Il futuro del Veneto: andiamocene e basta!http://www.lindipendenza.com/il-futuro- ... ne-e-bastadi ENZO TRENTIN
Già in un precedente articolo [qui] abbiamo sostenuto l’illegittimità dello stato italiano sin dal suo documento originario: la Costituzione del 1948, perché essa non fu mai votata dal popolo similmente a quanto avviene nei paesi democratici. Oggi, a rafforzare quanto già scritto, richiamiamo e commentiamo la sentenza del 30 giugno 2009, della Corte costituzionale tedesca in materia di unificazione europea, perché i princìpi di sovranità popolare (non della ‘sovranità’ dei ‘rappresentanti’) in essa espressi ci appaiono illuminanti ed incontrovertibili.
Gli indipendentisti, dunque, sono legittimati ad andarsene da uno stato che non ha mai risposto ai più basilari princìpi democratici. Semmai, i loro sforzi dovranno essere concentrati – a nostro parere – alla realizzazione di una nuova Carta costituzionale, di nuovi Statuti per gli Enti locali, di nuovi Codici civile e penale. I primi due strumenti, questi sì, da porre a referendum popolare quale Condicio sine qua non, ovvero condizione senza la quale non si può verificare una legittima, democratica e nonviolenta indipendenza. Ai partiti e movimenti indipendentisti – sempre secondo la nostra opinione – spetterà, semmai, il compito d’informare e “formare” l’opinione pubblica per ottenerne il consenso (anche elettorale) e le eventuali modifiche o implementazioni alle “Charte” suddette.
La questione sottoposta alla Corte costituzionale tedesca (1) riguardava la possibilità che le nuove competenze attribuite dal Trattato di Lisbona alle istituzioni comunitarie (e sottratte dunque al livello statale) svuotassero di contenuto i principi democratici sui quali si fonda l’ordinamento tedesco, privando i cittadini del potere di influire sulle scelte determinanti per il loro futuro. Queste ultime, secondo i ricorrenti, sarebbero state in effetti in ultima analisi prese non da istituzioni nazionali responsabili di fronte ai cittadini, ma da istituzioni europee non legittimate democraticamente.
La Corte, già del 1990 in occasione del Trattato di Maastricht, aveva sottolineato la natura prettamente internazionalistica della struttura comunitaria, mettendo in luce come l’Unione europea non si fondasse su un popolo europeo, bensì traesse la propria legittimazione dagli Stati membri e dai loro popoli. Gli Stati, in altre parole, rimanevano, secondo la Corte, «padroni dei Trattati», potendoli modificare solo all’unanimità e mantenendo il potere di recedere da questi, ossia di riappropriarsi delle competenze attribuite alle istituzioni comunitarie.
Qui ci pare necessaria una prima puntualizzazione: secondo i nostri ‘rappresentanti’ (ovvero un Parlamento di nominati, ed in parte da condannati per vari reati, alcuni anche gravi) i Trattati sembrano immodificabili e non scioglibili o annullabilii.
Nella sentenza del 30 giugno 2009 i medesimi principi vengono ribaditi alla luce della futura entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Nella sentenza si legge infatti che le innovazioni introdotte da tale Trattato non incidono in modo sostanziale né sul meccanismo di revisione, né sulla natura delle competenze dell’Unione. La nuova procedura di revisione dei Trattati, che prevede la convocazione di una Convenzione composta, oltre che dai rappresentanti dei governi, dai rappresentanti dei parlamenti nazionali e delle istituzioni comunitarie, si fonda in effetti ancora su meccanismi intergovernativi, dal momento che le modifiche entreranno in vigore solo se approvate da una conferenza dei rappresentati degli Stati e ratificate da tutti gli Stati membri. D’altro lato, quanto alle competenze, il Trattato di Lisbona resta fondato sul principio di attribuzione, cioè sul principio secondo il quale l’Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite. Il potere di determinare i limiti della competenza comunitaria (Kompetenz-Kompetenz) rimane dunque saldamente nelle mani degli Stati membri.
Una seconda puntualizzazione: l’Italia sembra accettare acriticamente ogni ‘direttiva’ dell’Ue. In più: nessun limite – sinora – è mai stato posto all’intervento dell’Ue da parte dell’Italia.
