Edentà e tera mare o mària/matria-espariensa mestega de l’aotoctonia-
Nasare e morire ente la mema tera.
MITI, SOGNI E MISTERI de Mircea Eliade
http://www.gianfrancobertagni.it/materi ... isogni.pdf RICORDI E NOSTALGIE.
Potremmo confrontare i miti di emersione dal grembo della terra con i ricordi di un'esistenza prenatale che certi sciamani nordamericani pretendono di aver sufficientemente conservato.
Tali ricordi si riferiscono alla penetrazione dell'anima dello sciamano nel grembo materno, al suo soggiorno nelle tenebre amniotiche e infine al passaggio alla luce.
A prima vista tali ricordi dell'esistenza prenatale non hanno nulla a che vedere con i miti dell'emersione degli
antenati dal grembo della terra. Ma l'immagine è la stessa: i ricordi personali degli sciamani illustrano il mito di una vita sotterranea seguita dall'emersione alla superficie della terra; evidentemente, con varianti dovute al fatto che tali ricordi si riferiscono a una nascita individuale, ostetrica.
Ecco alcuni esempi: uno sciamano racconta che la sua anima aveva deciso d'incarnarsi tra gli Iowa; l'anima penetrò in una capanna sulla cui porta vi era una pelliccia d'orso e vi restò per qualche tempo; poi uscì dalla capanna: lo sciamano era nato. (8)
Uno sciamano winnebago racconta le peripezie di una delle sue reincarnazioni: non era entrato in una donna, ma in una camera. «Là sono rimasto cosciente tutto il tempo. Un giorno ho sentito i rumori che facevano i bambini fuori, e anche altri rumori, e ho deciso di andarvi.
Allora mi sembrò di passare attraverso una porta, ma in realtà ero di nuovo nato per mezzo di una donna. Appena uscii, l'aria fresca mi colpì e cominciai a gridare». (9)
La nostalgia del ritorno alla Terra Madre diventa talvolta un fenomeno collettivo, e allora indica che una
società ha rinunciato alla lotta e che si avvicina alla scomparsa totale. E' il caso dei Yaruro dell'America del Sud, popolazione primitiva quanto i Fuegini perché ignora ancora l'agricoltura e non conosce alcun animale domestico oltre al cane. La Grande Madre dei Yaruro vive nell'est, in una regione lontana che si chiama il Paese di Kuma. Proprio nel Paese della Madre se ne vanno i morti; là rinascono come bimbi e vi godono un'esistenza
paradisiaca, cioè la vita che i Yaruro affermano di aver conosciuto prima dell'arrivo dei bianchi.
Durante la "trance" gli sciamani viaggiano nel Paese di Kuma e raccontano quello che vedono.
Tutta la tribù soffre di una nostalgia per questo paradiso perduto: i Yaruro sono impazienti di morire e di restaurare il Paese della Madre.
(10) Forse l'hanno già fatto: vent'anni fa, quando Petrullo li visitò, ne restavano soltanto poche centinaia...
MUTTER ERDE
E' universalmente diffusa la credenza che gli uomini sono partoriti dalla terra; basta sfogliare alcuni libri scritti su questo argomento, per esempio "Mutter Erde" di Dieterich, oppure "Kind und Erde" di Nyberg. (11)
In numerose lingue l'uomo è chiamato «nato dalla terra» (canzoni russe, miti dei Lapponi e degli Estoni, eccetera). (12)
Si ritiene che i bimbi «vengano» dal fondo della terra, delle caverne, delle grotte, delle crepe, ma anche delle paludi, delle sorgenti, dei fiumi. Sotto forma di leggenda, di superstizione o semplicemente di metafora,
credenze simili sopravvivono ancora in Europa.
Ogni regione, e quasi ogni città e villaggio, conosce una roccia o una fonte che «porta» i bimbi: sono i "Kinderbrunnen", i "Kinderteiche", le "Bubenquellen". (13)
Guardiamoci dal credere che queste superstizioni o queste metafore siano soltanto spiegazioni per bimbi.
La realtà è più complessa.
Anche negli europei di oggi sopravvive il sentimento oscuro di una solidarietà mistica con la terra natale, da non confondere con il sentimento profano d'amore per la patria o per la provincia, né con l'ammirazione per il paesaggio familiare o con la venerazione per gli antenati sepolti da generazioni attorno alle chiese dei villaggi.
