El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

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Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:36 am

Il sionismo non è invasione degli ebrei e nemmeno colonialismo ebraico ma un recupero per gli ebrei rimasti in Israele e un ritorno per gli ebrei perseguitati della diaspora
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Canan, Pałestina, Judea, Ixrael
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Immagine
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... a-1870.jpg



Il 14 Maggio 1948 nasce lo Stato d’Israele
Nia Guaita

https://www.facebook.com/niaguaitaoffic ... 7313319488

Il 14 Maggio 1948 nasce lo Stato d’Israele. Nel 1947, l'Assemblea delle Nazioni Unite stabilì la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo in Palestina, con la città di Gerusalemme sotto l'amministrazione diretta dell'ONU. La dichiarazione venne accolta con favore dagli ebrei, mentre gli Stati arabi proposero la creazione di uno Stato unico federato, con due governi. Tra il dicembre del '47 e la prima metà di maggio del '48 vi saranno cruente azioni di guerra civile da ambo le parti. Il 14 maggio del 1948, venne dichiarata dal leader David Ben Gurion, la nascita dello Stato di Israele, ufficialmente entrato in essere il 15, quando, alla mezzanotte, terminò il precedente mandato britannico. Lo stesso giorno gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, attaccarono il neonato Stato di Israele ma l'offensiva venne bloccata dall’appena sorto esercito israeliano e le forze arabe vennero costrette ad arretrare. La guerra, che terminò con la sconfitta araba nel maggio del 1949, diede origine a quella che resterà la causa degli scontri successivi: più di 700.000 profughi arabi. In seguito all'armistizio ed al ritiro delle truppe israeliane, l'Egitto occupò la striscia di Gaza, mentre la Transgiordania occupò la Cisgiordania, assumendo il nome di Giordania. Negli anni immediatamente successivi, dopo l'approvazione nel 1950 della “Legge del Ritorno” da parte del governo israeliano, si potè assistere ad una forte immigrazione, che porterà al raddoppio della popolazione di Israele. Il sostegno emotivo e politico più importante venne per gli ebrei (dopo la nascita dello Stato nazionale) dagli Stati Uniti. Il Governo Britannico del dopoguerra, non aveva la forza necessaria per controllare la situazione o trovare una mediazione con la quale soddisfare sia ebrei che arabi. Capacità che purtroppo, non furono neppure degli Stati Uniti nè di altri. Era iniziata una delle più gravi questioni del novecento, quella degli arabi e degli ebrei della Palestina.



Winston Churchill, Giugno 1922

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 9283121428

"Quando ci si chiede cosa si intende con lo sviluppo della Patria Nazionale Ebraica (Jewish National Home) in Palestina, si può rispondere che non si tratta dell’imposizione di una nazionalità ebraica sull’insieme della Palestina, ma un ulteriore consolidamento della già esistente comunità ebraica, coadiuvato dagli ebrei in altre parti del mondo, perchè possa diventare un centro da cui tutto il popolo ebraico, sulle basi della religione e della razza, tragga interesse e orgoglio. Ma perchè questa comunità possa avere la migliore prospettiva di libero sviluppo e perchè il popolo ebraico abbia la piena opportunità di mostrare le proprie capacità, è essenziale sapere che si trova in Palestina per diritto e non per tacito assenso“
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:38 am

El monte Sion

https://it.wikipedia.org/wiki/Sion_%28monte%29

Immagine
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ ... bu_Tor.jpg

Il monte Sion è una altura, di 765 metri sul livello del mare, sulla quale nacque il nucleo originario dell'attuale città di Gerusalemme.
Si trova a Sud-Est dell'attuale Gerusalemme nella zona chiamata Città di David; a Sud, dalla valle del fiume Hinnon, detta Geenna, e a Est dalla valle del fiume Cedron.
La popolazione canaanea dei Gebusei vi fondò un villaggio, il cui nome potrebbe essere stato già la variante locale di Gerusalemme, sebbene alcuni fanno derivare la paternità di questo appellativo al re Davide.

Gerusalemme deriverebbe dalle radici ur, cioè altura, montagna, e shlm, pace: quindi monte (poi città) della pace.

Il nome di Sion, meno altisonante e di uso più popolaresco, è rimasto comunque vivo nella memoria delle genti, utilizzato soprattutto nella poetica, affiancandolo più spesso a figure femminili, agili ed eteree. La figura da "desiderare" è stata nel tempo convertita, durante la diaspora ebraica, nella Terra Promessa, casa perduta tanto bramata.

Il Sionismo ha reso più pragmatico questo sogno romantico.

Per i cristiani il monte Sion era il luogo privilegiato delle loro riunioni in Gerusalemme, dov'era collocato il Cenacolo. Dal momento, però, che la tradizione cattolica individua il luogo del Cenacolo a Sud-Ovest dell'attuale Gerusalemme sul monte "di Gareb", al di fuori quindi del monte Sion e dalla Città di David, nel IV sec. il monte "di Gareb" è stato rinominato dai cristiani la "Nuova Sion", la "Nuova Gerusalemme", ovvero il centro del nuovo popolo di Dio. Per tale motivo i cristiani cattolici chiamano "Monte Sion" o "Sion Cristiano" il monte "di Gareb" su cui sorge il Cenacolo.

Sul monte sorge anche la Basilica della Dormizione di Maria e la presunta Tomba di Davide.



Sionixmo
https://it.wikipedia.org/wiki/Sionismo
Il sionismo è un movimento politico internazionale il cui fine è l'affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico mediante l'istituzione di uno Stato ebraico , inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno.
Il movimento, nato alla fine del XIX secolo tra gli ebrei residenti in Europa, fu importante ma minoritario nel mondo ebraico per tutta la prima metà del XX secolo, per poi divenire maggioritario in seguito alla Shoah. Dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1947, in cui oggi vive circa il 30% degli ebrei del mondo, il sionismo si è trasformato in movimento di sostegno internazionale alla costituzione di tale Stato, oltre a continuare il tradizionale aiuto all'immigrazione in Israele (aliyah). Oggigiorno, il termine "sionista" viene applicato a varie fazioni politiche israeliane, sia di sinistra e sia di destra, le quali hanno in comune il sostegno dello stato d'israele come entità ebraica.

Nel corso dei secoli, c'è sempre stata una corrente migratoria ebraica verso la Palestina, motivata essenzialmente da ragioni religiose. L'immigrazione sionista, di natura laica, è invece una conseguenza molto più tarda dell'emancipazione degli ebrei europei nel corso della rivoluzione francese (1791) e per tutto il XIX secolo fino alla rivoluzione russa (1917), e delle reazioni ostili alla conseguente tendenza degli ebrei all'assimilazione nelle varie società nazionali.

Il proto-sionismo si sostanzia nella fondazione nel 1860 dell'Alleanza Israelitica Universale guidata da Adolphe Crémieux, nella costruzione di un sobborgo ebraico di Gerusalemme finanziata dal filantropo sir Moses Montefiore nel 1861, nella pubblicazione nel 1862 di Roma e Gerusalemme ad opera del filosofo ebreo tedesco Moses Hess e di Derishat Zion ad opera del rabbino polacco-prussiano Zvi Hirsch Kalischer, nell'apertura nel 1870 di Mikveh Israel, la prima scuola agraria ebraica, a cura di Charles Netter dell'AIU, nella composizione nel 1878 di hatikvah ("La speranza"), inno del sionismo e poi dello stato di Israele.

Nella tradizione di Montefiore, a partire dal 1882, Edmond James de Rothschild divenne uno dei principali finanziatori del movimento sionista e acquistò il primo sito ebraico in Palestina, l'attuale Rishon LeZion; sempre dal 1882 anche Maurice de Hirsch fu un grande finanziatore di insediamenti, sia sionisti che territorialisti. È appunto dal 1882 che data la prima ondata di immigrazione sionista (Prima Aliyah), al cui inizio la comunità ebraica palestinese (Yishuv) contava 25.000 persone: la prima aliyah raddoppierà abbondantemente queste cifre.

L'idea di creare uno Stato puramente ebraico, in cui l'antisemitismo sia assente per definizione, circola dal 1880, con i movimenti di Bilu e degli "Amanti di Sion" (Hovevei Zion), i cui manifesti ideologici sono il laico Selbstemanzipation ("Auto-emancipazione"), scritto da Leon Pinsker nel 1882, e il religioso Aruchas Bas-Ammi, scritto dal rabbino Isaac Rülf nel 1883, oltre agli scritti precedenti di Kalischer.
...
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:41 am

Antisionismo antisemita cristiano


IL SIONISMO: UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?

I parte

http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm

DON CURZIO NITOGLIA
Col presente articolo, attraverso l'analisi del pensiero e delle conquiste del Sionismo, si intende far vedere come la formazione dell'attuale Stato di Israele non risponda alle promesse divine.
All'analisi dell'evolversi dell'idea sionista seguirà lo studio del movimento sionista e dei suoi rapporti con le Superpotenze e con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti, per arrivare alla questione teologica e dottrinale e al rapporto con la Chiesa.

Introduzione

Verso la seconda metà del XIX secolo si sviluppava il flusso migratorio di ebrei verso la Palestina, che non era tuttavia un fenomeno spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO (1), col concorso di duecento delegati ebrei riunitisi a Basilea e l'adesione di più di cinquantamila ebrei, e con lo scopo di "lavorare al riscatto della Palestina, per crearvi uno Stato israelita" (2).
Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo, ma "è l'espressione moderna del sogno vecchio di millenovecento anni, di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza ebraica in terra d'Israele" (3).

Varie tappe dell'idea sionista

a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme fino alla morte di Giuliano l'Apostata (70- 363).
Sotto il regno di Traiano (Ý 117) un falso Messia, chiamato Andrea, eccitò il fanatismo di alcuni ebrei al punto che, fra greci e romani, "duecentomila uomini perirono uccisi dalla spada e dal furore dei giudei" (4). Marco Turbo attaccò i rivoltosi e fece pagare loro col sangue un giorno di trionfo.
Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe un secondo tentativo, quando un certo Bar-Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani furono cacciati da Gerusalemme, che tuttavia ricadde ben presto nelle loro mani; ma mentre Tito aveva lasciato ancora qualche casa intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo più tardi riprese il nome di Gerusalemme.
Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto sotto il regno di Antonino (138-161), sia il quarto sotto Marco Aurelio (174-175) non ebbero successo e furono repressi.
Un'altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati dalla speranza di restaurare politicamente il Regno di Israele, al tempo di Settimio Severo (193-211), cospirarono in Siria con i Samaritani contro la dominazione romana, ma ottennero solo di appesantire il giogo cui erano sottoposti.
Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto Costantino (321-327), ma venne anch'esso soffocato e "S. Giovanni Crisostomo nella seconda orazione contro i Giudei, ci racconta che Costantino, convinto che gli ebrei non avevano rinunciato al loro spirito di rivolta, fece tagliare loro una parte dell'orecchio, affinché, dispersi nell'Impero, portassero dappertutto su di sé il segno della loro ribellione" (5).
Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta, ma Gallo volò in Giudea, dove sconfisse i rivoltosi e rase al suolo Diocesarea, seggio dell'insurrezione: gli ebrei furono uccisi a migliaia e molte città, tra cui Tiberiade, furono bruciate.
L'ultimo tentativo di questo primo periodo è uno dei più celebri ed ha come cooperatore Giuliano l'Apostata, che non solo permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio, ma li aiutò con tutti i mezzi: sull'esito finale si veda Sodalitium n° 39 e 40 (6).
Se un ruolo importante in tutti questi tentativi di rivolta è da attribuirsi alla tenacia ebraica, il fattore principale è dovuto, secondo l'ebreo convertito Augustin Lémann, ad una "interpretazione di certe profezie bibliche"(7); anzi "è proprio fondandosi su tali profezie che gli ebrei hanno sempre sperato di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi il Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena e inalterabile prosperità" (9).

b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano l'Apostata fino alla Rivoluzione francese (363- 1789).
Questo lungo periodo fu marcato dalla rassegnazione, anche se si mantenne sempre una se pur sopita speranza, come afferma anche l'abbé Lémann: "con la morte di Giuliano l'Apostata e il trionfo definitivo del Cristianesimo, fino alla Rivoluzione francese, gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione, ma sempre pieno di speranza" (10). Durante questo periodo "la capacità finanziaria e commerciale degli ebrei si sviluppa e si estende su tutte le nazioni, in maniera straordinaria [essi] divengono i finanzieri dei re, ma in mezzo alle preoccupazioni dei loro traffici e dei loro negozi, non smettono di pensare a Gerusalemme (11).
Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti della Terra Santa si spostarono verso Safed, a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII sec. si contavano a Gerusalemme circa cento famiglie ebree e, a partire da quel periodo, i pellegrinaggi alla Città santa cominciarono a diventare sempre più numerosi.

c) Terzo periodo
Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e con la Rivoluzione francese si assiste all'ABBANDONO dell'idea del ritorno a Gerusalemme e del dogma del Messia personale.
Quali furono le cause di un tale mutamento?
La prima è proprio il filosofismo impregnato di quello scetticismo settecentesco, che è stato agente corrosivo di tutte le religioni, compresa la talmudica, prima con Spinoza e poi con Mendelshon, che può essere considerato il fondatore di una sorta di neo-Giudaismo, mascherato da deismo. Comincia così a diffondersi nei ghetti l'idea che il Messia potrebbe essere un concetto, un regno, un popolo, ma non una persona, e sorge anche il problema della collocazione fisica e geografica di tale regno. È la Rivoluzione francese che concretizza questo mito. Nel 1791 fu concessa l'EMANCIPAZIONE agli ebrei francesi, che videro il Messia nei Diritti dell'uomo proclamati dalla Rivoluzione.
Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il mito del Messia impersonale ha avuto due scuole principali, di cui la prima fiorì in Germania sotto l'egida del filosofismo. Nel 1843 a Francoforte sul Meno si organizza un comitato ebraico riformista, al quale seguirono tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick, uno ancora a Francoforte nel 1845 e un terzo a Breslau nel 1846, nei quali si affermava che l'unico Messia atteso era la libertà di essere ammessi tra le Nazioni; da questo il partito talmudista tedesco fu ferito a morte.
La seconda scuola si formò in Francia, sotto l'egida dell'emancipazione, che segna anche l'elemento diversificante delle due scuole. Infatti in Germania, dal momento che l'ebreo non era ancora emancipato civilmente, il suo pensiero era da considerare ardito e prematuro: la libertà civile, non ancora conquistata, era la perla per la quale si era pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal 1791 godevano della libertà civile ed erano quindi più moderati nell'evoluzione della fede circa il Messia. Nel Gran Sionismo del 1807 Napoleone era stato riverito ed insignito dei titoli riservati esclusivamente al Messia, anche se il partito talmudista era ancora abbastanza forte per fare da contraltare. Fu soltanto a partire dal 1848 che ogni "repressione" da parte della Sinagoga talmudica divenne inefficace anche in Francia. Infatti durante il regno di Luigi Filippo il razionalismo tedesco aveva esercitato un notevole influsso sull'Ebraismo francese. Nel 1846, durante l'insediamento del gran Rabbino di Parigi, il colonnello Cerf-Beer, in un discorso di circostanza gli fece comprendere che era ormai ora di iniziare con le riforme ("l'aggiornamento") anche in Germania: il partito talmudista non ebbe più la forza di reagire come in passato. Ormai anche il mondo ebraico francese affermava che la "La Rivoluzione era il vero Messia per gli oppressi" (12).
"La nuova Gerusalemme sarebbe stata la Gerusalemme del denaro, con un banchiere per Messia, con i fondi pubblici al posto della Thorà, la Borsa al posto del Tempio" (13). Quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli USA in cui gli ebrei conobbero l'emancipazione civile, accolsero tali idee sul Messia impersonale, col conseguente abbandono del dogma del Messia personale e del ritorno a Gerusalemme.

Breve storia del movimento sionista

Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il progetto di aprire il canale di Suez suscitò, verso la metà dell'800, un vivo interesse in Europa, perché il Mediterraneo avrebbe riacquistato una notevole importanza. Erano interessate al progetto soprattutto la Francia, l'Impero asburgico e l'Italia. L'Inghilterra invece sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse l'onere economico dei lavori fu, in massima parte, il pascià d'Egitto Said, ma le finanze egiziane furono dissestate dall'enorme quantità degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote Ismail, al quale «vennero in aiuto le banche ebraiche Oppeneim e Rothschild, le quali, bloccato ogni diverso accesso al credito, strinsero in breve il sovrano in un abbraccio mortale. Agli egiziani è imposto il controllo congiunto anglo-francese sulle loro finanze; è l'anticamera dell'occupazione coloniale. La bancarotta egiziana e le difficoltà politiche che essa genera coincidono col destarsi dell'interesse britannico per il canale» (14). La Gran Bretagna incomincia così a cambiare politica nei confronti dell'Impero Ottomano, e dopo averlo difeso gelosamente, in chiave antirussa e antifrancese, decide di non opporsi la suo declino. Nel 1878 occupa Cipro e s'impossessa delle dogane turche. La situazione col passare degli anni degenera in violenti disordini e gli inglesi decidono di intervenire manu militari, per cui il 10 luglio 1882 le navi inglesi aprono il fuoco su Alessandria d'Egitto. Con la grande guerra (1914-1918) l'Inghilterra coglie l'occasione per assestare il colpo di grazia all'Impero Ottomano, prendendo il controllo della penisola arabica e della Siria, assicurandosi così la chiave d'accesso dal mediterraneo verso la Mesopotamia e il Golfo Persico. La Palestina avrebbe messo al sicuro le comunicazioni con l'India tramite il Canale di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna occupa l'intero percorso del canale. Gli inglesi, per essere più sicuri di aver debellato definitivamente l'Impero Ottomano, svolgono una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi e le popolazioni dell'ex Impero Ottomano, (15). Contattano inoltre lo sceicco della Mecca Hussein, discendente della figlia di Maometto Fatima e perciò carico di un gran prestigio spirituale nel mondo islamico. (16). Si ruppe così la compattezza del fronte musulmano. Dopo tre anni di lotta la partita contro i turchi è vinta dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme e Hussein Damasco. L'11 novembre 1918 un comunicato anglo-francese rassicura gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione turca, l'insediamento di governi e amministrazioni arabe. Tuttavia gli arabi dovettero ricredersi e constatare che la Gran Bretagna non aveva per nulla in vista la liberazione dei popoli arabi dall'oppressore turco, quanto piuttosto desiderava imporre il proprio volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano trassero vantaggio soprattutto l'Inghilterra e la Francia; il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna la fine definitiva dell'Impero Ottomano, la ratifica inglese di Cipro e dei poteri sul Canale di Suez. Estromessi i turchi, il destino dell'Arabia passa nelle mani anglo-francesi. Gli arabi non vogliono rinunciare all'indipendenza, ma il 24 luglio 1920 i siriani sono sopraffatti dai francesi e Damasco viene occupata. (17).

Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esistev (???) a e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale. L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA. La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour consegna al presidente della federazione sionista britannica lord Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto ai palestinesi, anche se l'insediamento ebraico non godrà mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente, come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis eius super nos et super filios nostros", assumendosi una terribile responsabilità per i figli di Israele fino a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa di Dio.
La Palestina: un paese isolato. «Rompere l'unità della Grande Siria ed enucleare da esssa la Palestina è il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento. Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico. L'originaria popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita» (19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi a lasciare la Palestina. Allora al colonialismo inglese subentrerà quello sionista.

