Bevande, fermenti, vini ed ebbrezze.http://www.ied-svt.it/sussidi-lezioni-2 ... d-ebbrezze Charles Baudelaire, ne I Paradisi Artificiali, definisce il vino:
“questa voce dello spirito che non è intesa se non dagli spiriti”.
Preambolo.
Ma, più in generale, che cosa sono le bevande?
Sono liquidi nutritivi che si bevono soprattutto per dissetarsi e spesso per piacere.
Gli animali non bevono che l’acqua, a parte i mammiferi, uomini compresi, che da cuccioli bevono anche il latte per potersi nutrire.
Analisi sensoriale del vino
L’acqua è una bevanda di origine minerale.
Il latte e le bevande lattee, miele compreso, con cui si prepara l’idromele, sono di origine animale. Anche il sangue animale è una bevanda soprattutto mescolato al latte o ad altre bevande. L’idromele, invece, è probabilmente la bevanda fermentata più antica e senz’altro quella che fu più popolare. Lo si trova ovunque ci siano delle api, dall’Egitto alla Scandinavia.
Tutte le altre bevande sono di origine vegetale.
Sono preparate a partire dalla frutta, dai grani, cereali in particolare, dalle foglie, dalle scorze, dalle radici, dalle infiorescenze delle diverse specie di piante. I procedimenti per arrivare a produrre queste bevande sono diversi, per pressione, centrifugazione, infusione, macerazione, fermentazione, distillazione, percolazione, eccetera.
L’acqua è la bevanda più diffusa, non apporta nessun elemento nutritivo e nessun elemento energetico.
Qualche volta, come nelle acqua così dette minerali, contiene dei sali.
Tutte le altre bevande possono apportare delle calorie sotto forma soprattutto di zuccheri e di alcol, delle proteine e delle materie grasse.
Tra le bevande sono annoverati anche i liquidi alimentari, come gli oli, gli aceti, i brodi, le zuppe liquide e i potage.
Certe bevande, di contro, sono così ricche di componenti nutritive che sono a cavallo tra una bevanda e un alimento, per esempio, le cioccolate o il kéfir.
Ci sono poi bevande al limite delle medicine, come le infusioni.
In genere le bevande si assumono nei bicchieri, nelle tazze, o in altri recipienti che possono contenerle, e si consumano da sole, durante i pasti, prima di essi o dopo.
Per molte bevande è importante la temperatura di servizio che può essere calda, a temperatura ambiente o refrigerata.
Oggi, nei laboratori di fisiologia applicata, sia per fini scientifici che commerciali, e studiata sia la risposta fisiologica, metabolica e ormonale nell’assunzione di liquidi, che le risposte psicosensoriali che possono influenzare l’assunzione volontaria.
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Prima d’iniziare a parlare del vino, dell’alcool e della degustazione delle bevande, un avvertimento che potete anche ignorare, ma non potete non conoscere.
L’alcool ingerito, salvo in rarissimi casi, fa sempre male. In nessuna sua forma gli altri componenti che con lui, in genere, formano una bevanda, possono giustificare la sua ingestione.
Il consumo di vino, soprattutto se è elevato, vale a dire più di qualche bicchiere a pasto, provoca effetti tossici, in particolare per il fegato.
L’alcool etilico, inoltre, è cancerogeno per diversi organi e tossico per l’embrione.
Chi afferma il contrario mente e chi mente in genere lo fa per due motivi, per tornaconto o per ignoranza.
Non dimenticatevi che il vino è una delle voci dell’agro-alimentare tra le più consistenti.
Non solo è quella che genera più reddito, ma è anche quella che più facilmente contribuisce a modellare gli “stili di vita” delle élite. Dunque, la loro emulazione, con il conseguente risvolto economico, politico e sociale.
Questa nota, più in generale, vale per tutte le sostanze che alterano il NSC.
Con questo, naturalmente, non voglio condannarvi ad essere astemi, anche perché questa parola merita una spiegazione.
Questa espressione fu utilizzata all’origine dalla chiesa, si applicava ai preti che un’avversione per il vino impediva loro di farne uso durante la celebrazione della messa.
Per questo erano dispensati dal berlo. La decisione fu approvata dai calvinisti, ma mandò su tutte le furie i luterani che considerarono questa dispensa un sacrilegio. Non a caso Lutero era un gran bevitore di birra e Calvino un asceta.
La parola, poi, divenne di uso generale nel XVIII secolo.
Dal punto di vista etimologico l’astemio è colui che si priva del temetum.