Come sottolinea la Corte, l’Unione europea mantiene quindi, anche dopo Lisbona, una natura confederale, essendo un’organizzazione fondata sulla cooperazione tra Stati sovrani, ovvero sull’accordo tra questi.
Il primo mito che la Corte contribuisce a sfatare è dunque quello secondo il quale l’Unione europea sarebbe un’organizzazione sui generis, distinta sia dalle Confederazioni di Stati sia dagli Stati federali, essendo più evoluta e più complessa delle prime, e caratterizzandosi, rispetto ai secondi, per un frazionamento della sovranità tra Stati membri e livello centrale, se non per un superamento del concetto di sovranità nel senso classico del termine.
Si tratta di affermazioni, queste ultime, che in realtà confondono il concetto di sovranità con quello di autonomia. Mentre un ente è dotato di autonomia quando può esercitare determinati poteri in modo indipendente ma derivato, nel senso che tale potere gli viene conferito da altri soggetti che possono in qualsiasi momento riappropriarsene, la sovranità implica che l’esistenza dell’entità di cui si discute sia indipendente dalla volontà di altri soggetti. Una volta creato, l’ente sovrano non dipende più dai soggetti che lo hanno costituito e ne sono membri, bensì acquisisce esso stesso il potere di autodeterminarsi. Il processo di creazione di uno Stato federale comporta quindi che gli Stati, una volta dato vita a questo, siano privati del potere di condizionarne l’esistenza; le strutture di carattere confederale, al contrario, una volta costituitesi, e per quanto evolute esse siano, rimangono fondate sulla volontà degli Stati che le hanno create.
Ora, per quanto la struttura dell’Unione europea sia più complessa di quella delle altre organizzazioni internazionali esistenti, è tuttora al concetto di autonomia – e non a quello di sovranità – che si deve far riferimento per descriverne la natura. L’esistenza dell’Unione e il suo funzionamento dipendono infatti dalla volontà degli Stati che all’Unione hanno dato vita e che ne sono membri. Il processo di unificazione europea non è dunque irreversibile, perché gli Stati membri rimangono liberi, indipendentemente dalla volontà delle istituzioni comunitarie, di riappropriarsi dei poteri che all’Unione erano stati conferiti. Quest’ultima possibilità, implicita nella natura stessa della costruzione comunitaria, è addirittura prevista esplicitamente nel trattato di Lisbona, che stabilisce che la procedura di revisione dei trattati possa avere come conseguenza non solo l’accrescimento, ma anche la riduzione (e dunque la riappropriazione da parte degli Stati) delle competenze dell’Unione. Così come è il Trattato di Lisbona a prevedere la possibilità per gli Stati membri di recedere dall’Unione stessa.
La presenza nell’Unione europea di alcuni caratteri considerati tipici di uno Stato federale non smentisce quanto appena affermato. Ogniqualvolta si scavi infatti sotto la superficie, ci si avvede della circostanza che le istituzioni comunitarie non sono in alcun modo paragonabili a quelle di uno Stato federale, in quanto è dal consenso degli Stati che il funzionamento dell’Unione europea dipende.
Due esempi chiari in questo senso sono forniti dallo stesso Bundesverfassungsgericht,quando esso fa riferimento al ruolo del Parlamento europeo e al principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, esso, secondo la Corte, non fornisce all’Unione una legittimazione democratica pari a quella garantita all’interno di uno Stato democratico dall’organo rappresentativo dei cittadini. In primo luogo, perché si tratta di un’istituzione che non rappresenta i cittadini europei su un piede di parità: la distribuzione dei seggi tra gli Stati nel Parlamento europeo non segue infatti un rigido criterio di proporzionalità rispetto alla popolazione, bensì, per garantire un equilibrio tra gli Stati stessi, si fonda sul principio secondo il quale il numero di cittadini rappresentato da un parlamentare europeo è più alto negli Stati più popolosi, i cui cittadini risultano in questo modo essere sotto rappresentati. Come nota la Corte costituzionale tedesca, un simile squilibrio in uno Stato federale potrebbe essere tollerato solo nell’ambito della Camera degli Stati, mentre nella Camera bassa il principio dell’uguaglianza tra i cittadini deve essere sempre garantito: più che rappresentare il popolo europeo, il Parlamento rappresenta dunque i popoli d’Europa organizzati nei loro rispettivi Stati membri.