Il "Libro Bianco". Il 17 maggio 1939 l'Inghilterra annuncia di voler abbandonare l'idea della spartizione della Palestina e il Foreign Office con un suo Libro Bianco, s'impegna a concedere ai palestinesi l'indipendenza; l'effettivo passaggio dei poteri, tuttavia, sarebbe avvenuto solo dieci anni dopo. Gli arabi pensano di intravvedere la fine delle loro sofferenze, ma la proposta inglese è condizionata all'esito della seconda guerra mondiale. Infatti il Libro Bianco segue di pochi giorni le garanzie antigermaniche rilasciate dall'Inghilterra a Polonia, Grecia e Romania, per cui rappresenta solo un diversivo o un espediente atto a accaparrarsi, in un momento così difficile, la simpatia e la neutralità del mondo arabo, la cui posizione è di estrema rilevenza strategica. L'Inghilterra in sostanza con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare e congelare la questione palestinese e rinviare ogni decisione al termine del conflitto. Gli ebrei di Palestina si vedono accordare così una tregua provvidenziale di parecchi anni, una proroga all'eventuale sfratto e possono continuare ad accogliere nuovi immigrati. Nel maggio 1942 a New York, all'Hotel Biltmore, si riunisce una conferenza sionista che reclama la costituzione dello Stato ebraico e pretende l'annullamento di qualsiasi limite all'immigrazione, ed infine l'affidamento della supervisione sull'immigrazione alla Jewish Agency. «In Palestina intanto l'Haganah, l'organizzazione militare ufficiale dei sionisti che dal 1929 al 1939 si era armata con la connivenza della potenza mandataria (la Gran Bretagna), rafforza i suoi reparti e si prepara alla lotta contro gli inglesi nel caso costoro insistano a dare applicazione a quel Libro Bianco del 1939 col quale avevavo promesso ai palestinesi l'indipendenza. L'Irgun e la Banda Stern scatenano una campagna terroristica che si propone di piegare definitivamente gli inglesi al volere del Sionismo. Prima vittima illustre della Banda Stern è il ministro britannico per il medio Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato nel novembre 1944» (20). Con la fine della seconda guerra mondiale assistiamo al coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo con quelle delle due superpotenze, (USA e URSS). Russi e americani hannno capito che uno Stato ebraico in Palestina è un valido elemento destabilizzante in una delle zone geopolitiche più importanti del mondo, che permetterà loro di interferire negli affari interni di tutti i paesi del Medio oriente e di innescarvi una grave conflittualità tra Europa e mondo arabo. Il compito dell'occupante britannico è ormai finito, ad esso subentreranno sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU, con la risoluzione 181, approva il piano che prevede la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebarico. (21). Il 14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico proclama lo Stato d'Israele, mettendo il mondo davanti al fatto compiuto. (22). Mentre USA e URSS dietro lo schermo della guerra fredda collaborano sottobanco alla spartizione dell'Europa e del Medio Oriente, la stampa filo-ebraica presenta Israele come il bastione contro il comunismo - mentre in realtà era uno stato laico e socialista nato col consenso sovietico - tacendo però che il comunismo era fuori legge in tutti i paesi arabi, e creando il consenso del pensiero moderato e liberalconservatore. Con la guerra del 1967 l'intera Palestina è di Israele, compresa Gerusalemme, che secondo la risoluzione 181 avrebbe dovuto essere posta sotto amministrazione internazionale (23). Gli Ebrei non rispettano la decisione dell'ONU, le cui risoluzioni ingiungono il ritiro dell'esercito israeliano e che restano però lettera morta. Il 10 novembre 1975 l'ONU, per non perdere la faccia, è costretta a varare una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo, ma Israele non si ferma, confidando nella irresolutezza dell'ONU, che di lì a qualche tempo sopprime la risoluzione.


La vittoria del Sionismo fallisce però il suo obiettivo principale, quello cioè di dare vita ad uno Stato nazionale pacificato e compatto anche etnicamente, come ha rilevato anche il giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente articolo su La Stampa di Torino: «Questi giovani [di tel Aviv] così euroamericani, così laici, non hanno affatto l'aria di coltivare il nostalgico patriottismo dei padri e dei nonni Questa città sta perdendo la memoria Tel Aviv si va sempre di più costruendo dentro di sé come una minuscola simbolica New York l'intera città pullula di locali per gay, per lesbiche, per transessuali Le sfrenate passioni adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per i Che Guevara di Hamas sono leggendarie Passioni in genere corrisposte da giovani palestinesi con spirito predatorio a senso unico: non si ha notizia di sciagurati sbandamenti delle ragazze palestinesi per i giovani soldati israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la stessa legge: marito palestinese e moglie israeliana, sì. Marito israeliano e moglie palestinese, no. ()Un uomo che ha combattuto tutte le guerre mi dice: "La pace non è la fine dell'incubo I nemici che un tempo erano incapaci di combattere contro di noi che potevamo sconfiggere in un attimo OGGI SONO BRAVI COME ED ANCHE PIÙ DEI NOSTRI SOLDATI; sanno per che cosa combattere, sono bene armati ed addestrati. Da noi il patriottismo cede il passo al senso di colpa. Gli arabi ci odiano, ma parlano perfettamente l'ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo e vorremmo essere amati da loro» (24).


IL SIONISMO: nascita e sviluppo del movimento sionista

a) Il primo Congresso di Basilea (agosto 1897).
Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate nell'opera del giornalista viennese Theodore Herzl che, insieme al parigino Max Nordan, organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo fu definito il programma del Sionismo, cioè "creare al popolo ebreo un domicilio garantito dal diritto pubblico in Palestina". Molto forti e vivaci furono le reazioni, quasi "una sollevazione massiccia del rabbinato contro tale progetto" (25), al punto che si parlò di DIVORZIO TRA SINAGOGA E SIONISMO. "La prima, soddisfatta dell'emancipazione, non voleva essere nient'altro che una religione. Il secondo, risvegliato dall'esplosione misteriosa dell'antisemitismo, proclama: noi siamo un popolo e vogliamo ricostruire la nostra nazionalità La prima non ha più la fede integrale di Mosé e dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA GLI EBREI CHE COME UN POPOLO, INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL POPOLO, IL POPOLO DI DIO" (26).
Infatti è "unicamente in un FINE POLITICO E SENZA RIFARSI AL PASSATO RELIGIOSO D'ISRAELE che il Sionismo vorrebbe rientrare in possesso di Gerusalemme e resuscitarvi la nazionalità ebraica" (27).
D'altra parte il Rabbinato occidentale, pur avendo per lo più abbandonato la speranza di un Messia personale, rifiuta di associarsi al Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme. Questo è il cuore del problema sionista e il principio della sua soluzione alla luce della fede cristiana, come vedremo in seguito.
Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn spiega mirabilmente che "Il Sionismo risale alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito Ma vi è un'enorme differenza tra il Sionismo attuale e quello di diciotto secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO DA DIO CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE RICOSTRUIRE SION NESSUNO AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE PENSATO A COGLIERE TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI. Un tale spirito non poteva resistere all'influsso della Rivoluzione francese L'idea messianica si trasformò Il Messia divenne il simbolo del progresso, della fraternità umana, infine realizzata dal trionfo delle grandi verità morali e religiose che il Giudaismo ha sparso dappertutto" (28).
Se il Rabbinato occidentale, oramai ben integrato in Europa, rifiutava anche lo PSEUDO SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora una frangia ebrea che attendeva un Messia figlio di David, ma "non avrebbe mai accettato di ritornare a Gerusalemme fino a che il Messia non fosse comparso" (29). RISTABILIRE UNO STATO D'ISRAELE CON MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON ERA ACCETTABILE PER GLI EBREI TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites scrivevano a questo riguardo: "Se per Sionismo si intende coloro che perseguono attualmente prima del tempo promesso la ricostruzione della nazionalità ebrea possiamo affermare che i sionisti di questa specie sono rari nantes in gurgite vasto" (30). Ed ancora: "Ricostruire il Regno di Giuda? Noi ebrei ortodossi, fedeli all'idea messianica, crediamo alla venuta del Messia fondatore di un impero universale. Ma quale rapporto vi è tra questo ideale religioso e il progetto del dottor Herzl e dei suoi amici?" (31).

b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto 1898).
Durante il secondo Congresso apparve ancora più chiaro il nodo del problema e la contraddizione immanente al Sionismo moderno, per il quale il Giudaismo deve essere una nazione e non una religione, mentre per il rabbinato esso era una religione piuttosto che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale emancipato, benché liberal non voleva avere rapporti con il Sionismo, poiché quest'ultimo era soltanto un nazionalismo razionalista laicista e naturalista che non aveva alcuna radice nel suo passato religioso: "Noi non ci immaginiamo facilmente uno stato ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta necessaria non si riesce a capire l'esistenza di una società israelitica che non abbia la fede per suo fondamento. Tale nazionalismo puramente razionalista sarebbe la negazione della storia e delle profezie bibliche!" (32).
In sintesi il secondo Congresso segna l'abbandono di Gerusalemme da parte dei rabbini e l'abbandono della religione, e quindi del passato di Israele, da parte del Sionismo.

c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto 1899).
L'ostilità del rabbinato esplode per la terza volta e la maggior parte degli ebrei d'Occidente si mostra fermamente contraria ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei orientali, non ancora emancipati civilmente e quindi non assimilati, restano fedeli, per la maggior parte, all'idea del Messia personale e del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).


Il periodo di rassegnazione speranzosa è sempre sussistente nel Giudaismo orientale

Migliaia e migliaia di ebrei dell'Austria, della Romania, Polonia, Russia, dell'Asia e dell'Africa restano fedeli al Talmudismo, restano cioè estranei all'influsso del filosofismo, delle idee moderne e non hanno conosciuto la rivoluzione emancipatrice; perciò mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme. Essi sono più numerosi degli ebrei occidentali. "Su sette, otto milioni di ebrei che esistono oggi [1901] come all'epoca di Gesù Cristo, la maggior parte risiede fuori dell'Europa occidentale" (34). È significativo l'appello indirizzato agli studenti ebrei dell'università di Praga dal Consiglio eletto del Corpo degli studenti della nazione ebrea: "Compagni Israeliti, gli ebrei non sono né tedeschi, né slavi, essi sono UN POPOLO A PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un popolo autonomo per unità di razza, di storia, di sentimenti! Basta con le umiliazioni! ebreo, non sei uno schiavo!" (35).

Il Sionismo e Il B'naÏ B'rith

Se lo scopo del presente articolo è quello di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce delle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad esso inerenti, occorre tuttavia fare un costante riferimento al processo storico della realizzazione del Sionismo in Palestina dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, rimandando il lettore per gli argomenti più specifici alla bibliografia indicata alla fine.
Emanuel Ratier ha presentato recentemente uno studio molto interessante e ricco di documenti inediti sul B'naï B'rith (36), nel quale vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo, la cui documentazione servirà ora per analizzare quale influsso la potente loggia dei "Figli dell'Alleanza" abbia avuto nella nascita dello Stato di Israele.
Fin dalla sua origine il B'naï B'rith è di ispirazione sionista, fin da quando due rappresentanti del B'naï B'rith romeno parteciparono nel 1898 al secondo congresso sionista di Basilea. Tuttavia le logge americane, a differenza di quelle europee, tutte filosioniste, erano su posizioni molto più moderate; ma l'evoluzione verso un atteggiamento favorevole al Sionismo fu rapida e già nel 1917 il giornale ufficiale del B'naï B'rith americano affermava che la dichiarazione di Balfour era (37). Anche le logge londinesi esercitarono una capitale influenza sullo sviluppo del Sionismo, come testimonia anche Paul Goodman nella storia della prima loggia del B'naï B'rith d'Inghilterra: (38). Anche il distretto di Germania, inizialmente ostile al Sionismo si avvicinò successivamente alle posizioni londinesi filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione del 27 giugno, il Comitato generale del B'naï B'rith tedesco, si dichiarò totalmente contrario al Sionismo, ma successivamente in una seconda risoluzione del Comitato generale del 22 maggio 1921 si schierò su posizioni assolutamente favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina.


Il B'naï B'rith in Palestina
(39). Da centinaia di anni il Giudaismo d'oriente viveva in uno stato quasi letargico sotto il regime ottomano: (40).
Nel 1865, ventitré anni prima della nascita del Movimento sionista di Herzl, il B'naï B'rith organizzò una grande campagna di aiuti alle vittime ebree del colera in Palestina e da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative private in Israele. Non appena le circostanze politiche lo permisero, l'ordine si impiantò in Medio Oriente; in Egitto nel 1887 furono create due logge e l'anno seguente fu fondata la prima loggia di Palestina, il cui primo segretario fu Elieser Ben-Yehouda, il padre dell'ebraico moderno, allora considerato una lingua morta, nel quale tradusse la costituzione e il rituale segreto del B'naï B'rith. (41).
Nell'aprile del 1925 l'Ordine inaugurò la prima Università ebraica.
La grande Loggia di Palestina
Il B'naï B'rith aveva sempre temuto che la creazione di un distretto di Palestina insospettisse il regime turco, per cui la sede del distretto d'Oriente era stata posta a Costantinopoli. Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour autorizzarono la creazione del XIV distretto il cui primo gran Presidente fu David Yellin. Nel 1948 il B'naï B'rith contava in Israele quarantotto logge, nel 1968 centotrentotto, mentre oggi il loro numero supera le duecento.
Durante il regime turco, tra il 1873 e il 1917, erano già state fondate sei logge massoniche in Palestina... di cui la prima, denominata Loggia del re Salomone, a Gerusalemme nel maggio 1873; durante il mandato britannico (1921-1947) la Massoneria conobbe un rapidissimo sviluppo.
La loggia inglese del B'naï B'rith e la Palestina
Il primo presidente del B'naï B'rith Herbert Bentwich era stato uno dei primi a condividere le tesi di Theodor Herzl sul Sionismo e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio di ebrei in Palestina tramite l'Ordine degli anziani Maccabei, a nome del quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer, dando inoltre alla First Lodge un orientamento spiccatamente sionista.
All'inizio della prima guerra mondiale fu creato un Comitato ebraico d'urgenza, composto esclusivamente da membri del B'naï B'rith, con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori di pace, per ottenere nel dopoguerra una home nazionale ebraica in Palestina (42).
Henry Monsky
In America l'Ordine fu il principale luogo d'incontro e fusione tra gli ebrei di origine tedesca (borghesi e riformisti) e gli ebrei provenienti dall'Europa dell'Est (più poveri, ortodossi e filosocialisti), che si opponevano all'idea di fusione degli ebrei con il popolo americano. L'ascesa al potere di Hitler nel 1933 rilanciò l'interesse per la home nazionale ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista è così divenuto - scrisse Alfred Cohen, presidente del B'naï B'rith americano - un non-sionista. Egli guarda senza ostilità l'operazione Palestina Sarà tuttavia sempre contro il Sionismo politico, che apparirà, per il momento, come una causa per la quale non ci può infiammare. Le discussioni accese tra sionisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
Henry Monsky, eletto presidente del B'naï B'rith nel 1938, approfittò della seconda guerra mondiale per rilanciare l'Eretz Israel e dal 1941 rimase in stretto contatto con i principali dirigenti sionisti. Il B'naï B'rith nel 1942 approvò il programma di Baltimora.
Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione dell'Ebraismo americano, voluta da Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro organizzazioni nazionali ebraiche, con cinquecentoquattro delegati - di cui almeno duecento fratelli del B'naï B'rith - in rappresentanza di un milione e mezzo di ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata da due tra le principali organizzazioni ebraiche antisioniste, il Comitato ebraico americano e il Comitato del lavoro ebraico.
Monsky fu correlatore della risoluzione a sostegno del programma di Baltimora, approvata quasi all'unanimità (408 voti contro 3), e divenne il presidente della nuova struttura ebraica unitaria, la Conferenza ebraica americana, che ebbe termine nel 1949, ma che fu rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più modesto, la Conferenza dei presidenti delle grandi organizzazioni ebraiche, in seguito al riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel Happerin ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente avocato a sé l'ideologia sionista le azioni effettive del B'naï B'rith hanno compensato tutte le esitazioni. Per valutare l'aumento di potere del Sionismo americano bisogna tener conto in maniera preminente della guida, del numero dei membri e dell'assistenza finanziaria del B'naï B'rith» (44). Il B'naï B'rith non aveva infatti preso ufficialmente posizione in favore del Sionismo fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in seno all'Ebraismo americano al cui interno permaneva una minoranza antisionista.

Il B'naï B'rith fa riconoscere Israele

È stato il "B'naï B'rith" che ha provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank Goldman, presidente del "B'naï B'rith", che non riuscì però a convincere il Presidente. Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson, un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista, scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale). Il telegramma restò senza risposta, allora Jacobson chiese un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue "Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano dagli occhi... allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato, mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente, non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria (...) mi metto a piangere" () Allora gli dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (...) Poi se ne andò» (13).
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio 1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith": Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.
È poi da ascrivere al B'naï B'rith il mutamento della politica americana riguardo alla questione palestinese: infatti se negli anni cinquanta essa era stata globalmente favorevole agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito alle continue pressioni dell'Ordine sul governo americano per ottenere enormi aiuti economici e bellici in favore dello Stato di Israele.
Con la "guerra dei sei giorni" si assiste infine alla sionizzazione definitiva de facto e de jure del B'naï B'rith e dell'A.D.L.; «Questa vittoria miracolosa ha permesso un'identificazione tra ebrei e Stato di Israele, del tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori di tale Stato. È in questo frangente che l'A.D.L. e il B'naï B'rith pongono come pietra di paragone l'asserto che l'antisionismo equivale all'antisemitismo» (45).

il Laicismo sionista

L'idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente laica e (46), come testimoniano le sue parole: (47).
(48).
Ma l'idea sionista era molto forte, al punto da rasentare in tanti fondatori di Israele l'indifferenza verso il genocidio, come denuncia lo storico israeliano Tom Segev nel suo libro Le septiem million (49), e come scrive Barbara Spinelli su La Stampa: (50). Anche Fiamma Nirestein qualche giorno prima aveva ricordato, sullo stesso quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto affondare una nave carica di giovani militanti dell'Irgum, perché erano di ostacolo al riconoscimento dello Stato di Israele.
Vana era stata anche la speranza, di Teodoro Herzl, di ottenere un riconoscimento da parte della Santa Sede, nonostante l'incontro con San Pio X il 25 gennaio 1904, preceduto da quello con il cardinale Merry Del Val il 22. (51).

La conquista della Terra Santa

"Questo piano - scrive il Lémann - sembra essere stato adottato dai promotori del Sionismo. È così che l'infiltrazione lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro, gli elementi costitutivi dello Stato ebraico in Palestina, fino al giorno in cui un avvenimento propizio ed improvviso [la seconda guerra mondiale, n.d.r.], permetterà al Sionismo, sia mediante un tentativo ardito, sia mediante un'abile diplomazia, di mettere definitivamente la mano sul suolo tanto desiderato di tutta la Giudea" (52).
Con la dissoluzione dell'Impero ottomano (durante la prima guerra mondiale) il mondo cattolico cominciò a sperare che la Palestina sarebbe tornata in mani cristiane: (53). E Pasquale Baldi, uno dei più noti studiosi della questione dei luoghi santi, così scriveva: «Oggi per un prodigioso combinarsi di eventi, che noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia, Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte nelle guerre sante, tengono Gerusalemme sotto il proprio dominio. Oggi a ragione dunque i cattolici di tutto il mondo possono attendersi che suoni finalmente l'ora della giustizia; che per i Santuari della Palestina si rinnovino gli splendori dell'era costantiniana, gli splendori del primo secolo delle crociate!» (54).
Ciò che della questione dei Luoghi Santi maggiormente colpì l'attenzione dell'opinione pubblica europea fu la loro liberazione dal dominio musulmano e poi le controversie delle diverse confessioni cristiane circa il loro possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente in vista di questi due obiettivi principali, situare la Palestina nella sfera di controllo delle potenze cattoliche, e porre un riparo alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi nel 1757 (55). Quando gli Stati dell'Intesa, ormai in procinto di vincere il conflitto, manifestarono un orientamento favorevole alla INTERNAZIONALIZZAZIONE della Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il primo obiettivo fosse quasi raggiunto.
L'idea di affidare la Terra Santa ad un governo internazionale non era nuova, ma fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale che queste proposte assunsero un carattere di attualità. Con la caduta del regime zarista cessò anche ogni possibilità di intervento russo-ortodosso in Medio Oriente. (56).
Il Vaticano tuttavia non riteneva che la soluzione di affidare il governo della Terra Santa ad un governo internazionale fossa la migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò che alla S. Sede sembrava più corretto parlare di «carattere di nazionalità intendendo sottolineare che i luoghi santi, anziché essere sottoposti al governo di più nazioni, avrebbero dovuto essere sottratti al controllo di qualsiasi organismo politico ed affidati ad istituzioni religiose come la Custodia di Terra Santa. In questo contesto potrebbero trovare spiegazione le voci - non però confermate - relative all'eventualità di un governo pontificio in Palestina. Tuttavia la consapevolezza dell'impossibilità di tradurre in pratica questo progetto ne aveva impedito qualsiasi elaborazione concreta ed aveva indotto la S. Sede a ripiegare sull'ipotesi di un regime internazionale» (57).
«Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi della Santa Sede si erano indirizzati nel senso di realizzare un progetto di riaffermazione del Cattolicesimo ispirato dal "proposito di procedere ad una cristianizzazione non soltanto degli individui, ma della società e degli Stati da compiere con tutti i mezzi" (58). La codificazione canonica del 1917, dominata dall'immagine della Chiesa come societas juridice perfecta, e la politica concordataria degli anni venti e trenta, volta a restituire alla Chiesa quelle funzioni pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale, costituirono le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa una ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno di Cristo in ogni sfera della vita umana, compresa quella politica» (59).
Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero vita breve, perché tra il 1917 e il 1918 il quadro politico subì radicali cambiamenti che portarono all'accantonamento del progetto d'internazionalizzazione.
Vi fu quindi la famosa dichiarazione Balfour, che impegnava la Gran Bretagna a favorire la creazione di una Casa nazionale ebraica in Palestina. (60). Il cardinal Gasparri stesso, nel dicembre 1917, aveva detto al rappresentante diplomatico del Belgio che , aggiungendo anche: (61). Lo stesso pontefice Benedetto XV intervenne pubblicamente ed affermò che deprecava l'eventualità di un (62).
Il Papa temeva soprattutto che (63).
Il Consiglio supremo Alleato riunito a Sanremo nell'aprile del 1920 pose definitivamente fine alla speranza di una internazionalizzazione della Palestina assegnandone il controllo alla Gran Bretagna, proprio a quel paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava maggiormente, non solo per il sostegno promesso alla causa sionista, ma anche per l'influenza che la chiesa anglicana avrebbe potuto esercitare in Terra Santa (64).

