo e le modalità di riscossione del kharaj. Nell’ epoca detta dell’islam classico, considerata la più prestigiosa della civiltà arabo-musulmana sia per il suo splendore culturale sia per l’opulenza di una corte che disponeva di ricchezze favolose, il celebre qādī di Baghdad Abū Yūsuf Ya’qūb (731-798) scrisse al riguardo un’opera fondamentale, destinata al califfo Harlin al-Rashid (786-809). L’autore raccomanda agli esattori delle tasse di trattare i tributari con gentilezza e moderazione, citando hadīth a sostegno di tale tesi. Questo saggio di diritto teorico, nonostante contenga un capitolo dedicato alle disposizioni restrittive da adottare nei confronti degli ebrei e dei cristiani, conferma l’immagine tradizionale di un governo innamorato della tolleranza e dell’equità, di un’ autentica età dell’oro per i popoli ebraici e cristiani retti dalla giustizia musulmana.

Ma una pregevole cronaca redatta da un religioso monofisita, lo pseudopatriarca Dionigi, originario di Tell Mahre, un villaggio della Mesopotamia, fotografa con esattezza la situazione fiscale dei non musulmani. Dettagliata come un’istantanea scattata su questo periodo storico di transizione, la cronaca termina nel 774 e abbraccia la Mesopotamia, l’Egitto, la Siria e la Palestina dell’VIII secolo. All’epoca i dhimmī – piccoli proprietari, artigiani o mezzadri che coltivavano i feudi assegnati agli arabi – costituivano la maggior parte della popolazione rurale, formata per lo più da cristiani (copti, siriaci, nestoriani), a cui si univano numerosi contadini ebrei. Dalla cronaca emergono i meccanismi che, in tutto l’Oriente islamizzato, condussero alla distruzione di una struttura sociale basata su una fiorente classe agricola dhimmī. Ai continui processi di confisca delle terre da parte delle tribù beduine infiltratesi con i loro greggi, o degli arabi sedentarizzati delle prime ondate della penetrazione islamica, si sommavano i devastanti effetti della pressione fiscale praticata dal governo.

Il califfo al-Mansūr (754-775) ordinò il censimento dei contribuenti soggetti al kharifj, e insediò un governatore in Mesopotamia:

Per bollare e marchiare gli uomini nella parte superiore del collo, come fossero schiavi [… ]. In questo caso, però, gli uomini non recavano tale segno [il marchio della Bestia] solo sulla fronte, ma anche su entrambe le mani, sul petto e perfino sulla schiena […]. Quando egli [il governatore] si presentò nelle città, tutti gli uomini furono assaliti dal terrore e si diedero alla fuga dinanzi a lui [… ]. Egli [al-Mansūr] istituì anche un altro governatore, con il compito di ricondurre al suo paese e alla casa di suo padre ciascuno di <coloro che si erano dati alla fuga> [… ]. Da allora non vi fu più scampo in nessun luogo, ma dappertutto regnarono il saccheggio, la malvagità, l’iniquità, l’empietà e ogni sorta di cattive azioni: calunnie, ingiustizie e vendette reciproche.4Spremuti e torturati dagli esattori, gli abitanti dei villaggi si nascondevano o emigravano nelle città, dove speravano di confondersi nell’ anonimato della moltitudine di prigionieri deportati dalle regioni conquistate e nella massa degli schiavi arraffati durante le razzie. Tuttavia, perfino in città raramente i dhimmī sfuggivano agli esattori: «Gli uomini furono dispersi, e presero a errare da un luogo all’altro; i raccolti furono devastati, le campagne saccheggiate; la gente si mise a vagare di paese in paese».5

Il denaro veniva estorto con le percosse, le torture e la morte, specie per crocifissione6. Talvolta l’intera popolazione di un villaggio restava rinchiusa in una chiesa per parecchi giorni, senza cibo e costretta, finché non pagava un riscatto. Al tempo stesso, gli arabi che si erano appropriati con la frode delle terre dei dhimmī furono espulsi dagli agenti del fisco. Il califfo insediò un persiano [un funzionario di Baghdad a Marda], con l’incarico di ricondurvi i fuggitivi e di riscuotere il tributo. In questa città, infatti, le fughe erano state più massicce che in qualsiasi altra, e l’intera regione era occupata dagli arabi poiché i siriaci [le popolazioni indigene non musulmane] erano fuggiti di fronte alla loro avanzata.7 Quest’uomo, «di cui è impossibile trovare l’uguale, prima e dopo di lui, per l’animosità che manifestava contro gli arabi», ricondusse da tutte le città nelle quali erano dispersi gli originari abitanti di Marda, da cui, due o tre generazioni prima, erano stati scacciati dagli arabi:

In tal modo egli radunò in quella regione una moltitudine tanto grande che non vi era luogo, né villaggio, né casa che non fosse pieno e non traboccasse di abitanti. Quindi costrinse gli arabi a trasferirsi da una regione all’altra e s’impadronì di tutto ciò che possedevano; poi riempì le loro terre e le loro case di siriaci, e fece seminare il loro grano da questi ultimi.8

Il carattere paradossale di questa strategia si spiega alla luce di motivazioni di carattere fiscale. I popoli vinti non musulmani costituivano il fay‘, il bottino di guerra del califfo, e in quanto tali erano tenuti a pagargli un tributo, mentre gli arabi, avendo contribuito alla vittoria, reclamavano da lui una parte del bottino o delle sovvenzioni. Pertanto, le misure implicanti la restituzione dei beni alle popolazioni locali e la loro permanenza forzata nei villaggi andavano ad accrescere il patrimonio fondiario del califfo e le sue entrate. Il rastrellamento organizzato in tutto l’Impero abbaside per scovare i contadini dhimmī richiedeva l’impiego di un enorme numero di persone, alle quali spesso si univano i briganti, avidi di rapine e di saccheggi. Le spese per l’alloggio e il mantenimento dei decimatori e degli esattori, unite ai doni che essi esigevano dai loro ospiti, finirono per mandare in rovina i villaggi. Un cronista ci ragguaglia così sulla situazione in Palestina:

Il califfo si recò nella regione occidentale, diretto a Gerusalemme. E la sconquassò, la sconvolse, la atterrì e la devastò ancor più violentemente di quanto avesse fatto con la Mesopotamia. Agì in conformità alle profezie di Daniele sull’Anticristo stesso. Trasformò il tempio in moschea, infatti quel poco che restava del Tempio di Salomone divenne una moschea a uso degli arabi [… l. Egli restaurò le rovine di Gerusalemme. Assaliva gli uomini impadronendosi dei loro beni e del loro bestiame, soprattutto dei bufali. Non lasciò nulla a nessuno di sua volontà. E, dopo aver arrecato ogni sorta di devastazioni, come aveva fatto in Mesopotamia, all’inizio dell’inverno ritornò in Mesopotamia per soggiornarvi e continuare la sua opera di distruzione.9

_______________
1. Ibn Ishāq Muhammad ibn Yasār (morto nel 767), Sīra rasūl Allāh (Vita dell’Inviato di Dio).
2. Michele il Siro, Chronique de Meichelin le Syrien, patriarche jacobite d’Antioche (1166-1199).
3. Ibn Ishāq, Sīra rasūl Allāh cit.., p. 525; al-Bukhārī, Les traditions islamiques cit., vol. 2, titolo 41, cap. 17 e titolo 54, cap. 14; vol. 4, titolo 89, cap. 2; Muslim ibn al-Hajjāj, (morto nell’875), Traditions (al-Sahīh), trad. di Abdül Hamīd Siddīqī, 4 voll., Muhammad Ashraf Press, Lahore 1976, voI. 3, cap.723 (4366); Antoine Fattal, Le statut légal des non-musulmans en pays d’islam, Imprimerie Catholique, Beirut 1958 1 (Dar el Machreq, Beirut 1995 2), p. 85.
4. Jean-Baptiste. Chbot (a cura di), Chronique de, Denys de Tell Metré, quatrième parttie, Bibliothèque de l’École des Hautes Etudes, Bouillon, Paris 1895, pp. 104-105.
5. ivi, p. 112; per le città come luoghi di rifugio vedi Ashtor, A Social and Economie History of the Near East cit., p. 17.
6. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 193-195; Lokkegaard, Islamic Taxatlon In the Classical Period cit., p. 92.
7. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 105-116. Nelle cronache siriache i termini «egiziani, siriaci» designano sempre le popolazioni indigene cristiane monofisite. Invece gli arabi sono chiamati «tayyaye», dal nome di una tribù nomade del Nord dell’ Arabia, i Banū Tayy o Banū Tayyiya.
8. Ivi.
9. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 108-109.



