Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitismo

Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitismo

Messaggioda Berto » dom apr 23, 2017 9:41 am

"Il lavoro prima agli australiani. Da oggi solo migranti qualificati"
Giornate di fuoco per la politica australiana e per i 200mila italiani, che vivono in Australia
Luisa De Montis - Gio, 20/04/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lav ... 88060.html


Giornate di fuoco per la politica australiana e per i 200mila italiani, che vivono in Australia (sono 25 mila gli italiani che ogni anno atterrano negli aeroporti di Sydney o di Melbourne, per vacanza, per studio o per lavoro).

Da oggi, infatti, sarà più difficile ottenere un visto permanente dall'altra parte del mondo, ma non impossibile. Il primo ministro australiano, Malcolm Turnbull, ha recentemente annunciato: "Il lavoro prima agli australiani". E ha abolito da un giorno all'altro uno dei visti più utilizzati dagli italiani (e non solo) per lavorare in Australia: il famoso 457, un contratto di lavoro di due o quattro anni, che portava alla residenza permanente e che quindi era una delle strade preferite da circa 550 italiani l'anno, per realizzare l'Australian dream. Cosa fare adesso? "Chi vuole studiare o lavorare in Australia farebbe bene a partire - spiega Ilaria Gianfagna, che tre anni fa ha fondato Just Australia, un infopoint a Melbourne per gli italiani che vogliono trasferirsi in Australia - a prescindere dalle leggi sull'immigrazione, che cambiano ogni anno. Vivere un'esperienza in Australia e in generale all'estero, anche se temporanea, fa bene a chiunque: si migliora l'inglese, si acquisiscono più qualifiche e s'impara cosa vuol dire vivere in un paese estremamente multi-etnico, moderno, dove vige la meritocrazia, dove gli stipendi sono alti, la qualità della vita è tra le più alte al mondo e il tempo libero ha la stessa importanza di quello speso sul lavoro".

In sostanza, quello che cambia è che il nuovo visto si chiamerà Temporary Skill Shortage e darà la possibilità di rimanere fino a quattro anni in Australia e solo per alcune professioni sarà possibile richiedere la residenza permanente dopo questo percorso. "Da oggi sarà più difficile ottenere un visto permanente per l'Australia - dice Alberta Miculan, agente di immigrazione dello studio di Melbourne Migration Ways - e ce la faranno soprattutto le persone molto qualificate, con un buon livello d'inglese". Le novità sono appena state annunciate ed è bene non prendere decisioni affrettate. "Meglio continuare per la propria strada - aggiunge Miculan - e attendere di saperne di più. Per chi è qualificato non mancheranno le opportunità". Proprio quello che vuole il primo ministro per il futuro del paese: migranti qualificati, ovvero 'skilled migrants', come si dice nella terra di canguri. Il premier ha anche annunciato che la procedura per ottenere il passaporto sarà ancora più lunga: ci vorranno 4 anni di residenza permanente, prima di poter richiedere la tanto ambita cittadinanza. In tantissimi hanno commentato le novità su Facebook, definendo 'razzistì i nuovi provvedimenti. Ma si può ancora emigrare in Australia? I giovani sotto i 31 anni possono chiedere un visto working holiday (vacanza-lavoro) della durata di un anno, da poter rinnovare per altri 12 mesi, a patto di svolgere 88 giorni di lavoro agricolo. Chi ha più di 31 anni, o semplicemente vuole studiare, può optare per uno student visa, un visto di studio e lavoro part time, che è il biglietto da visita per entrare nel mondo del lavoro australiano, con un buon livello d'inglese e un diploma o una laurea ottenuta sul posto. Oppure partire con la macchina fotografica al collo, per una vacanza, che a volte si trasforma in una scelta di vita.
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Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitismo

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 7:09 pm

???

Ci sono 1 milione di posti di lavoro disponibili, ma agli italiani mancano voglia e competenze
di Stefano Vergine - foto di Gianluca Meduri
2017/07/24

http://espresso.repubblica.it/attualita ... e-1.306640

«Siamo spiacenti, il numero chiamato è inesistente». Questo si sente rispondere da un paio di settimane chi prova a contattare il centro per l’impiego di Petilia Policastro, diecimila abitanti aggrappati ai monti della Sila, in Calabria. Ci sarebbe da ridere, se la situazione non fosse tragica. Perché questo vecchio edificio grigio e squadrato, che prima fu convento monacale e poi sede del municipio, è oggi il luogo che dovrebbe aiutare gli abitanti locali a trovare impiego nella provincia (Crotone) con il più alto tasso di disoccupazione d’Italia, dove un lavoro ce l’ha ufficialmente solo un cittadino su tre. Missione impossibile da affrontare senza nemmeno un telefono. Non solo perché qui le imprese principali sono una manciata di segherie. Il problema è che a Petilia Policastro il centro per l’impiego è allo sbando. E nel resto del Paese le cose non vanno tanto meglio.

È una mattinata torrida di metà luglio in questo angolo desolato della provincia italiana. Andrea Ruberto, responsabile della struttura, ci accoglie nell’ufficio mostrando i segni dell’incuria. Intonaci che si staccano. Macchie gialle di umidità. In alcuni angoli sta crescendo addirittura il muschio. «Ora ci hanno tagliato il telefono e siamo costretti a usare i nostri cellulari», si sfoga, «ma la situazione è grave già da parecchio. Lo vede questo computer? Me lo sono dovuto portare da casa, perché quello aziendale si è rotto e nessuno lo sostituisce. Per non parlare delle pulizie: le dobbiamo fare noi, la Provincia non ha più soldi per pagare un’impresa. Altro che politiche attive, qui siamo in totale emergenza».


1 MILIONE DI POSTI DISPONIBILI

Le politiche attive del lavoro per anni sono state la parte mancante del Jobs Act. Una serie di misure attraverso cui il disoccupato può migliorare il proprio curriculum, cercare offerte di impiego e, se tutto va bene, tornare sul mercato. Se con la legge voluta dal governo Renzi perdere il posto è infatti diventato un po’ più facile rispetto al passato, lo Stato deve impegnarsi per aiutare chi resta a casa. Guardando i dati sull’occupazione verrebbe da dire che in teoria è tutto giusto, ma se poi il lavoro non c’è, le politiche attive servono a poco.

Il luogo comune si sgretola davanti ai risultati di una ricerca di Face4Job, portale che incrocia domande e offerte di impiego. A fronte di circa 3 milioni di disoccupati ufficiali, al momento in Italia ci sono 1.007.835 di posti disponibili.

E non sono nemmeno tutti, perché lo studio considera solo le proposte pubblicate sui siti aziendali, non per esempio quelle sponsorizzate dalle agenzie interinali. Va detto che buona parte di queste occupazioni arriva dal Nord e dal Centro, mentre al Sud le opportunità scarseggiano. La sostanza però non cambia: il lavoro in Italia ci sarebbe anche, magari non per tutti, ma per guadagnarselo bisogna avere le competenze richieste, oltre che la voglia.

Ecco allora l’utilità delle politiche attive, ufficialmente in vigore da ormai un anno e mezzo sulla falsariga di quanto avviato dodici anni fa in Germania dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder, che per dare un taglio ai sussidi a pioggia decise di creare un patto tra lo Stato e il disoccupato. Patto che suona più o meno così: se vuoi l’aiuto economico, caro cittadino, devi venire al centro per l’impiego, seguire i corsi che ti proponiamo, accettare le offerte in linea con le tue caratteristiche. Altrimenti l’assegno te lo puoi scordare. In gergo tecnico si chiama condizionalità.

MODELLO TEDESCO

Anne Jakob, 36 anni, assicura che «è anche grazie a questo se oggi la Germania ha un tasso di occupazione altissimo». La incontriamo a Berlino , a pochi metri dal Checkpoint Charlie, simbolo della divisione della città ai tempi della Guerra Fredda. Riccioli rossi e occhi azzurri, laureata in management dell’amministrazione pubblica, Frau Jakob è una orientatrice del centro per l’impiego di Friedrichshain-Kreuzberg, il distretto più popoloso della capitale tedesca. È insomma una di quelle persone - in Germania sono 25mila, guadagnano tra i 1.700 e i 2.200 euro netti al mese e devono avere almeno una laurea triennale; in Italia non esistono dati ufficiali ma sono molti meno e lo stipendio va da 1.200 a 1.500 euro - che si dedica a rimettere in carreggiata i disoccupati.