Il ruolo prioritario degli Stati nel funzionamento dell’Unione è d’altronde la ragione per la quale il Parlamento europeo ha un ruolo profondamente differente da quello di un parlamento nazionale. La democrazia all’interno di uno Stato si concreta infatti non solo nell’attribuzione ai cittadini del diritto di eleggere un Parlamento (come avviene nell’Unione europea), ma anche nella possibilità per gli stessi, attraverso i loro rappresentanti, di nominare un governo che risponda del proprio operato davanti ai cittadini. Ora, il Parlamento europeo è privo di tale potere perché le decisioni fondamentali per la vita dell’Unione sono prese dal Consiglio europeo e dal Consiglio (che costituiscono dunque il governo dell’Unione, in senso sostanziale), e cioè da due organi che per definizione rappresentano gli Stati su un piede di parità e sono sottratti a qualsiasi controllo democratico a livello sopranazionale. Se di legittimazione democratica dell’Unione da parte del Parlamento europeo si può parlare, si tratta dunque di una legittimazione alquanto imperfetta.
Il Bundesverfassungsgericht non nega infatti che l’Unione europea possa trasformarsi in uno Stato federale. Ciò che nega invece è che tale trasformazione possa avvenire mediante un graduale trasferimento di competenze dal livello nazionale al livello comunitario e senza un atto cosciente dei governi sostenuto dal consenso manifesto dei cittadini.
Nella sentenza, in altre parole, si affronta esplicitamente (contrariamente a quanto la Corte aveva fatto nella pronuncia relativa al trattato di Maastricht) il nodo del potere costituente, e dunque del passaggio di sovranità.
In effetti, non è pensabile che all’Unione europea vengano attribuite le competenze che costituiscono il nucleo della sovranità statale senza che essa muti la propria natura e si trasformi in uno Stato, e dunque in un’organizzazione dotata di un governo democratico, responsabile dinanzi ai cittadini. Ora, tale trasformazione può avvenire, secondo il Bundesverfassungsgericht, solo attraverso una rottura delle regole esistenti. La decisione di dar vita a un nuovo ente sovrano non potrà in altre parole essere presa dai rappresentanti degli Stati membri all’interno delle istituzioni comunitarie né dagli Stati tramite l’ordinaria procedura di revisione dei Trattati, ma dovrà essere adottata dai cittadini al di fuori dei meccanismi previsti dalle norme nazionali e comunitarie in vigore: si tratterebbe infatti della volontà di dar vita a una nuova forma di organizzazione politica dell’Europa, volontà che non può essere considerata implicita nelle limitazioni di sovranità alle quali i cittadini europei, attraverso i loro Parlamenti nazionali, hanno acconsentito al momento della ratifica dei vari Trattati che hanno segnato le tappe del processo di integrazione. Poiché si tratta di fondare un potere nuovo, i cittadini devono riappropriarsi del potere costituente per esercitarlo nel nuovo quadro.
Ennesima osservazione e sottolineatura: la Corte costituzionale tedesca rivendica il potere costituente del popolo. In questo caso lo fa per l’Ue, ma ovviamente è cogente per la costruzione di qualsiasi altra entità statuale sia essa federale che confederale o altro, cioè a dire anche per la Repubblica italiana. E qui ci riannodiamo a quanto detto in apertura: l’Italia è uno stato illegittimo, poiché la sua carta ‘originaria’ e fondante (la Costituzione) non è mai stata votata dagli italiani.
È questa, secondo la Corte, l’unica soluzione in grado di evitare una «sospensione» delle regole democratiche e dunque di garantire, in ogni fase del processo, il diritto dei cittadini di partecipare alle scelte fondamentali per il loro futuro.
Come già sottolineato, è impensabile che un simile potere venga attribuito al livello sopranazionale senza la creazione di un vero e proprio governo, responsabile di fronte ai cittadini, e dunque senza la creazione di uno Stato federale europeo. Ed è altresì impensabile che la creazione di quest’ultimo si realizzi senza che i cittadini siano chiamati a prendere parte a una scelta che, modificando radicalmente l’organizzazione politica del continente europeo e trasferendo la sovranità dagli Stati nazionali a una nuova entità di carattere federale, inciderà profondamente sul loro futuro.