Perché contro il jihad sono vietate le maniere forti
di Rino Cammilleri06-04-2016
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-per ... Q.facebook

La causa di beatificazione di Isabella di Castiglia langue perché, ogni volta, si ha timore delle lagne di persone che non sono cattoliche: ebrei, musulmani, atei. La Chiesa da tre secoli viene crocifissa per le Crociate. Ora in tanti mugugnano perché il Papa non condanna l’islamismo. Infine, la storia è l’unica maestra che non insegna niente.

Premesso tutto ciò, ricordiamo, a chi vuol sentire, che los Reyes Católicos, avendo appena unificato la Spagna (dopo otto secoli di lotte) e trovandosi in casa due minoranze spropositate che rendevano fragilissima la sudata unità, giocarono la carta dell’identità religiosa. Teniamo presente che la stessa cosa sta facendo la Russia ex sovietica e fa da sempre la “religione civile” americana. Alla fine del Quattrocento era del tutto naturale dire al popolo: la Spagna è cristiana, punto; chi non si adegua può andarsene.

Prima di scandalizzarsi si tenga presente che, per esempio, l’Arabia Saudita fa lo stesso ancora oggi. Qualcuno si adeguò, perché non gli importava molto di alcuna religione; qualcun altro fece finta. A questi ultimi pensò l’Inquisizione, con esame capillare a chi c’era, ma ci faceva. Anche qui: prima di scandalizzarci, ricordiamo che, in altri modi, è ciò che fanno oggi i servizi (di cui, anzi, ci lamentiamo perché non fanno abbastanza). Ma lo Stato del XV secolo non aveva i mezzi odierni, perciò, rivelatosi vano il sistema della distinzione, tentò con l’espulsione di massa. Come previsto, solo sei anni dopo l’unità (1499) i musulmani insorsero in armi, creandosi una pericolosa enclave nelle Alpujarras.

La cosa si trascinò per decenni, costituendo una pericolosissima testa di ponte per i regni pirata (islamici) del Nordafrica. Che erano tributari del ben più minaccioso impero ottomano. Certo, gli esempi storici lasciano il tempo che trovano perché le cose non si ripetono mai uguali sputate. Tuttavia, oggi c’è una minaccia islamica nordafricana, c’è un Califfato aggressivo e c’è pure qualcuno che trama per ricostituire l’impero ottomano. Per inciso, una seconda grande rivolta musulmana dilagò in Spagna nel 1568, e ci vollero due anni per domarla.

Poiché, dunque, i musulmani si rivelavano inassimilabili (vi ricorda niente?), Filippo II ricorse alle deportazioni interne, diluendone la presenza in tutto il territorio. L’anno seguente fu quello di Lepanto. Risolto il problema? Macché. La cronaca attuale dimostra che basta un pugno di predicatori per ricominciare da capo. Infatti, l’islamismo rivendica (oggi, 2016) l’Al Andalus (oltre a tutto il resto).

Il Daesh e i kamikaze chiamano “crociati” tutti, anche quelli che ballano il rock al Bataclan e perfino gli israeliani. Molti occidentali mugugnano e cominciano a pensare –anche se la filosofia dominante lo vieta severissimamente- che sarebbe l’ora di usare le maniere forti, sia in casa che con un intervento armato all’estero. “Umanitario”, ovvio, mica Crociata. Ma è tipico dell’ipocrisia politicamente corretta cambiare i nomi alle cose. La recente strage di bambini cristiani in Pakistan ci mostra che nella testa del jihadista le cose sono ferme al VII secolo (nelle Alpujarras non avevano gli esplosivi, ma il giro mentale era lo stesso).

Il governo pakistano è impotente, perché né ministri né magistrati né generali sono al sicuro contro il fanatismo diffuso. I cristiani là sono quattro gatti, l’unica soluzione sarebbe importarli qui in Occidente, così da far contenti anche i musulmani pakistani. Difficile? Quando cadde Menghistu gli israeliani con un ponte aereo importarono tutti i falashà etiopi di religione ebraica. Ma da noi comandano i catto-comunisti e, altrove, i relativisti del pensiero politicamente corretto amerikano: quando il cardinal Biffi suggerì di importare immigrati cristiani, facilmente integrabili, fu subissato.

Bene, allora; tanto, a rimetterci è la povera gente in metropolitana o al parco-giochi, mica le teste fini che, con libere votazioni, abbiamo messo a comandarci. Nei talkshow si continua a dibattere sulla psicologia del jihadista: disagio, rabbia, sradicamento etc., poverini. Ma nessuno si chiede perché le altre minoranze immigrate (cinesi, sikh, filippini etc.) non fanno problema. Chiederselo, infatti, è vietato.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » gio apr 06, 2017 10:53 am

Canada: Avviare l'islamizzazione!
di Judith Bergman
5 aprile 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Canada: Bring on the Islamization!
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/10167 ... mizzazione

Nelle moschee canadesi, gli imam esortano da anni a uccidere gli "infedeli", soprattutto gli ebrei. Questo fermento sembra non aver avuto alcun impatto visibile sui parlamentari canadesi, a quanto pare troppo occupati con petizioni e mozioni che vietano la presunta "islamofobia".

Nel 2009, ad esempio, un imam della zona di Toronto, Said Rageah, all'Abu Huraira Centre, ha chiesto ad Allah di "distruggere" i nemici dell'Islam dall'interno e "maledire" gli "infedeli" ebrei e cristiani.

"Allah ci protegga dalla fitna [sedizione, tormento] di questa gente. Allah ci protegga dai piani malvagi di questa gente. Allah, distruggili dall'interno e non permettergli di alzare la testa", così pregava l'imam.

Nel 2012, Sheikh Abdulqani Mursal, imam della moschea Masjid Al Hikma di Toronto, ha precisato che gli ebrei sono destinati a essere uccisi dai musulmani. Citando le parole di un hadith, egli ha detto:

"Combatterete contro gli ebrei e li ucciderete (...) i musulmani li uccideranno fino a quando gli ebrei si nasconderanno (...) e una pietra o un albero dirà: 'C'è dietro di me un ebreo, venite qui e uccidetelo...'".

Nel 2014, l'imam Sayed AlGhitawi, nel Centro islamico Al Andalous, a Montreal, ha pregato per il successo del jihad e la totale distruzione degli ebrei:

"O Allah, dai la vittoria ai nostri fratelli che sono impegnati nel jihad (...) distruggi gli ebrei maledetti (...) rendi orfani i loro figli e vedove le loro mogli (...) uccidili uno ad uno (...) non lasciare [vivo] nessuno di loro".

Nel 2016, durante la festività musulmana del Ramadan, l'imam Ayman Elkasrawy, della moschea Masjid Toronto ha asserito quanto segue:

"...O Allah! Conta il loro numero. Uccidili uno ad uno e non risparmiare nessuno di loro. (...) Dacci la vittoria sul popolo dei miscredenti. (...) Concedi la vittoria all'Islam. (...) Umilia i (...) politeisti. (...) Distruggi chiunque sradichi i figli dei musulmani. (...) Conta il loro numero. Uccidili uno ad uno e non risparmiare nessuno di loro. (...) Purifica la Moschea di al-Aqsa dal sudiciume degli ebrei!"

Un altro imam, a Toronto, Shaykh Abdool Hamid, ha recitato preghiere simili in almeno otto occasioni tra il 2015 e il 2016.

Nel febbraio scorso, dopo essere stato denunciato come estremista da CIJ News, l'imam Ayman Elkasrawy si è scusato per le sue parole, che, pur essendo state postate su You Tube, non intendevano raggiungere i canadesi non arabofoni:

"Né io né la moschea Masjid Toronto e nemmeno la congregazione nutriamo alcuna forma di odio nei confronti degli ebrei. E pertanto desidero scusarmi senza riserve per aver detto qualcosa di sbagliato durante la preghiera del Ramadan scorso...".

Il capo della moschea, il dottor El-Tantawy Attia, ha assicurato in un'intervista al Toronto Sun che nella sua moschea non si predica l'Islam radicale:

"È stato un errore. Non era autorizzato. Non sarebbe dovuto accadere e abbiamo chiesto scusa, e io ho parlato con i miei amici ebrei. (...) Ero così arrabbiato. Sono rimasto sorpreso. In 45 anni qui, non ho mai sentito niente del genere".