«I nostri iscritti sono 38 mila: noi siamo 700 impiegati, tra cui 250 orientatori», spiega Jakob. A Petilia Policastro, tanto per fare un esempio, gli utenti sono 25 mila. La differenza è che i dipendenti sono solo sei e fra questi non c’è nemmeno un orientatore. Risultato? Il patto di servizio, quello che prevede la condizionalità, oggi lo firmano anche i disoccupati italiani. Il problema è che poi da noi quasi nessuno lo fa rispettare.

Per capire perché bisogna scendere dalla Sila e puntare verso il Mar Tirreno. Vibo Valentia è il capoluogo di un’altra provincia italiana con tassi di disoccupazione da record. Quando arriviamo al centro per l’impiego, la sala d’attesa è piena. Sono quasi tutti precari della scuola. Lavorano da settembre a giugno, poi campano con il sussidio fino all’inizio del nuovo anno.

DIPENDENTI SENZA STIPENDIO DA 4 MESI

«Ieri ero qui, a un certo punto Internet si è bloccato e ci hanno chiesto di tornare oggi», dice con un sorriso desolato Giuseppe Fiumara, 40 anni, che da oltre un decennio fa il maestro d’italiano precario nelle elementari del Nord. «Nelle private non voglio andare e altri lavori non mi interessano: io voglio insegnare nelle scuole pubbliche», scandisce, «e spero prima o poi di essere stabilizzato». Non si capisce allora perché Giuseppe - come le altre migliaia di precari della scuola o del turismo - debba passare intere giornate al centro dell’impiego per firmare il patto di servizio. Perché con questo documento l’utente promette di attivarsi per trovare un lavoro. Ma se tutti sanno già che tra qualche mese tornerà in cattedra, perché intasare gli uffici per firmare accordi che nessuno farà rispettare?
Giuseppe Fiumara, insegnante precario...
Giuseppe Fiumara, insegnante precario delle primarie a Milano

Uno sforzo dannoso, oltreché inutile. Tanto più in un luogo come Vibo, dove per mancanza di soldi la situazione è imbarazzante. Linee telefoniche tagliate, collegamento internet a singhiozzo, computer antidiluviani. E dipendenti che non ricevono lo stipendio da quattro mesi.

«Siamo qui ad aiutare i disoccupati e ci lasciano senza paga: è una vergogna, io ho tre figli e il mio è l’unico reddito della famiglia», sbotta Giovanna Marasco, addetta all’accoglienza utenti.

Quello di Vibo Valentia è un caso limite. Una situazione causata dallo stato di dissesto finanziario della Provincia, governata per anni dal centro sinistra. Il punto è però un altro, e coinvolge tutto il sistema delle politiche attive. Chi le decide? Chi controlla il rispetto delle regole? La riforma costituzionale voluta da Renzi prevedeva, oltre all’abolizione definitiva delle Province, l’esclusione delle Regioni da queste decisioni, con la conseguenza che la materia sarebbe diventata di competenza esclusiva dello Stato. Anche per questo è stata creata l’Anpal , l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Visto che però la riforma è stata bocciata con il referendum, oggi le politiche attive sono in balia del caos. Le decisioni sono di competenza congiunta di Stato e Regioni, e i centri per l’impiego sono formalmente ancora sotto il controllo delle Province, di fatto però svuotate di competenze e quattrini.

«In pratica», riassume Romano Benini, direttore del Master universitario in politiche del lavoro alla Link University di Roma, «i dipendenti dei centri per l’impiego non sanno chi li comanda, ogni Regione fa come le pare e nessuna istituzione investe sugli orientatori, figure essenziali per lo sviluppo delle politiche attive». Lo dimostra quanto sta succedendo a Roma. «Qui da noi», racconta sotto anonimato un orientatore della capitale, «la sproporzione fra dipendenti e utenti è talmente grande che non facciamo rispettare la legge. Tutti quelli che percepiscono una forma di sostegno al reddito dovrebbero essere contattati da noi per dei colloqui, oltre che per eventuali corsi formativi, e nel caso non si presentino dovremmo segnalarli all’Inps per fargli tagliare il sussidio. Ma questo non avviene quasi mai perché siamo sommersi dal lavoro burocratico, e io sinceramente sto iniziando a guardarmi in giro per cambiare posto».

QUESTIONE DI SOLDI

I numeri parlano ancora più chiaro. Germania e Italia investono più o meno le stesse cifre per pagare sussidi ai disoccupati (politiche passive) e incentivi per le nuove assunzioni (politiche attive). La differenza sta nella spesa per i cosiddetti “servizi per il lavoro” , cioè il denaro usato per pagare gli orientatori. Qui i tedeschi investono quasi quindici volte più degli italiani.

E i risultati danno ragione a Berlino.

Per fortuna non tutta l’Italia è messa male. Alla periferia est di Milano, zona Giambellino, c’è la sede centrale di uno dei centri per l’impiego più virtuosi. Si chiama Afol Metropolitana e vanta numeri da record: il 23 per cento degli utenti riesce a trovare un nuovo impiego, mentre la media nazionale è ferma all’1,5 per cento. Al primo piano troviamo una decina di operatori impegnati a far firmare patti di servizio. Al secondo piano c’è l’incarnazione di ciò che dovrebbero essere le politiche attive.

Pina e Ilir, entrambi classe ’54, stanno dialogando seduti a una scrivania. Lei è un’orientatrice, lui un ingegnere italo-albanese rimasto senza lavoro. Progettava macchine per l’imballaggio di prodotti alimentari. Due anni e mezzo fa la sua azienda ha chiuso e a lui non è rimasto che il sussidio. Grazie all’aiuto del centro per l’impiego milanese, però, Ilir non ha perso le speranze.

L’Afol gli ha offerto due corsi d’inglese e diversi colloqui individuali. Incontri in cui Ilir è stato aiutato a riscrivere il curriculum, a preparare una lettera motivazionale, a valorizzare le sue esperienze da progettista ma anche quelle da mediatore culturale. «Questo signore ha fatto per anni volontariato aiutando gli stranieri appena arrivati in Italia, e ha sviluppato così capacità che in questo momento sono richieste dal mercato. Ecco, io l’ho aiutato a capire meglio le sue potenzialità, gli ho dato qualche consiglio pratico, poi il resto ovviamente spetterà a lui», dice la dipendente pubblica.

Se a Milano le cose funzionano meglio che in Calabria (e in tante altre zone d’Italia), il merito non è soltanto dei milanesi. Giuseppe Zingale, calabrese trasferitosi al Nord e diventato direttore generale di Afol Metropolitana, spiega che la particolarità di questo centro è la sua natura ibrida: «Pur essendo una struttura pubblica, ci collochiamo in un regime concorrenziale con gli operatori privati, e la partecipazione ai bandi regionali, nazionali ed europei ci consente di reperire risorse utili ad ampliare l’offerta di servizi per i cittadini in difficoltà occupazionale». Conseguenze: a Milano ci sono più orientatori rispetto al resto d’Italia e la condizionalità si applica davvero.

Se quella di Zingale e colleghi punta a diventare la normalità, qualcuno dovrà intervenire al più presto. Il fallimento della riforma costituzionale ha però mantenuto invariato il potere degli enti locali, evitando la creazione di un’unica regia sulle politiche del lavoro. Giuliano Poletti, ministro competente in materia, finora non è riuscito a mettersi d’accordo con le Regioni, che combattono contro il governo centrale per gestire autonomamente i soldi destinati alle politiche attive. Un contrasto che finora ha impedito l’assunzione di 1.000 nuovi dipendenti dei centri per l’impiego, decisione annunciata per la prima volta quasi cinque mesi fa e non ancora realizzata.

GENTILONI PRONTO AL COLPO DI MANO

Secondo una fonte che sta seguendo da vicino la vicenda, il premier Paolo Gentiloni potrebbe decidere di farsi carico direttamente del problema, proponendo alle Regioni un compromesso del genere: a voi la gestione finanziaria, a noi quella sulle politiche attive.