E' ben altro: è l'esperienza mistica dell'autoctonia, il sentimento profondo di essere emersi dal suolo, di essere stati generati dalla terra allo stesso modo in cui la terra ha dato origine, con una fecondità inesauribile, a rocce, fiumi, alberi, fiori. Proprio in questo senso si deve comprendere l'autoctonia: il sentirsi GENTE DEL LUOGO, un sentimento di struttura cosmica che supera di molto la solidarietà familiare e ancestrale.
Si sa che in molte culture il padre aveva una funzione secondaria, in quanto si limitava a legittimare il bimbo, a riconoscerlo. "Mater semper certa, pater incertus".
Tale situazione si è prolungata per parecchio tempo: nella Francia monarchica si diceva: «Il re è il figlio della regina». Ma era pur sempre un fatto non originario, perché la madre si limitava a RICEVERE il figlio.
Innumerevoli credenze ci dicono che le donne diventano incinte quando si avvicinano a determinati luoghi: rocce, caverne, alberi, fiumi.
Le anime dei bimbi penetrano allora nel loro ventre e le donne concepiscono.
Qualunque sia la condizione di queste animebambini - siano o no le anime degli antenati -, una cosa è certa: per incarnarsi, hanno atteso nascoste nei crepacci, nei solchi, nelle paludi, nelle foreste: già da allora vivevano una specie di esistenza embrionale nel grembo della loro vera madre, la terra: da essa vengono i bambini.
Secondo altre credenze ancora vive negli europei del secolo Diciannovesimo, dal grembo della terra li portano certi animali acquatici: pesci, rane, soprattutto cigni.
Il ricordo oscuro di una preesistenza nel grembo della terra ha avuto considerevoli conseguenze: ha creato nell'uomo un sentimento di parentela cosmica con l'ambiente che lo circonda; si potrebbe addirittura dire che per un certo tempo l'uomo non aveva tanto la coscienza della sua appartenenza alla specie umana, quanto piuttosto il sentimento di una partecipazione cosmo-biologica alla vita del suo ambiente.
Sapeva certamente di avere una «madre immediata», quella che vedeva sempre vicino a lui, ma sapeva anche di venire da più lontano, di essere stato portato da cigni o da rane, di aver vissuto nelle caverne e nei fiumi.
E tutto questo ha lasciato tracce nel linguaggio: a Roma il bastardo era chiamato "terrae filius"; in Romania lo chiamano ancora oggi «figlio di fiori».
Questa specie di esperienza cosmo-biologica creava una solidarietà mistica con il LUOGO, la cui intensità si prolunga tuttora nel folclore e nelle tradizioni popolari. La madre si limitava a completare l'opera della Terra Madre. E, alla morte, il grande desiderio era di ritrovare la Terra Madre, di essere sepolti nel suolo natale; in quel «suolo natale» di cui ora si intuisce il profondo significato.
Da ciò la paura di essere sepolti altrove; da qui soprattutto la gioia di ritornare alla «patria», gioia che spesso trapela dalle iscrizioni sepolcrali romane: "hic natus hic situs est" («qui è nato, qui è stato sepolto»); "hic situs est patriae" («questo è il luogo natale»); "hic quo natus fuerat optans erat illo reverti" («dove era nato là ha desiderato ritornare»). (14)
L'autoctonia perfetta comprende un ciclo completo, dalla nascita alla morte.
Bisogna ritornare alla madre.
«Striscia verso la terra, tua madre!». (15)
«Tu, che sei terra, ti metto nella terra!». (16)
«La carne e le ossa ritornino di nuovo alla terra!», si dice durante le cerimonie funebri cinesi.
"HUMI POSITIO". LA DEPOSIZIONE DEL BIMBO PER TERRA.
L'esperienza fondamentale che riconosce nella madre la semplice rappresentante della Grande Madre tellurica ha dato origine a usanze innumerevoli. Ricordiamo, per esempio, il parto per terra (la "humi positio"), un rituale che si incontra spesso, dall'Australia alla Cina, dall'Africa all'America del Sud.
Presso i Greci e i Romani l'usanza era scomparsa in età storica, ma non vi è dubbio che fosse esistita in un passato più lontano: certe statue di dee della nascita (Eileithyia, Damia, Auxeia) vengono rappresentate in ginocchio, nella posizione esatta della donna che partorisce direttamente sulla terra.
Nei testi demotici egizi l'espressione «sedersi per terra» significava «partorire» o «parto». (18)
Il senso religioso di questa usanza è intuitivo: il parto è la versione microcosmica di un atto esemplare compiuto dalla terra, e ogni madre umana non fa che imitare e ripetere l'atto primordiale della comparsa della vita nel grembo della terra: di conseguenza, ogni madre deve trovarsi in contatto diretto con la Grande Genitrice, per lasciarsi guidare da lei nel compimento di quel mistero che è la nascita di una vita, per riceverne le energie benefiche e trovarvi la protezione materna.