Attia ha inoltre garantito al Toronto Sun che lui e la moschea "sarebbero andati in fondo a questa storia conducendo un'indagine". Ha anche asserito che in attesa dell'inchiesta, l'imam era stato "sospeso". Tuttavia, il capo della moschea ha poi affermato di nutrire dubbi sul fatto che Ayman Elkasrawy avesse "detto sul serio". E ha aggiunto: "Noi siamo per la pace".

Certo che lo sono.

Quello che però ha sorpreso ancora di più è stata la disponibilità dell'opinione pubblica a credere alle scuse ipocrite e incredule formulate dall'imam. Anziché attendere un'indagine della polizia, il Toronto Sun ha riportato che "persone di ogni estrazione sociale e fede hanno formato 'un anello intorno' alla moschea per proteggerla dalla 'islamofobia'".

Ayman Elkasrawy, imam della moschea Masjid Toronto (nella foto, in prima fila, vestito di bianco), ha detto in un video: "...Uccidili uno ad uno e non risparmiare nessuno di loro. (...) Dacci la vittoria sul popolo dei miscredenti. (...) Concedi la vittoria all'Islam. (...) Purifica la Moschea di al-Aqsa dal sudiciume degli ebrei!" (Fonte dell'immagine: Video screenshot di Masjid Toronto attraverso The Rebel)

Anche la sindaca di Brampton, nell'Ontario, Linda Jeffrey, è sembrata essere noncurante degli appelli lanciati a Toronto per colpire gli ebrei, trovando invece il tempo di criticare i genitori che protestavano contro le preghiere islamiche del venerdì – che si svolgono nei cortili delle scuole pubbliche, con tanto di sermoni, di solito in arabo – definendole "fucine di disinformazione e discorsi di incitamento all'odio".

Mentre l'establishment politico è troppo occupato a diffamare coloro che nutrono legittime riserve sulla potenziale islamizzazione del sistema scolastico pubblico, l'Università di Toronto, a Mississauga, ha assunto una convertita all'Islam, la dottoressa Katherine Bullock, come docente presso il dipartimento di Scienze Politiche. Nel novembre 2014, la Bullock ha partecipato a una tavola rotonda organizzata dalla Muslim Law Students Association alla York University sull'anti-radicalizzazione in Canada.

Nel suo intervento, la Bullock ha dichiarato che l'Occidente ha sbagliato tutto per quanto riguarda la definizione dei radicali musulmani:

"Pertanto, se sei un nazionalista iracheno contrario all'occupazione del tuo paese da parte degli Stati Uniti e combatti contro di loro, e se credi nel Califfato e nella Sharia, sei [considerato] un radicale, sei stato radicalizzato. Ma da un punto di vista islamico non c'è assolutamente nulla di radicale nel volere il Califfato o la Sharia. Si tratta di punti di vista completamente normali e tradizionali".

Almeno la Bullock è sincera.

Anche l'establishment politico non sembra preoccupato che gli imam dicano che il precetto islamico che considera lecito possedere schiave è ancora in vigore. Il dottor Ewis El Nagar, a capo dell'Islamic Edicts Committee del Consiglio degli imam del Quebec e imam leader di dawah (proselitismo, "chiamata – appello – all'Islam") al Canadian Islamic Centre di Montreal sostiene che il precetto islamico secondo il quale è lecito sposare ragazze schiave[1] non è stato abrogato ed è applicabile quando il "jihad legittimo" viene lanciato contro i miscredenti.

Inoltre, l'establishment politico canadese non sembra preoccuparsi che imam di spicco si dicano favorevoli al fatto che i mariti picchino le mogli. Il cappellano musulmano dell'esercito canadese, il dottor Mohammad Iqbal Masood Al-Nadvi – che è a capo del Consiglio canadese degli imam e anche presidente dell'ICNA (Circolo islamico del Nord America) Canada, un'organizzazione su scala nazionale con stretti legami con il gruppo terroristico Hamas e i Fratelli Musulmani – nel febbraio 2015 spiegava così i versetti coranici che ammettono la liceità della violenza domestica:[2] "Questo è il punto in cui ad esempio il Corano dice (...) e l'hadith dice: 'se fate questa cosa, potete picchiarla o lasciarla sola [evitare di dormire con la propria moglie] (...) Basta tenere segreta la questione". In altre parole, è giusto picchiare la propria moglie, ma a porte chiuse.

Allo stesso tempo, le statistiche mostrano che quando si tratta di crimini d'odio gli ebrei sono di gran lunga il gruppo maggiormente preso di mira. Secondo il Toronto Police Service Annual Hate/Bias Crime Statistical Report del 2015:

"I tre gruppi più colpiti dal 2006 sono la comunità ebraica, la comunità nera e quella LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali). Nel 2015, i gruppi più perseguitati sono la comunità ebraica, seguita dalla comunità LGBT e da quella musulmana. Nel 2015, i tre reati penali più diffusi motivati dall'odio e dal pregiudizio sono: danni all'altrui proprietà, aggressioni e vessazioni criminali. La comunità musulmana è quella in cui è stato registrato un maggior numero di casi di vessazione".

Secondo i dati nazionali più recenti, tra il 2011 e il 2013 i musulmani canadesi sono stati vittima di crimini d'odio: 15,1 casi ogni 100.000 persone. Nella comunità ebraica canadese si sono verificati 185,4 episodi di odio razziale ogni 100.000 persone. Questo significa che gli ebrei sono stati presi di mira 12 volte di più rispetto ai musulmani.

Non solo i politici canadesi sono apertamente indifferenti a questo, nonostante la persistenza del problema, ma nessuno – né i media né i politici – si è preso la briga di chiedersi se esista una connessione significativa fra l'odio virulento nei confronti degli ebrei che viene predicato nelle moschee e il numero elevato di crimini motivati dall'odio contro gli ebrei. Piuttosto, l'intero parlamento canadese si preoccupa di condannare "l'islamofobia".

Judith Bergman è avvocato, scrittrice, editorialista e analista politica.

[1] "O Profeta, ti abbiamo reso lecite le spose alle quali hai versato il dono nuziale, le schiave che possiedi che Allah ti ha dato dal bottino..." – Corano, Sura 33: 50.

[2] "Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse..." – Corano, Sura 4: 34.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » dom giu 11, 2017 10:47 am

Islam e democrazia
viewtopic.php?f=188&t=2645


I parte

2.51 L’Islam è compatibile con la democrazia ?

2083 Una dichiarazione di indipendenza europea – Libro 2.51 – L’Islam è compatibile con la democrazia? – Emigrante e Bestemmiante

http://emigrantebestemmiante.com/porcod ... democrazia

E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: “Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! – Corano, 8.12[1]

L’Apostolo di Allah disse: “Sono stato reso vincitore dal terrore inflitto al cuore del nemico” – Hadith Bukhari[2], Volume 4, Libro 52, Numero 220

“Colui che semina il terrore negli altri vive egli stesso continuamente nella paura.” – Claudiano, poeta latino

A volte sono infastidito dal dovere passare un sacco di tempo a confutare l’Islam, un’ideologia malata fino al midollo che dovrebbe essere irrilevante nel ventunesimo secolo. Però c’è un lato positivo: il confronto con l’Islam ci costringe ad affrontare i difetti della nostra stessa società. Ad esempio, ci ha fatto notare come il nostro sistema educativo e i nostri media siano pieni di odio anti occidentale e di idiozie ideologiche, lasciti della rivoluzione culturale degli anni ’60 e ’70[3], che ci hanno reso incapaci di percepire l’Islam come la minaccia che è. Quindi, prima di chiederci se l’Islam sia compatibile con la democrazia, dobbiamo chiederci quali siano le condizioni per fare funzionare un sistema democratico.
...

“I vantaggi politici ed economici che portano le persone ad immigrare in Occidente sono dovuti alle sovranità nazionali. Purtroppo tali sovranità possono resistere solo fino a che i confini sono controllati. Le legislazioni sovranazionali, insieme alla cultura del ripudio delle sovranità, stanno mettendo fuori uso le condizioni che rendono possibili le libertà occidentali.”