Uno scambio finalizzato a sbloccare la paralisi, ma che potrebbe portare qualche governatore a impugnare la decisione davanti alla Corte Costituzionale.

Di certo per tradurre in pratica una riforma che finora è rimasta solo sulla carta serve soprattutto una cosa: i soldi. Quelli necessari per assumere orientatori, a partire dai 2.500 precari che si trovano in una situazione paradossale. «Dobbiamo aiutare le persone a trovare un lavoro, ma abbiamo paura che l’anno prossimo il lavoro non ce l’avremo nemmeno noi», spiega Alessandra Neri, precaria del centro per l’impiego di Reggio Calabria.

È però solo grazie a queste persone, e all’applicazione della condizionalità, che le politiche attive possono trasformarsi in qualcosa di utile per ridurre il problema della disoccupazione. Lo dimostra il caso della Germania. Un successo che nasconde una trappola politica. Da quando hanno varato le riforme, i socialdemocratici tedeschi non hanno più governato. Che sia questo il vero freno a una svolta sulle politiche del lavoro in Italia?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitis

Messaggioda Berto » ven ago 25, 2017 6:51 pm

???

In alcuni settori questo schema e' veritiero. In altri, tipo i beni culturali e architettonici, ho i miei fortissimi dubbi

https://www.facebook.com/francesca.ughi ... 8071384734


Fabrizio Dei
Oltre al pubblico e al privato esiste finalmente, oggi, un terzo protagonista che si sta orientando attorno al concetto di "Economia civile" (Zamagni, Luigino Bruni, Mauro Magatti, ecc.). Il cosiddetto "territorio" esprime oggi molta più capacità di fare impresa e di capire le proprie risorse che in passato. La sfida è quella. L'alternativa pubblico/privato e la strategia delle liberalizzazioni, le "lenzuolate" di Bersani per intenderci, hanno fatto il loro tempo. Anche tutto il capitolo della gestione dei flussi di popolazione può trovare qui risposte nuove.

Francesca Ughi
Comunque sono una sorta di ibrido? Interessante
I flussi indotti di popolazione, ovvero questa imposizione ideologica, sono un altro piano di battaglia politica. Non ci interessa la greppia messa in essere finora, non tutti sono disposti a essere corrotti
aggiungo il nome di Johnny Dotti, sono tutti su internet.

Francesca Ughi
Autorganizzaziobe drl territorio senza la tirannide di popolazioni imposte

Fabrizio Dei
I flussi di popolazione esistono, anche noi italiani siamo stati, in passato, un "flusso" da regolare. Ho vissuto 25 anni in svizzera e ho visto la storia delle nostre comunità all'estero. (Anche se con la laurea in tasca, ne facevo parte anch'io). Certi movimenti esistono e vanno regolati. Ci sarebbero tante soluzioni, ad esempio ci sono esempi positivi di ricupero all'agricoltura e alla pastorizia nell'Appennino. Servono progetti che solo il territorio pèuò esprimere. Quando interviene la politica, succede come a Roma.

Gino Quarelo
Recupero ma non a spese pubbliche e con le tasse dei cittadini e discriminando i cittadini e i giovani nativi che sono costretti a emigrare per favorire assurdi flussi dall'Africa e dall'Asia. La pastorizia di un tempo non ha alcun senso poiché le pelli delle pecore e la loro lana sono state sostituite da altri materiali che non danno allergie e scaldano di più anche se bisogna stare attenti al loro recupero, riuso, smaltimento non essendo biodegradabili. Vero è che la lana potrebbe essere usata per isolare le case a tripla AAA ( ma va ben verificato il tutto?).

Fabrizio Dei
Gino Quarelo, c'è una letteratura vastissima ormai di riutilizzo dei prodotti naturali, lana compresa. Se il territorio progetta e ci sono le idee, poi arrivano anche i risultati. Non è facile, certo.

Gino Quarelo
Il territorio progetta e finanzia a sue spese e a spese dei cittadini che gestiscono il progetto. A loro deve andare il merito e il demerio, l'onore e l'utile. Non a spese del contribuente e dei cittadini tutti e non a vantaggio di non cittadini.

Fabrizio Dei
La questione dei finanziamenti UE, a cui si accede con i bandi gestiti dalle regioni, è parecchio complessa. Eviterei il riferimento al contribuente locale. Quello che il territorio deve metterci sono la capacità di sviluppare progetti e le persone interessate.

Gino Quarelo
I finanziamenti UE si basano sui contributi dei contribuenti europei e perciò locali, ogni riferimento va fatto assolutamente. L'UE non può assolutamente finanziare progetti antieconomici e parassitari che generano rendite pubbliche, privilegi e pesano...Altro...

Fabrizio Dei S
e in Val di Vara avessero ragionato come lei non sarebbero riusciti a combinare niente e a ridare vita a zone dell'Appennino in via di abbandono. Sindaci, cooperative di comunità, privati, imprese sociali e strutture comunitarie basate sulla solidarie...Altro...
Nessun testo alternativo automatico disponibile.


Gino Quarelo
Le economia assistite o sovvenzionate con la finanza pubblica sono tutte economia parassite, tutte a discapito delle sane economie non assistite. Le economie assistite mantenute in piedi non dal mercato e quindi dalla libera volontà delle persone e dei cittadini ma da scelte poliche pubbliche sono fonte di distorsioni economiche con derive antidemocratiche e pesano sulle spalle dei cittadini nondando nulla in cambio, diventano forze di oppressione di schiavitù.

Questo tipo di ripopolamento assistito e sovvenzionato non fa ritornare chi in precedenza è stato costretto ad andarsene e provoca attraverso la predazione fiscale povertà in altre aree del paese dove la gente è operaosa e vive di mercato. Sono violazioni dei diritti umani e forme di vita parassita e predatoria. Fanno male al paese, alla comunità, ai cittadini, alla libertà e sono tutti fenomeni sociuo-economici basati sulla coercizione e sulla violenza in primo luogo fiscale e poi politica.

Le risorse vanno impiegate prima a ridurre il debito pubblico, poi per ridurre le tasse, poi per sostenere ed aiutare i cittadini italiani ed europei bisognosi e soltanto dopo, se ne avanza si può pensare ad altri non cittadini italiani ed europei.

Francesca Ughi
Al di la' delle varie visioni su come gestire l'economie dei territori, non si deve dare per scontato che sia un obbligo morale insidacabile destinare cospicua parte delle risorse a non cittadini, non facenti nemmeno parte di chi beneficia dello status di rifugiato. Non possiamo prestarci a essere utilizzati come luogo di dumping sociale da parte di paesi che non si prendono la responsabilita' della loro gente. Occorre promuovere questo processo di responsabilizzazione. Occorre pensare a come riattrarre i 500 mila cittadin
che ogni anno lasciano l'Italia, non a importare mano d'opera poco promettante che al momento sta solo contrinuendo a ingrossare le fila dall'abusivismo in larga parte.

Riflessione sul "non tolgono lavoro ai locali":
https://m.facebook.com/story.php...
L'immagine può contenere: 1 persona, cappello e spazio all'aperto
Matteo Mattioli
13 agosto alle ore 18:39 ·

UNA DOMANDA AI NOSTRI DIPENDENTI PARLAMENTARI: CI STATE PRENDENDO PER IL CULO?

Un anno fa mi sono laureato in Viticoltura e enologia. Oggi sto facendo un tiroci...

Francesca Ughi
Va bene, sempre con la solita tiritera che mon tiene conto di circostanze storiche molto cambiate. Fra un po' non ci credete neanche piu' voi a questa arbitraria imposizione

Fabrizio Dei Francesca,
il mondo è quello che noi decidiamo di vedere. Io so, perché me ne occupo non a livello di semplice opinione, di esperienze di ricupero dei territori montani con la partecipazione di popolazioni "immigrate" (fra virgolette perché anche mio nonno veneto è stato 100 anni fa un immigrato - per la mentalità del tempo - in questo ridente borgo della Liguria dove vivo). Che tolgano il lavoro agli italiani è una favola, ma su questo non insisto perché abbiamo opinioni molto diverse.

