FESTIVAL BIBLICO 2016 :
Giustizia e Pace si bacerannododexàni ke i lo fà el Festivàl biblico e mi me son incorta solo ke da trì... ma stoàno - a Rovigo - a ghè na roba ke no pòso mancare :
La Leggenda del grande Inquisitore sol Perdono, Giustizia e Scandalo.
La Leggenda del grande Inquisitore... e parké Dostoevskij nol lo gà intitolà
Il ritorno di Gesù o calcòsa del jenere, dato ke de cuesto se trata te la Leggenda ke Ivàn Karamazov el ghe conta a so fradèlo Aljòsa:
(...)
La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più pauroso dell’inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.
Oh, certo, non è così che Egli scenderà, secondo la Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste, improvviso “come folgore che splende dall’Oriente all’Occidente”. No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitar i roghi degli eretici.
Nell’immensa Sua misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini in quel medesimo aspetto umano col quale era passato per tre anni in mezzo agli uomini quindici secoli addietro. Egli scende verso le “vie roventi” della città meridionale, in cui appunto la vigilia soltanto, in un “grandioso autodafé”, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici.
Egli è comparso in silenzio, inavvertitamente, ma ecco – cosa strana – tutti Lo riconoscono. Spiegare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno dei più bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a loro silenzioso, con un dolce sorriso d’infinita compassione.
(...) Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e Lo acclamano: “Osanna!”. “É Lui, è Lui”, ripetono tutti, “dev’essere Lui, non può esser che Lui”.
Egli si ferma sul sagrato della cattedrale di Siviglia nel preciso momento in cui portano nel tempio, fra i pianti, una candida bara infantile aperta: c’è dentro una bambina di sette anni, unica figlia di un insigne cittadino. La bimba morta è tutta coperta di fiori.
“Egli risusciterà la tua bambina”, gridano dalla folla alla madre piangente. Il prete della cattedrale uscito incontro alla bara guarda perplesso e aggrotta le sopracciglia. Ma ecco risonare a un tratto il grido della madre della bambina morta. Essa si getta ai Suoi piedi: “Se sei Tu, risuscita la mia creatura!”, esclama, tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si ferma, la bara è deposta sul sagrato ai Suoi piedi. Egli la guarda con pietà e le Sue labbra pronunziano piano ancora una volta: “
Talitha kum”, “e la fanciulla si levò”. La bambina si solleva nella bara, si siede e guarda intorno sorridendo con gli occhietti sgranati, pieni di stupore. Ha nelle mani il mazzo di rose bianche col quale era distesa nella bara. Il popolo si agita, grida, singhiozza; ed ecco in questo stesso momento passare accanto alla cattedrale, sulla piazza, il cardinale grande inquisitore in persona.
È un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce. Oh, egli non ha più la sontuosa veste cardinalizia di cui faceva pompa ieri davanti al popolo, mentre si bruciavano i nemici della fede di Roma: no, egli non indossa in questo momento che il suo vecchio e rozzo saio monastico. Lo seguono a una certa distanza i suoi tetri aiutanti, i servi e la “sacra” guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva da lontano. Ha visto tutto, ha visto deporre la bara ai piedi di Lui, ha visto la bambina risuscitare, e il suo viso si è abbuiato. Aggrotta le sue folte sopracciglia bianche e il suo sguardo brilla di una luce sinistra. Egli allunga un dito e ordina alle sue guardie di afferrarlo.
E tanta è la sua forza e a tal punto il popolo è docile, sottomesso e pavidamente ubbidiente, che la folla subito si apre davanti alle guardie e queste, in mezzo al silenzio di tomba che si è fatto di colpo, mettono le mani su Lui e Lo conducono via. Per un istante tutta la folla, come un solo uomo, si curva fino a terra davanti al vecchio inquisitore; questi benedice il popolo in silenzio e passa oltre. Le guardie conducono il Prigioniero sotto le volte di un angusto e cupo carcere nel vecchio edificio del Santo Uffizio e ve Lo rinchiudono.
(...)
Cuà el
testo completo de la Lejenda .
Nol dixe gnàn na parola Jexù, nol ghe risponde gnente a l Inquisitore, el stà senpre 'zìto foravia ke pa kele do parole n aramaico ke l ghe dixe a la putìna morta :
Talitha kum:
tirate-su, la me putìna :
fanciulla, àlzati!.
Safet Zec -
Abbraccio - 2001
El bàxo de Jexù :
E come termina il tuo poema?
– Io volevo finirlo così: l’inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir più… non venire mai più mai più E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana.
– E il vecchio?
– Il bacio gli arde nel cuore, ma il vecchio persiste nella sua idea.
Ghe brùxa - kel baxo - tel so vècio cuore, ma nol canbiarà idea. Gnente canbia.