In questo contesto, l’alternativa messa in luce dalla Corte costituzionale tedesca tra mantenimento dell’attuale struttura confederale fondata sui trattati esistenti e decisione di dar vita – attraverso un atto di rottura – a uno Stato federale, è dunque più che mai ineludibile. Non solo perché la decisione di cedere la sovranità a favore di uno Stato federale europeo, essendo una scelta fondamentale per il futuro dei cittadini e dando vita a una nuova forma di convivenza politica, non potrà essere camuffata da decisione tecnica e adottata attraverso meccanismi contrari alle più elementari regole della democrazia, ma spetterà al popolo in quanto detentore in ultima istanza della sovranità.
In conclusione ci sembra sufficientemente illustrato e rafforzato il concetto di sovranità popolare che, nel caso della Costituzione italiana è stato sottratto ai cittadini.
Ad ulteriore rafforzamento del concetto di sovranità popolare effettivamente esercitato, qui di seguito la cronologia storica delle Iniziative e Referendum (I & R) in USA:
1775
Nella sua proposta di Costituzione per lo Stato della Virginia, Thomas Jefferson prevede la condizione che la Costituzione deve essere approvata dagli elettori in un referendum in tutto lo stato prima che possa avere effetto. Purtroppo, poiché i delegati della Virginia erano a centinaia di miglia dalla Virginia al momento del Congresso Continentale, non ricevettero la proposta che dopo la fine della convenzione.
1776
I delegati della Georgia si riuniscono a Savannah per redigere la Costituzione del loro stato. La Costituzione contiene una disposizione che consente modifiche ogni volta che la maggioranza degli elettori di ogni contea firmato petizioni per chiedere una convenzione, ma la disposizione non viene mai esercitata.
1778
Il Massachusetts diventa il primo stato ad indire un referendum statale legislativo per adottare la sua Costituzione. Gli elettori lo rifiutano con un lieve margine, costringendo il legislatore a riscrivere la sua proposta.
1792
Il New Hampshire diventa il secondo stato di indire un referendum statale legislativo per adottare la sua Costituzione.
1830
Gli elettori della Virginia richiedono il potere di veto sulle modifiche alla loro Costituzione, e questo viene dato.
1834
Alabama, Connecticut, Georgia, Maine, Mississippi, New York, North Carolina, Rhode Island adottano disposizioni intese a prevenire il fatto che le loro Costituzioni statali possano essere modificate senza il consenso degli elettori.
1848
La Costituzione Svizzera del 1848, contiene disposizioni per iniziativa e referendum popolare.
1857
Il Congresso delibera che gli elettori devono approvare tutte le Costituzioni statali proposte dopo il 1857.
1885
Padre Robert Haire, sacerdote e attivista del lavoro da Aberdeen, South Dakota, e Benjamin Urner, un editore di giornali del New Jersey diventano i primi americani a proporre di dare al popolo l’iniziativa in tutto lo stato e il potere referendum popolare.
1897
Il Nebraska diventa il primo stato a permettere di utilizzare nelle sue città l’iniziativa ed il referendum popolare.
1897
Il Sud Dakota diventa il primo stato ad adottare l’iniziativa confermata dal referendum popolare.
1900
Lo Utah diventa il secondo stato ad adottare l’iniziativa e referendum popolare.
1901
Il legislatore dell’Illinois crea una iniziativa statale di consulenza non vincolante. [si tratta del referendum “consultivo” ancora presente in moltissimi Statuti di Comuni, Province e Regioni italiani. Ndr]
1902
L’Oregon diventa il terzo stato di adottare l’iniziativa e referendum popolare. In Illinois, tramite referendum, il legislatore chiede di utilizzare l’iniziativa statale di consulenza non vincolante. Gli elettori dicono di sì, ma il legislatore li ignora.
1904
L’Oregon è il primo stato a mettere una iniziativa statale sulla scheda elettorale. In Missouri, gli elettori rispondono negativamente ad una misura che avrebbe stabilito l’iniziativa e referendum popolare.