Gino Quarelo
Togliere risorse economiche attraverso la tassazione per destinarle ad altri senza diritto = togliere vita e lavoro ai concittadini che ne avrebbero bisogno e diritto. I veneti non migravano come questi invasori clandestini, si muovevano solo con contratti di lavoro, permessi, visti e autorizzazioni. Queste forme di assistenzialismo economico sono pura predazione, furto e violenza creano parassitismo economico e politico, sono una violazione dei diritti umani, una vergogna una ingiustizia, un crimine.


Gino Quarelo
Emigrazione
viewtopic.php?f=187&t=519

Il falso lavoro è un furto legalizzato di stato, nuovo parassitismo, nuova opressione.
viewtopic.php?f=94&t=2525

Francesca Ughi
Io non vedo l'opportunita' di immettere forza lavoro in larga parte recalcitrante e superflua in una situazione di disagio economico generalizzato

Fabrizio Dei
allora rinuncia al sugo di pomodoro

Francesca Ughi
Infatti ho l'orto. Comunque se i lavoratori agricoki fossero meno schiavizzati sarebbe meglio... o fanno gola potenziali schiavi?

Fabrizio Dei
Gli schiavi fanno comodo, certo. Per questo è una storia torbida. La condizione di emarginazione espone gli immigrati alle condizioni di lavoro peggiori, con le conseguenze che vediamo. Pochi li difendono. la sostanza è che l'Italia non ha una politica per l'immigrazione. Detto in francese, è un bel casino.
Però ogni tanto nascono progetti seri. Ti consiglio di dare un'occhiata all'articolo che ho postato per Gino Quarelo. Il Parco Vara- montemarcello comprende anche Lerici.


Gino Quarelo
Non esiste alcun diritto di entrare liberamente a casa o nei paesi degli altri senza chiedere il permesso, senza rispettarne le regole e senza attendere appunto attendere il permesso. Sopratutto non esiste alcun diritto ad essere accolti, ospitati e mantenuti.

Non esiste alcun "flusso di popolazione" che abbia il diritto di fluttuare dove gli pare.

Creare attività assistite che fanno concorrenza sleale a quelle legittime che vivono di mercato è otretutto un delitto che non può essere finanziato con le risorse pubbliche.

I progetti, quelli buoni, prima dovrebbero andare a tutelare il territorio dal degrado a beneficio delle comunità locali, a fermare i giovani nativi costretti a emigrare richiamando quelli già emigrati e poi a ridurre le tasse alle famiglie e alle imprese, stroncando i parassiti, i furbi, i ladri. Poi a incentivare la formazione di famiglie da parte dei giovani.



Alberto Pento
Una delle più subdole forme di falso lavoro parassitario sfruttando risorse pubbliche dei cittadini è quella della "formazione per il lavoro" quando non c'è il lavoro, crea finto lavoro assistito e predatorio, assistenzialismo clientelare, privilegi e negazione di diritti. In più si aggiunga la corruzione, gli abusi e lo spreco di risorse pubbliche.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » ven ago 25, 2017 7:09 pm

Una delle più subdole forme di falso lavoro parassitario sfruttando risorse pubbliche dei cittadini è quella della "formazione per il lavoro" quando non c'è il lavoro, crea finto lavoro assistito e predatorio, assistenzialismo clientelare, privilegi e negazione di diritti. In più si aggiunga la corruzione, gli abusi e lo spreco di risorse pubbliche.


L'affare della formazione: un miliardo l'anno per i disoccupati, ma senza controlli

Per studenti, "Neet" e dipendenti ogni anno nascono 40 mila corsi con il principale obiettivo di riempire le aule e accedere ai fondi pubblici, ma nessuno ne verifica l'efficacia
di MARCO RUFFOLO
13 marzo 2017
http://www.repubblica.it/economia/2017/ ... -160425728

L'affare della formazione: un miliardo l'anno per i disoccupati, ma senza controlli
Di cosa vorremmo accertarci prima di iscriverci a un corso di formazione finanziato da soldi pubblici ed europei con l'obiettivo di trovare lavoro? Che l'ente formatore sia serio, ovviamente. Che sia accreditato dalla nostra Regione. Ma c'è una cosa ancora più importante: se in passato corsi simili si siano tradotti in nuovi posti di lavoro, e in che misura. Conoscenza fondamentale per non perdere tempo e risorse, per evitare di arricchire gratuitamente i nostri formatori con soldi pubblici. Conoscenza fondamentale ma inaccessibile perché le Regioni, con qualche scarsissima eccezione, non fanno valutazioni per vedere se i disoccupati iscritti, pagati con fondi dell'Europa e dello Stato italiano, trovino poi lavoro grazie a quei corsi.

Ma c'è di più: quelle valutazioni le Regioni non sono tenute a farle. La conferma arriva dall'accordo con il quale l'Italia fissa gli obiettivi per accedere alle risorse del Fondo sociale europeo per il periodo 2014-2020. Quell'accordo avrebbe dovuto rimediare ai disastri della precedente programmazione, denunciati da un meticoloso lavoro di due economisti della voce.info, Roberto Perotti e Filippo Teoldi: 7 miliardi e mezzo polverizzati in 500 mila progetti di formazione privi di qualsiasi seria valutazione. Ma così non è. Nel nuovo documento, tra gli "indicatori di risultato" che dovrebbero dirci se un corso di formazione è utile o no, troviamo ad esempio: "Popolazione 25-64 anni che frequenta un corso di studio o di formazione professionale", oppure "quota di giovani qualificati presso i percorsi di istruzione tecnica professionale sul totale degli iscritti". O ancora: "Rapporto tra allievi e nuove tecnologie come Pc e tablet". In altre parole, un corso sarà tanto più apprezzabile e quindi finanziabile quanto più alto sarà il numero dei suoi iscritti, o quanti più tablet saranno messi a disposizione dei suoi studenti.


LE STORIE:
• Il disoccupato over50: "Bravi e gentili, ma senza prospettive di assunzione i corsi sono inutili"
• L'esperta in marketing: "Sei anni senza lavoro, al centro per l'impiego mi dicono che sono troppo qualificata"
• La giovane in fuga dalla Sicilia: "Con Garanzia Giovani, lavori subordinati camuffati da tirocini"



1,9mila
L'affare della formazione: un miliardo l'anno per i disoccupati, ma senza controlli
Di cosa vorremmo accertarci prima di iscriverci a un corso di formazione finanziato da soldi pubblici ed europei con l'obiettivo di trovare lavoro? Che l'ente formatore sia serio, ovviamente. Che sia accreditato dalla nostra Regione. Ma c'è una cosa ancora più importante: se in passato corsi simili si siano tradotti in nuovi posti di lavoro, e in che misura. Conoscenza fondamentale per non perdere tempo e risorse, per evitare di arricchire gratuitamente i nostri formatori con soldi pubblici. Conoscenza fondamentale ma inaccessibile perché le Regioni, con qualche scarsissima eccezione, non fanno valutazioni per vedere se i disoccupati iscritti, pagati con fondi dell'Europa e dello Stato italiano, trovino poi lavoro grazie a quei corsi.

Ma c'è di più: quelle valutazioni le Regioni non sono tenute a farle. La conferma arriva dall'accordo con il quale l'Italia fissa gli obiettivi per accedere alle risorse del Fondo sociale europeo per il periodo 2014-2020. Quell'accordo avrebbe dovuto rimediare ai disastri della precedente programmazione, denunciati da un meticoloso lavoro di due economisti della voce.info, Roberto Perotti e Filippo Teoldi: 7 miliardi e mezzo polverizzati in 500 mila progetti di formazione privi di qualsiasi seria valutazione. Ma così non è. Nel nuovo documento, tra gli "indicatori di risultato" che dovrebbero dirci se un corso di formazione è utile o no, troviamo ad esempio: "Popolazione 25-64 anni che frequenta un corso di studio o di formazione professionale", oppure "quota di giovani qualificati presso i percorsi di istruzione tecnica professionale sul totale degli iscritti". O ancora: "Rapporto tra allievi e nuove tecnologie come Pc e tablet". In altre parole, un corso sarà tanto più apprezzabile e quindi finanziabile quanto più alto sarà il numero dei suoi iscritti, o quanti più tablet saranno messi a disposizione dei suoi studenti.