La Santa Sede e la "Teologia del Sionismo"

La Santa Sede vedeva nella dichiarazione Balfour per la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina la conferma del timore già espresso da Benedetto XV, che si intendesse cioè concedere agli ebrei in Palestina. Il cardinal Gasparri da parte sua, aggiungeva in una lettera ai timori prettamente religiosi espressi dal Pontefice, una nuova motivazione, la difesa delle "popolazioni indigene" e delle "nazionalità" minacciate dalle aspirazioni sioniste (65). (66).
L'Osservatore Romano si occupò ampiamente dei problemi della Terra Santa e del Sionismo, non sottovalutando affatto l'enorme importanza e la portata escatologica della questione sionista. «In Europa - scriveva il suo corrispondente da Gerusalemme - si è troppo facili, con una superficialità che irrita, a guardare al nuovo fenomeno semitico palestinese con aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi L'eventualità di un argine da parte degli arabi non ha nessuna consistenza. La loro opposizione di prammatica non arresterà nemmeno di un passo l'avanzata del Sionismo» (67).
Da questa osservazione nascevano due linee interpretative, l'una privilegiava una lettura in chiave religiosa del Sionismo, giudicato un punto di passaggio verso "la conversione degli ebrei al Cristianesimo" (68); l'altra, invece, insisteva piuttosto sui pericoli che derivavano alla presenza cristiana in terra Santa, dal rafforzamento del Sionismo.
La Civiltà Cattolica si segnalò per aver dato una visione teologica del problema sionista, definendo chimerico il disegno perseguito dal Sionismo: (69), oltreché ingiusta, perché (70). Il Sionismo inoltre, per i gesuiti della Civiltà Cattolica, si mostra incapace di dare una risposta convincente al problema ebraico: (71). Soprattutto costituiva (72). Il rimedio proposto per riportare la pace in Palestina non sarà che (73).
Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per gli affari straordinari della Santa Sede, confermò tale visione teologica sul Sionismo, asserendo che (74).
La condanna dell'antisemitismo razzista e biologico espressa da Pio XI nel 1928 «non implicava in alcun modo l'adozione di orientamenti più favorevoli al Sionismo. Essa infatti nasceva dalla preoccupata reazione della S. Sede per il dilagare in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato razzismo e nazionalismo, ma non presuppone alcuna revisione della tradizionale concezione cattolica che negava al popolo ebraico, dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza, che non fosse quello di testimoniare, con le sue sofferenze, la verità della Rivelazione cristiana. "Dopo la morte di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione", disse nel 1933 l'arcivescovo di Monaco, card. Faulhaber» (75).
Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo più esteso la sua posizione: «Tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione dell'Avvento del Messia Venuto il Messia, in persona di Gesù Cristo, cessò necessariamente e automaticamente il valore del Giudaismo tutt'insieme, e quale popolo "eletto" e quale religione» (76).
(78).
Come aveva scritto L'Osservatore Romano «il Sacrificio di Cristo, voluto da un popolo che se ne proclamò responsabile per sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice umano come a quello divino, costituiva di fronte alla storia e alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi diritto sulla terra promessa da non avere certo bisogno di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo favore per essere ratificato da qualsiasi tribunale politico» (79). Su tale base di natura teologica si innestavano poi precise ragioni di ordine politico, che confermavano l'avversione al movimento sionista della Santa Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di mantenere in mani cristiane il controllo dell'intera Palestina e per la quale il mandato britannico appariva il male minore a fronte della costituzione di due stati non cristiani in Terra Santa: (80).

...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:42 am

IL SIONISMO: UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?
http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm

II parte

IL VATICANO E LA QUESTIONE PALESTINESE

La Santa Sede continuò a ribadire la sua ferma opposizione alla costituzione di una home ebraica in Terra Santa. In una lettera al delegato apostolico a Washington il Segretario di Stato vaticano il 25 maggio 1943 sosteneva esplicitamente che (81). Anche Mons. Tardini scriveva: «La Santa Sede si è sempre opposta alla dominazione ebraica sulla Palestina. Benedetto XV si è adoperato con successo per evitare che la Palestina divenisse uno Stato ebraico. In effetti dal punto di vista religioso (il più importante) la Palestina è una terra sacra, non solo per gli ebrei, ma molto di più per tutti i cristiani e specialmente per i cattolici. Darla agli ebrei significherebbe offendere tutti i cristiani e violare i loro diritti» (82). L'avversione alla costituzione di una home ebraica in Palestina non significava però che la Santa Sede fosse favorevole ad una dominazione araba sulla Terra Santa, (83). Tutta la politica vaticana riguardo alla Palestina era ispirata dal timore che sia una dominazione araba sia una dominazione ebraica risultassero pregiudizievoli per gli interessi cattolici in Terra Santa (84).
Ma la risoluzione approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 introdusse un fatto nuovo nello scenario mediorientale: la creazione di uno Stato ebraico indipendente, prevista per l'ottobre del 1948. La prospettiva della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina ebbe un'eco profonda in tutto il mondo cristiano. La proclamazione dell'indipendenza di Israele fu accolta in Vaticano con molto riserbo. L'Osservatore Romano asserì che (85).

I rapporti tra Sionismo e nazionalsocialismo

Nel 1922 Vladimir Jabotinsky si ritirò dall'esecutivo dell'Organizzazione sionistica e fondò nel 1924 il Partito Revisionista. Il Nuovo schieramento combatteva la politica dell'Esecutivo sionista troppo disponibile al compromesso con gli inglesi e con gli arabi e (86).
A questo proposito il Blondet è più esplicito e ricco di informazioni: (87).
(88). Conobbe poi un ex ufficiale zarista, mutilato, certo Joseph Trumpeldor e con lui ideò l'organizzazione di una "legione ebrea" all'interno di non importa quale esercito alleato. Proprio Trumpeldor ha dato il suo nome alla principale organizzazione di gioventù sionista revisionista, il BÉTAR o B'RITH TRUMPELDOR (Alleanza di Trumpeldor). Bétar è anche il nome della fortezza dove Bar Kochba condusse la rivolta contro le legioni di Roma nel secondo secolo.
Durante il dodicesimo Congresso sionista del settembre 1921 a Karlovy Vary, Jabotinsky, senza informare i dirigenti sionisti, firmò un accordo con Maxime Slavinsky, rappresentante del leader del governo ucraino in esilio, Simon Petlioura (accusato oggi di antisemitismo). Questo accordo con un regime che favoriva i pogrom, fu giustificato da Jabotinsky con l'affermazione che se l'Armata Rossa gli avesse fatto la stessa proposta, l'avrebbe egualmente accettata (89). L'alleanza con l'Ucraina costrinse Jabotinsky a dimettersi dall'Esecutivo sionista e dall'Organizzazione sionista. Nel 1923 pubblicò una serie di articoli in cui mirava ad intraprendere una sorta di REVISIONE del Sionismo, affermando che si trattava di un ritorno alle tesi originarie di Herzl. Sostenne così posizioni di ACCESO NAZIONALISMO, il cui unico fine era di trasferire milioni di ebrei in Israele facendo della Palestina uno Stato ebraico di fatto. Gli arabi, (91). Jabotinsky è convinto che lo stato abbia il primato sull'individuo, per cui non bisogna assolutamente rifarsi all'etica biblica ma attingere le proprie forze alle teorie del NAZIONALISMO INTEGRALE; (92). Jabotinsky è assolutamente contrario alla diaspora e PER IMPEDIRE L'ASSIMILAZIONE degli ebrei, SARÀ ANCHE PRONTO AD ACCOGLIERE favorevolmente LE IDEE ANTISEMITE, che avrebbero spinto gli ebrei a ritornare nella loro terra e a riscoprire l'identità che stavano perdendo. «Per Jabotinsky ogni assimilazione ai goyim è non solo infausta ma impossibile "La fonte del sentimento nazionale si trova nel SANGUE dell'uomo nel suo TIPO FISICO-RAZZIALE È inconcepibile che un ebreo possa adattarsi alla visione spirituale di un tedesco o di un francese"» (93). Inoltre elimina l'idea di un Dio trascendente e la sostituisce con quella di nazione, minando alla base le fondamenta stesse del Giudaismo ortodosso. A tutto ciò unisce un odio viscerale per il socialcomunismo, mentre vede, di conseguenza, la forza principale del Sionismo nel supercapitalismo.

a) Il Bétar (94)
Nel 1923 Jabotinsky fondò il braccio armato del Revisionismo sionista il Bétar B'rith Trumpeldor, i cui membri (95). Dal 1934 al 1937 una scuola navale del Bétar funzionerà in Italia, a Civitavecchia, con 153 cadetti diplomati. Per Marius Schattner (96). Il Bétar è un'organizzazione rigida, con un rituale stretto e severo: ogni betariano deve impegnarsi a consacrare i due primi anni del suo insediamento in Palestina alla militanza a tempo pieno nel Bétar, il quale si fonda sostanzialmente sul mito della forza, sulla potenza del cerimoniale, su una struttura paramilitare.
Negli anni 1931-32 Jabotinsky visse a Parigi, (97). Nel 1935 fondò a Vienna, durante un congresso, la Nuova Organizzazione Sionista (N.O.S.), che inaugurava una politica molto discussa con tutti i governi (anche antisemiti) PURCHÉ FOSSERO INTENZIONATI A REGOLARE LA QUESTIONE EBRAICA IN SENSO SIONISTA, consentendo cioè l'emigrazione ebraica in Palestina. Ciò non impedirà per altro a Jabotinsky di pronunciarsi, negli anni della guerra, a favore della creazione di un esercito ebreo destinato a combattere la Germania hitleriana.

b) Menahem Begin
Fino alla vittoria di Begin nel 1977 a capo del Likud, formazione politica erede del Bétar di Jabotinsky, la maggior parte degli storici del Sionismo avevano relegato il Revisionismo nel ghetto spirituale dei fanatici o addirittura dei lunatici esaltati. Ma nel 1977 il "fascista" Begin sale al potere in Israele e, fin dal suo primo discorso, si rifà esplicitamente alle idee di Jabotinsky, anche se aveva fatto parte dell'ala più radicale del Revisionismo, quella più vicina al fascismo e associata al B'ritj Ha Biryonim (il gruppo dei bruti), scavalcando a destra lo stesso Jabotinsky!
Dopo la seconda guerra mondiale Begin come leader del partito Hérout (Libertà) farà lavorare al quotidiano del partito il suo amico Abba Ahimert, ideologo estremista revisionista, che aveva scritto: (98).
Quando Begin si recò per la prima volta negli USA nel 1948, alcuni intellettuali ebrei, tra cui Einstein, Hannah Arendt e Sydney Hook, scrissero una lettera aperta al New York Times (4 dicembre 1948) in cui affermavano che il partito di Begin era . Begin non rinnegherà in nulla le sua vecchie idee estremiste: dopo di lui diverrà primo ministro di Israele il suo amico (e terrorista) Yitzhak Shamir, per il quale (99).

c) Revisionismo e nazismo
Nella primavera del 1936 una coppia di ebrei, i Tuchler, inviati dalla Federazione Sionista di Germania, ed una coppia di nazisti, i von Mildenstein, inviati dal N.S.D.A.P. e dalle SS., si ritrovarono alla stazione di Berlino dove presero il treno per Trieste e s'imbarcarono sulla Martha Washington per la Palestina. Lo scopo del viaggio era quello di fare un'indagine il più possibile completa e documentata sulle POSSIBILITÀ DI INSEDIAMENTO DI EBREI TEDESCHI IN PALESTINA. «Malgrado le dichiarazioni di principio e diverse misure specifiche (boicottaggio degli ebrei tedeschi a partire dal 1 aprile 1933), tutti gli storici sono d'accordo nell'ammettere che Hitler non aveva una politica d'insieme precisa sulla questione ebraica fino alla notte dei cristalli del 9-10 novembre 1938. Ciò lasciò campo libero all'Ufficio degli Affari ebraici delle SS, per esplorare le diverse politiche attuabili. Il viaggio del barone von Mildenstein fu una di esse. Ora Mildenstein era ufficiale superiore delle SS s'era interessato da molto tempo alla questione ebraica Fervente sionista, entrò nelle SS. e fu reputato uno dei più qualificati specialisti del Giudaismo. Fu lui che vide per primo l'interesse che si poteva trarre dalle organizzazioni sioniste, specialmente revisioniste Scrisse una serie di dodici lunghi articoli, molto documenteti, sul quotidiano berlinese Der Angrif di Goebbels, dal titolo Un nazista viaggia in Palestina. Vi esprimeva la sua ammirazione per il Sionismo e concludeva che "il focolare nazionale" ebreo in Palestina "indica un mezzo per guarire una ferita vecchia di molti secoli: la questione ebraica". Per commemorare tale visita fu coniata una medaglia, su richiesta di Goebbels. Una faccia era ornata dalla svastica nazista e l'altra dalla stella di David Le SS. erano divenute la componente più filosionista del partito nazista» (100). In seguito a questo viaggio il giornale delle SS. Das schwarze Korps proclamò ufficialmente il suo appoggio al Sionismo (101). Il 26 novembre lo stesso quotidiano rinnovava il suo appoggio al Sionismo: (102). Ancora, nel maggio 1935 Heyndrich in un articolo distingueva gli ebrei in due categorie dimostrando una forte predilezione per quelli che e Alfred Rosemberg scriveva che (103). Con l'avvento al potere di Hitler il Bétar fu la sola organizzazione a continuare ad uscire in parata in uniforme nelle strade di Berlino. Il 13 aprile 1935 la polizia della Baviera (feudo di Himmler e di Heyndrich) ammetteva eccezionalmente che gli aderenti al Bétar potessero indossare la loro uniforme. Questi cercavano così di spingere gli ebrei di Germania a CESSARE DI IDENTIFICARSI COME TEDESCHI e a farli innamorare della loro nuova identità nazionale israeliana (104). La Gestapo fece tutto il possibile per favorire l'emigrazione verso la Palestina; ancora nel settembre 1939 autorizzò una delegazione di sionisti tedeschi a partecipare al 21° Congresso sionista di Ginevra. Jabotinsky invece si era pronunciato per il boicottaggio della Germania, mentre Kareski, membro del movimento revisionista, perseguiva una politica di collaborazione con la Germania in vista di poter costituire lo Heretz Israel. Nel 1942 restava ancora in attività nella Germania un Kibbutz a Nevendorf per esercitare dei potenziali emigranti verso la Palestina. (105).

d) Un patto segreto tra la banda Stern e il terzo Reich
I dirigenti ebrei della gang Stern - incredibile ma vero - fecero ai nazisti una proposta di alleanza nel 1941 per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele. «Lo scarso equipaggiamento militare dell'Italia, sia in Libia che in Grecia, convinse Stern che l'Italia non aveva i mezzi per condurre a termine la sua politica, mentre la Germania nel 1940, riportava vittoria su vittoria. Tali successi impressionarono Stern, che si lanciò in un'avventura folle e senza uscita: formare un'alleanza con la Germania hitleriana. Stern lavora fino al febbraio 1941 (quando fu ucciso dagli inglesi) a concretizzare questo obiettivo, fondandosi su un'analisi insolita della situazione del Giudaismo. Per lui l'Inghilterra è il vero nemico, mentre la Germania è solo un OPPRESSORE che appartiene alla linea dei PERSECUTORI che il popolo ebreo ha incontrato durante la sua storia. Questo è l'errore più grande di Stern: vede nel Nazismo un movimento animato da un antisemitismo ragionevole» (106). All'inizio del 1941 Lubentchik, agente segreto della banda Stern, propone un patto militare tra l'Organizzazione militare sionista Irgun (una scissione della stessa banda) e la Germania, proposta nota col nome di testo di Ankara (107), trasmesso a Berlino l'11 gennaio 1941 e ritrovato tempo fa negli archivi dell'ambasciata tedesca in Turchia. In esso si legge: «I principali uomini di stato della Germania nazionalsocialista hanno spesso insistito sul fatto che un Ordine Nuovo in Europa richiede come condizione previa una soluzione radicale della questione ebraica, mediante l'emigrazione. L'evacuazione di masse ebree d'Europa è la prima tappa della soluzione della questione ebraica. Tuttavia, il solo mezzo per cogliere tale fine è l'installazione di queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, mediante lo stabilimento di uno Stato ebraico nelle sue frontiere storiche» (108). Lo Stato maggiore tedesco, tuttavia, decise di appoggiarsi nella lotta alla Gran Bretagna, agli arabi che erano milioni, piuttosto che agli ebrei, che non erano che un pugno di uomini (109). La veridicità di questo documento è stata messa in dubbio, ma Israël Eldadsnab, uno dei capi storici del gruppo Stern, ha confermato la verità dei fatti (110) e il settimanale Hotam affermò che tale documento era stato consegnato personalmente da Shamir e Stern. Quando il 10 ottobre Shamir divenne primo ministro dello Stato di Israele dopo il dicastero Begin, l'Associazione Israeliana dei combattenti antifascisti e delle vittime del Nazismo manifestò la sua indignazione in un telegramma al presidente Herzog nel vedere il posto di primo ministro occupato da (111). Se la banda Stern fu l'unico gruppo sionista revisionista a negoziare col Terzo Reich in piena guerra, le organizzazioni sioniste moderate non avevano esitato a farlo prima della guerra, in gran segreto. «I circoli nazionalisti ebrei sono molto soddisfatti della politica della Germania, poiché la popolazione ebrea in Palestina sarà da tale linea politica talmente accresciuta che in un futuro prossimo gli ebrei potranno contare su una superiorità numerica di fronte agli arabi» (112).

I rapporti tra Sionismo e Fascismo

a) La scuola navale del Bétar nell'Italia fascista
Già negli anni precedenti la prima guerra mondiale Jabotinsky aveva sviluppato una teoria sui FONDAMENTI RAZZIALI DELLE NAZIONI (Razza e nazionalità), i cui postulati coincideranno con la Dottrina dello Stato di Mussolini (113). «Sprovvisto di animosità nei confronti degli ebrei, Benito Mussolini considerava le organizzazioni sioniste revisioniste come movimenti fascisti. Fu così che fece allenare, a partire dal novembre 1934, dietro domanda di Jabotinsky, uno squadrone completo del Bétar a Civitavecchia, presso la scuola marittima, diretta dalle camicie nere. Durante l'inaugurazione del quartier generale degli squadroni italiani del Bétar, nel marzo 1936, un triplice canto ordinato dal comandante dello squadrone risuonò; "Viva l'Italia, il Re, il Duce!". Esso fu seguito dalla "benedizione" che il rabbino Aldo Lattes invocò, in italiano e in ebraico, per Dio, il Re, il Duce "Giovinezza" (l'inno del partito fascista) fu intonata dai betariani con molto entusiasmo. Mussolini ricevette inoltre la promozione di betariano nel 1936» (114). Mussolini fu anche il primo Capo di Stato a proporre la divisione della Palestina e la creazione di uno Stato ebraico (115). Jabotinsky tuttavia, al contrario dei suoi luogotenenti, non si proclamò mai fascista o nazista, anche se prese le difese di Mussolini in una serie di articoli scritti negli USA nel 1935 (116), mentre tale era considerato da molti capi israeliani, al punto che Ben Gurion lo chiamava Vladimir Hitler. Nel 1935 Mussolini confidò a David Prato, futuro gran rabbino di Roma che (117). I dirigenti sionisti non revisionisti fin dal 1922 avevano preso contatti con Mussolini, che ricevette i primi sionisti poco dopo la marcia su Roma, il 20 dicembre 1922, assicurando il gran rabbino di Roma che non avrebbe tollerato alcuna manovra antisemita (118). Ahimeir, principale leader del movimento revisionista palestinese negli anni trenta, riaffermò nel marzo 1962: (119).
b) Mussolini e il Sionismo
Occorre tuttavia precisare con De Felice che (120).
D'altronde «Dopo le sanzioni votate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia, Mussolini tagliò i rapporti che fino ad allora aveva intrattenuto con i dirigenti sionisti e si avvicinò agli arabi, nel tentativo di scalzare le posizioni britanniche e francesi nel Medio Oriente» (121).
Per comprendere meglio l'attitudine di Mussolini verso il Sionismo giova leggere l'interessante Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo del De Felice, nella quale si vede come l'atteggiamento di Mussolini sia stato ondivago, a seconda se si trattava del Sionismo in Palestina o della partecipazione di cittadini italiani al movimento sionista (122).
«Verso il SIONISMO ITALIANO Mussolini nutriva tutti i pregiudizi e le diffidenze così diffusi tra nazionalisti e fascisti La convinzione che i sionisti avessero due "patrie" e neppure sullo stesso piano tra loro, per cui la prevalente sarebbe stata quella palestinese, urtava profondante il suo concetto monolitico ed esclusivistico della patria e gli rendeva automaticamente antipatici e sospetti i sionisti Verso il SIONISMO INTERNAZIONALE Mussolini nutriva invece, se non simpatia una certa benevolenza egli vedeva nel Sionismo (specie nei suoi gruppi di destra più accesi e antinglesi) un prezioso mezzo per inserire l'Italia negli avvenimenti mediterraneo-orientali e soprattutto un mezzo per creare difficoltà in quel settore all'Inghilterra La carta "Sionismo", così come da un certo momento in poi quella degli "arabi" era per Mussolini soprattutto un elemento del suo gioco mediterraneo... Che i sionisti, da parte loro, non rifiutassero il "rapporto" con l'Italia fascista è ovvio. Prima che Mussolini "cadesse sotto l'influsso di Hitler", l'Italia era uno dei paesi europei più liberali verso gli ebrei» (123).