Ancor più diffusa è l'usanza di deporre il neonato per terra.
In Abruzzo è ancora praticata l'usanza di posare per terra il neonato appena lavato e fasciato.
Si ritrova questo rituale in Scandinavia, in Germania, presso i Parsi, in Giappone e altrove.
Il bimbo viene poi sollevato dal padre ("de terra tollere") per indicare il suo riconoscimento. (19)
Marcel Granet ha studiato l'atto di posare il bimbo per terra nella Cina antica e ha ottimamente interpretato il
significato di questo rito. (20) «IL MORENTE, COME IL BIMBO CHE NASCE», scrive Granet,
«VIENE POSATO PER TERRA.
Dopo che è stato raccolto l'ultimo respiro su dell'ovatta, dopo che invano è stata richiamata l'anima-soffio che per prima se ne va, tutti piangono attorno al morto steso per terra (ugualmente per terra, per tre giorni, il bimbo vagisce)... Per nascere o per morire, per entrare nella famiglia viva o nella famiglia ancestrale (e per uscire dall'una o dall'altra), vi è una soglia comune, la terra natale.
Questa non è affatto soltanto il luogo dove s'inaugura la vita e la sopravvivenza, è anche il grande testimone dell'iniziazione al nuovo genere di esistenza: è il potere sovrano che decide l'esito dell'ordalia latente in questa iniziazione... Quando si depone sulla terra il neonato o il morente, spetta a lei dire se la nascita o la morte sono valide, se bisogna accettarle come fatti acquisiti e regolari...
Il rito della deposizione per terra implica l'idea di un'identità sostanziale tra la razza e il suolo.
Questa idea si esprime infatti nel sentimento dell'autoctonia, che è il più vivo fra quelli che possiamo ravvisare agli inizi della storia cinese; l'idea di un'alleanza stretta tra un paese e i suoi abitanti è una credenza cosi profonda, che è rimasta alla base e al centro delle istituzioni religiose e del diritto pubblico». (21)
Grazie all'analisi di Granet individuiamo al vivo la formazione dell'immagine della Terra Madre. All'inizio appariva «sotto l'aspetto neutro del Luogo Santo come il principio di ogni solidarietà».
In seguito, e «nell'insieme di concezioni e di immagini che determinò un'organizzazione della famiglia fondata sulla filiazione uterina, la terra domestica fu concepita con i tratti di una potenza materna e nutrice». (22)
E' molto probabile che nei tempi antichi si seppellissero i morti nel recinto domestico, (23) nel luogo per la conservazione delle sementi. Appunto la donna rimase per molto tempo la custode delle sementi: «Al tempo dei Chu le sementi destinate al campo regale non erano affatto conservate nella camera del Figlio del Cielo, ma negli appartamenti della regina». (24) «Nella casa nobile il padre di famiglia mette il proprio letto dove sono le sementi e dove vagano le anime appunto perché egli ha usurpato il posto della madre di famiglia.
Vi fu un tempo in cui la famiglia era uterina, sicché nella casa coniugale il marito era soltanto un genero». (25)
Solamente più tardi, con la comparsa della famiglia agnatizia e del potere signorile, il suolo divenne un dio. (26) Notiamo una circostanza: prima di essere rappresentata come madre, la terra era sentita come potenza creatrice puramente cosmica, asessuata, oppure, se si preferisce, supersessuata. Ritorna la concezione or ora accennata dell'autoctonia mistica, secondo cui i bambini «vengono» dal suolo stesso.
Evidentemente, il suolo che produce i bambini come produce le rocce, le fonti e le erbe, resta sempre una madre, anche se gli attributi femminili di questa maternità non sono sempre evidenti.
Si potrebbe parlare, in questo caso, di una "Urmutter", di una Madre Primordiale.:è, forse, il ricordo oscuro dell'androginia della "Tellus Mater" o delle sue capacità di autogenesi e partenogenesi.
Ma su questo importante problema ritorneremo presto. ,,,
LA MATRICE SOTTERRANEA.
GLI “EMBRIONI”
Per ora notiamo che la concezione della terra come genitrice universale si incontra anche a un livello che si potrebbe chiamare il livello geologico dell'esistenza. Se la terra è una madre viva e feconda, anche tutto quello che produce è organico e animato: non soltanto gli uomini e le piante, ma anche le pietre e i minerali.