LE STORIE:

Il disoccupato over50: "Bravi e gentili, ma senza prospettive di assunzione i corsi sono inutili"
L'esperta in marketing: "Sei anni senza lavoro, al centro per l'impiego mi dicono che sono troppo qualificata"
La giovane in fuga dalla Sicilia: "Con Garanzia Giovani, lavori subordinati camuffati da tirocini"


RIEMPIRE LE AULE
Dunque, basta riempire le aule e il gioco è fatto. Gli enti di formazione accreditati (in maggioranza privati) conoscono bene questo gioco: raccolgono un certo numero di disoccupati, contattano i docenti e infine propongono un progetto formativo alla Regione, che fa il bando e decide. A quel punto scatta il finanziamento pubblico. E ciò senza che siano rispettate due fondamentali condizioni: quella di aver dato prova in passato di aumentare i posti di lavoro con corsi simili, o quanto meno quella di conoscere ciò che serve alle imprese di quel territorio.

POCHE VERIFICHE
Certo, stabilire l'efficacia del corso non è impresa facile e tuttavia ci sono valutazioni sicuramente più accurate che vengono puntualmente ignorate dalle Regioni, come quella che mette a confronto due gruppi di disoccupati simili, uno sottoposto a formazione e l'altro no, e va a vedere dopo uno o due anni quanti di loro hanno trovato lavoro. Qualcosa del genere lo ha fatto tempo fa, in assoluta solitudine, la provincia autonoma di Trento grazie a un istituto di valutazione, l'Irvapp, per verificare l'efficacia di 64 corsi di formazione di lunga durata. Ma tutto è affidato al caso, e dopo la bocciatura del referendum costituzionale, che avrebbe trasferito allo Stato la competenza esclusiva nel definire le "disposizioni generali e comuni" della formazione, le Regioni restano padrone assolute, con venti legislazioni diverse. "Il vero problema - spiega Maurizio Del Conte - responsabile dell'Anpal, la nuova Agenzia nazionale per il lavoro - è che nella maggior parte delle nostre Regioni il finanziamento dei corsi è del tutto slegato dai risultati di inserimento lavorativo". "Non solo - aggiunge Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato - la formazione è slegata anche e soprattutto dai bisogni delle imprese che potrebbero assumere e da quelli degli stessi potenziali lavoratori. L'unica strada per farla funzionare è il sistema duale applicato dalla provincia di Bolzano: il che significa ancorare i corsi ai contratti di apprendistato, progettarli insieme alle imprese interessate. Casi positivi li troviamo anche in Lombardia, Veneto, Friuli e a Trento. Lì dove invece non si dà ascolto alla domanda, ecco che la formazione diventa, come è diventata quasi dappertutto in Italia, un grande business autoreferenziale".

IL BUSINESS DELLA FORMAZIONE
Ogni anno, per la triplice formazione a studenti, disoccupati e lavoratori, partono quarantamila corsi finanziati con fondi pubblici, oltre 9 milioni di ore, 670 mila allievi, centinaia di enti formativi. E un miliardo circa di risorse pubbliche o istituzionali, tra Fondo sociale europeo cofinanziato dallo Stato italiano e Fondi interprofessionali gestiti da imprese e sindacati. Al quale si aggiunge il contributo individuale degli utenti. Non si creda che siano tutti corsi inutili o quasi. Molte sono le iniziative lodevoli di enti formativi seri. Il problema è che, sganciati dai fabbisogni delle imprese, la loro efficacia è affidata al caso. E così fioriscono pacchetti preconfezionati di inglese e informatica, questi ultimi proposti, dice l'Isfol, dal 37,4% delle strutture. E su Internet si vendono addirittura kit per aprire corsi standard di formazione con l'indicazione degli uffici pubblici a cui rivolgersi per avere le sovvenzioni. "Già - commentano all'Atdal, l'associazione dei disoccupati over 40 - non ha alcun senso proporre a un operaio cinquantenne disoccupato un corso di alfabetizzazione informatica quando è chiaro che un qualsiasi diciottenne sarà in grado di fornire capacità operative incomparabilmente superiori. Eppure conosciamo situazioni in cui questi tipi di corsi sono stati organizzati proprio per operai".

Ma non ci sono solo i corsi standard, tutti più o meno generici. L'universo della formazione si popola anche di lezioni tra le più bizzarre, finanziate sempre con i fondi pubblici: dagli animatori teatrali agli assistenti di studi legali agli operatori sociali telefonici. "E poi ci sono i giochetti più o meno sporchi come il gaming - spiega Francesco Giubileo, esperto in sociologia del lavoro per la voce.info -: un ente formativo, sapendo che un'impresa ha già deciso di assumere, organizza artificiosamente un corso, dimostrando poi che quel corso è servito a creare posti di lavoro". Di qui alle truffe vere e proprie il passo è breve. Le più clamorose quelle organizzate in Sicilia: almeno 200 milioni di fatture fittizie e servizi mai forniti, sui 4 miliardi di corsi di formazione messi in campo dalla Regione negli ultimi dieci anni. Dai disoccupati agli occupati: anche qui la formazione mostra limiti evidenti, come rileva lo stesso Isfol. Si tratta di corsi brevi che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti con i soldi dei Fondi interprofessionali. Nelle condizioni di scarsa produttività in cui versa gran parte del nostro tessuto produttivo, ci si aspetterebbe un orientamento formativo finalizzato all'innovazione e alla riqualificazione del personale meno istruito. Invece più della metà dei progetti è dedicata alla sicurezza del lavoro e al mantenimento delle competenze presenti, mentre a partecipare ai corsi sono soprattutto quadri e dirigenti.

L'ABUSO DEI TIROCINI
Ma il tema della formazione non finisce qui: oltre ai lavoratori che perdono il posto e agli occupati che tentano di riqualificarsi per conservarlo, ci sono gli oltre 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano. I pur apprezzabili contribuiti degli istituti formativi successivi alla scuola (ristorazione in testa) non bastano a scalfire il fenomeno. Gran parte delle speranze di far perdere al nostro Paese il primato dei Neet è riposta nel progetto europeo "Garanzia Giovani". In Italia, dopo una partenza fiacca, il progetto ha avuto una buona accelerazione: più di un milione di iscritti, oltre 800 mila presi in carico. Quanti hanno trovato lavoro? Non lo sappiamo in assoluto ma solo limitatamente ai 266 mila giovani che hanno completato il tirocinio: circa la metà ha firmato un contratto, e solo 30 mila ragazzi sono stati assunti a tempo indeterminato, l'11% dei tirocinanti.

Se poi andiamo a vedere in che consistono questi tirocini, ci accorgiamo che sono per lo più slegati dalla formazione, tanto che si sta diffondendo un nuovo clamoroso abuso, dopo quello dei voucher: si spacciano per tirocini (500 euro al mese di compenso quasi sempre pagati in ritardo) rapporti di lavoro veri e propri, gratuiti e senza contributi.
Scaduti i sei mesi, niente assunzioni: si cambia solo tirocinante. E via per un altro semestre. Insomma, una prassi al limite della truffa. Contro la quale la maggior parte delle Regioni, che continuano e continueranno a gestire l'intero percorso formativo, si guarda bene dall'intervenire.


Fondi europei per la formazione: come sono utilizzati?
Il magistrato Luigi De Magistris è stato invitato dal Parlamento Europeo nei giorni scorsi a Strasburgo per parlare sulla questione della gestione dei fondi europei in Italia.
Gli organi di informazione italiani non ne hanno dato conto. Noi ne abbiamo tratto la notizia dal blog di Beppe Grillo

https://www.puntosicuro.it/sicurezza-su ... ti-AR-7494

Ci pare corretto farlo anche noi dato che il finanziamento a grandi progetti di formazione sulla sicurezza attraverso i fondi europei non è certo cosa nuova e, dati i risultati prodotti (con tutti i soldi che sono stati spesi in formazione gli infortuni sul lavoro avrebbero dovuto calare drasticamente, invece quelli mortali stanno addirittura crescendo!) il problema riguarda da vicino anche il nostro settore.