Antisemitismo pagano e Sionismo

Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca (1906-1975) ha scritto considerazioni di grande interesse sulla natura del Sionismo: (124). E ancora: (125). La Arendt critica la definizione stessa del Sionismo data da Herzl, per il quale una nazione e afferma che «la conclusione cui giunsero questi sionisti fu che SENZA L'ANTISEMITISMO IL POPOLO EBRAICO NON SAREBBE SOPRAVVISSUTO per cui SI OPPOSERO A QUALUNQUE TENTATIVO DI LIQUIDARE L'ANTISEMITISMO SU LARGA SCALA. Al contrario, dichiararono che "I NOSTRI NEMICI, GLI ANTISEMITI, SAREBBERO STATI I NOSTRI AMICI PIÙ FIDATI E I PAESI ANTISEMITI I NOSTRI ALLEATI L'antisemitismo era una forza irresistibile e gli ebrei AVREBBERO DOVUTO UTILIZZARLA o ne sarebbero stati divorati (L'antisemitismo) era la forza motrice responsabile di tutte le sofferenze degli ebrei, e avrebbe continuato a causare sofferenza FINCHÉ GLI EBREI NON AVESSERO IMPARATO AD UTILIZZARLA A LORO VANTAGGIO. IN MANI ESPERTE QUESTA FORZA MOTRICE SI SAREBBE DIMOSTRATA IL FATTORE PIÙ SALUTARE NELLA VITA EBRAICA Tutto ciò che occorreva fare era usare la FORZA MOTRICE dell'antisemitismo che come l'onda del futuro avrebbe portato gli ebrei nella terra promessa» (126).

I rapporti tra sionismo USA e URSS

«Il periodo della guerra [1939-1945] trasformò la comunità ebraica di Palestina in un organismo più forte, cosciente, proteso verso l'affermazione concreta dei propri ideali Gli anni della guerra avevano reso l'opinione pubblica americana estremamente sensibile al dramma dell'Ebraismo europeo ed avevano trasformato notevolmente la comunità ebraica che si era fatta più omogenea, influente ed aperta al Sionismo. In pochi anni l'interesse per questo movimento da sentimento prettamente filantropico si trasformò in una forma di partecipazione concreta» (127).
Paul Johnson ha affermato recentemente che (128).
Dopo la guerra il gioco decisivo era nelle mani delle grandi superpotenze (USA e URSS). L'America presentava lo Stato d'Israele come baluardo del mondo occidentale nel Medio Oriente. La politica miope dei liberalconservatori vedeva (e continua a vedere) come UNICO pericolo quello comunista (che è certamente enorme e non va sottovalutato neppure oggi), ma non riusciva a scorgere la portata apocalittica e teologica della fondazione dello Stato di Israele, e forse ignorava che: «Nell'immediato dopoguerra Stalin si presentò più volte come il paladino dei popoli colpiti dalla dominazione nazista, mostrandosi propenso a considerare le istanze degli ebrei che con sei milioni di vittime rivendicavano i propri diritti. Il rappresentante sovietico alle Nazioni Unite, Andrey Gromiko, sostenne che non si potava negare al popolo ebraico il diritto di avere uno Stato Approvò quindi il piano UNSCOP tra la sorpresa generale» (129). Secondo il Johnson «se complotto vi fu per fondare Israele, FU L'UNIONE SOVIETICA AD ESSERNE MEMBRO INFLUENTE. Durante la guerra, per ragioni tattiche, Stalin aveva sospeso la sua politica antisemita, creando perfino un Comitato ebraico antifascista. Dal 1944, per un breve momento, aveva adottato un atteggiamento filosionista in politica esteranel maggio 1947, Andrey Gromiko sorprese tutti annunciando che il suo governo era favorevole alla creazione di uno Stato ebraico» (130).
Chi invece comprese molto bene la portata della fondazione dello Stato d'Israele furono proprio gli ebrei: «In quella circostanza [la risoluzione del 1948, n.d.r.] gli ebrei di Roma, che tradizionalmente si erano imposti di non passare più sotto l'Arco di Tito, testimone del loro asservimento, in una solenne cerimonia ruppero questo simbolico divieto, attraversando l'Arco di Tito in senso opposto a quello del trionfo dell'imperatore romano» (131). (132).
Tuttavia con il 1949 i rapporti tra URSS e Israele cominciano ad incrinarsi.
Andrew e Leslie Cockburn, in un recente e ben documentato libro, gettano nuova luce sui rapporti tra USA, URSS e Sionismo: «Dopo molti decenni ed una guerra fredda, Andrei Gromyko, alzando una mano avrebbe dichiarato: "Con questa mano ho creato lo Stato di Israele" L'eloquenza di Gromyko si manifestò su ordine di Giuseppe Stalin, che, rispetto alla fondazione dello Stato d'Israele, non si era certo fatto influenzare dai sentimenti I russi avevano ottime ragioni per sostenere sia la resistenza armata ebraica contro il dominio britannico in Palestina, che la creazione dello Stato sionista, dal momento che lo Stato arabo era allora decisamente nella sfera di influenza dell'occidente. () Il sostegno diplomatico non fu l'unica forma d'incoraggiamento che Stalin diede alla lotta d'Israele per costruirsi e sopravvivere come Stato» (133). Lo Stato di Israele inoltre, ricevette aiuti bellici «dal regime comunista che prese il potere in Cecoslovacchia nel febbraio del 1948, un governo sotto l'occhio attento e vigile di Stalin. Nei mesi che precedettero la dichiarazione di indipendenza di Israele (maggio 1948), i servizi segreti militari statunitensi scoprirono l'esistenza di un regolare ponte aereo per il trasporto di armi tra Praga e il medio oriente (134). () Entro l'autunno del 1948 furono addestrati nelle varie basi cecoslovacche non meno di cinquantamila militari israeliani e quando questi partirono alla volta di Israele, il loro reparto prese il nome di Klement Gottwald, il dirigente comunista ceco» (135). Israele rese inoltre il favore alla Cecoslovacchia, fornendole preziose informazioni sulle più moderne armi americane, veri gioielli di un settore di tecnologia bellica altamente avanzata, nel quale i sovietici erano ancora assai arretrati. «Nel 1948, in almeno due occasioni, gli israeliani consegnarono ai cecoslovacchi esemplari di moderne armi americane Quando e come gli israeliani avessero ottenuto questi prodotti della tecnologia occidentale, poi consegnati ai sovietici, non si è mai saputo, ma evidentemente per lo Stato ebraico si trattava di un'operazione che valeva la pena di compiere» (136). Tuttavia il rapporto privilegiato con l'Est sovietico non doveva essere esclusivo poiché non era da solo sufficiente a fornire al Sionismo , al cui vertice vi era il presidente Trumann che inizialmente non si mostrò entusiasta ad appoggiare la creazione di uno stato ebraico in Palestina (137). Fu solo nel corso del suo secondo mandato che Trumann riconobbe formalmente lo Stato ebraico: «Spingere il presidente americano nel campo filo-israeliano era stata una mossa importante, ma ciò non comportò affatto per Israele la rottura dei suoi legami con i paesi dell'Est ed il suo passaggio nel blocco occidentale [in quanto] Israele voleva sia i capitali americani sia i due milioni di ebrei dell'Unione sovietica, ma non sembrava possibile ottenerli entrambi allo stesso tempo. E d'altra Parte il denaro serviva subito. La comunità ebraica americana aveva contribuito di tasca propria, e con ingenti somme, ad operazioni come l'acquisto di armi cecoslovacche» (138). Se l'Unione Sovietica si accontentava della neutralità di Israele, nel corso della guerra fredda gli Stati Uniti non erano per nulla soddisfatti di tale posizione. Tuttavia gli israeliani «nel timore di alienarsi del tutto i sovietici, tentarono di mantenere comunque un profilo basso e una certa neutralità Israele si trovava in un vicolo cieco: da una parte non osava impegnarsi troppo apertamente con gli americani per timore di tagliare tutti i legami con l'Est dall'altra, si trovava di fronte al problema di come continuare a mungere la "mucca" americana senza essere disposta né capace di dare qualcosa in cambio (139). In realtà c'era qualcosa che Israele poteva dare alla "mucca" americana, ma ciò doveva rimanere segreto» (140). Se era molto difficile per gli USA e la CIA contattare direttamente gli abitanti dell'Est ed averne preziose informazioni, «non rimaneva altro che trovare un posto dove vi fosse molta gente che avesse vissuto di recente in un territorio controllato dai sovietici. Tanto meglio poi se quel paese (Israele) aveva anche una consolidata esperienza di lavoro clandestino in quella parte del mondo ed un'organizzazione di servizi segreti altamente efficiente e ansiosa di collaborare con gli USA» (141). Questa tesi trova conferma anche nel libro di Ostrovsky, il quale asserisce che il Mossad dipende totalmente dagli ebrei che vivono fuori da Israele, i cosiddetti Sayanim, e non potrebbe funzionare senza di loro (142).

Il sionismo e l'antico testamento

Ma qual è il piano di Dio? Gerusalemme è destinata dal Signore a ridiventare capitale di uno Stato ebraico? Il modo in cui si è realizzata la formazione dello Stato d'Israele corrisponde a ciò che deve essere il regno di Giuda secondo le profezie? Questa è la chiave della questione sionista: è una chimera o è una realtà? Lo studio teologico del piano di Dio darà una risposta.
La risposta si trova nelle profezie bibliche, che vanno però bene interpretate, in senso spirituale (e non temporale); infatti esse non predicono il ristabilimento del regno temporale d'Israele, ma preannunciano la fondazione della Chiesa romana, regno anzitutto e principalmente spirituale e celeste.
Già ai tempi della venuta di Cristo i dottori gli scribi e i farisei, interpretando alla lettera le profezie, si facevano un'idea del tutto terrestre e materiale del regno del Messia, ed è per questo che condannarono a morte Gesù, che predicava un regno principalmente spirituale (la Chiesa in terra e il Cielo nell'al di là) per tutti gli uomini. I sionisti di allora non furono contenti ed eliminarono il vero Messia. Ed è ancora con tale falsa interpretazione delle profezie messianiche che gli ebrei, sin dalla distruzione di Gerusalemme (70) e fino ai giorni nostri, continuarono a sperare nella ricostituzione del regno d'Israele.
La causa di tali false interpretazioni è, per la teologia cattolica, il disconoscimento del duplice oggetto di tali profezie: uno temporale, riguardante la restaurazione di Gerusalemme e dello Stato ebraico dopo la cattività babilonese (586 a. C.) e non dopo la morte del Messia e la distruzione di Tito (70); l'altro spirituale e riguardante la fondazione della Chiesa, l'Israele spirituale che deve condurre gli uomini di tutti i popoli in Cielo (la Gerusalemme celeste).
L'insigne teologo ed esegeta mons. Lémann scrive a questo riguardo: "È dopo aver misconosciuto il duplice oggetto delle profezie messianiche, l'uno temporale, relativo all'antica Gerusalemme terrestre, e l'altro spirituale, relativo alla Gerusalemme delle anime, opera del Messia, che il popolo ebraico s'è ingannato e s'inganna ancora. () Purtroppo il popolo ebraico si è attaccato e si attacca ancora alle IMMAGINI che rivestono la VERITÀ delle profezie Ed è una seconda e nuova riedificazione di Gerusalemme e del Regno di Giuda che molti di loro persistono a volere. CHIMERA! Il duplice oggetto delle profezie essendosi avverato, uno venticinque secoli fa, grazie alla riedificazione materiale di Gerusalemme dopo l'esilio babilonese, sotto Esdra e Nehemia; l'altro, diciannove secoli fa, grazie alla fondazione della Chiesa: Gerusalemme spirituale
Cercare di ricostruire una Gerusalemme terrestre è lo stesso che voler edificare l'ombra della realtà. Ora da diciannove secoli e per sempre la realtà, che è la Chiesa, ha dissipato l'ombra. Umbram fugat veritas!" (143).
Già Sant'Alfonso Maria de' Liguori aveva individuato questi errori: «Due furono gl'inganni de' Giudei circa il Redentore che aspettavano: il primo fu che quanto predissero i profeti de' beni spirituali ed eterni, de' quali dovea il Messia arricchire il suo popolo, essi vollero intenderlo de' beni terreni e temporali: Et erit fides in temporibus tuis, divitiae salutis, sapientia et scientia, timor Domini, ipse est thesaurus eius (Is. XXXIII, 6). Ecco i beni promessi dal Redentore, la fede, la scienza delle virtù, il santo timore: queste furon le ricchezze della salute promesse. Inoltre Egli promise che avrebbe recata la medicina a' penitenti, il perdono a' peccatori e la libertà a' cattivi del demonio: Ad annuntiandum mansuetis misit me, ut mederer contritis corde et praedicarem captivis indulgentiam et clausis apertiorem (Is. LXI, 1).
L'altro inganno de' Giudei fu che quello ch'era stato predetto da' profeti della seconda venuta del Salvatore, quando Egli verrà a giudicare il mondo nella fine de' secoli, vollero intenderlo della prima venuta. Scrisse bensì Davide del futuro Messia ch'egli dovea vincere i principi della terra ed abbattere la superbia di molti e, colla forza della spada, distruggere tutta la terra: Dominus a dextris tuis: confregit in die irae suae reges. Iudicabit in nationibus conquassabit capita in terra multorum (PS. CIX, 5 et 6). Ed il profeta (Gioele II, 11) [leggi Geremia XII, 12] scrisse: Gladius Domini devorabit ab extremo terrae usque ad extremum eius. Ma ciò s'intende già della seconda venuta, quando verrà da giudice a condannare i malvagi; ma parlando della prima venuta, nella quale dovea venire a consumare l'opera della Redenzione, troppo chiaramente predissero i profeti che il Redentore dovea fare in questa terra una vita povera e disprezzata. Ecco quel che scrisse il profeta Zaccaria parlando della vita abbietta di Gesù Cristo: Ecce rex tuus venit tibi iustus et salvator: ipse pauper et ascendens super asinam et super pullum filium asinae (Zach. IX, 9)» (144).

Il sionismo e il nuovo testamento

Gesù, per ben quattro volte, ha profetizzato riguardo al futuro del Tempio di Gerusalemme; una prima volta ha annunciato il suo abbandono da parte di Dio (Lc. XII, 34,35): "ecco che la vostra casa sarà ABBANDONATA" (l'aggettivo deserta riportato nella Vulgata non si trova nel testo greco). Tale sentenza annuncia l'abbandono del Tempio da parte di Dio: Gesù non chiama più il Tempio la MIA casa o la casa del PADRE MIO, ma la VOSTRA casa.
Una seconda volta Gesù predice la distruzione da cima a fondo del Tempio: "Non lasceranno (i tuoi nemici) di te PIETRA SU PIETRA" (Lc. XIX, 41-44).
Una terza volta Gesù predice che il Tempio sarà reso come deserto: "Ed ecco che la vostra casa vi sarà lasciata DESERTA" (Mt. XXIII, 37-38). Questo è un nuovo annuncio, più solenne, che Dio avrebbe abbandonato il Tempio dove abitava. Gesù ripete due volte tale abbandono del Tempio, poiché gli ebrei avevano la folle confidenza che il Tempio, essendo la casa di Dio, li avrebbe risparmiati da qualsiasi calamità. Gesù perciò vuole togliere loro una tale fiducia, ripetendo l'annuncio dell'abbandono ed anzi per far meglio capire la gravità di tale abbandono aggiunge qui la terribile parola deserta, a significare che il Tempio è destinato a cadere in rovina.
Gesù infine si è pronunciato una quarta volta, giurando addirittura che il Tempio sarebbe stato distrutto insieme con le sue stesse rovine: "In verità vi dico non resterà pietra su pietra CHE NON SIA DISTRUTTA" (Mt. XXIV, 2). Ebbene Dio ABBANDONÒ il Tempio quando Gesù fu messo a morte ed il velo del Tempio si strappò in due (Mc. 15, 38; Lc, 23, 45). Il Tempio fu DISTRUTTO da Tito, che fece demolire dai soldati le mura del Tempio incendiato. Restavano le FONDAMENTA, che, al tempo di Giuliano l'Apostata, FURONO DIVELTE proprio dagli ebrei stessi i quali le avevano dissotterrate nella speranza di scavarne delle nuove e di ricostruire il Tempio, cosa che non fu possibile a causa di un fuoco sprigionatosi dalla terra e di numerosi terremoti, "che inghiottironociò che restava delle fondamenta del Tempio" (145). Ecco compiuta la quarta promessa, le rovine stesse del Tempio sono state distrutte: "Lapis super lapidem qui non destruatur" (Mt. XXIV, 2). Tale distruzione, secondo la Tradizione, non è soltanto totale, ma DEFINITIVA! San Giovanni Crisostomo asserisce: "nessuno può distruggere ciò che Gesù Cristo ha edificato, così nessuno può riedificare ciò che ha distrutto. Egli ha fondato la Chiesa e nessuno potrà mai distruggerla; Egli ha distrutto il Tempio e nessuno potrà mai riedificarlo" (146).

Ciò che Gesù ha profetizzato riguardo a Gerusalemme

Due cose ha profetizzato Gesù: la distruzione di Gerusalemme e la sua sorte dopo la distruzione, quando essa dovrà essere "calpestata dai pagani, sino a che i tempi delle nazioni siano compiuti" (Lc. XXI, 24).
Dopo la distruzione, operata da Tito nel 70, Gerusalemme fu effettivamente ancora occupata, saccheggiata, calpestata e dominata da diversi popoli pagani. Venti volte conobbe l'invasione e il saccheggio! Cominciarono le legioni di Adriano nel 130; nel 613 fu la volta dei persiani, ai quali seguì nel 627 Eraclio e nel 636 il califfo Omar. Una quinta ed una sesta volta fu occupata tra il 643 e l'868, quando la dinastia degli Omniadi cadde e fu sostituita dagli Abassidi. Nell'arco di circa duecento anni subì nove invasioni: nel 868 dal sovrano egiziano Ahmed, nel 905 dai califfi di Baghdad, nel 936 da Maometto-Ikhschid, nel 968 dai Fatimiti, nel 984 dal turco Ortok, e in seguito dal califfo d'Egitto, nel 1076 dal turco Meleschah, poi dagli Orokidi e ancora nel 1076 dai Fatimiti. La sedicesima volta furono i crociati che entrarono a Gerusalemme alle quindici del venerdì 15 luglio del 1099, alla stessa ora della morte di Gesù Cristo. Nel 1188 fu Saladino che tolse ai cristiani i luoghi santi, nel 1242 il sovrano d'Egitto Nedjmeddin, nel 1382 i Mammalucchi e infine nel 1516 i Turchi con Séhim I.
Sul versetto evangelico che segue la predizione della soggezione di Gerusalemme ai pagani "fino a che i tempi delle nazioni non siano compiuti" si danno due interpretazioni: per la prima, sostenuta da S. Giovanni Crisostomo (II oratio contra Judeos) le parole di Cristo significano "fino a che non vi siano più nazioni", cioè FINO ALLA FINE DEL MONDO, e quindi esclude la possibilità che Gerusalemme possa diventare mai la capitale di uno Stato ebraico. Per la seconda, invece, Gerusalemme sarà calpestata fino a che la pienezza delle nazioni non sia entrata nella Chiesa con la conversione di Israele, in base alle parole di San Paolo (Rm. XI, 25-26): "L'accecamento ha colpito in parte Israele, fino a che la pienezza dei gentili sia entrata, e così tutto Israele sia salvato". Questa tesi esclude anche, con l'entrata progressiva delle nazioni nella Chiesa e la salvezza finale di Israele, la ricostruzione del regno d'Israele, come dimostrano anche l'abbé Lémann e Mons. Spadafora (147).