Il temetum come il merum erano nella Roma antica i vini puri usati per le libagioni sacre, capaci
Di provocare il furor, vale a dire la potenza guerriera e la follia. Cioè, fa uscire dall’uomo ciò che egli non vuole dire.
Detto questo, andiamo avanti.
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Analisi sensoriale del vinoL’origine del vino si confonde con la storia stessa dell’uomo, come tutte le sostanze psico-attive, e spesso affonda nelle tecniche terapeutiche tradizionali, quali quelle dello sciamanesimo. Possiamo affermare che scoprono le sostanze psicotrope solo i popoli che le cercano e che ogni popolo cerca quelle che gli sono più congeniali culturalmente.
Non a caso la cucina delle sostanze psicotrope naturali condensa millenni di errori e di esperimenti.
C’è poi anche da considerare che nelle società tradizionali l’effetto delle sostanze psicotrope corrisponde quasi sempre ad una rappresentazione della divinità o all’epifania di qualche essere mitologico.
Le sostanze psicotrope naturali, come i cactus San Pedro o peyotl (Il primo spontaneo in Ecuador e Perù e in genere in tutte le regioni andine, contiene mescalina, il secondo diffuso soprattutto nel Messico settentrionale.)
Le radici di iboga, un arbusto molto grande che cresce in Gabon, Camerun e Congo e produce effetti euforizzanti e afrodisiaci, oggi usato nei processi di disintossicazione da oppio o eroina.
Le foglie di tabacco, coca, marijuana, l’infiorescenza della canapa, o hascich.
Le liane come la Yage, una specie di vite di cui si beve il decotto della corteccia, molto diffusa in Brasile, Colombia ed Ecquador, e soprattutto i frutti e i cereali fermentati, come l’uva, i fichi, la segale, il riso, solo in rari casi hanno qualcosa a che vedere con la tabella delle sostanze stupefacenti o psicotrope del Ministero della Salute.
Di contro, invece, gli dei, che da queste sostanze prendono vita, s’inverano, hanno sempre una personalità psicotica, favoriscono l’atarassia, come l’oppio, la frenesia, come l’iboga, l’euforia come l’alcool e l’hascich, o inducono alle allucinazioni, come il peyotl.
(L’atarassia è un concetto elaborato dalle filosofie dell’esistenza, come l’epicureismo o lo scetticismo, indica l’assoluta imperturbabilità davanti alle emozioni e alle passioni.)
Gli psicotropi naturali sono raramente degli “alimenti”, in genere sono succhi, e sono bevuti come tisane, oppure, fumati o masticati.
La parola alcol deriva dall’arabo al kohl, un’espressione che serve ad indicare sia lo spirito del vino, che il fard per abbellire gli occhi, così… come non vedere nell’alcol qualcosa che abbellisce la visione e trasforma il modo di guardare il mondo?
Tra l’altro, nelle culture in cui gli psicotropi sono considerate delle sostanze magiche, queste hanno la capacità di:
“far vedere”,
di “far viaggiare” nello spazio o nel tempo,
di “insegnare delle tecniche”,
di “guarire”.
Solo il vino, invece, non serve che a dimenticare.
En passant.
Anche gli animali – a modo loro – cercano l’ebbrezza. I miei gatti, per esempio, amano la Nepeta cataria, cioè, l’erba gatta. Li fa sognare e stimola il loro comportamento sessuale. Vediamo qualche caso.
Il fenomeno più vistoso è quello legato al locoismo (dall’inglese Locoween), cioè dell’erba pazza, un erba selvatica dei campi che fa impazzire mucche, muli, cavalli pecore e, perfino, i conigli, molto diffusa in America.
Gli elefanti hanno una vera passione per l’alcol e divorano molti frutti fermentati, soprattutto di palma.
I babbuini, invece, si inebriano con i frutti rossi delle Cycadaceae. Sono piante simili alle palme, ma di fatto sono piante antichissime che hanno conosciuto i dinosauri, molto vicine alle conifere.
I mandrilli del centro Africa, come gli uomini, mangiano le radici allucinogene dell’iboga. Così fanno anche i cinghiali.
Infine le renne. Quelle siberiane si drogano con l’amanita muscaria, il fungo allucinogeno per definizione.
A questo proposito c’è qui una strana alleanza tra animali ed uomini. Siccome il principio aattivo dell’amanita muscaria finisce nell’orina in Siberia c’è una gara tra renne ed uomini a bersi le orine, della propria specie e dell’altra. A questa gara, tra l’altro, partecipano anche gli scoiattoli e le mosche, ma queste probabilmente senza volerlo.