Al termine dell’intervento riportiamo invece una iniziativa che si pone invece in antitesi a quanto racconta il magistrato De Magistris in cui la Provincia di Arezzo agevolerà la partecipazione al master universitario in "Tutela della salute, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro" mettendo a disposizione specifici contributi, pari all'80 per cento della tassa di iscrizione con risorse del Fondo sociale europeo.

"Vi ringrazio. Questo mi ricorda il giorno dell’audizione al CSM quando arrivai in ritardo, digiuno, e mi sottoposi a quattro ore di audizione. Adesso ho preso un tè, sperando che stavolta l'incontro duri di meno.

Ho accettato con piacere questo invito per fare una riflessione sulla mia esperienza di magistrato che si occupa delle truffe e dei reati di corruzione ed altro che ruotano intorno alla gestione della spesa pubblica, quindi dei finanziamenti pubblici.

Ovviamente, pur non potendo parlare delle indagini che ho svolto nel corso degli anni, soprattutto quelle che mi sono state illegalmente sottratte, non posso non rilevare un dato inquietante: nonostante lo strumento che ha come obiettivo quello di consentire lo sviluppo economico di regioni che ne hanno bisogno – io lavoro in Calabria, una regione ad “obiettivo 1” dove arrivano moltissimi finanziamenti europei e per la quale nel periodo 2007-2013 sono stati stanziati fondi per 9 miliardi di euro – lo sviluppo economico non c’è stato.

In taluni casi, com’è stato riscontrato da indagini molto accurate della Corte dei Conti sia dalla procura regionale che dalle sezioni giurisdizionali che esercitano anche funzione di controllo, e ancora da parte della magistratura ordinaria, si è potuto verificare danno erariale per somme non spese per ragioni di negligenza grave quindi di colpa; in tanti altri casi, anche altre procure della Repubblica calabresi hanno potuto riscontrare che si realizzavano vere e proprie truffe ai danni dell’Unione Europea. Tante altre volte ci sono state ipotesi di corruzione.

Ciò fa apparire sistemica la gestione dei finanziamenti pubblici: non si tratta di episodi, e questo è il dato a mio avviso più importante, occasionali o saltuari, truffe di singole persone, ma c’è sempre qualcosa che governa a monte la gestione complessiva della spesa pubblica.

Questo lo si ricava innanzitutto se si guardano i filoni per i quali vengono realizzati i progetti di spesa dei fondi dell’Unione Europea: non abbiamo settori particolari ma si tratta di tutti i rami per cui si dovrebbe realizzare lo sviluppo, come l’ambiente, l’informatica, la sanità, le opere pubbliche.

Come si realizza la possibilità di captare queste somme di denaro? Attraverso la costituzione di un reticolo di società organizzate secondo vere e proprie scatole cinesi, il più delle volte miste pubblico-privato.

Questo delle società miste pubblico-privato è un passaggio importante. E’ una riflessione da fare a livello istituzionale. Io la feci anche innanzi alla commissione bicamerale del Parlamento italiano sul ciclo dei rifiuti quando si affrontò proprio la problematica delle società che si occupano della gestione dei rifiuti e alla depurazione delle acque.

È qui che si comprende come, a monte, il sistema di gestione della spesa pubblica viene spesso governato da gruppi di persone che hanno organizzato veri e propri sodalizi criminali, composti da professionisti, imprenditori, uomini del mondo dell’economia e della politica, per realizzare più a valle un vero e proprio controllo di altri settori importanti della vita pubblica.

Quando abbiamo esaminato, nel corso di una serie di investigazioni, come venivano realizzate le compagini sociali, come venivano inseriti i soci nelle società, come si componevano i consigli di amministrazione, come si componevano i collegi dei sindaci e dei revisori dei conti, abbiamo capito che i gruppi di professionisti erano sempre gli stessi, spesso si trovavano persone legate anche in modo stretto con magistrati, con uomini appartenenti alle forze dell’ordine, con uomini delle istituzioni.

E’ chiaro che l’aspetto più inquietante è che si viene a creare anche una commistione deleteria tra controllore e controllato.

Il problema centrale è come si possa porre rimedio a tutto questo: noi abbiamo verificato in diversi casi che le persone che avrebbero dovuto controllare, perché si trovavano in ruoli vitali della regione o di altre istituzioni, a loro volta partecipavano direttamente o indirettamente nelle società che dovevano essere controllate.

E’ chiaro che per poter garantire una corretta erogazione delle somme stanziate e far sì che queste realizzino dei progetti che portino allo sviluppo economico, dovrebbe funzionare il sistema dei controlli. Non solo quelli comunitari, attraverso le strutture preposte – io ho collaborato molto e in modo proficuo, fin quando non mi hanno sottratto le indagini, con l’OLAF cioè l’ufficio antifrode – ma anche i controlli delle regioni. Ciò è spesso impossibile o molto difficile perché in tutti i procedimenti penali che abbiamo trattato le persone responsabili di alcuni reati in questa materia erano proprio persone preposte agli organi di controllo delle regioni.

Il problema diventa rilevante soprattutto se si considera che lo sviluppo economico non c’è e addirittura c’è una ricaduta di costi sulla comunità, visto che l’Italia viene condannata in sede europea a risarcire i danni.

Ciò che è ancora più inquietante è il passaggio successivo: ho spiegato cosa avviene a monte e a valle, come sono inserite le persone nelle società. Ancora più a valle, come avviene l’assunzione delle persone all’interno delle società che si aggiudicano progetti finanziati, corsi di formazione ecc… è qui che c’è un altro passaggio delicatissimo: spesso vi è un vero e proprio sistema di indicazione delle persone da assumere. Coloro che a monte governano e stabiliscono le condizioni per ottenere il finanziamento sono le stesse che indicano alle società di assumere questa o quella persona, con un’ulteriore ricaduta, e qui mi fermo, sul voto: al momento del voto accade, e in alcuni procedimenti abbiamo contestato anche il reato di voto di scambio, che viene chiesto il voto perché si è stati determinanti non solo nel far ottenere il finanziamento ma anche nell’imporre le persone da assumere.

Un’ultima considerazione sulle società miste pubblico-privato. In taluni casi abbiamo rilevato che nella parte pubblica si verifica una vera e propria lottizzazione degli incarichi, con persone che fanno parte di tutti gli schieramenti politici: in alcune società abbiamo verificato che si trovavano persone appartenenti a tutte le forze ad eccezione, forse, dell’estrema destra e dell’estrema sinistra.

Ciò che preoccupa di più non è questo, perché potrei ricevere l’obiezione, da parte di illustri persone che vedo presenti, che è un modo per rappresentare tutte le culture. E’ un vecchio discorso già fatto. Molto opinabile, ma si può fare. Ciò che preoccupa è la parte privata, perché in alcuni casi abbiamo notato che si trovano imprenditori direttamente collegati a chi si trova nella parte pubblica, settori rilevanti di organizzazioni vicine al mondo della Chiesa, personaggi politici di sinistra e di destra e si chiude il cerchio con società riconducibili alla criminalità organizzata.

Se questo è il quadro, si può comprendere che all’interno di alcune società che percepiscono ingenti finanziamenti europei, troviamo gran parte del mondo politico, una parte rilevante di professionisti che in un territorio come la Calabria non sono tantissimi, la criminalità organizzata, il controllo del mercato del lavoro e il controllo del voto.

Se questo è il quadro si devono fare delle riflessioni al di là delle indagini e pensare all’aiuto che può venire da parte delle strutture comunitarie.

Sicuramente, per la mia esperienza, posso dire che l’ufficio antifrode, quando c’è stata la necessità, ha sempre collaborato in modo significativo con l’autorità giudiziaria italiana sia nell’aspetto della cooperazione, sia attraverso Eurojust per il buon fine di determinate rogatorie."

Luigi De Magistris



Viaggi ed escort con i soldi per i disoccupati: indagati politici e manager
Il procuratore Messineo: «I fondi europei, che si dovevano impiegare per migliorare le nostre condizioni, sperperati in modo indecoroso per arricchire privati»
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 0452.shtml


Formazione professionale, in Sicilia truffa all'Ue da 15 milioni: quattro condannati, tra cui un parlamentare regionale
di Giuseppe Pipitone | 17 ottobre 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10 ... le/3104580


Corsi di formazione, 14 indagati per truffa da un milione di euro
17 giugno 2015
http://www.sardiniapost.it/cronaca/cors ... -regionali


Il dossier. Lo scandalo dei fondi europei: «Un fallimento»
Eugenio Fatigante venerdì 6 giugno 2014
https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... fallimento
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitismo

Messaggioda Berto » sab ago 26, 2017 7:45 am

???