GESÙ E IL REGNO DI ISRAELE

Il giorno dell'Ascensione gli Apostoli, non ancora ripieni di Spirito Santo, erano imbevuti di sogni di gloria e felicità temporale, come tutti gli ebrei di quell'epoca che aspettavano un Regno terrestre del Messia guerriero e conquistatore. E siccome Gesù aveva parlato loro in quel giorno del Regno di Dio e della discesa dello Spirito Santo, ecco che le loro speranze di regalità temporale si risvegliarono e chiesero a Gesù: "Maestro, è ora che realizzerai il Regno di Israele?" (148). Nella risposta di Gesù ["Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato al suo potere. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo che scenderà su di voi e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino alle estremità della terra" (149)] vi è un insegnamento indiretto riguardo al ristabilimento del regno di Israele, in quanto nell'eleggere i discepoli come suoi testimoni fino alle estremità del mondo, Nostro Signor Gesù Cristo faceva loro capire che NON SI TRATTAVA per Lui DI RENDERE ALLA NAZIONE EBREA IL SUO REGNO TEMPORALE, ma di fondare, tramite il loro ministero apostolico, il Regno di Israele spirituale, la Chiesa (Verus Israël) che da Gerusalemme avrebbe dovuto diffondersi in tutto il mondo.
Questo è il Regno di Israele che Gesù Cristo è venuto a fondare, Regno delle anime, Regno dei Cieli: la Chiesa qui in via, e il Paradiso in Patria! Nessun accenno ad uno Stato di Israele che riapparirà a Gerusalemme.
Alla obiezione spontanea che attualmente Gerusalemme è nuovamente la capitale di uno Stato ebraico, che la Palestina è il Regno d'Israele occorre dare una risposta ampia e articolata.
Il fatto che Dio abbia permesso il ritorno di una gran massa di ebrei in Terra Santa non solo non contraddice le profezie di Gesù Cristo ma LE COMPIE, in quanto le Scritture ci parlano, anche della conversione di Israele al Cristianesimo. E Mons. Lémann stesso vedeva in tale movimento verso la Palestina una PREPARAZIONE AL RAGGRUPPAMENTO imponente di ebrei che sarà necessario perché LA LORO CONVERSIONE IN MASSA appaia EVIDENTE AL MONDO INTERO.
E il ritorno in massa del popolo ebraico nella Terra Santa implica veramente la realizzazione STRETTA E FORMALE del Sionismo? Prima della sua conversione al Cristianesimo il popolo ebraico ritroverà il possesso COMPLETO ED INDIPENDENTE del paese dei suoi avi? La storia fino ad ora ha risposto. Il possesso non è PIENO, COMPLETO ed ESCLUSIVO. Inoltre lo Stato di Israele per essere VERO E LEGITTIMO Regno d'Israele dovrebbe essere teocratico ed avere perciò il terzo Tempio. Ora, come affermano tutti gli ebrei ortodossi, il Sionismo attuale non è riuscito a far rivivere tale stato di cose, anzi non ha voluto neppure provarci per principio; pertanto lo Stato di Israele è soltanto MATERIALMENTE, ma non FORMALMENTE, il Regno sognato dai talmudisti. Inoltre gli ebrei non hanno ancora il pieno possesso della Terra Santa, che devono spartire, in stato di guerra continua, con lo Stato palestinese (150).
Secondo Mons. Lémann, anche DOPO LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO, gli ebrei non potranno ristabilire il Regno d'Israele, non saranno cioè rimessi da Dio nel paese dei loro avi in cui godranno la pace più profonda, perché il ritorno di Israele nella terra promessa deve essere interpretato in senso spirituale e metastorico, cioè come la conversione e il rientro d'Israele nella Chiesa di Cristo, il Verus Israël.
Altri esegeti affermano invece che Israele sarà ristabilito in Palestina e che vi formerà uno Stato [cristiano, dal momento che si parla di Israele convertito] (151).
La conversione futura degli ebrei è ammessa comunemente dai teologi cattolici, tra i quali alcuni affermano che gli ebrei, ritornati a Cristo e incorporati alla Chiesa, saranno ricondotti provvidenzialmente in Palestina dove restaureranno Gerusalemme ed anche il Tempio, ma in onore di Gesù Cristo. S. Beda afferma, ad esempio: "Quando Israele si convertirà non è temerario sperare che ritornerà sul suolo dei suoi padri, che riprenderà il possesso di Gerusalemme per abitarvi" (152). Questa opinione tuttavia, anche se riprende quelle profezie che annunciano il ristabilimento del Regno d'Israele ed è seguita da alcuni esegeti, sembra rinnovare nel fondo l'errore del Giudaismo talmudico, che si ferma al significato letterale delle profezie senza coglierne quello spirituale. Anche l'opinione che gli ebrei convertiti ricostruiranno il Tempio in onore di Gesù Cristo è respinta da Mons. Lémann in quanto contraria a tutta l'economia del Nuovo Testamento: infatti il Tempio aveva, oltre la destinazione immediata al culto divino dell'Antica Alleanza, - ormai revocata - un significato simbolico (153), era figura del TEMPIO FUTURO fondato da Dio stesso, la Chiesa romana. Il Santo rappresentava la Chiesa militante e il Santo dei Santi quella trionfante. Ora che la realtà ha sostituito la figura non vi è più motivo di ricostruire un Tempio che era eminentemente figurativo.


La sorte di Gerusalemme fino alla fine del mondo.

Su questo argomento esistono due tesi; la prima afferma che quando i tempi delle nazioni saranno compiuti Gerusalemme non conoscerà la convivenza con l'Islàm e diverrà una capitale cristiana, mentre l'altra, più sicura, asserisce che GERUSALEMME SARÀ CALPESTATA FINO ALLA FINE DEL MONDO a causa del deicidio.
Anche le parole di Gesù "Gerusalemme sarà calpestata dai pagani, fino a che i tempi delle nazioni siano compiuti" (154), vengono spiegate in modo diverso: per alcuni significano che Gerusalemme cesserà di essere calpestata quando il Vangelo sarà predicato ovunque nel mondo intero e Israele si convertirà divenendo uno Stato cristiano; la maggior parte degli esegeti, però, sostiene che Gerusalemme sarà calpestata fino alla fine del mondo, secondo la tesi di san Giovanni Crisostomo: «Mai Gerusalemme gioirà di un pieno e tranquillo splendore Essa presenterà sempre i segni della desolazione decretata. Se arrivasse l'Anticristo, nell'avvenire, e riuscisse a darle uno splendore anticristiano, esso sarà soltanto FITTIZIO E PASSEGGERO. Credere il contrario significa illudersi Se "l'uomo del peccato, il figlio della perdizione"(II Tess. 2,3), per cercare di far mentire le profezie, tenterà di rendere a Gerusalemme il suo splendore passato, immediatamente essa cadrà sotto il colpo di una maledizione simile a quella che pronunciò Giosuè contro chiunque tentasse di ricostruire le mura di Gerico: "maledetto sia davanti al Signore" Lo stesso avverrà per il tentativo dell'Anticristo Per far sparire lo splendore che Gerusalemme non deve più conoscere [e qui si vede la gravità del piano di Giovanni Paolo II in Tertio Millennio Adveniente] (155) un miracolo di vendetta divina colpirà l'Anticristo e bloccherà il suo braccio» (156).

Roma contro Gerusalemme

«Vi sono due città quaggiù riguardo alle quali le macchinazioni degli uomini resteranno impotenti: Roma e Gerusalemme Roma sede del Vicario di Cristo, non cesserà mai di esserlo. Leone XIII lo ha proclamato una volta di più nella sua Enciclica relativa al Giubileo del 1900: "Il segno divino, che è stato impresso a questa città, non può essere alterato né dalle macchinazioni umane né da alcuna violenza. Gesù Cristo Salvatore del mondo, ha scelto, sola tra tutte, la città di Roma per una missione più alta ed elevata che le cose umane, e se l'è consacrata. Ha deciso che il trono del suo Vicario vi restasse in perpetuo". Ma se Roma deve restare fino alla fine del mondo la sede indistruttibile del regno di Cristo e del Papato, Gerusalemme, al contrario, non ridiverrà mai la capitale né il seggio di un nuovo regno d'Israele. Un marchio divino è stato ugualmente impresso su di essa, quello del castigo. Né le combinazioni umane, né alcuna violenza non saprebbe farlo scomparire» (157).

Il Sionismo e l'Anticristo

È sentenza comune dei Padri della Chiesa (158) che gli ebrei devono ricevere e acclamare l'Anticristo come loro Messia e che Gerusalemme non ridiverrà la capitale di uno stato ebraico (perfettamente e completamente) neanche sotto il Regno dell'Anticristo e grazie al suo aiuto. Per ben capire la portata di tale asserzione occorre prima risolvere la questione di quale sarà la sede dell'Anticristo, per la quale esistono due opinioni.
Secondo la prima l'Anticristo avrà come sede del suo regno Gerusalemme; molti sono i sostenitori di questa tesi e tra questi S. Ireneo (159), Lattanzio (160), Sulpizio Severo (161), San Roberto Bellarmino (162), Cornelio a Lapide (163), Francisco Suarez (164). Essa si fonda sull'Apocalisse in cui san Giovanni afferma che Enoch ed Elia, avversari dell'Anticristo, saranno uccisi (165), cioè a Gerusalemme dove quindi l'Anticristo, avrà prima posto la sede del suo regno.
La seconda opinione afferma invece che la capitale del regno dell'Anticristo sarà Roma, perché, per i sostenitori di questa tesi, il testo dell'Apocalisse non si riferisce necessariamente a Gerusalemme come sede dell'Anticristo, il quale potrebbe ordinare la soppressione dei due testimoni in quella città, avendo però altrove la sua sede; anzi per opporsi meglio a Cristo (166). Coloro che preparano il suo regno (gli anticlericali di ogni sorta), sembrano averlo compreso molto bene, infatti «è CONTRO ROMA che si sono coalizzati, da svariati anni gli sforzi dei massoni e degli ebrei, questi formidabili preparatori della potenza dell'Anticristo. Una volta stabilitosi a Roma, "terra di gloria" nulla sarà più facile all'Anticristo che rendersi a Gerusalemme. È là, in effetti che l'attende, secondo la profezia di Daniele, la vendetta di Dio» (167).
Ma anche nel caso in cui l'Anticristo si stabilisse a Gerusalemme, non per questo si realizzerà il sogno del Sionismo, perché questi non avrà come fine quello di ristabilire il Regno di Israele e di realizzare così le profezie, ma solo di farsi adorare come Dio, per cui (168) e aperti gli occhi si convertirà a Gesù Cristo guardando Colui che hanno trafitto.
Per quanto riguarda il Tempio, poi, ci si può chiedere se l'Anticristo arriverà a ricostruirlo in odio alle profezie di Gesù Cristo e per cercare di smentirle o screditarle; alcuni Padri ed esegeti, tra cui san Ireneo, san Cirillo di Gerusalemme, Suarez, lo affermano, interpretando alla lettera le parole di san Paolo (169). Molti altri Padri invece intendono metaforicamente la parola Tempio, che non è quello di Gerusalemme. Per san Girolamo siederà nel Tempio di Dio: vale a dire o in Gerusalemme, o nella Chiesa e ciò mi sembra più vero [vel in Ecclesia, ut verius arbitramur] (170). Della stessa opinione sono anche san Giovanni Crisostomo (171) e Teodoreto che spiega anche il modo in cui avverrà: (172).
Ma pur ammesso che l'Anticristo cerchi di ricostruire il terzo Tempio, non per questo si avvereranno le speranze del Sionismo, perché lo scopo non sarà la gloria di Jahwé, ma il suo culto personale in sostituzione di quello di Dio. Inoltre «tale tentativo sarà talmente imperfetto che il Tempio non sarà ricostruito NEL SENSO STRETTO o proprie loquendo Il Tempio non potrà essere ricostruito FORMALITER, poiché l'impresa avrà per oggetto non il culto del vero Dio, ma quello dell'Anticristo. Poiché benché all'inizio, l'Anticristo, per ingannare gli ebrei, simulerà di voler ricostruire il Tempio per il culto di Dio, in realtà e nel segreto del suo cuore, agirà solo per la sua gloria e per farsi adorare» (173).

Conclusione: l'attuale Stato di Israele è il regno messianico?

Il Sionismo attualmente realizzatosi è l'avverarsi di un BEL SOGNO o è una CHIMERA? Dopo aver visto la risposta dell'ebreo convertito Augustin Lémann nel 1901 esaminiamo quanto affermano oggi storici e politologi di diversa estrazione di pensiero. Secondo Paul Johnson la nuova Sion era stata concepita come risposta all'antisemitismo del XIX secolo e pertanto non aveva alcun fondamento né fine religioso, ma era solo «uno strumento politico e militare per la sopravvivenza del popolo ebraico L'essenza del Giudaismo era che l'esilio sarebbe finito per un evento metafisico, in un momento stabilito da Dio, non per una soluzione politica escogitata dall'uomo. Lo Stato sionista era semplicemente un nuovo Saul, suggerire che fosse una forma moderna del Messia era non soltanto sbagliato, ma blasfemo. () Poteva soltanto generare un altro falso messia» (174). Gershom Scholem, grande studioso di mistica ebraica, ammoniva: (175).
«Il Sionismo non aveva posta - secondo il Johnson - per Dio come tale ecco perché fin dal principio la maggior parte degli ebrei osservanti considerarono il Sionismo con sospetto o con decisa ostilità e alcuni ritennero che fosse OPERA DI SATANA La creazione dello Stato sionista non era un reingresso ebraico nella storia, un Terzo Stato, ma l'inizio di un esilio nuovo e molto più pericoloso Il Sionismo era 'ribellione' contro il Re dei re lo Stato ebraico sarebbe finito in una catastrofe peggiore dell'olocausto» (176).
Le ultimissime recenti stragi hanno fatto scrivere a Fiamma Nirestein: «SMARRIMENTO. Israele, che ha per pietra angolare il concetto della sicurezza dello Stato ebraico, che è nato deciso a riscattare per sempre la storia giudaica dal sentimento di inevitabile e continuo pericolo, si trova forse per la prima volta dal 1948, anno della sua fondazione, a non sapere che fare, a percepire, a causa degli attacchi omicidi-suicidi che si susseguono implacabilmente, un senso di vuoto, di perdita, di SMARRIMENTO appunto» (177).
Lo stesso disagio evidenzia, sempre su La Stampa, Avraham Ben Yehoshua:
Negli ultimi tempi la stampa israeliana dedica molto spazio all'eventualità di una guerra civile. Il trauma di una guerra fratricida si accompagna al ricordo della perdita della sovranità Nell'anno 70 Gerusalemme fu conquistata ma alla disfatta militare conribuì una guerra fratricida combattuta tra coloro che si erano scelti per nome 'zeloti' e i cosiddetti 'sadducei'. Questa guerra interna indebolì lo Stato ebraico e preparò il terreno alla sconfitta militare definitiva, ed è per questo che ogni sintomo di possibile lotta di questo genere risveglia un ricordo doppiamente traumatico In fondo i motivi di divisione erano gli stessi che si riscontrano oggi nella società israeliana. Si tratta della lotta tra due diversi codici il codice religioso e quello nazionale Si è tornati [oggi] in un certo senso all'antico conflitto tra i due codici non ci si deve stupire perciò se tra i più violenti oppositori al governo attuale ci sono numerose persone che esibiscono la propria religiosità. Sono loro gli esponenti di punta di un'opposizione che rischia di diventare violenta. Perché il codice religioso, che si esprime nella sacralizzazione della terra di Israele, ha la meglio su quello nazionale Come per gli zeloti non era assurdo ribellarsi contro l'Impero romano. Così per i religiosi contemporanei non c'è niente di male nel continuare l'assurda dominazione su un popolo che rappresenta circa il cinquanta per cento della sua stessa popolazione senza concedere i diritti civili C'è quindi la possibilità che questi fattori [USA e Europa, n.d.r.] contribuiscano ad impedire che i sostenitori del codice religioso scatenino una guerra civile dagli esiti DIFFICILMENTE PRONOSTICABILI» (178).
«Israele il giorno dopo la grande sciagura [la morte di Rabin, n.d.r.] la grande paura degli israeliani ha un nome blasfemo: guerra civile. Inutile nascondersi dietro un dito. Israele corre e correrà codesto rischio mostruoso, devastante, se colui che ha raccolto il testimone non agirà in fretta» (179).
Sembra quasi di cogliere il dubbio o il timore che il Sionismo, lungi dal rappresentare un magnifico successo, possa trasformarsi in un TERRIBILE SCACCO.
Al termine dell'analisi del Sionismo si ritorna al punto iniziale: tutto ciò che riguarda il problema ebraico è problema esclusivamente religioso: già san Gregorio Magno affermava che (180). Il motivo può essere trovato nelle parole stesse della Nirenstein: Israele ha rigettato la vera pietra d'angolo Nostro Signor Gesù Cristo (che avrebbe dovuto riunire gli ebrei ai pagani nell'unica chiesa di Dio, come la pietra d'angolo fa da base a due muri della casa) e ve ne ha sostituita un'altra, il concetto della SICUREZZA dello Stato ebraico; ma mai l'uomo sarà sicuro se non fonda ogni sua speranza in Dio e nel suo Unigenito Gesù Cristo (181). Allora la sostituzione di un Messia personale con un'idea astratta è alla base dello scacco del Sionismo, è la ragione profonda della situazione di SMARRIMENTO constatata dalla Nirenstein, nonostatnte l'opulenza e la potenza attuale dello Stato d'Israele, perché il cuore dell'uomo non troverà pace finché non riposerà in Colui che l'ha redento e che nel Vangelo aveva predetto: «La pietra [Cristo] che riprovarono gli edificanti [i giudei] è diventata PIETRA ANGOLARE [che unisce in una sola Chiesa i due popoli, il pagano e l'israelita]. Chiunque cadrà su questa si sfracellerà ed essa stritolerà colui sul quale cade [cioè colui che per disprezzo l'avrà voluta rimuovere]» (182).



Encoerense:
Scanviar par fanatixmo ła łota e łe goere partexane e de łeberasion ebraeghe contro l'envaxion e l'ocupasion romana. Li ebrei par sto prete catołego-cristian no łi xe degni de esar on popoło, na nasion, de ver ła so tera e ła so rełijon ła saria endegna ...
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:42 am

Antisionismo antisemita nazimaomettano


INTERVISTA A AHMED RAMI

https://www.radioislam.org/islam/italia ... o/rami.htm

Nota della redazione di "Avanguardia" alla traduzione di stralci dell'intervista rilasciata da Ahmed Rami al giornale algerino "Le Jeune Indépendant" del 19-25 novembre 1991, pubblicata sul numero di ottobre del 1992 dal mensile italiano e che qui sotto riproponiamo ai lettori.


Al di là della forma antropologica che ne contraddistingue l'esistenza individuale sul piano storico temporale Ahmed Rami rappresenta una figura simbolica che incarna esemplarmente il significato spirituale ed etico, politico e culturale, sotteso alle coordinate ''strategiche'' del progetto Eurasia-Islam. Rami è la conferma 'vivente' della 'combatibilità' politico-religiosa ed antropologica che, nell'ambito della comune battaglia contro il nemico dell'uomo, esiste fra i combattenti antimondialisti arabo-musulmani e i nazionalrivoluzionari delle terre d'Europa. L'identità araba, la forma religiosa islamica e la volontà militante antisistema trova organica 'composizione' simbolica nel 'punto' umano di convergenza che identifichiamo nel mujahidin anti-mondialista Ahmed Rami. Egli è un esempio politico che smentisce la pregiudiziale limitazione territoriale a cui si richiamano coloro che negano ai mujahidin la legittimità di condurre la battaglia antimondialista anche in terre d'Europa.

Ahmed Rami vive in Svezia dopo essere stato condannato a morte in contumacia dal governo filo-sionista di Rabat, a causa della sua milizia antimondialista che lo annovera fra i capi dell'opposizione islamica in Marocco. In Svezia, a Stoccolma, Rami ha fondato Radio Islam, un'emittente che ha subito 'attirato' le persecutorie 'attenzioni' dell'internazionale ebraica.

Nel marzo 1988, a carico di Rami, sostenitore della corrente storiografica revisionista, sarà avviata un'inchiesta, a proposito del quale, sul giornale svedese "Syd-Svenska Dagbladet", l'ebreo Per Ahlmark dichiarerà: "L'inchiesta su Radio Islam è una vittoria per noi, che siamo riusciti ad avere le autorità dalla nostra parte". Dopo due processi-farsa condotti sulla base d'accusa di…"mancanza di rispetto" (missakting) nei confronti della razza ebraica, Rami è stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione. Non appena uscito dal carcere, ha ripreso la battaglia antimondialista partecipando alla Conferenza sulla Palestina tenutasi in Iran il 4-7 dicembre 1990, durante il quale l'Ayatollah Khamenei, Guida spirituale della Repubblica Islamica dell'Iran, ha incitato i Musulmani affinché smascherino la menzogna propagandistica ebraica dell'"olocausto" mediante l'approfondimento degli studi storici e la diffusione di produzioni cinematografiche. Il 29 marzo 1991 ha partecipato al convegno revisionista di Monaco di Baviera insieme a Faurisson, Roques, Stäglich e Leuchter, mentre nell'ottobre successivo si è recato in Iran, dove ha tenuto una conferenza sul tema storiografico-revisionista.