1905
Il Nevada adotta solo il referendum popolare in tutto lo stato.
1906
Il Montana adotta l’iniziativa e referendum popolare. Gli elettori del Delaware approvano un referendum consultivo nel quale il legislatore statale chiedeva se vogliono l’iniziativa; ma il legislatore ignora il mandato.
1907
L’Oklahoma diventa il primo stato a sancire nella sua Costituzione originaria l’iniziativa e referendum popolare
1908
Michigan e Maine adottano l’iniziativa e referendum popolare. Purtroppo, in Michigan le procedure per l’iniziativa sono così difficili che i cittadini non sono in grado di mettere una singola iniziativa sulla scheda elettorale. Missouri adotta l’iniziativa e referendum popolare.
1910
Arkansas e Colorado adottano l’iniziativa e referendum popolare. Il Kentucky adotta il referendum popolare in tutto lo stato. Gli elettori dell’Illinois approvano ancora una volta il referendum consultivo a sostegno dell’iniziativa e di referendum popolare, ed il legislatore li ignora di nuovo.
1911
Arizona e California adottano l’iniziativa e referendum popolare. Il New Mexico adotta solo referendum popolare in tutto lo stato.
1912
Idaho, Nebraska, Ohio e Washington adottano l’iniziativa e referendum popolare. Il Nevada adotta un processo di iniziativa, perfezionando il processo di referendum popolare in tutto lo stato adottato nel 1905. La maggioranza degli elettori Wyoming vota un emendamento costituzionale per adottare l’iniziativa e referendum popolare ma per approvare l’emendamento è necessario che tutte le modifiche ricevano il voto della maggioranza di tutti gli aventi diritto, in tal modo il provvedimento non riesce. La maggioranza degli elettori Mississippi vota un emendamento costituzionale per adottare l’iniziativa e referendum popolare anche per approvare l’emendamento. Come nel Wyoming, c’è l’obbligo costituzionale che tutte le modifiche ricevano il voto di maggioranza di tutti gli aventi diritto alle elezioni, per cui la misura è sconfitta.
1913
Nel Michigan i sostenitori dell’iniziativa e dei referendum popolari fanno pressioni sul legislatore per far passare quegli emendamenti tesi a semplificare l’iniziativa in tutto lo stato e il processo per i referendum popolari, un processo così difficile che è inutilizzabile. Il legislatore passa gli emendamenti e gli elettori li approvano.
1914
Mississippi e North Dakota adottano l’iniziativa e referendum popolare. Gli elettori del Wisconsin e del Texas sono sconfitti sulle misure che introducono l’iniziativa e il processo di referendum popolare. La maggioranza degli elettori Minnesota vota un emendamento costituzionale per adottare l’iniziativa e referendum popolare. L’emendamento è approvato, ma la Costituzione del Minnesota richiede che tutte le modifiche ricevano il voto della maggioranza di tutti gli aventi diritto al voto. In tal modo il provvedimento non riesce.
1915
Maryland adotta il referendum popolare.
1916
La maggioranza degli elettori del Minnesota votano su un emendamento costituzionale per adottare l’iniziativa e referendum popolare. Ancora una volta perdono di misura, perché non ha votato la maggioranza di tutti gli aventi diritto.
1918
Il Massachusetts adotta l’iniziativa e referendum popolare. Nel Nord Dakota votano e approvano un processo di iniziativa più clemente. L’emendamento approvato dagli elettori del Nord Dakota nel 1914 aveva procedure così rigorose che nessuna iniziativa era stata resa possibile. Nel 1918 sono facilitate le procedure.
1922
In Mississippi la Suprema Corte ribalta l’iniziativa del Mississippi e il processo di referendum popolare.
1956
L’Alaska adotta l’iniziativa e referendum popolare come parte della sua nuova Costituzione.
1968
Il Wyoming adotta l’iniziativa e referendum popolare.
1970
L’Illinois adotta un processo di iniziativa molto limitato.
1972
La Florida adotta l’iniziativa.