Un grande numero di miti parla delle pietre come di ossa della Terra Madre.
Deucalione gettava le «ossa di sua madre» al di sopra delle spalle per ripopolare il mondo.
Queste «ossa» erano pietre, ma nelle più vecchie tradizioni dei popoli cacciatori - tradizioni che risalgono al paleolitico - l'osso rappresentava la sorgente stessa della vita; nell'osso era infatti concentrata l'essenza ultima della vita, cominciando dalle ossa rinascevano sia l'animale sia l'uomo.
Seminando pietre, Deucalione seminava in realtà i germi di una nuova umanità.
Se la terra è assimilata a una madre, tutto ciò che è racchiuso nelle sue viscere è come altrettanti embrioni, come altrettanti esseri viventi che stanno per «maturare», cioè per crescere e per svilupparsi. Questa concezione è messa ottimamente in risalto dalla terminologia mineralogica delle diverse tradizioni. Così, per esempio, i trattati indiani di mineralogia descrivono come un embrione lo smeraldo racchiuso nella «matrice della roccia».
Il nome sanscrito dello smeraldo è "asmagarbhaja", «nato dalla roccia». Un altro testo distingue il diamante dal cristallo in base alla differenza di età, differenza che è espressa in termini embriologici: il diamante è "pakka", cioè «maturo», mentre il cristallo è "kaccha", «immaturo», «acerbo», insufficientemente sviluppato.
Simili concezioni sono estremamente antiche. Le miniere, proprio come le foci dei fiumi, sono state assimilate alla matrice della Terra Madre. In babilonese il termine "pu" significa contemporaneamente «sorgente di un fiume» e vagina; in egizio la parola "bi" indica la vagina e la «galleria di una miniera»; anche il sumerico "buru" significa vagina e «fiume». E' probabile che i minerali estratti da una miniera fossero assimilati a embrioni: il termine babilonese "an- kubu" è stato tradotto da certi autori «embrione», da altri «feto». In ogni caso esiste una simmetria implicita tra la metallurgia e l'ostetricia: il sacrificio che si compiva talvolta vicino ai forni per la preparazione dei minerali assomiglia ai sacrifici ostetrici; il forno era assimilato a una matrice, in quanto in esso gli «embrioni- minerali» dovevano maturare laloro crescita, e in un tempo sensibilmente più breve di quello che sarebbe occorso se fossero rimasti nascosti sotto terra.
L'operazione metallurgica, proprio come il lavoro agricolo – che implicava anche la fecondità della Terra Madre - ha finito col creare nell'uomo un sentimento di fiducia e anche di orgoglio: l'uomo si sente capace di collaborare all'opera della natura, si sente capace di aiutare i processi di nascita che si effettuano nel grembo della terra. L'uomo spinge e sollecita il ritmo di quelle lente maturazioni ctonie: in un certo senso SI
SOSTITUISCE AL TEMPO.
L'alchimia si inscrive nello stesso orizzonte spirituale: l'alchimista riprende e perfeziona l'opera della natura, impegnandosi contemporaneamente a «fare» se stesso. (27) L'oro è il metallo nobile perché è perfettamente «maturo»: lasciati nella loro matrice ctonia, tutti gli altri minerali sarebbero diventati oro, ma dopo centinaia e migliaia di secoli. Come il metallurgista - che trasforma degli «embrioni» in metalli accelerando la crescita cominciata nella Terra Madre - l'alchimista sogna di prolungare tale accelerazione e di coronarla con la
trasmutazione finale di tutti i metalli «ordinari» - ordinari perché non completamente maturi - nel metallo «nobile», perfettamente «maturo», quale è l'oro. E' ciò che Ben Jonson dice nella commedia "Tha Alchemist": (28).
Subtle: Lo stesso diciamo del piombo e degli altri metalli, che sarebbero oro se avessero
tempo.
Mammon: E la nostra arte l'asseconda.
Noda:
xe anca par sto "sentir o sentimento" ke tanti povoli e xenti lì gà creansa par la so tera: no li ghe spua doso, no li ghe trà le scoàse de sora come ca fuse gnente, ma li la coverxe de fiori ...
e endove ca no ghè sto "sentir" li omani li ghin fa de aio, come anca kive da naltri ... ke tristesa co se riva a no ver pì creansa par la nostra mare tera, pedho ke esar orfani de tuti di li xenidori.
Edentetà e tera mare o mària/matria-espariensa mestega de l’aotoctonia-
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... kzZWM/edit