Nonostante un nuovo processo a suo carico, che si terrà entro il presente anno, la "Revue d'Historie Rèvisionniste" ha potuto affermare che "…l'eccezionale determinazione di Ahmed Rami e la sua capacità di diffondere le sue idee sono un esempio per i revisionisti del mondo intero".

Nella figura di Ahmed Rami, noi soldati politici nazionalrivoluzionari europei riconosciamo e onoriamo la forma guerriera del militante mujahidin antimondialista.

"Avanguardia"



Vi è un'unica soluzione giusta (non una capitolazione dei Musulmani e una vittoria ebraica) che possa porre definitivamente termine al problema del colonialismo sionista. L'attuale supremazia coloniale ebraica e la debolezza tecnologica dei Musulmani possono solo essere, storicamente, passeggere e contingenti. La soluzione definitiva del problema posto da un'occupazione può consistere soltanto nella decolonizzazione e nell'evacuazione dell'occupante. Né la sconfitta araba del 1967, né l'invasione statunitense dell'Arabia e nemmeno un'eventuale invasione dell'Iraq potranno mettere in ginocchio la Nazione Islamica nella sua lotta per la liberazione della Palestina.

La crisi del Golfo non è che un terribile complotto del giudaismo internazionale che domina gli USA, per mettere il mondo arabo e islamico in ginocchio; e ciò viene perseguito manipolando l'Europa occidentale per trascinarla in una guerra che servirà solo agl'interessi d'Israele e della mafia ebraica mondiale, contro gl'interessi reali dell'Europa. Dietro l'impegno militare occidentale in Arabia Saudita si nascondono la mafia ebraica internazionale e Israele, che ha trasformato gli Stati Uniti in una colonia ebraica.

Nel conflitto tra ebrei e non ebrei, in Palestina e altrove, vi sono due versioni dei fatti. Nel caso degli ebrei, costoro spacciano per "storia" le loro leggende "religiose", al fine di legittimare il colonialismo ebraico, l'espansionismo sionista e l'espropriazione della Palestina. E' dunque indispensabile mettere in questione la versione ebraica della storia e, in particolare, respingere le leggende menzognere e propagandistiche inventate dagli ebrei in rapporto alla seconda guerra mondiale e al conflitto palestinese. La versione ebraica della storia fa degli ebrei un "popolo" sacro, intangibile, privilegiato, immune da ogni critica! La "storia" insegnata in Occidente è una "credenza" di matrice ebraica, dunque antipalestinese e antislamica. Ricorrendo a un feroce terrorismo intellettuale gli ebrei fanno della storiografia un monopolio loro, interdetto agli avversari del sionismo. In Occidente, ad esempio, è praticamente vietato mettere in dubbio la versione ebraica della storia della seconda guerra mondiale. Ciò costituisce un'autentica pratica terroristica, un'umiliazione per dei popoli che pensano di vivere in regime di "libertà". Perciò non è solo la Palestina, oggi, ad essere occupata e dominata dal potere ebraico. L'Occidente stesso (nella cultura, nella storiografia, nei mezzi di comunicazione, nella politica) è occupato dalla mafia ebraica. Ma tra le due occupazioni c'è una differenza: l'occupazione della Palestina è un'infezione contro cui il corpo aggredito resiste "organicamente", mentre l'occupazione ebraica dell'Occidente somiglia a un cancro contro cui l'organismo ha perduto ogni immunità, ogni consapevolezza, ogni facoltà di resistenza! Oltre un secolo di propaganda ebraica ha colpevolizzato la coscienza davanti all'attacco canceroso ebraico. D'altronde, il lavaggio del cervello effettuato dalla propaganda ebraica sugli Occidentali è stato agevolato dal fatto che l'opinione pubblica era già disposta ad accogliere i cliché antiarabi e antislamici.

Bisogna quindi attaccare tutti i temi della propaganda ebraica per isolare Israele dall'Europa, i cui veri interessi consistono nelle relazioni di amicizia con il mondo arabo e con l'Islam. L'Europa non ha niente da guadagnare dalla sua alleanza con Israele! La mafia ebraica è il vero nemico mortale dell'Europa, e nella lotta contro questo nemico l'Islam è l'alleato naturale dell'Europa. Ma la propaganda ebraica ha mobilitato tutte le sue energie per convincere l'opinione pubblica europea che l'Islam e gli arabi sono "nemici pericolosi", mentre gli ebrei e Israele sono "amici" naturali nella lotta contro questo pericolo.

Tra le misure da prendere contro la propaganda sionista vi è il sostegno alla scuola storiografica "revisionista", che respinge la versione ebraica dei fatti verificatisi durante la seconda guerra mondiale, versione consacrata e imposta all'opinione occidentale dal dominio terroristico intellettuale del potere ebraico; tale dominio, che si esercita attraverso i mezzi di persuasione di massa, mira a "monetizzare" la "colpevolezza" dell'Europa trasformandola in aiuto politico, economico e militare ad Israele, cioè in appoggio all'occupazione della Palestina ai danni della Nazione Islamica. Questo aiuto europeo contribuisce, in misura decisiva, allo sforzo bellico d'Israele contro il mondo arabo e islamico.

La lotta di resistenza del popolo palestinese, che si trova in prima linea in questo combattimento storico contro il dominio terroristico ebraico, è una lotta in difesa della civiltà, contro le barbarie e la legge sionista della giungla. La versione ebraica della storia concernente l'"olocausto", che viene sfruttata politicamente per assoggettare l'Europa ai piani antislamici del sionismo, deve essere messa in questione e respinta. Il mito dell'"olocausto" è fondamentale nella propaganda ebraica. Il professor Robert Faurisson ha sintetizzato molto bene questa verità dicendo: "Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano un'unica menzogna storica, che ha consentito una gigantesca truffa politico-finanziaria i cui principali beneficiari sono lo Stato d'Israele e il sionismo internazionale, mentre le principali vittime ne sono il popolo tedesco (ma non i suoi dirigenti) e il popolo palestinese tutto intero". Difatti, secondo David Irving, dal 1949 Israele ha incassato 90 (novanta) miliardi di marchi per "gli ebrei morti" in camere a gas che in realtà non sono mai esistite!

Noi che nel mondo musulmano siamo vittime coscienti del dominio sfruttatore sionista e siamo quindi in prima linea sul fronte della lotta contro questo cancro, possiamo e dobbiamo aiutare l'Europa a liberarsi dall'occupazione sionista. Il mondo arabo e tutta la Nazione Islamica devono sostenere i movimenti di resistenza e di liberazione in Europa contro l'arroganza del potere sionista; analogamente, devono appoggiare con tutti i mezzi possibili il revisionismo storico, il quale mira, con metodi di ricerca scientifica, a far conoscere la verità sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale, che vengono falsificati dai sionisti per ricavarne uno strumento che legittimi l'occupazione sionista della Palestina, oltre che il dominio dell'Europa. La scuola del revisionismo storico apre una breccia importante nella muraglia massiccia della propaganda ebraica. Che questa scuola costituisca un pericolo per le menzogne propagandate dagli ebrei è dimostrato dalla violenza con cui gli ebrei reagiscono alle ricerche revisioniste: essi non sanno trovare altra risposta se non i metodi di aggressione fisica e la repressione giudiziaria e poliziesca.

Il fatto è che i sionisti non hanno mai accettato l'idea di una opposizione al loro potere e non hanno mai tollerato di essere contraddetti.

Quando i sionisti parlano di diritti, di libertà, di sicurezza, essi pensano unicamente ai loro diritti, alla loro libertà, alla loro sicurezza, non a quella degli altri, cioè dei non ebrei!



Il nazi-maomettano marocchino-svedese Ahmed Rami
https://it.wikipedia.org/wiki/Ahmed_Rami_(militare)
Ahmed Rami (Tafraout, 12 dicembre 1946) è un militare e politico marocchino, ex ufficiale, vive in esilio in Svezia come dissidente politico e fondatore di Radio Islam del re Hassan II.
Nel luglio 1971 venne accusato di essere complice del colpo di stato di Skhirat, contro Hassan II, allo scopo di abolire la monarchia e instaurare una repubblica islamica. Venne condannato a morte, ma riuscì a fuggire.[4]
Radio Islam ha iniziato a trasmettere a Stoccolma, dal 3 marzo 1987, al 1992. Nel maggio 1996 la stazione riprese le trasmissioni, i cui contenuti furono oggetto di accese controversie. Diversi furono le voci contro la radio, tra cui il Premio Nobel, Elie Wiesel, che cercò spingere le autorità alla chiusura della Radio. La radio venne chiusa, e Ahmed Rami condannato a sei mesi di carcere.
Jan Bergman, professore di storia religiosa presso l'Università di Uppsala, al processo testimoniò in favore di Ahmed Rami.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:43 am

Contro el sionixmo e contro łi ebrei


???

http://pericolosionismo.altervista.org/Storia.htm

ALCUNI ASPETTI STORICI E RELIGIOSI IMPORTANTI

INTRODUZIONE

I veri discendenti della Israele biblica, di quel popolo che ha abbracciato la fede di Cristo e di Maometto poi, e sono rimasti da sempre nella Terra Santa, sono proprio i Palestinesi.

Gli Israeliani lo sanno!
Gli ebrei del nostro tempo appartengono a due gruppi principali:

1) I SEFARDITI (ebrei pressappoco “semiti”) discendenti degli ebrei che dall’antichità erano vissuti in Spagna, sino a quando alla fine del quindicesimo secolo, vennero espulsi e si insediarono nei Paesi costieri del Mediterraneo, nei Balcani e in misura minore nell’Europa occidentale.

2) Gli ASHKENAZITI (ebrei non-semiti) da “Ashkenaz” termine che nel testo biblico indica un popolo che viveva da qualche parte nelle vicinanze del monte Ararat e dell’Armenia.

DUNQUE SI PUO’ BEN AFFERMARE CHE NON ESISTE NESSUN ANTISEMITISMO SE NON QUELLO MANIFESTATO CONTRO GLI ARABI.

GLI EBREI CAZARI

All’epoca in cui Carlo Magno veniva incoronato imperatore d’Occidente, l’estremo limite orientale dell’Europa tra il Caucaso e il Volga era governato da uno stato ebraico, noto come L’IMPERO DEI CAZARI. Fonti soprattutto ebraiche ci riferiscono che nel suo momento di massima potenza, tra il settimo e il decimo secolo, questo impero ebbe una certa qual influenza sui destini dell’Europa medievale. Il paese abitato dai Cazari, una popolazione di origine turca, occupava una posizione strategica sul vitale passaggio tra il Mar Nero e il Mar Caspio, nel 740 il Re, la Corte e la classe militare si convertirono al Giudaismo che divenne la religione di Stato dei Cazari (per motivi politici cioè per non assoggettarsi né all’Impero Romano né al Califfato di Baghdad).

L’impero dei Khazar

Dopo la fine e la distruzione dell’Impero Cazaro (tra il XII e XIII secolo) gli insediamenti Cazari si vennero a trovare in Crimea, Ucraina, Ungheria, Lituania e soprattutto in Russia e Polonia.
Uno dei maggiori studiosi dell’origine cazara degli ebrei è il professore di storia ebraica medievale all’Università di Tel Aviv A.N. POLIAK. Nel suo libro Cazaria del 1944 nell’introduzione egli scrive (in ebraico) che:

“I fatti richiedono un nuovo tipo di impostazione sia del problema relativo ai rapporti tra l’ebraismo cazaro e le altre comunità ebraiche, sia nel considerare fino a che punto si possa ritenere questo ebraismo (cazaro) il nucleo del grande insediamento ebraico in Europa orientale…. I discendenti di questo insediamento – quelli che rimasero dov’erano, quelli che emigrarono negli Stati Uniti o in altri paesi e quelli che sono andati in Israele – costituiscono oggi la grande maggioranza degli ebrei di tutto il mondo”

Si suppone quindi che la grande maggioranza degli ebrei vissuti nel mondo provengano dall’Europa orientale e siano perciò di origine prevalentemente Cazara, e ciò il altri termini significa che i loro antenati non provengono dal Giordano ma dal Volga, non da Canaan ma dal Caucaso, dal punto di vista genetico sarebbero perciò più strettamente legati alle tribu degli Unni e dei Magiari che al seme d’Abramo, Isacco e Giacobbe. E questa nostra conoscenza delle origini cazare della maggior parte degli ebrei del mondo, toglie finalmente e una volta per tutte, ogni pur minima credibilità alla leggenda da loro ossessivamente reiterata, secondo la quale essi sarebbero la “stirpe eletta”.

NASCITA DEL SIONISMO

Nel 1896 nasce in Europa il sionismo fondato dall’agnostico Theodor Herzl, il sionismo è una dottrina politica, un movimento ateo nazionalistico, completamente opposto alla vera fede Ebraica, e fin dalla sua nascita, proponeva la creazione di un “focolare ebraico”.

Theodor Herzl fondatore del Sionismo
È una dottrina nazionalista che non è nata dall'ebraismo, ma dal nazionalismo europeo del XIX secolo. Il fondatore del sionismo politico, Herzl, non si richiamava alla religione: "Io non obbedisco a un impulso religioso".
Fonte: Theodor Herzl, Diaries, Londra, Gollancz, 1958

"Sono un agnostico" (p. 54).
Ciò che gli interessa non è propriamente la "terra santa": prende in considerazione allo stesso modo, per i suoi obiettivi nazionalistici, l'Uganda, la Tripolitania, Cipro o l'Argentina, il Mozambico o il Congo.
Fonte: Op. cit., passim

Ma, di fronte all'opposizione dei suoi compagni di fede ebraica, egli prende coscienza dell'importanza della "grande leggenda" ("mighty legend" (Diaries, I, 9 giugno 1895, p. 56), che "rappresenta un richiamo di irresistibile potenza".
Fonte: Theodor Herzl, L'État Juif, p. 45

Col passare degli anni, mentre i veri Ebrei (ortodossi) si oppongono a questo movimento politico, il Sionismo riscuote sempre più successo nelle alte sfere di potere, proprio perché il sionismo rappresentava già un’organizzazione colonialista, infatti la DICHIARAZIONE DI BALFOUR fatta dal Governo Britannico (1917) promette il cosiddetto focolare ebraico in Palestina. Tale dichiarazione è stata eseguita

1) 1) da una potenza Europea (Inghilterra)
2) 2) riguardo un territorio non-Europeo.
3) 3) In totale dispregio della presenza e dei desideri della popolazione nativa.

Nel 1919 in seguito alla Commissione americana KING-CRANE, ciò che è venuto fuori con chiarezza è che i sionisti mirano al completo dispossesso degli abitanti della Palestina sotto varie forme, nessun dirigente Britannico consultato dalla Commissione ritiene che il progetto sionista possa essere realizzato senza il ricorso alle armi.

http://www.rondavid.net/Media-Watch.htm

I sionisti non fecero mistero delle loro intenzioni e difatti già nel 1921 il dottor Eder, membro della Commissione sionista, dichiarava bruscamente alla Corte d’Inchiesta:
“Ci può essere solo uno stato, in Palestina, ed è quello ebraico, così come non vi può essere uguaglianza nella collaborazione tra Arabi ed “ebrei” (sionisti). Vi sarà una preponderanza ebraica (sionista) non appena i numeri della razza siano sufficientemente aumentati” A quel punto egli chiese che solo agli ebrei fosse concesso di portare armi.

La proposta del 1947 di creare uno “Stato Ebraico” in Palestina, fu approvata alla prima votazione solo
dagli stati Europei (stati colonialisti) dall’America (eretta sul colonialismo e sul genocidio degli autoctoni), dall’Australia e Nuova Zelanda (Stati fondati su precetti colonialistici; mentre la maggioranza degli Stati membri dell’ONU, cioè gli stati Asiatici e Africani (con l’eccezione del Sud Africa anch’esso fondata sul colonialismo e l’Apartheid) VOTARONO CONTRO.

Quando la questione fu rimessa ai voti nella sessione plenaria del 29 Novembre 1947, forti pressioni statunitensi in modi mafiosi, riuscirono ad ottenere l’approvazione della “spartizione” della Palestina, soltanto da altri tre stati: Le Filippine (Asia), Haiti (Centro-America) e Liberia (Africa) tre paesi oppressi dal debito estero e facile preda di intimidazioni e pressioni.

L’11 Maggio 1949 l’ONU, per volontà degli U.S.A. ammette lo “Stato” di Israele a 3 condizioni (mai rispettati dagli Israeliani)

1) 1) Non toccare lo Statuto di Gerusalemme
2) 2) Permettere agli Arabi Palestinesi di tornare a casa loro
3) 3) Rispettare le frontiere fissate dall’accordo di spartizione.


Parlando proprio di questa risoluzione ONU, il fondatore dello stato di Israele, David Ben Gurion dichiarò:

“Lo Stato di Israele considera che la risoluzione delle Nazioni Unite del 29 Novembre 1947 è nulla e non sussistente”



David Ben Gurion
Fondatore dello stato-ghetto Israele

Il suo vero nome di nascita era Golda Mabovitch nata a Kiev da quando aderì al Sionismo
Cambiò il suo cognome Mabovitch con un cognome ebreo: MEIR

Per Israele l’ONU esiste solo nella misura in cui serve i suoi fini e suoi interessi, altrimenti non esiste affatto, proprio come lo ha dimostrato nel 1949 e ora nel 2006 con la distruzione del Libano.



STORIA ANTICA DELLA TERRA SANTA.

Prima che gli Ebrei vi emigrassero intorno al 1800 a.C. la terra di Canaan (attuale Palestina) era abitata da Cananei, la civiltà Cananea fiorì in tutta l’area mediorientale dalla Palestina, al Libano, parte della Siria e dell’attuale Giordania. Coloro che restarono tra le colline di Gerusalemme dopo l’uscita degli ebrei dalla Palestina costituivano un pot-pourri: pagani e convertiti al Cristianesimo, discendenti di Arabi, Persiani, Samaritani, Greci e vecchie Tribù Cananee, Gebustee e Filistee. (Marcia Kunstel e Joseph Albright).

Quello dei Regni Ebraici fu solo uno dei tanti periodi storici, e il più breve, dell’Antica Palestina: I regni di Davide e Salomone, su cui i sionisti basano le loro richieste territoriali, durarono per soli 73 anni….poi caddero. Anche se consideriamo l’intera vita degli antichi regni ebraici, dalla conquista di Canaan da parte del Re Davide nel 1000 a.C. alla cacciata di Giuda nel 586 a.C. arriviamo solo a 414 anni di dominio ebraico (Illene Beatty, Arab and Jew in the Land of Canaan).

Tutti i sionisti sostengono che la Palestina, prima dell’invasione sionista, era una terra deserta, ma ciò è ASSOLUTAMENTE FALSO, infatti, oltre alla notorietà della Palestina (Filastin), nell’intero mondo islamico per la sua bellezza e fertilità (ancora prima del VII secolo d.C.), l’alto commissario britannico per la Palestina, John Chancellor affermò che in questo paese “tutte le terre coltivabili erano occupate e che nessuna terra coltivabile in possesso della popolazione autoctona avrebbe potuto essere ceduta ad ebrei (sionisti immigranti) senza creare una classe di agricoltori disoccupati”



I Palestinesi non sono arabi anche se parlano la lingua araba e non è mai esistito uno stato palestinese mussulmano o arabo.

I pałestinexi no łi xe arabi, caxo mai łi parla anca ła łengoa araba par via de ła envaxion colonixasion araba.
Dapò no ghè mai stà on stado pałestinexe arabo o muxlim.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 8:43 am

I nazi arabo palestinesi antisionisti, antisemiti, antisraeliani

Eco el premio nobel Arafat, musulman antixraełian e antiebraego

Ecco gli otto articoli della Carta palestinese che Arafat si è impegnato a modificare


http://www.repubblica.it/online/fatti/m ... carta.html

"Liberazione della Palestina e distruzione di Israele"

La carta nazionale palestinese risale al 1968 e contiene otto articoli anti-israeliani, che Arafat si è impegnato a cancellare quando firmò l'accordo di Oslo con Itzhak Rabin.

Articolo 2
La Palestina, con i confini che aveva sotto il mandato britannico, è una unità territoriale indivisibile.

Articolo 6
Gli ebrei che risiedono in Palestina dall'inizio dell'invasione sionista saranno considerati palestinesi.

Articolo 9
La lotta armata è la sola via per liberare la Palestina. Il popolo arabo afferma la sua assoluta intenzione e irrinunciabile determinazione a portare avanti la lotta armata e a marciare verso la rivoluzione armata per liberare la sua madrepatria e riconquistarla.

Articolo 15
La liberazione della Palestina, dal punto di vista arabo, è un dovere nazionale come lo sono i tentativi di respingere l'aggressione sionista e imperialista contro la madrepatria araba e come lo è l'obiettivo di eliminare il sionismo in Palestina.