Scruton commenta che per la prima volta da secoli l’Islam si sta comportando come “un singolo movimento diretto verso uno scopo” e che “il fattore principale in questa unità è il processo di globalizzazione diretto dalla civiltà occidentale.” Secondo lui ciò è il risultato della prosperità occidentale, del sistema legale occidentale, del commercio bancario occidentale e del sistema di comunicazioni occidentale che ha permesso a gente da tutto il globo di comunicare le proprie idee. E’ ironico come la civiltà occidentale dipenda da un’idea di cittadinanza che non ha niente di globale, anzi si basa sulla sovranità territoriale e sulla giurisdizione locale, mentre l’Islam militante (del tutto sconosciuto in Occidente fino a pochi anni fa) dipenda da un’idea globale. La globalizzazione “permette all’islam militante di fare ciò che voleva fare fin dai tempi della sconfitta degli Ottomani.” Grazie alla globalizzazione ora esiste “una Umma globale, che si identifica attraverso i confini in una forma globale e che si attacca come un parassita alle istituzioni e alle tecnologie prodotte dal mondo occidentale.”

Scruton si pone due domanda difficili: La globalizzazione ha reso possibile una comunità musulmana globale, da sempre un ideale irrealizzabile per i musulmani? La globalizzazione ha messo in difficoltà le integrità territoriali degli stati nazionali? Se la risposta a queste domande è positiva, allora la globalizzazione ha aiutato l’Islam e indebolito le democrazie occidentali. Queste due domande sono difficili, ma per la nostra sopravvivenza dobbiamo trovare una risposta ad esse.

La globalizzazione non ha garantito la vittoria all’Islam. Alla lunga, è probabile che le possibilità di comunicare e l’esposizione alle critiche riescano a distruggere l’Islam, anche se potrebberlo renderlo ancora più pericoloso nel breve termine. L’Islam è compatibile con la democrazia? Il ministro di grazia e giustizia Piet Hein Donner[13] dice di no, chiedendo la messa al bando dei partiti che vogliono la legge islamica nei Paesi Bassi: “Per me è chiaro, se due terzi della popolazione volessero introdurre la Shariah domani, potrebbero averla.”

Questo dilemma si può risolvere affermando che la nostra piorità non è la democrazia intesa come elezioni in cui un voto vale uno, ma la libertà di opinione e di parola, il rispetto per i diritti di proprietà e delle minoranze, il diritto alle armi e all’autodifesa, l’uguaglianza davanti alla legge e lo stato di diritto (inteso come stato secolare), oltre ai principi di controllo del potere dei governanti e di approvazione popolare. Le elezioni possono essere un mezzo per arrivare a ciò, ma non sono di importanza vitale. Non dobbiamo confondere il fine con i mezzi.

Nella Sharia ci sono due concetti centrali, la blasfemia e l’apostasia, entrambe punite con la pena capitale.
Queste leggi sono incompatibili con le idee fondamentali dell’occidente, ossia libertà di parola e di pensiero. La Shariah è la negazione della democrazia. Inoltre, la Shariah è nemica del concetto di eguaglianza di fronte alla legge, dato che pratica l’ineguaglianza tra musulmani e non musulmani, uomini e donne, liberi e schiavi. Inoltre, la Shariah non fornisce alcuna protezione per le minoranze religiose, dato che i non musulmani sono costretti a essere disarmati e a vivere alla mercé dei capricci dei musulmani. Anche se l’Islam accetta l’idea di shura, il consulto, non lo ha mai formalizzato. Ciò significa che i governanti non hanno alcun limite al loro potere. Un despota islamico può fare assolutamente quello che vuole, a parte rifiutare apertamente l’Islam.


Secondo Salim Mansur[14], professore associato di scienze politiche presso l’università di Western Ontario, in Canada, “La democrazia in senso culturale è un’espressione del mondo liberale moderno, che pone l’individuo al centro morale della politica e della società (…) E’ il concetto di diritti inalienabili dell’individuo, diritti che devono essere protetti, curati e resi in condizione di funzionare. Ciò rende la democrazia un sistema moralmente differente dagli altri sistemi. Da questo punto di vista liberale, l’errore più comune quando si parla di democrazia è credere che sia un sistema di governo basato sul volere della maggioranza. Al contrario, la democrazia protegge i diritti degli individui, delle minoranze e dei malcontenti.” Questa definizione è l’opposto di una democrazia illiberale, una finzione di democrazia propagandata da una piccola élite al potere per legittimarsi e conservare la propria autorità

Il fatto che i musulmani vengano abituati fin dalla nascita all’idea che un non musulmano non possa godere degli stessi diritti dei musulmani è un grosso ostacolo alla fondazione di una democrazia in un paese musulmano. Il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo[15] intitolato “Reviving Mideastern Democracy: We Arabs Need the West’s Help to Usher in a New Liberal Age” a opera di Saad Eddin Ibrahim, presidente del Ibn Khaldun Center for Development Studies nel Cairo, arrestato varie volte per il suo impegno verso la democrazia in Egitto. Mr. Ibrahim pensa che ci siano buone possibilità di avere una democrazia in Medio Oriente:

“Nei decenni precedenti le autorità dicevano che la Germania, il Giappone, i paesi slavi e persino le società cattoliche non sarebbero mai state democratiche. Non sto parlando dei pregiudizi popolari, ma dell’opinione informata di studiosi di alto livello. Interi gruppi di esperti pensavano onestamente che ci fosse qualcosa nelle società tedesche, giapponesi, slave, o addirittura nel cristianesimo, che fosse radicalmente ostile alla democrazia e ai valori democratici.”

Secondo le parole del grande storico del quattordicesimo secolo Ibn Khaldun: “nelle comunità musulmane la guerra santa è un dovere sacro, data la natura universale della missione musulmana e dell obbligo alla conversione volontaria o forzata di tutta l’umanità.” Secondo Ibn Khaldun, nell’Islam la persona al comando della struttura religiosa deve occuparsi delle “politiche di potere”, dato che l’Islam ha l’obbligo di guadagnare il potere sulle altre nazioni (Muqaddimah[16], trans. Rosenthal, p. 183). Secondo Robert Spencer “queste non sono parole di tolleranza e di democrazia. Queste parole sono ancora vive nel mondo musulmano.”

Ibn Khaldun diceva riguardo ai cristiani: “Pensiamo di non dovere sporcare le pagine di questo libro [Muqaddimah] con discussioni riguardo alle miscredenze [cristiane]. In generale, esse sono conosciute. Tutto riguardo a loro è miscredenza. Ciò è stabilito nel nobile Corano. Discutere o confutare queste cose non è per noi. E’ loro destino scegliere tra la conversione all’Islam, il pagamento della tassa, o la morte.”

Secondo il Dr. Andrew Bostom nel libro The Legacy of Jihad (pagina 29), “Nella legge del governo islamico al-Mawardi (d. 1058), esamina le leggi relative alle terre e alle popolazioni infedeli sottomesse dalla Jihad. Questa è l’origine del sistema dei Dhimmi. La popolazione nativa infedele deve riconoscere la sovranità islamica sul territorio, sottomettersi alla legge islamica e accettare il pagamento della tassa. Al-Mawardi ricorda l’aspetto più significativo di questa visione della tassa sugli infedeli nella giurisprudenza islamica: la connessione tra essa e la Jihad. “Il nemico presenta un pagamento in cambio della pace e della riconciliazione.” Al-Mawardi distingue due casi: il primo è quando il pagamento è immediato e viene considerato come bottino di guerra, cosa che non previene la dichiarazione di un’altra Jihad nel futuro. Il secondo è il pagamento annuale e costituisce un tributo continuo che garantisce la sicurezza del pagante. La riconciliazione e la sicurezza valgono solo fino a che il pagamento viene continuato. Al cessare del pagamento, la Jihad ricomincia.

Ci sono anche altre limitazioni per i Dhimmi. Nel 2005[17] è stato rilasciato il permesso di costruzione per la prima chiesa cristiana nel Qatar dal settimo secolo. La chiesa è stata fondata su un terreno donato dall’emiro riformista, e non avrà una croce o un campanile, nel rispetto delle leggi islamiche che proibiscono l’esposizione della Croce da parte dei cristiani. Clive Handford, il vescovo anglicano del Golfo annuncia da Nicosia (Cipro) che “Siamo gli ospiti di un paese musulmano e dobbiamo essere rispettosi dei padroni di casa. Ma una volta che si entri nel centro, sarà inequivocabile che si tratti di un centro cristiano.” Il cristianesimo è stato spazzato via dagli stati del Golfo nei secoli successivi alla conquista islamica.