1977
Hardie contro Eu è deciso dalla Corte Suprema della California che trova un “tappo incostituzionale” nella legge di riforma politica in materia di spese per la qualificazione delle misure elettorali in quanto esso viola il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Il Distretto di Columbia adotta l’iniziativa e di referendum popolare. La Corte Suprema degli Stati Uniti decide in merito alla controversia First National Bank di Boston contro Bellotti in merito a quelle leggi statali che vietano o limitano contributi aziendali o di spesa nelle campagne d’iniziativa. Si tratta delle prime modifiche alla Costituzione degli Stati Uniti.
1980
Per la terza volta, la maggioranza degli elettori Minnesota votano su un emendamento costituzionale per adottare l’iniziativa e referendum popolare, ma per la terza volta la Costituzione del Minnesota impone il requisito che tutti gli emendamenti debbano ricevere il voto di maggioranza di tutti gli elettori. La Corte Suprema degli Stati Uniti decide sulla controversia Pruneyard Shopping Center contro Robins in merito alla disposizioni costituzionali che permettono l’attività politica in una proprietà privata (centro commerciale). Essa non viola i diritti costituzionali federali di proprietà privata e del proprietario.
1981
La Corte Suprema degli Stati Uniti decide sulla controversia Citizens Against Affitto di controllo contro Berkeley. L’ordinanza di una città della California che impone un limite sui contributi alle commissioni costituite per sostenere o opporsi a misure elettorali viola il Primo Emendamento.
1986
Nel Rhode Island gli elettori rigettano una misura che stabilisce dei limiti all’iniziativa e al referendum popolare.
1988
La Corte Suprema degli Stati Uniti decide sulla controversia Meyer contro Grant deliberando che gli stati non possono vietare la raccolta di firme a pagamento, e sancendo che le petizioni di iniziativa sono protette come attività politica.
1992
Il Mississippi adotta l’iniziativa per la seconda volta.
1996
Nel Rhode Island gli elettori approvano un non vincolante referendum consultivo dove il legislatore chiedeva se si desidera avere l’iniziativa e il referendum popolare; ma il legislatore poi ignora l’esito referendario.
1998
L’ Istituto di iniziativa e referendum popolare (I & R) propone, in occasione dell’anniversario dei 100 anni di adozione in più stati, l’idea di adottare il processo referendario popolare a livello federale negli Stati Uniti.
1999
La Camera dei Rappresentanti del Minnesota approva un emendamento costituzionale che stabilisce l’iniziativa e il referendum popolare. Il Senato aveva votato contro. La Corte Suprema delibera sulla controversia Fondazione Buckley contro American Law, tra le altre cose, gli Stati non possono esigere che i promotori di una petizione registrino gli elettori.
2000
L’ Istituto di iniziativa e referendum (I & R) si schiera contro la proibizione della US Postal Service alla raccolta di firme a mezzo posta. Gli elettori dell’Oregon respingono le norme statali che cercano di aumentare il numero di firme per le iniziative.
2001
Il legislatore Oklahoma passa la norma che prevede per le iniziative di protezione degli animali una raccolta maggiore di firme rispetto a qualsiasi altro tipo di iniziative. Il legislatore del Montana approva una legge che aumenta i requisiti per le petizioni e l’iniziativa.
2002
La Corte Federale Distrettuale dell’Idaho invalida i requisiti draconiani per le petizioni e l’iniziativa. La Camera dei Rappresentanti del Minnesota passa un emendamento proposto da I & R. Il Senato dello stato di New York passa un emendamento proposto da I & R.
Conclusione:
Nel 2011 gli elettori hanno deciso 34 proposizioni elettorali, approvandone 22. Il quesito di più alto profilo ha visto gli elettori dell’Ohio abrogare una nuova legge che avrebbe limitato la contrattazione collettiva dei dipendenti pubblici che ritenevano necessari più alti contributi per la loro assistenza sanitaria ed i loro piani di pensionamento.
Nel 2011, ancora, gli elettori hanno deciso un totale di 34 quesiti referendari in nove stati. Il numero delle richieste referendarie è sceso rispetto ai 183 del 2010, ma è paragonabile alla media di 30 quesiti richiesti negli ultimi quattro anni. Gli elettori hanno approvato il 62 per cento dei quesiti proposti, più o meno in linea con il passato.
Per altre informazioni sulle richieste di referendum vedere
http://www.ballotpedia.org.