Inventarsi un lavoro "green"? In Val di Vara si inizia a pensarci dalla scuola media

http://www.cittadellaspezia.com/Cinque- ... 52002.aspx

Cinque Terre - Val di Vara - Gli studenti delle classi terze delle scuole secondarie di primo grado (scuole medie) di alcuni comuni della Val di Vara hanno incontrato presso la sala consiliare del comune di Sesta Godano, studenti e docenti di diversi istituti superiori per approfondire proposte ed esperienze formative offerte, in riferimento alle opportunità occupazionali del territorio.
Questo incontro costituisce la fase conclusiva del progetto Green jobs proposto alle classi III delle scuole secondarie di I grado, dal Centro di educazione ambientale (CEA) della Val di Vara, finalizzato a favorire la conoscenza delle professioni legate al presidio del territorio e offrire maggiori strumenti per una scelta più consapevole degli indirizzi di scuola da intraprendere.

L'iniziativa, che rientra nell'ambito di un progetto regionale finanziato dalla Regione Liguria, è stata condivisa e patrocinata dalle Amministrazioni dei comuni di Varese Ligure, Sesta Godano, Rocchetta Vara e Riccò del Golfo. Suddetti Comuni, in corso d'opera ha aderito anche il Comune di Brugnato, hanno favorito la realizzazione delle diverse iniziative garantendo anche i trasporti delle classi presso le aziende del territorio dove sono stati effettuati in precedenza stage formativi.

"Questo progetto, – asserisce l’assessore all’ambiente, Carmen Saccomani, del comune di Sesta Godano, presente all'evento – nel promuovere la conoscenza delle professioni legate al presidio del territorio quali le produzioni sostenibili, il turismo verde, e nel raccordarla con gli indirizzi di studio propri, coglie un'esigenza reale del territorio e cioè che le nuove generazioni si formino in maniera adeguata e coerente per dare continuità, innovazione e nuovi impulsi all'economia del territorio”.

La grande disponibilità delle aziende che il CEA aveva precedentemente contattato, ha consentito di offrire alle scuole una interessante varietà di esperienze imprenditoriali, oggi vitali nel tessuto produttivo e sociale della Val di Vara. La scelta delle classi III delle scuole medie di Varese Ligure, Sesta Godano, Brugnato e Riccò del Golfo si è orientata verso le seguenti aziende: il caseificio della Cooperativa Casearia Val di Vara a Varese Ligure, l'Agriturismo “La Debbia” a Rocchetta Vara, l'Azienda “Badini” a Varese Ligure.

Gli stage presso le aziende hanno, dunque, consentito di approfondire una pluralità di aspetti che vanno dal contesto ambientale, sociale e storico in cui le aziende sono nate, alle ragioni personali, scelte di vita, ed economiche di chi ha intrapreso l'attività, dagli elementi costitutivi (spazi, impianti, personale, capitale finanziario, ecc.) alle attività svolte dalle aziende.

All'evento del 12 febbraio, successivo alla fase degli stage realizzati presso le aziende, tenutosi nella Sala Consiliare del Comune di Sesta Godano, hanno partecipato i seguenti Istituti d'istruzione secondaria di II grado con un loro docente e una rappresentanza degli studenti: l'Istituto Agrario “Arzelà” di Sarzana con l'insegnante Paolo Peparini, l' Istituto Agrario “Marsano” di San Colombano Certenoli con l'insegnante Aldo Grande e l'Istituto Superiore “Fossati – Da Passano” di Varese Ligure con l'insegnante Sara Giannetti.

La classe IV dell'Istituto Fossati – Da Passano, che aveva fatto, in precedenza, visita a due delle tre aziende su indicate, ha di fatto, restituito, in sede di plenaria, una lettura complessiva di tali realtà aziendali facendo emergere gli aspetti formativi necessari per intraprendere attività analoghe o collaborare con quelle esistenti.
Egualmente interessante l'approccio dei due insegnanti degli Istituti di Agraria animati da una evidente passione per le discipline agrarie, ma orientato a rendere i ragazzi di III media realmente autonomi nella scelta degli studi da intraprendere, sottolineando la necessità di una opportuna informazione ma anche la capacità di leggersi e di ascoltare la propria vocazione.

Gli interventi più efficaci e che maggiormente hanno dato valore alle proposte formative dei tre istituti superiori in occasione dell'incontro a Sesta Godano, sono stati, tuttavia, gli interventi degli studenti che si sono succeduti nel corso della riunione e che hanno posto l'accento sulla dimensione esperienziale della vita scolastica, quale elemento irrinunciabile e di pregio, che fonda, tuttavia, sulla necessità di studiare e approfondire gli aspetti teorici della conoscenza.


La Cooperativa di Comunità Vara presenta il proprio progetto: creare opportunità di lavoro recuperando il territorio
Giovedì 18 febbraio alle ore 18 la Cooperativa di Comunità Vara presenta il proprio progetto a Calice al Cornoviglio nella sala del consiglio presso il Castello Doria Malaspina.
Mercoledì, 17 Febbraio 2016

https://www.gazzettadellaspezia.it/inde ... temid=9899

La Cooperativa di Comunità Vara presenta il proprio progetto: creare opportunità di lavoro recuperando il territorio

Sarà presente il Sindaco Scampelli con il quale il comitato propotore sta collaborando attivamente. Sono invitati a partecipare tutti i cittadini, le imprese agricole e quelle turistiche. In particolare la proposta sarà rivolta ha chi intende recuperare all'agricoltura terreni abbandonati o utilizzare proprie case per avviare un'attività turistica.


"E' il momento opportuno - ribadisce il comitato promotore - anche in riferimento ai bandi europei che stanno per partire e che finanziano in modo particolare le imprese giovanili e le nuove attività. Obiettivo di fondo è quello di creare opporutnità di lavoro recuperando il nostro territorio".


‘Scopri la Val di Vara’, un progetto per la rinascita del territorio
Presentato alla Fondazione Carispezia. Capofila il consorzio ‘Il Cigno’ di Zaccone
Pubblicato il 25 luglio 2016
La Spezia, 26 luglio 2016 – Quattro ragazze della Val di Vara, in accordo con il consorzio Il Cigno, hanno realizzato un progetto che cercherà di valorizzare quel particolare (e per tanti sconosciuto) bellissimo territorio.
Marco Magi

http://www.lanazione.it/la-spezia/econo ... -1.2376473

La presentazione di ‘Scopri la Val di Vara’, stamattina nella sala conferenze della Fondazione Carispezia (che ha contribuito nell’ambito del bando ‘Cultura in rete’), con il suo vicepresidente Alberto Balbarini a fare gli onori di casa. Al tavolo quindi Silvano Zaccone, presidente de Il Cigno, Mara Bertolotto sindaco di Pignone, Elisa Lavagnino consigliere di Maissana e Claudia Parola responsabile del gruppo ‘PortAli’. Le ultime due nominate, insieme a Carola Barilari e Alessia Marucci, sono le protagoniste che stanno lavorando all’iniziativa.

Il progetto dovrà portare, entro un anno, alla messa in rete di alcuni prodotti indispensabili per consentire un reale salto di qualità, salvaguardando il patrimonio culturale della Val di Vara, nei suoi diversi e molteplici aspetti. Verrà dunque realizzata una serie di eventi integrati e attività rivolte ad un pubblico più ampio, mentre sarà dedicata una speciale attenzione alla scuola e alla terza età.

Grazie al contributo di alcuni esperti dei vari settori sono stati individuati quattro ambiti di intervento: siti archeologici e piccoli centri museali, Sic (siti di interesse comunitario), percorsi trekking ed itinerari culturali, tradizioni e riti. I quattro ambiti risultano sostanzialmente legati fra loro con l’intento di assicurare la fruizione di siti sia archeologici, che di interessi naturalistici attraverso percorsi trekking ed itinerari culturali indagando al tempo stesso le tradizioni della intera valle.