Persino in Malesia[18], un paese a maggioranza musulmana definito “moderato e tollerante”, centinaia di fedeli indù sono stati costretti ad assistere terrorizzati mentre operai musulmani hanno sfondato il soffitto del loro templio e hanno fatto a pezzi le statue delle divinità portate dagli immigranti indiani. “Siamo poveri, il nostro unico conforto era il nostro templio e ci hanno tolto anche quello.”, dichiara Kanagamah parlando in Tamil, la lingua parlata dai malesi di origine indiana e fede induista.

“Le demolizioni sono indiscriminate, illegali e contro tutte le garanzie costituzionali di libertà di religione”, dichiara l’attivista per i diritti umani P. Uthayakumar. I templi e le altre strutture demolite erano abusive, ma le autorità hanno reso impossibile avere i permessi di costruzione per nuove strutture. Una comunità cattolica ha dovuto aspettare trent’anni prima di avere il permesso di costruire una chiesa. Cosa ci dice ciò riguardo alla libertà di culto? In verità, le autorità musulmane continuano a ragionare secondo le vecchie logiche Dhimmi, in base alle quali i non musulmani non possono costruire nuovi edifici di culto o riparare quelli esistenti.

Secondo Sita Ram Goel[18], l’Imam Hanifa “ha raccomandato che gli indù, anche se idolatri, vengano accettati come gente del libro e trattati alla stregua di ebrei, cristiani e zoroastriani sotto la legge dei Dhimmi. Ciò ha rappresentato un miglioramento per gli induisti, che hanno potuto salvarsi la vita e parte delle loro proprietà, anche se non l’onore e i luoghi di culto. Come Dhimmi, gli induisti potevano sopravvivere accettando il pagamento della tassa e condizioni di cittadini di seconda classe. Gli altri tre grandi Imam islamici, Malik, Shafi e Hanbal, fondatori delle quattro scuole di giurisprudenza islamica, offrivano solo la scelta tra la conversione e la morte.”

Alcuni apologeti occidentali insistono nel dire che nel subcontinente indiano le ostilità sono reciproche. In questo caso, come mai i non musulmani in Pakistan sono stati spazzati via? Come mai i pochi cristiani e induisti rimasti soffrono abusi e oppressioni continue? La popolazione del Bangladesh[19] aveva circa un trenta per cento di non musulmani fino a pochi decenni fa. Oggi la percentuale è attorno al dieci per cento. Aggiungete il fatto che la forte natalità delle famiglie musulmane in India ha fatto si che il numero dei musulmani aumentasse. Secondo voi queste statistiche indicano “ostilità reciproche” o semplice persecuzione degli infedeli?

Nella provincia pakistana del Sindh i musulmani hanno l’abitudine di rapire ragazze di fede induista[20] e costringerle alla conversione. Le comunità induiste si sono ridotte a fare sposare prestissimo le loro figlie, oppure a farle emigrare in India, Canada o altrove.

“Avete mai sentito di una ragazza musulmana costretta a convertirsi all’induismo?[21] I musulmani stanno vincendo tramite l’intimidazione, stanno abbattendo una cultura terrorizzandola. I rapimenti delle ragazze costringono le comunità a scappare o a sottomettersi ai musulmani.”, dichiara l’attivista per i diritti umani Hina Jillani. In Pakistan gli induisti e i cristiani sono discriminati e costretti ad accontentarsi di lavori di basso livello e a non aspirare ad altro. Il complesso di superiorità dei musulmani è molto radicato: nel suo libro Milestones[22], l’egiziano Egyptian Sayyid Qutb scrive che “il cuore del credente deve essere sempre in uno stato trionfale”, anche di fronte alle avversità. “Significa sentirsi superiori agli altri anche quando si è in pochi, poveri e deboli, non solo quando si è in tanti, ricchi e potenti.”

“Quando il credente osserva gli insegnamenti dell’uomo antico e moderno e li paragona al suo sistema, gli appaiono come il brancolare dei ciechi o i giochi dei bambini al confronto con la perfeszione della legge islamica. Quando osserva con compassione gli errori e le sconsideratezze del resto dell’umanità, prova senso di trionfo verso i loro errori. Le condizioni cambiano, i musulmani perdono il loro potere e vengono conquistati, ma non perdono la consapevolezza di essere superiori. Se il credente rimane tale, guarda il suo conquistatore dall’alto in basso, sicuro del fatto che la sua condizione è temporanea e che la fede è come un’ondata inevitabile”

Oltre all’idea di supremazia musulmana, esiste anche un’idea di supremazia araba. Secondo Qutb[23], “Cosa sarebbero gli arabi senza l’Islam? Che ideologia potrebbero dare all’umanità se abbandonassero l’Islam? L’unica ideologia creata dagli arabi è la fede islamica, che li ha elevati al rango di signori dell’umanità. Se abbandonassero l’Islam non avrebbero più alcun valore nella storia. Ovviamente ci sono quelli che direbbero che Sayyid Qutb è “solo un estremista,” dato che le sue opere come Milestones o In the Shade of the Qur’an[24] hanno ispirato tantissimi jihadisti fin dalla sua esecuzione capitale per mano del regime di di Gamal Abdel Nasser nel 1966. Le idee di Qutb’s riguardo alla supremazia musulmana sono una delle basi dell’Islam.

Secondo Hugh Fitzgerald[25], “nell’Islam, una religione che afferma di essere universale e di trattare tutti i musulmani in maniera uguale, c’è un posto speciale per gli arabi.” Il Corano è scritto in arabo ed “è stato rivelato agli arabi, il popolo eletto. Il migliore degli uomini, Muhammad, era un arabo così come i suoi compagni. In teoria il Corano non andrebbe letto se non in Arabo (la versione originale dell’Arabo, non l’Arabo moderno o semplificato.) La recitazione coranica avviene in Arabo. Gli studenti in Indonesia o in Pakistan imparano a memoria versetti in Arabo, lingua che non conoscono o che conoscono male. Eppure, c’è gente che si fa guidare nella vita da un arabo del settimo secolo. (…) In Arabia Saudita vige la separazione: le cose sono separate tra “per musulmani” e “per non musulmani”, ma le cose per musulmani sono separate tra “per arabi” (prima classe) e “per non arabi (seconda classe). Ciò è evidente per tutti i musulmani non arabi che vivono in Arabia Saudita.”

Questo razzismo arabo è un’arma contro l’Islam che molti infedeli non conoscono: “Mostrare ai musulmani che l’Islam è solo un’invenzione araba volta a distruggere le altre civiltà è un modo per indebolirlo. Questo è particolarmente efficace verso i molti iraniani che non ne possono più della Repubblica Islamica, ossia quasi tutti.” In Marocco, gli attivisti si lamentano della poca influenza berbera[26] sulla politica e sull’economia: “Non siamo arabi, dateci la nostra vera storia”, cantavano centinaia di berberi marocchini durante le marce del primo maggio. I loro slogan erano scritti in lingua Tamazight con l’alfabeto berbero Tifinagh. I Berberi sono gli abitanti originari del Nord Africa, da prima dell’invasione araba del settimo secolo. La costituzione marocchina dice che il paese è arabo e che la religione è l’Islam. Non si conosce la percentuale di berberi, ma fonti indipendenti dicono che siano la maggioranza assoluta. Si stima che ci siano circa venticinque milioni di berberi in tutto il mondo, concentrati in Algeria, Libia, Mali, Mauritania, Nigeria e Tunisia.

Le idee razziste dell’Islam stanno già venendo esportate in Europa. Nel 2005, a Copehagen, due uomini sono stati uccisi durante una rissa tra immigranti di seconda generazione. Secondo l’imam Abu Laban[27] (poi ritenuto responsabile per avere scatenato le violenze dei fanatici durante il caso delle vignette su Muhammad del giornale danese Jyllands-Posten) la sete di vendetta potrà essere spenta solo tramite il pagamento di 200,000 corone da parte della famiglia dell’assassino, un risarcimento paragonabile a quello stabilito da Muhammad nel Corano.
L’idea di “legge del taglione” viene descritta nel versetto 2.178 del Corano: O voi che credete, in materia di omicidio vi è stata prescritta la legge del taglione: libero per libero, schiavo per schiavo, donna per donna. E colui che sarà stato perdonato da suo fratello, venga perseguito nella maniera più dolce e paghi un indennizzo: questa è una facilitazione da parte del vostro Signore, e una misericordia. Ebbene, chi di voi, dopo di ciò, trasgredisce la legge, avrà un doloroso castigo.