Articolo 19
La divisione della Palestina del 1947 e la creazione dello stato di Israele sono completamente illegali perchè contrari al volere del popolo palestinese e al diritto naturale di risiedere nella madrepatria e in contrasto con i principi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare il diritto all'autodeterminazione.

Articolo 20
Le pretese storico-religiose degli ebrei nei confronti dei palestinesi sono incompatibili con gli stessi avvenimenti storici e l'autentico principio di nazione. Il giudaismo è una religione, non una nazione. Nè gli ebrei costituiscono una nazione singola con una propria identità Essi sono cittadini degli stati cui appartengono.

Articolo 22
Il sionismo è un movimento organicamente associato all'imperialismo internazionale e contrario a tutte le azioni di liberazione e ai movimenti progressisti del mondo. E' razzista e all'insegna del fanatismo per sua stessa natura, aggressivo, espansionista, colonialista nei suoi obiettivi e fascista nei metodi. Israele è lo strumento del sionismo, una base geografica per l'imperialismo mondiale, piazzata strategicamente nel mezzo della nazione araba per combattere le speranze di liberazione, unità e progresso degli arabi. Israele è una fonte costante di minacce alla pace in Medio Oriente e nel mondo intero. La liberazione della Palestina porterà alla distruzione del sionismo e della presenza imperialista e contribuirà alla pace nella regione. E il popolo palestinese cerca per questo il sostegno di tutte le forze progressiste e di pace, e fa loro appello, al di là delle appartenenze ideologiche, a offrire tutto l'aiuto possibile nella giusta lotta per la liberazione della nazione.

(10 dicembre 1998)

Ke confouxion!
I Palestinesi non sono arabi anche se parlano la lingua araba e non è mai esistito uno stato palestinese mussulmano o arabo.
I pałestinexi no łi xe arabi, caxo mai łi parla anca ła łengoa araba par via de ła envaxion colonixasion araba.
Dapò no ghè mai stà on stado pałestinexe arabo o muxlim.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 9:03 am

Ebrei e non più ebrei antisionisti, antisemiti, antisraeliani, generalmente sinistri o progressisti o liberal o nazicomunisti

???

Il sionismo non è l’ebraismo!!! Lettera a ISRAELE - di Moni Ovadia
sabato 5 agosto 2006.

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/artic ... ticle=1082

Yad Vashem è il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, il sacrario della Shoah, ma per gli israeliani è ben altro che questo. Quel luogo è per molti aspetti, il topos del senso stesso dell’esistenza di Israele come stato ebraico. Ogni cittadino, ogni fanciullo, ogni soldato, si reca in pellegrinaggio in quel luogo per assumere il pieno statuto identitario di ebreo israeliano. Ogni persona, dal semplice turista o viaggiatore, al più illustre politico in visita in Israele, quale che sia la ragione della sua presenza, sa che ha il dovere di rendere omaggio alle vittime dello sterminio nazista recandosi a Yad Vashem.
Con quel solenne pellegrinaggio, il visitatore riconosce il suggello con cui lo stato d’Israele assume su di sé un’intera eredità. Per un grandissimo numero di ebrei che si riconoscono nelle istituzioni ufficiali, Israele diviene acriticamente e senza mediazioni, passato, presente e futuro. Per essi la diaspora perde significato in sé per divenire appendice di un ritorno in pectore anche se procrastinato sine die. Di fatto, essi si sentono israeliani in standby.
Le recenti drammatiche vicende mediorientali, richiedono una rimessa in questione di questi assetti israelo-ebraici e delle dinamiche psicologico-culturali che vi sottostanno. Il movimento sionista ha avuto fra i suoi obbiettivi primari quello di normalizzare gli ebrei, collocandoli in una terra con la quale avevano un’antico legame e facendone un popolo come gli altri. Quando il primo ebreo fu arrestato per furto e messo in prigione nella neonata entità statuale ebraica, il padre fondatore e primo capo del governo, David Ben Gurion, esultò: «Siamo un paese normale!». Mai affermazione fu più rovinosamente scentrata. Israele è tutto fuorché un paese «normale». La sua collocazione geografica è in Medio Oriente ma in questo momento la sua vocazione è occidentale. Per certi aspetti potrebbe essere uno stato degli Stati Uniti, anche se più di metà della sua popolazione viene da stati arabi e il 17% di essa è arabo-palestinese. La sua politica, in grande misura coincide con quella delle amministrazioni americane. È stato fondato da scampati alle persecuzioni antisemite zariste e degli stati autoritari centro-orientali e da sopravvissuti alla Shoà, ha piena dunque titolarità a quella eredità, ma gli ebrei sterminati dai nazisti erano quanto c’è di più lontano da quello che è oggi l’ebreo israeliano. Quelli parlavano lo yiddish ed erano a proprio agio in molte altre lingue, vivevano a cavallo dei confini, erano cosmopoliti, ubiqui, inquieti, refrattari alle logiche militari, poco interessati, quando non ostili ai nazionalismi, erano smunti, fragili, dediti allo studio, alle professioni liberali, intellettuali, al piccolo o grande commercio, appartenevano alla categoria dei paria perseguitati emarginati, erano dalla parte degli sconfitti. L’israeliano delle nuove generazioni si esprime in ebraico moderno, una lingua costruita desantificando l’ebraico biblico e piegandolo alle esigenze di una nazione e la sua seconda lingua è l’inglese.
L’israeliano sta con i vincitori, è forte, determinato, orgogliosamente nazionale, militarmente molto preparato, capace di essere agricoltore e soldato quanto intellettuale e tecnico, ma anche taxista, ingegnere, negoziante o impiegato, operaio e persino occupante e poliziotto di un altro popolo, cosa inconcepibile per un ebreo della diaspora che subì lo sterminio.
Oggi, che nuovamente un leader fanatico di un paese islamico chiede la cancellazione dello stato sionista dalla carta geografica, in Israele e nella diaspora, si evoca il legame con la Shoà in modo univoco e schematico quasi a volere stabilire un parallelo inaccettabile con il ghetto di Varsavia. Ma ancorché Israele viva in stato di grande difficoltà e subisca il terrorismo e l’aggressione di Hezbollah sulla carne della propria gente, pensare di rappresentare la tragica eredità dello sterminio solo con un modello rigido per giustificare l’uso indiscriminato della propria soverchia forza militare e radere al suolo intere città provocando quasi esclusivamente morti civili, è scambiare etica per propaganda.
Se Israele vuole assumere l’eredità di quell’ebraismo ridotto in cenere, deve assumerne la piena eredità morale, cessare di vessare ed imprigionare un altro popolo, diventare più piccolo, molto più democratico, abbandonare la mistica della potenza, diventare leader del processo di pace ed assumere la funzione di ponte fra occidente e Medio Oriente.

???


???

Non tutti gli ebrei sono dalla parte di Israele
Di Philip Kleinfeld
luglio 22, 2014

http://www.vice.com/it/read/non-tutti-g ... sraele-215

Sia per molti ebrei e che per i non ebrei l'idea di un ebreo anti-sionista può sembrare una contraddizione in termini—un abuso del famoso aforisma etico del rabbino Hillel: "Se io non sono per me, chi sarà per me?" Ma per Sam Weinstein e per una trentina d'altri, me compreso, uniti in un piccolo fronte ebraico alla manifestazione per Gaza svoltasi sabato scorso a Londra, l'opposizione a Israele è esattamente ciò che le nostre origini richiedono.

"Vengo da una tradizione ebraica che ha sempre lottato per i più deboli," mi ha detto Sam mentre srotolava una bandiera dell'Unione internazionale ebraica anti-sionista nel caldo opprimente di sabato. "La stessa tradizione che ha combattuto per la giustizia sociale, perché storicamente siamo noi quelli che vengono uccisi dallo Stato."

L'8 luglio Israele ha iniziato l'operazione Protective Edge, un'offensiva militare che ha usato il rapimento e l'omicidio di tre ragazzi a Kfar Etzion, un insediamento della Cisgiordania, come pretesto per il bombardamento e l'invasione della Striscia di Gaza. Da allora, oltre 80.000 persone residenti nella Striscia sono fuggite dalle loro case e più di 500 sono state uccise. La maggior parte erano civili.

Per gli ebrei britannici e di altre comunità della diaspora che si oppongono agli attacchi, a peggiorare le cose c'è il fatto che essi vengono condotti in nostro nome, dando per scontato il nostro appoggio totale e inflessibile. Prima della seconda guerra mondiale, molti ebrei rifiutavano di accettare il sionismo come ideologia politica. Ma dal 1948, dalla fondazione dello Stato di Israele, il sostegno è lentamente diventato pressoché unanime.

"Lo stato di Israele identifica Israele con tutti gli ebrei," mi ha detto Naomi Winborne Idrissi, co-fondatrice di Jews for Boycotting Israel Goods mentre sfilavamo lungo Downing Street. "Vogliono parlare a nome di noi tutti. Ma noi diciamo che Israele e il sionismo non ci rappresentano." Il rifiuto di essere coinvolti in una causa cieca e distruttivamente nazionalista è il motivo per cui oggi manifestiamo, in quanto ebrei—sia per esprimere la nostra solidarietà ai palestinesi che per rivendicare la proprietà della nostra identità ebraica.

Non è semplice. Sono cresciuto con l'idea che Israele mi rappresentasse. Nel 2002, durante la Seconda Intifada, ero a una manifestazione con 40.000 persone a Trafalgar Square, avvolto in una nebbia di bandiere bianche e blu, genitori orgogliosi e slogan che comprendevo solo a metà. Il 2002 è stato anche l'anno del mio bar mitzvah. Ogni sabato mattina per quasi 12 mesi mi sono seduto nella mia sinagoga dell'Essex per ascoltare i sermoni stantii e unilaterali dell'uomo che avrebbe dovuto insegnarmi i valori ebraici, l'etica e la vita intellettuale. Nei primi anni dell'adolescenza ero un membro della Federazione della gioventù sionista, uno tra le migliaia di ragazzi emotivamente e politicamente ingenui, spediti a campi estivi e a gite in Israele per assaporare la cultura israeliana nel modo più asettico e ideologicamente studiato possibile.

In Gran Bretagna, la United Synagogue, la principale associazione ebraica, inserisce "la centralità di Israele nella vita ebraica" tra i suoi valori qualificanti. Il comitato dei deputati britannici, l'organo di rappresentanza degli ebrei britannici, afferma nella sua costituzione che mira a promuovere "la sicurezza e il benessere di Israele." Soffermarsi su questi fatti è l'unico modo per spiegarmi perché tutta quella gente altrimenti normale, tra cui la mia famiglia e i miei amici, mostri il proprio sostegno a qualcosa che sembra così palesemente sbagliato.

"La direzione in cui stanno andando ebrei e israeliani è terrificante," ha spiegato Dan Nemenyi, uno dei manifestanti più giovani del blocco. "In Gran Bretagna l'establishment ebraico rimane come al solito di destra, e detiene ancora il potere sulle scuole, sulle sinagoghe e sulla rappresentazione della comunità. In Israele urge una soluzione per la situazione dei palestinesi. Ma la risposta è l'occupazione militare totale e la guerra ogni volta che è necessario."

La situazione è deprimente. Il giorno dopo la nostra protesta, davanti all'ambasciata israeliana si è tenuta una manifestazione pro-Israele a cui hanno partecipato 2000 persone. Nella sola giornata di domenica sono stati uccisi più di 100 palestinesi, e almeno 500 sono rimasti feriti. A Shujaiya, sempre nella Striscia di Gaza, il personale medico ha ritrovato 66 cadaveri, 17 dei quali di bambini. Online sono apparsi video di civili in fuga a piedi, carbonizzati, con corpi insanguinati sparsi intorno a loro.

I cartelli riciclati portati dai manifestanti non contenevano un solo riferimento a questa realtà—nessuna traccia di ironia o di vergogna nel proclamare Israele "l'unica democrazia del Medio Oriente."

"[Noi] ebrei britannici siamo scesi in piazza perché anche se non viviamo in Israele vogliamo che gli israeliani sappiano che li appoggiamo," mi ha detto uno dei presenti. "Se non siamo lì con il corpo siamo lì con lo spirito. Israele è la nostra terra. E fintanto che continuano a fare la cosa giusta, avranno il nostro appoggio."

"Sono qui oggi perché è un momento difficile per Israele," mi ha detto un altro uomo. "Ciò che stanno passando per via dei razzi provenienti da Gaza è assolutamente ripugnante. In quanto ebreo britannico prendere posizione contro questo antisemitismo."

Man mano che la manifestazione proseguiva, un numero crescente di contromanifestanti si è raccolto in una piccola area transennata dalla polizia. Quasi tutti sono stati pungolati, fischiati e molestati al loro passaggio. Un manifestante pro-Israele ha strappato una bandiera palestinese di mano a un uomo per poi gettarla in strada tra gli applausi. Un altro è stato trattenuto dalla polizia mentre si dirigeva verso un uomo con due bambini bradendo quello che sembrava un ombrello con i colori palestinesi. "Ho temuto per la mia sicurezza e per quella dei miei figli," mi ha riferito il padre poco dopo.

Un altro manifestante, Douaa Elterk, stava attraversando in macchina la folla per partecipare alla controprotesta quando la sua auto è stata attaccata da manifestanti pro-Israele. "Siamo stati assaliti mentre passavamo con la bandiera palestinese," ha detto. "Ci hanno colpiti coi bastoni e una delle nostre bandiere è stata strappata. Ci hanno tirato dell'acqua e ci hanno sputato in faccia. Poi hanno poi bloccato la strada prima che la polizia li obbligasse a proseguire. Gli israeliani hanno striscioni con scritto pace, no alla guerra, ma attaccano chiunque passi di qui. È una tale ipocrisia."

Mentre la manifestazione si avviava verso la conclusione, diversi contro-manifestanti giovani e mascherati sono arrivati per affrontare il grosso dei sostenitori di Israele, che si era staccato dalla zona principale. A un certo punto i nuovi arrivati hanno rotto il cordone di polizia e hanno preso a calci il parabrezza di un'auto con una bandiera israeliana.

Quando me ne sono andato, ho ricevuto un messaggio da un membro della mia famiglia che mi aveva visto al raduno. "Philip ma da che parte eri oggi???" Qualunque ottimismo si possa trarre da un piccolo gruppo di persone che chiede che un qualcosa non sia fatto nel suo nome, per la maggior parte della diaspora Israele non dovrebbe mai essere condannato pubblicamente.

???


Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e Israele
viewtopic.php?f=197&t=2469


Ebrei antisionisti
viewtopic.php?f=197&t=2240
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 9:23 am

Li antixraełiani catocomounisti

Quel che succede in Palestina e la vergogna del giornalismo italiano.
di Filippo Fortunato Pilato per http://www.jerusalem-holy-land.org
http://www.terrasantalibera.org/COMUNIC ... ALIANO.htm

Riprendono oggi, dopo due settimane di silenzio, le pubblicazioni di articoli, recensioni, foto, documenti, riguardanti gli avvenimenti in corso, o passati, che hanno per campo d’azione il Medio Oriente ed in particolare la Terra Santa di Palestina.

Sono stati per noi giorni, come spesso capita per motivi di lavoro, di viaggi e appuntamenti in giro per l’Europa e paesi limitrofi. Gli aggiornamenti avvengono in questi casi soprattutto attraverso le fonti cartacee di informazione, non avendo sempre disponibile una connessione internet locale per il pc portatile. Ci stiamo organizzando meglio in tal senso.

Come alcuni di voi sanno, la base operativa del nostro sito web, e relativa newsletter, non si trova in Italia ma nella Repubblica d’Irlanda. Recentemente godiamo anche dell'uso di alcuni locali in Sicilia. Anche se la maggior parte dei nostri collaboratori risiede in Italia, la Redazione e diversi corrispondenti sono invece dislocati tra Irlanda, Israele ed i Territori Occupati di Palestina.

Ma perchè raccontare di queste cose? Per meglio mettere a fuoco alcune osservazioni, che più facilmente sono balzate agli occhi di chi non è abituato a subire quotidianamente un lavaggio del cervello ed un indottrinamento a senso unico da parte di coloro che, fregiandosi a sproposito di un titolo che non onorano, i così detti “giornalisti”, quelli iscritti all’Albo, rendono invece un pessimo servizio all’informazione, ma ancor peggio tradiscono ciò che dovrebbe guidare lo spirito deontologico della loro professione: la libertà d’espressione nell’esternare la verità oggettiva dei fatti e non solo ciò che fa comodo o si è pagati per dire o non dire. Perchè, per la maggior parte di ciò che viene pubblicato riguardo al Medio Oriente e la Terra Santa, noi ci troviamo di fronte a perfetti falsi e manipolazioni.

Eccezion fatta per rare mosche bianche, penne indipendenti e sciolte nell’esprimersi e nel venire al nocciolo delle questioni, sfidando spesso l’impopolarità a vantaggio di verità impronunciabili, che non hanno però accesso alle testate cartacee nazionali più seguite e lette, tutta l’informazione che riguarda, per un verso o per un altro, le cose d’Israele e dell’area mediorientale è affidata a israeliti, a convertiti al giuideo-sionismo palesi od occulti, a scribacchini con nomi di richiamo per altre vicende ma con nessuna competenza in ambito israelo-palestinese. La mala fede e la disonestà intellettuale si potrebbero tagliare col coltello, talmente sono densi e melensi di false e tendenziose affermazioni gli scritti dal basso valore culturale e dalla quasi totale assenza di verità storiche enunciate da questi luminari del nulla.

L’informazione in Italia è monopolio di quotidiani che si spartiscono il pensiero politicamente corretto, canalizzato, in modo più o meno radicale, tra destra e sinistra.

Il giochetto del divide et impera funziona sempre.

Tralascerei di prendere in considerazione le testate apertamente od occultamente schierate per la dissoluzione, della famiglia, della vita, della morale, dell’autorità, della spiritualità cattolica, che sono alla base della nostra formazione culturale ed antropologica italiana ed europea, se non fosse che su tali testate a volte si trovano però le uniche denunce al sistema razzista sionista che è alla base del problema israelo-palestinese.

E qui sta il paradosso, che finisce per confondere ancora più le acque e far prendere le distanze dal problema palestinese da parte di quei cattolici e conservatori della tradizione che vengono portati ad associare i palestinesi con la sinistra, e gli israeliani con la destra, rifiutando diverse possibilità d’interpretazione e diffidando di chi, nella loro stessa parrocchia, sostiene le ragioni di un popolo in fase di sterminio e sradicamento, sospettando collusioni terroristiche dietro posizioni di opposizione al giudeo-sionismo.

Molti sono quindi i cittadini che si affidano della lettura di quei pochissimi giornali (le dita di una mano sono anche troppe per contarli) che si oppongono allo scempio operato nella società dagli alfieri della perversione dell’ordine naturale (…e, se fosse loro possibile, anche soprannaturale…).

È qui si casca nel trabocchetto, finendo dalla padella nella brace: chi si schiera apertamente contro comunisti e brigatisti, pervertiti e sodomiti, immigrazione selvaggia e perdita d’identità, pensa il lettore che ne condivide , a ragione, le idee di massima, non può propinarmi la fregatura sulla politica estera, dove i sinistri sono schierati brandendo falce-martello e arcobaleno. E il lettore cattolico di “centro-destra”, appassionato e schierato, almeno quanto ignaro di quel che relamente accade in Terra Santa, ci casca con tutte le calze e le scarpe.

Accanto ad articoli che denunciano le manovre dei sinistri al potere, compresi gli intrallazzi e la tracotanza in stile sovietico loro tipici, trovano posto editoriali redatti da personalità all’apparenza innocue, firme roboanti e di prestigio, schierati per la destra filo-israelita a qualunque costo, giudeo-sionisti/e italiani, isterici e tronfi, che non ammettono contradditorio, neppure da parte dei loro stessi correligionari/familiari che coprono d’infamia e minacciano, neppure troppo velatamente, di ogni sorta di disgrazie, personali e professionali.
Costoro, rappresentanti a sproposito di una destra alla quale qualsiasi uomo o donna di destra si dovrebbe vergognare di appartenere e dalla quale sarebbe meglio prendere le distanze, inneggiano prepotentemente alla violenza, giungendo a definire troppo morbida l’operazione di devastazione del Libano della scorsa estate, auspicando maggior fermezza nel reprimere la popolazione palestinese (ivi residente ben prima che ad ognuna di queste penne di Davide avessero cambiato il primo pannolino, come quello dei loro avi che agiatamente vivevano in Italia o in America), falsificando i dati storici per giustificare colonialismo ed apartheid, tirando in ballo e agitando lo spauracchio di formazioni islamiche oltranziste: formazioni che non esistevano prima e che hanno potuto prendere forma e peso politico solo grazie alle armate del terrore ebraico-sioniste ed alle loro operazioni di pulizia etnica.

Questi ideologi/ghesse specializzati nell’occultare le atrocità commesse da un esercito ben armato, sponsorizzato, equipaggiato ed addestrato ai danni di civili disarmati, sono anche abilissimi nel ribaltare la realtà sul campo, facendo passare una massa di civili inermi quali aguzzini ed i loro carcerieri per povere vittime.

