Da: Le origini delle lingue d’europa, del glottologo Mario Alinei: Le Aquane e i Silvani ladini (non solo ladini)pp 914-915-916-917
6. Evoluzione ideologica
Il mito ladino delle
Aquane e dei
Silvani, uno dei più autentici e poetici della mitologia popolare europea, anche per lo stupendo e maestoso ambiente naturale in cui emerge, contrappone Aquane come donne delle acque e Silvani come uomini delle selve, ma allo stesso tempo li unisce come mariti e mogli, abitanti della stessa terra e partecipi delle stesse vicende.
Nella sua prima valenza, che è quella letterale e certamente anche la più antica, il mito delle Aquane e dei Silvani è quindi il mito della prima specializzazione del lavoro come essa si è evoluta nel Mesolitico: donne raccoglitrici, vicine alle acque dove meglio e più fitte crescono le piante, e dove meglio possono accudire alle loro altre mansioni fondamentali (cura dei bambini e del corpo, manutenzione delle prime suppellettili, provviste d'acqua, cottura); e uomini cacciatori, nel fitto dei boschi.
Il mito, tuttavia, per essere tale, dovette nascere dopo che questa prima specializzazione del lavoro aveva cessato di essere attuale, quindi quando essa venne messa in crisi dalle rivoluzionarie trasformazioni neolitiche.
Per la sua severità, l'ambiente alpino (come del resto quello marittimo), da un lato aveva contribuito a rendere i suoi abitanti più attenti a distinguere l'autentico dal falso, dall'altro a conservare intatti i valori ideologici della caccia e raccolta così come questi erano stati incarnati dai gruppi mesolitici, che continuavano quasi immutate le tradizioni di caccia e raccolta del Paleolitico, ed erano stati i primi ad avventurarsi in montagna dopo lo scioglimento dei ghiacci.
Questa riflessione ci permette, anzitutto, di identificare
A q u a n e e
S i l v a n i ladini come i primi abitanti delle Alpi, di epoca mesolitica, e in secondo luogo di datare la formazione del mito all'epoca dell'arrivo del Neolitico, che nelle Alpi ebbe luogo nel Calcolitico, circa 3000 a.C.
La datazione, inaspettatamente precisa, non solo porta il mito abbastanza vicino a noi (cinquemila anni per un mito non è molto), ma permette anche di meglio comprenderne la successiva evoluzione, che si realizza nelle fiabe e nelle leggende, oltre che in tutta una serie di sviluppi semantici.
Rinviando, per i dettagli, alle mie ricerche [Alinei 1984c; 1985a] e soprattutto a quelle delle nuove generazioni di studiosi [v. per es. Kindl 1983; 1986], l'evoluzione del mito delle Aquane e dei Silvani si lascia schematizzare in questo modo:
A) per quanto riguarda la semantica, in alcune aree dialettali il termine
aquana appare nel significato di «strega» o di «fata», che sono tipiche evoluzioni e specializzazioni, sia nel bene che nel male, che gli esseri magico-religiosi (neutri o ambivalenti nelle ere precedenti) subiscono nel corso delle età dei Metalli, e soprattutto nel Bronzo/Ferro.
Lo stesso, e ancora più nettamente, si può dire per Silvanus, che lungo tutto l'arco alpino appare trasformato in un «folletto» o nell'«incubo notturno».
B) Per quanto riguarda la fiabistica, le principali fasi elaborative del mito che si lasciano identificare sono essenzialmente quattro, di cui la terza in due diverse ed opposte varianti:
1) La prima fase, come già detto, mostra le Aquane come «raccoglitrici», mentre i Silvani sono «cacciatori», accompagnati da un cane: è la fase mesolitica, durante la quale cacciatori e raccoglitrici si insediano per la prima volta nelle alte vallate alpine, dove vivono il «passaggio» dalla caccia a raccolta all'agricoltura.