Politiken, un giornale di sinistra multiculturalista danese, ha provato a scrivere che si dovrebbe considerare l’applicazione della legge del taglione. Per fortuna, l’opinione pubblica è stata contraria alla proposta. Ci sono almeno due problemi riguardo a questa forma di “giustizia” islamica. Il primo è che è un sistema in cui la giustizia si amministra tra famiglie, clan e tribù, non un sistema in cui la legge è regolata dall’autorità. Il secondo è che coinvolge i clan e le famiglie anche in faccende che riguardano i singoli individui. Avevamo un sistema di vendette tribali in Europa tempo fa, ma ce lo siamo lasciati indietro e i musulmani dovrebbero fare lo stesso. Il problema si ha quando tale sistema tribale cerca di infiltrarsi nel sistema giuridico europeo e i cittadini si trovano costretti a seguire le leggi tribali per difendersi. Molti danesi non capiscono che la legge del taglione non è solo antica e collettivistica, ma è anche profondamente ingiusta. I maschi musulmani sono gli unici membri a pieno titolo della comunità musulmana. Tutti gli altri valgono meno, e le differenze tra i pagamenti della legge del taglione lo dimostrano. Un tribunale saudita ha dichiarato che il valore della vita di una donna vale quanto il valore della perdita della gamba di un uomo. Il tribunale ha ordinato a un saudita di pagare il prezzo per l’omicidio della moglie di un siriano e per la perdita di entrambe le sue gambe.
Il pagamento è stato tredicimila dollari per la vita della moglie e lo stesso ammontare per la perdita delle gambe dell’uomo. Sotto la Shariah la vita di un ex musulmano non vale niente dato che si tratta di un traditore e di un apostata che può essere ucciso impunemente. Il 9 Aprile 1992 il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo in cui si elencavano i prezzi di sangue per l’omicidio in Arabia Saudita:

100,000 riyals per la morte di un uomo musulmano
50,000 riyals per la morte di una donna musulmana
50,000 riyals per la morte di un uomo cristiano
25,000 riyals per la morte di una donna cristiana
6,666 riyals per la morte di un uomo induista
3,333 riyals per la morte di una donna induista

In un libro di scuola media saudita[28], si dice che “Il prezzo di sangue per un infedele libero è la metà del prezzo per un musulmano, sia che appartenga a uno del popoli del Libro o no. (…) Il prezzo di sangue per una donna è metà di quello di un uomo della sua stessa religione.” Come dice Ali Sina [29], “Secondo questa gerarchia, la vita di un uomo musulmano vale quanto quella di 33 donne induiste. Tale gerarchia si basa sulla definizione islamica di diritti umani presa dal Corano e dalla Shariah. Come possiamo parlare di democrazia se nell’Islam non esiste il concetto di eguaglianza?”

Secondo Ali Sina, il sistema di governo islamico è paragonabile a quello fascista:

Centralizzazione dell’autorità sotto un dittatore assoluto investito da un dio.
Controllo socioeconomico su tutti gli aspetti della vita dei soggetti, anche quelli di fede diversa.
Opposizione soppressa tramite terrore e censura.
Belligeranza verso i non credenti.
Separatismo religioso.
Disprezzo verso la ragione.
Imperialismo.
Oppressione.

Dittatura.

Secondo Sina, “L’Islam è politica e l’islam politico è fascismo.” A Toronto, in Canada, i musulmani hanno mostrato il loro complesso di superiorità presso la Ryerson University [30]. Il gruppo studentesco più grande del campus, la the Muslim Students’ Association, ha preso il controllo della sala multiconfessionale. Eric Da Silva, presidente della Catholic Student Association, ha dichiarato che il gruppo ha cercato di usare la sala per dire Messa, ma gli è stato detto che la sala è stata data in “gestione continuata” agli studenti musulmani. Secono Da Silva “Nessuno si arrischia a mettersi contro i musulmani.” Il gruppo cattolico ha trovato un altro spazio dove dire Messa e il conflitto è stato risolto. La sala multiconfessionale è divisa tra maschi e femmine ed è decorata in stile islamico in modo da accogliere solo musulmani. Un gruppo universitario di controllo sulle discriminazioni culturali e religiose ha esaminato il campus, ma si è occupato solo dell’islamofobia. Raymond Ibrahim[31], bibliotecario presso la biblioteca del Congresso, parla dei fondamentalisti musulmani dal Los Angeles Times:

“Durante i giorni precedenti la visita di Papa Benedetto XVI presso Hagia Sophia a Istanbul, i musulmani e i turchi hanno espresso rabbia, paura e ansietà. Secondo il giornale turco Vatan, il rischio era che Benedetto avrebbe potuto causare un’ondata di furia fanatica in tutto il mondo musulmano se avesse provato a riappropriarsi un un centro del mondo cristiano caduto in mano musulmana. Sembra che solo l’atto di farsi il segno della croce o compiere un atto di devozione cristiana nella basilica di Hagia Sophia sia un sacrilegio. Tale basilica, costruita nel sesto secolo, è stata la chiesa più grande e più importante di tutta la cristianità. Dopo secoli di attacchi da parte degli arabi Costantinopoli è stata saccheggiata dai turchi e rinominata Istanbul. Le croci di Hagia Sophia sono state abbattute, le icone vandalizzate.”

I turchi hanno avuto poco di che preoccuparsi. Il Papa si è comportato come un bravo dhimmi durante le sue visite in Turchia. Ibraim crede che “L’Occidente fa di tutto per confermare queste idee. Facendo autocritica, offrendo scuse e concedendo accordi, tutte cose che il mondo islamico deve ancora fare, l’Occidente conferma che l’Islam gode di uno stato di privilegio.” La mancanza di consapevolezza riguardo al complesso di superiorità islamico rende impossibile esportare la “democrazia” in paesi islamici come l’Iraq.

Nel settembre 2005, il patriarca caldeo di Baghdad[32] ha dichiarato alle autorità irachene il suo timore per la possibilità di abusi contro i non musulmani. L’articolo 2.1(a) della costituzione afferma che: “Nessuna legge può andare contro le regole indiscutibili dell’Islam.” Il patriarca ha affermato che: “Ciò rende possibile approvare leggi che siano ingiuste verso i non musulmani.” Glyn Ford, europarlamentare britannico, ha unito la sua voce a quella dell’editore del Tribune Mark Seddon e a quella di Andy Darmoo, segretario di Save the Assyrians, per dare l’allarme riguardo alle condizioni dei cristiani assiri[33]: “I cristiani assiri non possono votare alle elezioni, hanno avuto le loro terre occupate, le loro chiese bombardate e le loro famiglia assalite. Non è il momento per la comunità internazionale di mobilitarsi per i loro diritti e i diritti delle altre minoranze?”

Un gruppo di musulmani ha rapito un bambino mandeo di sette anni[34], appartenente a una setta gnostica irachena, lo ha annaffiato di petrolio e arso vivo. Mentre il bambino urlava tra le fiamme, i musulmani cantavano “Brucia, lurido infedele!” Molte donne medico, poliziotte, giornaliste e reporter sono state uccise, dichiara Rajaa al-Khuzai, presidentessa del Iraqi National Council of Women. Le donne sono bersagli facili, specialmente quelle di alto profilo come lei. L’oppressione delle donne e dei non musulmani è sancita dalla Shariah ed è un fatto comune.

Anche se i cristiani sono meno del 4% della popolazione, sono il gruppo di maggioranza tra i rifugiati arrivati ad Amman in Giordania durante i primi mesi del 2006. In Siria, il 44% dei rifugiati iracheni sono cristiani. Questi rifugiati scappano da omicidi, rapimenti e minacce di morte. Il vescovo cattolico di Baghdad, Andreos Abouna, ha dichiarato che metà dei cristiani iracheni sono scappati dal paese dal 2003 a ora. In vent’anni non ci saranno più cristiani[35]. “Gli americani e gli inglesi avrebbero potuto proteggerci mentre le nostre chiese venivano bombardate, sarebbe stato un atto storico, ma non lo hanno fatto. Se ci avessero dato aiuti economici avremmo potuto proteggere tutte le famiglie cristiane a Mosul.”

Il presidente americano George W. Bush[36] ha dichiarato che se gli iracheni avessero votato un governo islamico lui lo avrebbe accettato: “Ne sarei dispiaciuto, ma la democrazia è democrazia.” Davvero, Mr. Bush?