Nelle società tradizionali o, come si diceva un tempo, primitive, l’uso delle sostanze psicotrope è legato alla nozione di metamorfosi, cioè, di trasformazione più o meno evolutiva da qualcosa a qualcosa d’altro.
Se lo spirito è anche dentro una pianta, allora, deve esistere un ponte tra l’universo vegetale e quello animale.
(Da qui la credenza di molte società sciamaniche che la specie umana deriva da certi vegetali, che i viaggi a ritroso dello sciamano, attraverso la tappa animale, possono vedere.)
Nella stessa tradizione greca, Dioniso, il dio delle vigne, il dio-vino, spesso è rappresentato nella sua natura vegetale che è quella del grappolo d’uva.
Dal punto di vista del food-design l’alcol ha, oggi, molti significati culturali tra i quali spiccano, da una parte, quello di mediatore culturale, dall’altra, di panacea sociale.
Come mediatore culturale esprime le difficoltà di molti uomini e donne a posizionarsi nell’ambito di una cultura che privilegia le classificazioni sociali e su queste classificazioni impone una scelta. Si è bambini o grandi, uomini o donne, morti o vivi, ricchi o poveri, fortunati e sfortunati, pro o contro, dicotomie che sono, allo stesso tempo, fondamentali e risibili.
L’alcol come panacea consente, al pari dei sogni, di sostituire il determinato con il possibile. Mette a nudo le sconfitte della vita corrente, ma consente la persistenza della speranza.
Se poi pensiamo all’alcol sotto l’aspetto della psicologia sociale esso ci appare come uno strumento di teatralizzazione della scena sociale.
Una scena sulla quale esalta i processi primari, quelli che regolano la vita culturale e la coesistenza tra l’oggettivo e il soggettivo o se preferite, tra l’azione e il sentire.
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Non sono stati i greci ad inventare il vino, tuttavia essi hanno fatto molto per questa bevanda. Gli hanno attribuito un dio, Dioniso, rendendola una bevanda immortale.
Di fatto, ancora oggi non sappiamo con precisione di dove sia originaria la vitis vinifera, cioè, l’unica pianta che produce i grappoli con i quali facciamo il vino.
La Bibbia (Genesi, 9, 20s.) fa risalire la cultura della vite e il vino a Noè, che è separato da Adamo ed Eva da sole dieci generazioni ed è descritto come un ubriacone ed anche molto famoso, perché lo stesso dice il Cantico dei Cantici. A suo favore S. Ambrogio scrive che Noè coltivò la vite cercando il voluttuario perché Dio gli avrebbe dato il necessario.
Un altro grande ubriacone biblico è Loth, nipote di Abramo, che beve si ubriaca ed ha una relazione incestuosa con le sue due figlie.
Va tenuto presente però che, nell’Eclestiastico, la vite è un simbolo di sapienza.
Ancora oggi il sabato ebraico inizia con un atto di benedizione che si fa salmodiando mentre si beve un sorso di vino da un unico bicchiere passato da mano in mano tra i membri della famiglia.
(En passant. Il vino Kasher non deve contenere ingredienti proibiti come grassi, vitamine, conservanti ricavati da animali proibiti. Non deve essere corrotto da sostanze lievitanti. Deve essere lavorato esclusivamente da ebrei.)
Sempre a proposito della Bibbia c’è in Isaia una nota sui Cananei, che vivevano in quella regione che comprende grossomodo Libano, Palestina, Israele, Siria e Giordania, soggiogati dagli israeliti che però assorbirono la loro lingua e parte della loro religione.
Si racconta di una cerimonia detta marzeah, una cerimonia bacchica e orgiastica durante la quale costoro “ barcollano per il vino e le bevande inebrianti, hanno allucinazioni, (e) sulle loro tavole c’è vomito dappertutto…”.
Il Libro dei proverbi dice, “(il vino) morde come un serpente, pizzica come una vipera” (24).
Una nota. Quello che qui diremo sul vino si basa su due forme di testimonianza.
– le fonti letterarie ed epigrafiche dirette e indirette, cioè notizie riportate da altre opere.
– i ritrovamenti dell’archeologia rurale, soprattutto per quanto riguarda la coltivazione delle viti e dell’uva e gli strumenti per la loro lavorazione.
Per esempio, sono numerose le evidenze archeologiche sulla produzione del vino testimoniata dai pigiatoi in pietra o dalle parti in pietra dei torchi. Così come sono importanti per comprendere il commercio del vino e il suo trasporto le anfore, contenitori che con i loro timbri ed epigrafi consentono spesso di determinare la datazione e le città di provenienza.