Chi conosce la situazione israelo-palestinese perchè l’ha vissuta in prima persona, non solo nei quartieri residenziali di Tel Aviv, Gerusalemme Ovest o Haifa, visitando il Museo dell’Olocausto e dormendo nei migliori alberghi israeliani, ma anche avendo conosciuto la situazione che si vive nella Gerusalemme Est, nel West Bank, oltre le mura di Betlemme e delle altre cittadine nei territori Occupati, al di là dei fili spinati e delle recinzioni, dei blocchi di cemento che impediscono la circolazione tra i villaggi, chi è passato incolume attraverso i posti di blocco e ne ha colto la disumana ingiustizia e letto l’umiliazione negli occhi di tanti padri e madri di famiglia arabi, non può che smentire categoricamente questi pennivendoli delle caste superiori del giornalismo italiano, forti della loro abilità linguistica e dialettica, protetti dall’usurocrazia apolide.

Per questi pericolosissimi aizzatori di linciaggi, seminatori di discordia ad oltranza, la pace è una malattia, come titola un recente articolo di Fiamma Nirenstein apparso su Il Giornale del 7 maggio 2007, “La malattia della pace”. Andatevelo a leggere e troverete nascosto, tra le pieghe di verità mescolate a falsità, il seme dell’odio, che una certa classe intoccabile e privilegiata di compilatori della storia, ad uso e consumo della solita usurocrazia apolide, instilla a pagamento ma con molto trasporto, goccia a goccia, giorno dopo giorno, nei cuori del nostro popolo un po’ distratto e poco interessato a problematiche che sembrano a lui così lontane.

È così che ci ritroviamo poi, per non averne voluto sviscerare le ragioni prima, arruolati in guerre che non ci appartengono, ma per le quali saremo stati sufficientemente educati ed indottrinati per doverle giustificare ed approvare. Guerre preventive o missioni di pace armate nelle quali diventare facili bersagli e conseguentemente reagire, coinvolgersi.

Senza nemmeno essercene resi conto, veniamo proiettati in uno stato di guerra senza quartiere nè confini, richiamati da operazioni militari dove il terrorismo internazionale si intreccia organicamente con le false flags dei servizi. Ci verrà chiesto quel che non vorremmo: dover sacrificare la nostra gioventù migliore per reggere il gioco di chi se ne frega di tutti, siano essi giovani israeliani, palestinesi, americani o italiani. Carne da macello.

Non fatevi abbindolare da questi menestrelli, che usano il sangue dei propri consimili per la loro propaganda senza scrupoli.
A costoro del giornalista Daniel Pearl, ebreo americano sgozzato in Pakistan, non interessa nulla, se non che per issarlo come bandiera e giustificare qualsiasi uccisione “accidentale” di qualche decina di bambini e civili arabo-palestinesi.
Qualche sconsiderato appicca il fuoco ad una sinagoga?
Altri squilibrati devastano un cimitero ebraico?
Bene!
Si potrà presentare meglio, ma proprio se necessario, l’omicidio mirato di qualche dirigente delle milizie palestinesi, per l’uccisione del quale magari è stato “necessario” assassinare anche qualche altra decina di civili. Colpa loro, che abitano lì, e colpa del miliziano che non si era rintanato in un buco del deserto, per non far fare vittime innocenti. Due soldati di Tsahal sono stati linciati a Ramallah? Si può abbinare anche qualche foto, ormai di dominio pubblico per il popolo di internet, di militari israeliani che tengono sotto tiro la gente in coda a qualche chek-point. Sono tutti potenziali terroristi. Salvo omettere che quegli stessi soldati hanno attivamente e cinicamente coperto per mesi e mesi le angherie e le vessazioni nei confronti della popolazione araba, residente nel proprio territorio, a Ramallah come a nablus ed Hebron, da parte di fanatici coloni euro-americani, pieni di dollari, odio e disprezzo verso chi non è ebreo.

???
Non leggerete mai, negli articoli scritti da questi imbonitori in kippa, del pastore palestinese trovato ucciso mentre era al pascolo sulla sua terra, nè delle sue pecore avvelenate ai margini degli insediamenti ebraici abusivi.
Come non avrete mai letto di bambini uccisi o di altri resi sordi o ciechi dalle bombe lanciate dalle jeep davanti alla loro scuola nei villaggi della Cisgiordania occupata.
Non leggerete neppure di chi muore, in ambulanza ai posti di blocco, nè dei bambini che spirano tra le braccia delle loro madri, mentre i padri implorano inutilmente dei ragazzini stranieri, con la divisa dell’occupante, di far transitare l’auto per poter raggiungere l’ospedale a pochi chilometri di distanza.
Eppure sono cose che succedono tutti i giorni. Non una parola per gli atti di vero terrorismo contro la popolazione civile perpetrati dalle milizie sioniste tutti i giorni, 365 giorni all’anno.
???
Non il minimo sforzo trasparirà dalle loro penne per voler porre le ingiustizie e le perdite di vite umane sullo stesso piano, per dimostrare un minimo di buona volontà e di desiderio di pacificazione, nella ricerca di una via percorribile per porre fine ad un ingiusto stato di cose per tutti.

Non un gesto che possa far pensare che anche un giudeo-sionista ami veramente i suoi figli e desideri per loro un futuro di serena convivenza con i propri vicini. Anche solo un semplice ma sincero gesto, che faccia credere che anche loro considerino i fratellastri semiti ismaeliti come possibili interlocutori nella costruzione di solide basi su cui erigere una casa per le generazioni a venire, sarà irreperibile negli scritti di questi giornalisti senza onore.

Eppure sarà bene che prima o poi ci si ricordi che “Israele” è la Terra Santa per noi cattolici e cristiani in generale.
E che Gerusalemme non è la capitale d’Israele, come afferma con ignoranza abissale Angelo Pezzana, altro pennivendolo allo sbaraglio senza arte nè parte, ma Tel Aviv. Gerusalemme, se lo segni bene il novello tirapiedi dell’intellighentia israelita che monopolizza la stampa e l’informazione di massa, è la capitale spirituale per diverse confessioni e non solo per il giudaismo.
E tale deve restare, per statuto internazionalmente riconosciuto.


No, per loro la pace è una malattia, una debolezza.

Il problema è che hanno convinto della validità di queste panzane anche un sacco di onesti cittadini. Lo scontro di civiltà, le fantomatiche atomiche iraniane (mai una volta che si faccia cenno alle centinaia di testate che Israele ha già operative e puntate ovunque, anche contro tutte le capitali europee), il terrorismo globale, tutto porta linfa alla mala pianta sionista. Una pianta che avvelena ogni sana disponibilità a fare chiarezza e affrontare i problemi con sincera volontà di risolverli al meglio.

Anche i cristiani facciano molta attenzione, a non prestarsi buonisticamente, in preda ad un mal interpretato senso ecumenico, al gioco al massacro del giudeo-sionismo. Prendete le distanze da chi sostiene troppo enfaticamente lo Stato etnocentrico d'Israele, giustificandone ogni atto criminale e di guerra contro la popolazione civile.
Sostenendo, anche se criticamente a volte, la politica segregazionista, guerrafondaia e colonialista dell'asse israelo-americano, farete un pessimo servizio alla distensione ed alla pace, perchè già troppi giudeo-cristiani, a capo delle armate delle nazioni più potenti del pianeta, in nome del Dio di Abramo, Bibbia in una mano e bombe nell'altra, hanno compiuto e compiono carneficine su larga scala, per le quali nessuna penna italiana al servizio d'Israele ha mai dedicato più di poche righe d'attenzione e per ribaltare ovviamente le colpe sulle spalle d'altri.
La morte di un non ebreo ha poco valore per loro. Lanciare la pietra e a nascondere la mano resta sempre uno sport molto praticato.

No, chi scrive non ce ne sta. La pace non è una malattia, ma una ricchezza da conquistare, con sacrificio e perseveranza, per noi, per i nostri figli e per chi verrà dopo di noi. E per essere solida e duratura, rispettata e conservata, deve basarsi sulla verità. La verità è il primo atto di carità per noi cattolici. E dire la verità è il dovere primario di ogni giornalista onesto. Chi si è preso l'impegno di voler fare della propria penna un attrezzo di lavoro per offrire un servizio alla comunità, deve rispettare tale regola fondamentale e cercare sempre di offrire un quadro onesto e veritiero, anche se a volte può essere sconveniente per la propria parte, della realtà. Chi crede invece di poter usare della propria penna e del proprio stato privilegiato di giornalista accreditato per stravolgere la realtà e fornire una versione addomesticata della verità per fini diversi da quelli giornalistici e di servizio, non è degno di essere chiamato "giornalista", perché copre solo di disonore tutta la categoria. Possiamo tutt'al più definirlo un araldo del "mentitore ed omicida sin dall'inizio": una vergogna.

Personalmente non mi stancherò mai di ripetere, nonostante il legittimo timore di rappresaglie e ritorsioni, personali e professionali, che la vera malattia per la Terra Santa è il sionismo, anima nera ispiratrice e provocatrice di tutti gli altri fanatismi ed estremismi intolleranti, islamici in primo luogo. Il sionismo non è un dogma indiscutibile, dedotto per rivelazione divina, come ci si vorrebbe far credere zittendo quale antisemita chiunque osi metterne in dubbio la bontà d'intenti, ma una semplice ideologia umana, criticabile ed alla quale ci si può legittimamente opporre come a qualsiasi altra filosofia o ideologia. Nel momento in cui tale ideologia produce frutti di morte e disperazione, come da decenni a questa parte, è ancor più doveroso denunciarne e civilmente contrastarne la criminale e perversa natura. Non farlo è atto di grande viltà e disonore per qualsiasi uomo o donna di buona volontà. Quest'ideologia artificiosa, elaborata in ambienti ultra-settari di fine '800, ed osteggiata sin dall'inizio da una gran parte del rabbinato giudaico internazionale (ma appoggiata dal grande capitale apolide laico), ha già procurato un mare di guai a tutti e ancora ne procurerà sinchè non verrà rigettata una volta per tutte, dal popolo ebraico in prima persona.

Da lì inizierà la vera pace.
Tanto più se questo popolo, se osservante e credente, si vorrà rendere conto che la Terra fù a lui Promessa per amore da quel Dio che si ostinano a rinnegare e disconoscere. Di loro disse il Messia, Nostro Signore Gesù Cristo:"Se Dio fosse vostro Padre, amereste anche me, perchè Io procedetti e venni da Dio; non sono infatti venuto da me, ma Egli mi ha inviato...voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio, e non perseverò nella verità, perché la verìtà non è in lui. Quando dice la menzogna, parla del suo, perchè è bugiardo e padre di quella...Chi è da Dio ascolta le parole di Dio, ecco perché voi non le ascoltate: perché non siete da Dio" (Gv. VIII, 31-47).
La conversione del popolo ebraico, sulle orme degli Apostoli e di San Paolo, sarà la salvezza e la fine dell'incubo. Quando essi guarderanno a quell'ebreo crocifisso e ne coglieranno il messaggio di infinito amore e carità universale, la Verità divamperà nei loro cuori e gli spiriti del male sparsi nell'aria (S.Paolo) che li tengono in catene rifuggiranno nelle profondità degli inferi.
La speranza è sempre l'ultima a morire.

Essere giudeo non significa comunque essere per forza filo-sionista.

Ci sono molti israeliti che avversano l’ideologia razzista ed esclusivista dello stato ebraico, che sono in rapporti amichevoli con la popolazione araba-palestinese, che ne difendono i diritti calpestati, che sono ricambiati con rispetto ed amicizia, senza discriminazione alcuna per le proprie origini e tradizioni, ma che non hanno titolo e spazio per esprimere le loro idee sulla stampa deviata giudaizzata del regime, destro o sinistro che sia, genuflesso ai diktat della comunità israelita filo-sionista, il cui potere è dato solo dalla nostra accondiscendenza.

Alcuni di loro sono nostri sinceri amici e collaborano attivamente nel reperire e divulgare informazioni e immagini, non filtrate, provenienti dalla Terra Santa. A loro rischio e pericolo.

Sono proprio loro, i giudei anti-sionisti, che potrebbero dare un grande aiuto per dipanare la matassa di un apparentemente impossibile processo di pace mediorientale.

Se mai un evento del genere, per pura fantasia, dovesse mai verificarsi, quelli dai quali dovrebbero guardarsi bene le spalle i nostri amici ebrei anti-sionisti non sarebbero tanto i fondamentalisti islamici od ipotetici crociati cristiani, ma i loro stessi confratelli circoncisi.

Così la storia ci ha insegnato: i più grandi persecutori di ebrei sono quasi sempre stati altri ebrei. ???

(Mi viene segnalato anche il recente gravissimo caso, ultimo di una lunga serie purtroppo, della rimozione del pannello sul miracolo eucaristico di Trani, su pressione dell'Associazione Amici d'Israele, prontamente sostenuta dal card. Kasper. Ecumenicamente scorretto, il miracolo solidamente documentato e riconosciuto dalla Chiesa cattolica nei secoli e sino ad oggi, riguardava il furto di un'Ostia consacrata, messa a friggere in padella da un ebrea, che si trasformò in carne e sangue sino ad inondarne tutta la casa. Anche la gerarchia ecclesiastica è colpevole di questo appiattimento ai capricci di infedeli che si permettono di interferire persino in questioni che riguardano la nostra fede, usando la solita arma del ricatto e della minaccia. Neppure il giovane professore Ariel Toaff è daltronde sfuggito alla mafia giudaico-sionista...).

Filippo Fortunato Pilato

(Molte delle foto ci sono state gentilmente concesse dall'amica Anna Baltzer, ebrea americana onesta e coraggiosa, penna non gradita dalla lobby editoriale israelita)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2016 9:23 am

???

No, l'anti-sionismo non è anti-semitismo
Sia il «focolare ebraico» sia lo «stato ebraico» sono realtà controverse e ripeterlo non è necessariamente anti-semita
BRIAN KLUG *

http://www.forumpalestina.org/Doc%20for ... N_KLUG.htm

Sin dall'inizio, il sionismo politico è stato un movimento controverso persino tra gli ebrei. L'opposizione, in nome dell'ebraismo, dei rabbini ortodossi e riformati tedeschi all'idea sionista era così forte da spingere Theodor Herzl a spostare il luogo del primo congresso sionista nel 1897 da Monaco a Basilea, in Svizzera.
Venti anni dopo, quando il ministro degli esteri britannico Arthur Balfour (nel 1905 sponsor dell'Alien Act per limitare l'immigrazione ebraica nel Regno unito) voleva che il governo si impegnasse per una patria ebraica in Palestina, la sua dichiarazione venne rimandata non a causa degli antisemiti ma degli esponenti della comunità ebraica. Tra cui un esponente ebreo del governo che disse che il filo-sionismo di Balfour avrebbe «finito per rivelarsi anti-semita». La creazione dello stato di Israele nel 1948 non ha posto fine al dibattito anche se il problema è cambiato.
Oggi si tratta del futuro di Israele. Israele dovrà divenire uno stato «post-sionista», uno stato che si definisce nei termini dei suoi abitanti attuali o si vede come appartenente all'intero popolo ebraico? Si tratta di una domanda del tutto legittima e certo non anti-semita. Quando qualcuno sostiene il contrario - come ha fatto Emanuele Ottolenghi sul Guardian di sabato scorso- finisce per aumentare ancor più il livello di confusione. Ottolenghi sostiene che «il sionismo comprende anche la credenza che gli ebrei sono una nazione, e come tali hanno diritto all'autodeterminazione come tutte le altre nazioni». Ciò è doppiamente sconcertante. Innanzitutto l'ideologia del nazionalismo ebraico era del tutto irrilevante per molti ebrei così come per molti simpatizzanti non ebrei, che vennero attratti dall'obiettivo sionista di creare uno stato ebraico in Palestina. Essi vedevano Israele in termini umanitari o pratici: un rifugio sicuro dove gli ebrei potessero vivere come tali dopo secoli di emarginazione e di persecuzioni. Questa motivazione venne rafforzata dall'uccisione da parte dei nazisti di un terzo della popolazione ebraica del mondo, l'intera distruzione delle comunità ebraiche in Europa e la sorte delle masse di rifugiati ebrei che non avevano alcun posto dove andare. In secondo luogo non bisogna certo essere anti-semiti per respingere l'idea che gli ebrei costituiscano una nazione a parte nel senso moderno della parola o che Israele è lo stato nazione ebraico. Ironia della storia il fatto che gli ebrei sono un popolo a parte che formano «uno stato nello stato» è uno degli ingredienti base del discorso anti-semita. Ed è anche per questo che alcuni anti-semiti europei pensano che la soluzione della «questione ebraica» possa essere per gli ebrei uno stato per loro conto. Herzl di certo pensò che avrebbe potuto fare affidamento sul sostegno di alcuni settori anti-semiti. Ma cos'è l'anti-semitismo?

Anche se questo termine risale agli anni `70 del XIX secolo, l'anti-semitismo è un antico pregiudizio europeo sugli ebrei. Il compositore Richard Wagner l'ha epresso assai bene quando disse: «Ritengo che la razza ebraica sia il nemico della pura umanità e tutto quel che di nobile vi è in essa». E' così che gli anti-semiti vedono gli ebrei: si tratta di una presenza aliena, parassiti che vivono sulle spalle dell'umanità e vogliono dominare il mondo. In tutto il mondo la loro mano invisibile controllerebbe le banche, i mercati e i media. Persino i governi sarebbero sotto il loro dominio. E quando ci sono delle rivoluzioni o quando delle nazioni vanno in guerra sarebbero sempre gli ebrei a muovere i fili - astuti, spietati, compatti- e a trarne vantaggio. Quando questo pregiudizio viene proiettato su Israele in quanto stato ebraico, allora possiamo dire che l'anti-sionismo è anti-semita. E quando zelanti critici di Israele, senza essere anti-semiti, usano distrattamente frasi come «l'influenza ebraica», evocando quelle fantasie, essi alimentano una corrente anti-semita nel mondo della cultura. Ma l'occupazione israeliana della West Bank e della striscia di Gaza non è una fantasia. Il diffondersi degli insediamenti ebraici in quei territori non è una fantasia. Non è una fantasia il diverso, ineguale, trattamento riservato ai colonizzatori ebrei e agli abitanti palestinesi. Non è fantasia le discriminazioni istituzionalizzate in varie sfere della vita sociale ai danni dei cittadini arabi in Israele. Queste sono realtà. E' cosa ben diversa opporsi a Israele o al sionismo sulla base di una fantasia anti-semita o farlo sulla base della realtà. In questo secondo caso non si può parlare di anti-semitismo. Ma una critica eccessiva ad Israele o al sionismo non è forse testimonianza di un pregiudizio anti-semita? Nel suo libro «The Case for Israel» Alan Dershowitz sostiene che quando le critiche ad Israele «passano il confine tra il corretto e lo scorretto passano dall'essere accettabili all'essere anti-semite». Coloro che sostengono questa linea sostengono che essa viene passata quando i critici rivolgono le loro critiche ad Israele, isolando il suo caso, in modo scorretto; quando applicano due pesi e due misure e giudicano Israele sulla base di criteri più duri di quelli usati nei confronti di altri stati; quando riportano i fatti in modo distorto in modo da presentare Israele sotto una cattiva luce; quando denigrano lo stato ebraico; e così via. Tutto ciò è indubbiamente scorretto ma si tratta necessariamente di anti-semitismo? No penso proprio di no. Il conflitto israelo-palestinese è un'amara lotta politica . I problemi sono molto complessi, le passioni brucianti e grandi sono le sofferenze. In queste circostanze i membri dei due schieramenti possono essere di parte e «passare la linea tra il corretto e lo scorretto». Quando coloro che si sono schierati con Israele passano quella linea non è detto che siano anti-musulmani. E quando altri, in sostegno della causa palestinese fanno lo stesso questo non li trasforma in anti-ebrei. Ciò vale per entrambi. Ma c'è anche qualche altra cosa che vale per entrambi: il razzismo. Sentimenti anti-ebraici e sentimenti anti-musulmani sembrano in crescita. Ciascuno ha le sue peculiarità ma antrambi sono esacerbati dal conflitto israelo-palestinese, l'invasione dell'Iraq, la «guerra contro il terrorismo» e altri conflitti.

Dovremmo unirci tutti per respingere il razzismo in ogni sua forma: l'islamofobia che demonizza i musulmani così come i discorsi anti-semiti che possono infettare l'anti-sionismo e avvelenare il dibattito politico. Tuttavia uomini di buona volontà possono non essere d'accordo tra di loro a livello politico - sino al punto discutere del futuro di Israele come stato ebraico. Senza dimenticare che anche l'equiparazione dell'anti-sionismo con l'anti-semitismo può avvelenare, a suo modo, il dibattito politico.

* Brian Klug è ricercatore anziano di filosofia al Sr. Benet's Hall di Oxford ed è membro fondatore del «Jewish Forum for Justice and Human Rights». Questo intervento è uscito sul Guardian di ieri.
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