Questo ci riporta alla critica platonica della democrazia come una forma di governo della plebaglia. Senza un sistema di controlli e di tutele, tale definizione è corretta. Benjamin Franklin diceva che: “La democrazia è quando due lupi e un agnello votano per decidere chi deve essere mangiato. La libertà è quando l’agnello è armato e contesta il voto!” Questo è il motivo per cui lui e i padri fondatori volevano che gli USA fossero una repubblica costituzionale, non una democrazia diretta. Stranamente, gli USA volevano esportare in Iraq un modello ingenuo di democrazia, lo stesso che era stato rifiutato dai padri fondatori dato che non assicurava abbastanza diritti e protezioni a minoranze e individui. Inoltre, non avevano neanche tenuto conto dell’Islam, religione che perseguita minoranze e individui per principio.

I non musulmani e le donne irachene stanno pagando questo errore con le loro vite[37]

Nel 1970 il futuro presidente bosniaco Alija Izetbegovic[38] stendeva una dichiarazione islamica in cui si diceva che “in generale un musulmano non esiste come individuo. Se vuole vivere come musulmano, deve creare un ambiente, una comunità, un sistema. Deve cambiare il mondo o farsi assimilare. La storia non ricorda alcun movimento veramente islamico che non fosse anche un movimento politico.”

Franz Rosenthal, studioso americano di questioni islamiche, diceva che “un islamico deve subordinare la sua libertà alle credenze, alla moralità e alle tradizioni del gruppo a cui appartiene (…) L’islamico non si deve aspettare di poter fare alcuna scelta su come sarà governato. In generale, il governo non consente a nessun cittadino di partecipare e non gli concede alcuna libertà effettiva.”

L’apostata ex musulmano iraniano Ali Sina[39] afferma che “la spersonalizzazione è caratterizzata da una diminuzione della coscienza del sé e dell’individualità. Nell’Islam l’individuo viene negato e la sua vita è integrata nella Umma. La spersonalizzazione riduce le inibizioni e le regole di comportamento dell’individuo, e contribuisce ai comportamenti collettivi delle folle urlanti, delle bande di delinquenti e delle rivolte urbane.” Secondo Sina, “è ironico come la natura brutale, repressiva e completamente irrazionale dell’Islam sia ciò che gli ha consentito di sopravvivere così a lungo.”

Come scrive lo scrittore F.A. Hayek nel suo The Road to Serfdom:

“La nostra generazione rischia di dimenticare che la moralità non è solo una necessità della condotta individuale, ma che può esistere solo in un ambiente nel quale l’individuo è libero di scegliere volontariamente di rinunciare a vantaggi personali per una regola morale. Non si può essere buoni o cattivi in un ambiente nel quale non si è liberi di scegliere se sacrificare i propri desideri in cambio di ciò che è giusto. Le nostre decisioni hanno valore morale solo quando siamo liberi di sacrificare i nostri interessi per provare le nostre convinzioni. Anche se ci sono buone intenzioni o un’organizzazione efficiente, non si può mantenere la moralità in un ambiente in cui non ci sono responsabilità e libertà personali.”

Secondo un rapporto della polizia inglese[40] ci sono dieci volte più casi di corruzione tra gli agenti di polizia di cultura musulmana che tra i loro colleghi non musulmani. Secondo il rapporto, i pakistani in Inghilterra vivono in una cultura in cui assistere economicamente la propria famiglia è considerato un dovere, e in cui è normale prestare grosse somme di denaro tra parenti e amici. La conclusione è stata l’assegnazione di addestramento speciale anti corruzione per gli agenti di origine pakistana.

In Pakistan e in molti altri paesi musulmani, pochi cittadini pagano le tasse. Secondo la loro filosofia, che non da alcun valore all’individuo, il clan è tutto e lo stato è il nemico. Questa mentalità è alla base del comportamento degli immigranti da quei paesi, e porta nei paesi non musulmani la corruzione e la violenza tribale associata al mondo musulmano. Ali Sina[41] scrive che: “Abu Hamid Al-Ghazali, (1058 – 1111 CE) è probabilmente il più grande tra gli studiosi islamici. Nel suo libro ‘L’incoerenza dei filosofi’, attacca violentemente Aristotele, Platone, Socrate e gli altri pensatori greci definendoli come miscreditenti e corruttori della fede islamica. Per lui, Avicenna, il grande filosofo e fisico persiano dell’undicesimo secolo, era un razionalista che prendeva spunto dagli antichi greci. Ghazali ricordava l’incompatibilità tra fede e ragione, e l’impossibilità del sottomettere la fede alla ragione. Ghazali lodava la fede senza pensiero e la stupidità eletta a sistema di pensiero.”

“I razionalisti islamici come i Mutazili ponevano la ragione al di sopra della rivelazione, ma la loro scuola è stata attaccata e distrutta dai fondamentalisti islamici del gruppo Ashariyya, a cui appartenevano i poeti al-Ghazali e Rumi. Rumi prendeva in giro i razionalisti e dichiarava nei suoi versi che il razionalista ha le gambe di legno.”

Secondo Sina[42] le “ basi della democrazia sono libertà di pensiero, libertà di parola, rispetto per le minoranze e separazione tra stato e religione.” L’occidente deve sostenere la libertà di parola e di pensiero sia sul proprio territorio che all’estero. “La gente deve avere la possibilità di criticare le idee della maggioranza senza temere per la propria vita. Non ci può essere democrazia senza libertà di espressione o senza opposizione. Prima di portare la democrazia nei paesi islamici bisogna proteggere quella che abbiamo a casa.”

Secondo Ibn Warraq, un altro apostata ex islamico[43], “L’islam è una ideologia totalitaria che vuole controllare la vita religiosa, politica e sociale di tutta l’umanità. Le vite degli islamici sono completamente controllate, e le vite dei non islamici controllate a tal punto da rendergli impossibile interferire con l’Islam. Non accetto alcuna distinzione tra Islam e fondamentalismo islamico o terrorismo islamico. Data la natura totalitaria della legge islamica, l’Islam non da alcun valore all’individuo, che si deve sacrificare per il bene della comunità islamica. L’Islam è una ideologia collettivista.”

Molti ex musulmani come Ali Sina e Ibn Warraq scrivono sotto falso nome perchè l’Islam è una religione talmente ostile all’individualismo e alla libertà di parola, che il crimine peggiore per un musulmano è quello di cambiare religione e criticare l’Islam. Lasciare l’Islam è un atto punito con la pena capitale. Lo scrittore Ibn Warraq scrive nella sua antologia Leaving Islam – Apostates Speak Out[44](p. 31):

“L’apostasia è un tradimento ideologico, che viene dall’ostilità e dall’ipocrisia. Il destino di una persona nata con un handicap è diverso da quello di uno che ha dovuto subire un’amputazione per via di una malattia. L’apostasia di un musulmano nato in una famiglia musulmana è una malattia pericolosa, contagiosa e incurabile per il corpo della comunità (umma), che minaccia la salute delle persone. Gli apostati sono come degli arti infetti che devono essere amputati.”

La pena di morte per gli apostati è confermata dai testi islamici, Hadith e Corano. Il versetto 4:89 dice che:

Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici, né alleati,

Il commento al Corano di Kathir (1373) di questo versetto conferma la pratica dell’uccidere gli apostati, dato che sono miscredenti che hanno manifestato la loro miscredenza e meritano la morte. Le hadith accettano la pena di morte senza problemi. Ad esempio, nella raccolta delle hadith di Bukhari, Mohammed afferma “uccidete chi cambi la sua religione.” Secondo il Dr. Andrew G. Bostom, tutte e quattro le scuole di giurisprudenza Sunnita[45] (Maliki, Hanbali, Hanafi, e Shafi’i), sono d’accordo con i giuristi Sciiti nel dire che gli apostati vanno messi a morte. Il filosofo aristotelico e giurista malikita Averroè dava la sua opinione legale riguardo al trattamento da riservare agli apostati (vol. 2, p. 552):

“Un apostata deve essere giustiziato immediatamente, dato che il Profeta ordinava di uccidere chi cambiava la sua religione. Prima dell’esecuzione si deve chiedere all’apostata se intende pentirsi.”