Dato poi il carattere ideologico-religioso del consumo del vino nel mondo antico è di notevole interesse il vasellame usato soprattutto durante i banchetti.
Un altro indicatore interessante si ritrova, poi, nelle tombe, in particolare maschili, costituito dall’associazione anfora-cratere-kylix.
I crateri erano recipienti di notevoli dimensioni usati per mescolare il vino con l’acqua.
I kylix – da cui il latino calix, calice, era il recipiente più comune per bere a forma di coppa piatta con gambo e piede circolare.
La vite, anche se non sappiamo di che tipo, cresceva già in Europa a partire dalla fine del Miocene, cinque milioni di anni fa, lo provano alcune impronte di foglie di vite nel tufo trovate vicino a Montepellier.
Per convenzione e a stare alle tracce più antiche, i primi documenti sulla vite coltivata risalgono a settemila anni fa e la collocano nel Caucaso meridionale, tra la Turchia, l’Armenia e l’Iran.
Di contro, i primi documenti sul vino sono egiziani e risalgono a circa tremila anni fa, in particolare, ci sono dei basso-rilievi, di duemila e cinquecento anni fa, che mostrano delle scene di vendemmia e di pigiatura.
Semi di un grappolo d’uva che possiamo definire provenienti da una vite prae-vinifera sono stati trovati a Castiona, in un sito mesolitico, vicino Mantova. Hanno più di seimila anni.
Nel 1996, nel villaggio neolitico di Hajji Firuz Tepe, sui monti Zagros, nell’Iran settentrionale, sono state scoperte sei giare di circa trenta centimetri d’altezza, una delle quali conteneva una sostanza secca, resinata, proveniente da grappoli d’uva schiacciati.
Documenti sulla coltivazione della vita sono stati rinvenuti nel sito dell’antica Ebla, una cittadina vicino ad Aleppo in Siria.
Mentre la citazione più antica sul commercio del vino via mare risale al secondo millennio prima dell’era comune e si riferisce alle città-stato di Canaan, che lo spedivano attraverso l’antico porto di Ugarit, in Siria, ai confini con la Turchia.
Oggi, per riassumere, si tende a fissare l’età del vino e, soprattutto, la sua produzione su larga scala a circa quattromila anni fa. Sono comunque date da considerare con cautela.
La storia viticola nel Mediterraneo italiano ha un inizio letterario: Il canto IX dell’Odissea.
Dalla descrizione dell’isola dei Ciclopi e dell’ubriacatura di Polifemo si comprende che nel Mediterraneo c’erano perlomeno due viticulture.
Quella orientale, che produceva vini forti e scuri, quale il vino di Ismaro prodotto in Tracia regalato ad Ulisse da Marone e che fa ubriacare Polifemo perché non era abituato a questi vini ad alta gradazione.
Quella rappresentata dall’isola dei Ciclopi, oggi identificata con la zona di Aci Trezza, in Sicilia. Era una viticoltura quasi spontanea fondata sulla raccolta dell’uva selvatica.
Del resto, il culto mistico di Dioniso (Bacco) non si diffonde nell’Italia meridionale se non dopo la seconda guerra punica.
Dioniso è il dio della forza produttiva della natura, il portatore della civiltà e l’amante della pace.
Egli compare sempre assieme alle Baccanti, che sono donne a lui devote, che suonano i tamburelli e i cimbali e si abbandonavano a danze sfrenate.
Danze destinate ad invocare la fertilità dei campi e ad esaltare lo spirito religioso dell’uomo. In breve, sono le protagoniste di feste a scopo propiziatorio che oggi conosciamo come baccanali.
Con l’avvento del cristianesimo queste feste divennero religiose, molte delle quali in forma di processione come ringraziamento per i buoni raccolti.
In questo senso, per fare un esempio, la festa della Madonna del Pollino è una festa che s’innesca su un baccanale, esattamente come la festa di Piedigrotta a Napoli.
Il vino prodotto allora era assolutamente diverso da quello che conosciamo oggi. A causa della bollitura a cui veniva in genere sottoposto era sciropposo, dolce e molto alcolico. Ecco perché si allungava con l’acqua e lo si speziava o lo si tagliava con il succo di bacche rosse, come quelle di rovo.
Le vigne allo stato selvaggio o, lambrusche, erano diffuse sia in Europa che nelle Americhe, quelle americane sono poi evolute verso la specie fox grape, quella i cui acini hanno un vago sentore di volpe e che noi chiamiamo uva americana.
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