2) Nella seconda fase, le Aquane sono descritte come esperte «coltivatrici»
(Reitia nel disco di Auronzo che innaffia l'orto officinale dove si trovano le erbe medicinali e magiche) , che conoscono tutti i segreti dell'agricoltura.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ngoana.jpgAnalogamente, i Silvani diventano «pastori», sempre accompagnati da un cane.
È la fase mesolitica, durante la quale, probabilmente, nacque il mito stesso, per essere successivamente rielaborato in chiave neolitica. Le due fasi, infatti, spesso si sovrappongono, tanto che perfino nei testi latini Silvanus appare ancora sia come dio mesolitico dei boschi e della caccia che come dio neolitico dei pascoli e dei pastori.
La documentazione archeologica (iscrizioni votive, altari), che risale all'epoca romana, registra – come era da attendersi – solo la fase dominante, del culto dei pastori.
3a) In una prima variante – di segno maschile – della terza fase, l'ideologia neolitica subisce una profonda trasformazione in chiave patriarcale. Questa trasformazione traspare per esempio nella tradizione orale ampezzana, dove le Aquane appaiono trasformate in «serve» di un dio Silvano, solare e unico, ciò che appunto deve riflettere le trasformazioni socioeconomiche in senso patriarcale del Calcolitico. La stessa trasformazione è provata dalla documentazione latina, che ci mostra come nel pantheon latino, accanto a Silvanus – uno degli di indigetes – appaiano marginalmente anche delle Silvanae, compagne di Silvanus e a lui assimilate, mentre non vi è alcuna traccia di Aquana. In altri termini, abbiamo una forma di assimilazione e di «censura» in chiave patriarcale.
3b) Nella variante di segno femminile della terza fase – che non appare affatto in Latino mentre è documentata dai dialetti e dagli etnotesti – raramente appare una Silvana, mentre appaiono spesso degli Aquani (Aivani, Vivani di Val di Fassa e Livinallongo).
Ciò dimostra il maggiore ruolo della «matrifocalità» nella realtà vissuta dal basso delle società ladine, rispetto alla letteratura latina, riflesso di uno stadio patriarcale vissuto dal ceto dominante.
Se è ovvio che la leggenda dell'aiuto magico delle Aquane (Vivane) nella battaglia dei Fassani e Fodom contro i Trevisani non può nascere da un contesto storico – entro il quale l'aiuto militare di un gruppo femminile sarebbe del tutto impensabile – occorre concludere che esso – come il mito delle Amazzoni – nasce da realtà sociali preistoriche di segno matrifocale.
4) La quarta ed ultima fase è quella testimoniata dalla trasformazione semantica di Aquane e di Silvani, rispettivamente, in «folletti» e «incubi», «fate» e «streghe», tipica del Bronzo/Ferro. Che poi l'evoluzione di questo sistema mitologico abbia avuto luogo a partire dalla fine del Neolitico – e non abbia niente a che fare con la romanizzazione – è anche indicato dalla sua differenziazione geografica: Val Gardena e Val Badia mostrano ancora un rapporto paritetico fra Aquane e Silvani; Val di Fassa e di Livinallongo mostrano forme di resistenza all'invadenza patriarcale; la grande conca ampezzana mostra l'asservimento delle Aquane all'ideologia patriarcale.
Se la romanizzazione fosse la causa di queste trasformazioni, esse sarebbero mescolate. Più importante, non si vede come la romanizzazione avrebbe potuto creare – valle per valle – dei rapporti variabili con Aquane, che la tradizione romana neanche conosceva. L'unica alternativa è che il mito delle Aquane e dei Silvani sia nato unitario nella Ladinia dolomitica di epoca tardo-mesolitica, alcuni millenni prima della fondazione di Roma, e che le sue trasformazioni siano avvenute, valle per valle, in tempo reale.
La La "romanizzazione" le ha trovate in loco, e ce le ha tramandate (xe come dir ke le gà seità a existare ne li secoli traversando anca li ani diti romani).
Cfr. co:
Euganei/ Eugani/ Ougagni/Ogagniviewtopic.php?f=134&t=515