Questa opinione non è limitata alla giurisprudenza medievale. Il manuale di legge islamica del 1991 Umdat al-Salik, approvato dalla Islamic Research Academy di Al-Azhar, il centro culturale più importante del mondo sunnita, afferma che:

“Lasciare l’Islam è la forma di miscredenza più brutta e la peggiore. Se una persona adulta e sana di mente lascia volontariamente l’Islam, deve essere uccisa. In questo caso è obbligatorio chiedergli se vuole pentirsi e ritornare nell’Islam. Se accetta, dovrà essere risparmiato. Se si rifiuta, deve essere ucciso immediatamente.”

Ne 2003, la scrittrice egiziana Dr. Nawal Al-Sa’dawi[46], nota per il suo nazionalismo arabo e per le sue idee femministe, ha chiesto la revoca dell’articolo della Costituzione egiziana che dichiara l’Islam come religione di stato, dato che “abbiamo i cristiani copti tra noi. La religione è una faccenda tra uomo e Dio, quindi nessuno ha il diritto di imporre la sua fede, il suo Dio e i suoi rituali su altri.” Secondo lei, la cosa più importante è la lotta politica e militare contro gli USA e contro Israele.[47]

Ci sono state varie reazioni contro i commenti della Sa’dawi, ma il capo del fronte dei chierici di Al-Azhar, il Dr. Abd Al-Mun’im Al-Berri, ha dichiarato che “lei deve avere tre giorni per pentirsi di quello che ha detto. Se continuerà con le sue idee, dovrà essere punita secondo le regole della Shariah per chi abbandona l’Islam. Il regnante, ossia il capo di stato, dovrà eseguire la sentenza.” Lo sceicco Mustafa Al-Azhari ha spiegato che “la punizione per chiunque combatta contro Allah e il suo Profeta è la morte, la crocefissione, l’amputazione di due arti opposti o l’esilio” Daveed Gartenstein-Ross[48] afferma che “anche se i processi ufficiali contro gli apostati sono abbastanza rari – sicuramente perchè molti mantengono il silenzio sulla loro decisione – l’apostasia viene punita con la morte in Afghanistan, Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Sudan e Yemen. L’apostasia è illegale anche in Giordania, Kuwait, Malesia, nelle Maldive, in Oman e in Qatar. (…) Gli apostati sono minacciati non solo dallo stato, ma anche da privati cittadini che decidono di farsi giustizia da soli. Ad esempio, nel 2003 in Bangladesh un evangelista cristiano di origine musulmana è stato accoltellato a morte mentre tornava a casa dopo aver partecipato alla visione di un film sul Vangelo di Luca. Un altro apostata del Bangladesh ha dichiarato al Newswire americano che se un musulmano si converte al cristianesimo non può vivere qui. I fondamentalisti sono sempre più forti.”

Nel 2004 il principe Carlo di Inghilterra[49] ha cercato di tenere un incontro tra leader cristiani e musulmani per fermare le condanne capitali verso gli apostati. Il gruppo musulmano ha intimato al principe e ai leader cristiani di non parlare pubblicamente della proposta. Un membro del gruppo cristiano si è detto molto insoddisfatto dei risultati. Patrick Sookhdeo, direttore internazionale del Fondo Barnabas che si occupa di proteggere i cristiani oggetto di persecuzioni nel mondo, ha chiesto al principe e ai leader delle comunità musulmane inglesi di condannare apertamente la legge sull’apostasia, chiedendone l’abolizione. Secondo Sookhdeo, “l’importanza morale della libertà di scelta individuale è una delle basi della società secolare. Nell’Islam tale scelta non è possibile. Non si può decidere quali aspetti della religione accettare e quali no, dato che sono tutti ordine divino. Allah ha dato gli ordini, e l’uomo deve ubbidire.”

Anthony Browne[50] ha scritto un articolo sul London Times riguardo a Mr Hussein, un infermiere di 39 anni di Bradford che ha rischiato non solo l’ostilità della famiglia e della comunità, ma anche il rapimento e l’omicidio per avere lasciato l’Islam. Mr. Hussein ha dichiarato che: “E’ orribile. Questa è l’Inghilterra, dove sono nato e cresciuto. Non mi sarei mai aspettato che un cristiano potesse soffrire in tale modo.” La polizia non ha effettuato arresti, ma ha suggerito a Mr. Hussein di lasciare la città. Si stima che almeno il quindici per cento dei musulmani in Occidente abbia perso la fede.

Anwar Sheikh, ex insegnante in una moschea in Pakistan, è diventato un ateo dopo essersi trasferito in UK. Sheikh si è trasferito a Cardiff, in una casa piena di allarmi anti intrusione dopo avere ricevuto minacce per avere criticato l’Islam in una serie di libri. “Ho ricevuto 18 fatwa. Mi hanno chiamato al telefono, non si arrischiano a mettere niente per iscritto. Ho ricevuto l’ultima chiamata due settimane fa. Mi hanno detto di pentirmi o di prepararmi ad essere impiccato”, dichiara Hussein, “Credo in quello che ho scritto e non me lo rimangerò. Ne soffrirò le conseguenze. Se questo è il prezzo, lo pagherò.” Anwar Sheikh è morto di morte naturale nella sua casa in Galles, nel Novembre del 2006.

Aluma Dankowitz[51], direttore del Middle East Media Research Institute (MEMRI) Reform Project, descrive le accuse rivolte agli intellettuali, agli artisti e agli scrittori musulmani di “miscredenza”, detta “takfir”. Tale accusa è frequente nel mondo islamico, e viene punita con la morte come veniva fatto nel periodo seguente alla morte di Mohammed, quando il suo successore Abu Bakr combatteva le guerre contro le tribù che avevano abbandonato l’Islam. Lo Sceicco Yousef Al-Qaradhawi, uno dei chierici più importanti del mondo sunnita, descrive la differenza tra i due tipi di apostasia: “La ridda è l’apostasia di chi lascia l’Islam ma non è interessato a parlarne con altri. Tale tipo di apostasia è punito con l’inferno dopo la morte. L’altro tipo di apostasia [ridda] è l’apostasia di chi chiama gli altri a lasciare l’Islam, creando un gruppo di persone che non segue il percorso della società islamica. Questi individui mettono tutta la società in pericolo e sono come gli apostati [murtaddoon] che hanno combattuto contro il primo Califfo e i compagni del Profeta.”

In altre parole, chi lascia pubblicamente l’Islam costituisce una minaccia per il morale della comunità islamica, come un soldato che diserta da un esercito, e quindi deve essere punito prima che avvenga una diserzione di massa. Al-Qaradhawi conferma la necessità di trattare i musulmani che lasciano l’Islam secondo la tradizione: “la società musulmana deve combattere contro la ridda in ogni sua forma se vuole mantenere la sua esistenza. I saggi musulmani concordano nel dire che la punizione per il murtadd [apostata] è la morte.”

Nei paesi islamici c’è un’enorme pressione sociale contro l’espressione di dubbi riguardo alla religione islamica. Razi Azmi[52], uno dei giornalisti più esperti del Daily Times Online pakistano, ha menzionato questo problema:

“Immaginiamoci un musulmano in un paese musulmano che si converta al cristianesimo o, che il cielo non voglia, all’induismo o al buddismo. È una cosa inimmaginabile. I chierici delle varie scuole islamiche concordano nel dire che un apostata deve essere messo a morte, l’unica discussione è se la condanna deve avvenire immediatamente o dopo aver dato una possibilità di pentimento. La punizione è così dura e la pressione sociale e familiare è così forte, che è impensabile che un musulmano possa esprimere un dubbio sulla propria religione, figuriamoci convertirsi a un’altra o praticare l’ateismo o l’agnosticismo.”

L’ostilità islamica verso la libertà di parola non è rivolta solo ai musulmani, ma anche verso tutti quelli che osino criticare minimamente l’Islam. I musulmani hanno già iniziato a boicottare la libertà di parola nelle nazioni occidentali attraverso l’uso di battaglie legali o di intimidazione fisica. Il giorno 2 Novembre 2004 Mohammed Bouyeri[53], un musulmano di Amsterdam di origine marocchina, ha assassinato il regista olandese Theo van Gogh perchè aveva diretto un film di critica verso l’Islam insieme all’apostata ex musulmano Ayaan Hirsi Ali. Bouyeri ha sparato a van Gogh mentre andava al lavoro, lo ha inseguito, gli ha tagliato la gola e lo ha trafitto con due coltelli, di cui uno con una lettera di cinque pagine. Stingendo il Corano al petto, Bouyeri ha dichiarato ai giudici di averlo fatto per la sua fede, dato che van Gogh aveva insultato l’Islam.


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