Il risultato atteso è la creazione di una guida bilingue, una mappa della valle con l’indicazione delle località e delle particolarità di maggiore interesse , di un portale per le prenotazioni di visita e la Card di valle.

Con capofila Il Cigno e partner il Comune di Pignone, già diversi altri enti locali hanno aderito (Parco di Monte Marcello Magra-Vara, poi Comuni di Rocchetta Vara, La Spezia (sistemi museali) Riccò del Golfo, Carro, Sesta Godano, Maissana, Zignago, Brugnato, Calice al Cornoviglio), poi Università di Pisa e istituto comprensivo Val di Vara, e ancora consorzio L’Altra Liguria, società Liguria News, circolo Acli Cassana, gruppo di lavoro PortAli e le associazioni Anla e Auser.


???
Vara, la valle più biologica che c'è
Sette comuni nell'entroterra della Spezia, tra Sestri Levante e le Cinque Terre. Un'area dove il 55 per cento del territorio è certificato "bio". Tutto da scoprire
di MARTA GHELMA
13 aprile 2016

http://www.repubblica.it/viaggi/2016/04 ... -137549069

A metà degli anni Novanta nel pieno dell’emorragia demografica che spopola l’Appennino, l’allora sindaco di Varese Ligure, Maurizio Caranza, ha l’intuizione di puntare tutto sul “verde”. Dal 1999, anno in cui il comune dell’entroterra spezzino ottiene per primo in Europa la certificazione di qualità ambientale, l’intera Alta Val di Vara diventa un esempio virtuoso di conversione al biologico. Con l’istituzione nel 2013 del Biodistretto della Val di Vara, quest’area di circa 345 chilometri quadrati che comprende i sette comuni di Varese Ligure, Maissana, Carro, Carrodano, Zignago, Sesta Godano e Rocchetta Vara, si consolida sempre di più come un brand green di successo. Anche sul fronte turistico.

Nella vallata più estesa della Liguria, al confine tra la provincia della Spezia, la Toscana e l’Emilia Romagna, oltre il 55 per cento del territorio (cioè più di un ettaro su due) è certificato biologico e, dal 1997 ad oggi, il numero delle realtà bio è passato da 3 a 97. «Il caso dell’Alta Val di Vara rappresenta un’eccellenza nel panorama italiano», commenta Alessandro Triantafyllis, direttore Aiab Liguria (Associazione italiana per l’Agricoltura biologica), «a confronto con la media del nostro Paese che è ferma all’11 per cento della superficie agricola convertita». Un’ulteriore conferma sulla coraggiosa “svolta” arriva dalle due cooperative valligiane in costante crescita e con punti vendita a Varese Ligure, la San Pietro Vara (tel. 0187-842501), specializzata nella produzione di carne, e la Casearia Val Di Vara (località Perazza, tel. 0187-842108), un vero paradiso per i patiti di latte, burro, yogurt e formaggi.

«Se si considera che, a partire dal Duemila, la Liguria ha perso circa la metà delle sue aziende zootecniche mentre, in Val di Vara, il calo si è assestato sul 12 per cento », riflette il presidente della Cooperativa San Pietro Vara Fulvio Gotelli, «risulta evidente il guadagno nell’avere investito sulla produzione di carne certificata biologica ». Dai pascoli a quota mille metri, dove i novanta soci della cooperativa allevano allo stato brado i bovini di razza Limousine, fino al caseificio di Varese Ligure che raccoglie e trasforma il latte dei venti produttori associati alla Casearia, qui in valle il mercato del bio non conosce crisi. E negli ultimi anni, grazie all’insediamento di giovani agricoltori, sono stati aperti tredici agriturismi e cinque fattorie didattiche. C’è un progetto di agricoltura sociale e diversi punti di vendita diretta dei prodotti bio. Oltre a sviluppare l’allevamento ovi-caprino e castanicolo, il Biodistretto è impegnato anche in un’opera di restyling turistico.


Vara, la valle più biologica che c'è

Il fiore all’occhiello dell’Alta Val di Vara è senz’altro Varese Ligure, il “borgo rotondo” progettato dai conti Fieschi nel 1161, da non perdere per il suo imponente castello, la chiesa di San Filippo Neri e Santa Teresa d’Avila e i trionfi barocchi dell’Oratorio dei SS. Antonio e Rocco. Nel pittoresco quartiere del Grecino, riconoscibile dal ponte in pietra del 1515, merita una visita la storica bottega di Pietro Picetti. Con un’affezionata clientela che arriva fin dal Giappone, l’artigiano settantottenne crea stampi di legno per i croxetti, i tipici dischi di pasta fresca (da condire con salsa di noci o pinoli) tradizionalmente incisi con gli stemmi delle casate gentilizie. Proseguendo nell’itinerario, s’incontrano i paesi di Rocchetta di Vara, un antico insediamento preromano, Zignago, sede del museo storico-archeologico “Tiziano Mannoni”, Maissana, celebre per la sua cava di diaspro rosso risalente all’Età del Rame, Carrodano, importante via di pellegrinaggio e commercio durante il Medioevo, Sesta Godano, esempio d’architettura valligiana e, infine, la bucolica Carro. Con l’arrivo della primavera, grazie soprattutto alle buone pratiche energetiche, all’attento riciclo dei rifiuti, all’assenza di industrie e ai tanti boschi, il Biodistretto si trasforma in una palestra a cielo aperto. Dalle gite a piedi o in mountain bike lungo l’Alta Via dei Monti Liguri, l’itinerario che attraversa la Liguria da Ponente a Levante, fino agli sport fluviali sul fiume Vara, infatti, le occasioni per mantenersi in forma non mancano. Per finire, poi, con la spesa bio. Nella busta (ecologica) non possono mancare i mieli della Cascina Le Bosche (Case Sparse Caminà di Mangia 13, Sesta Godano, tel. 0187-891660), le erbe aromatiche dell’azienda Le Piccole Erbe (Casa Beretta 32, Varese Ligure, tel. 0187-843118) , le conserve, i succhi e le marmellate
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Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitismo

Messaggioda Berto » mer set 20, 2017 7:48 am

"Assumete profughi, non italiani". La coop fa pressioni sugli imprenditori
Anna Pedri
Trento, 14 set, 2017

http://www.ilprimatonazionale.it/cronac ... tori-72678

Non assumete italiani, preferite i profughi. Il messaggio agli imprenditori della Valsugana è arrivato forte e chiaro da parte di una coop che l’accoglienza dei migranti per conto della provincia autonoma di Trento. La Cinformi, infatti, secondo quanto riporta La Voce del Trentino che riferisce la testimonianza di un imprenditore a cui è toccata la pressione della cooperativa, contatta direttamente le aziende locali per fare in modo che inseriscano i loro profughi insistendo perché abbiano la precedenza sugli italiani.

L’offerta che la coop fa agli imprenditori è allettante, una di quelle che quando viene proposta a lavoratori italiani spesso costringe il candidato a rifiutare perché non permette il sostentamento: uno stage gratuito per il primo mese e poi 400 euro al mese. Tutte le spese burocratiche sono a carico della cooperativa. Il datore di lavoro deve solo quindi formalizzare il contratto all’immigrato. Ma se l’imprenditore obietta che in questo modo vengono penalizzati quanti si affannano per trovare un lavoro la solerte cooperativa taglia corto e dice “la ricontatteremo”. Poi il nulla.

Se una persona deve pagare affitto, bollette e le altre spese varie, con 400 euro mensili è impossibile arrivare a fine mese. Diverso è il caso se la proposta viene fatta a chi di spese non ne ha, né di vitto né di alloggio, come è il caso dei profughi accolti dalle varie cooperative, che ricevono soldi pubblici per il mantenimento di queste “risorse”. Inoltre le ore che la cooperativa chiede vengano lavorate sono 40 alla settimana, cioè un tempo pieno a tutti gli effetti. E dopo sei mesi il contratto di lavoro dovrà diventare a tempo indeterminato.

Una prassi, quella della Cinformi, che è finita al centro di una interrogazione da parte di un consigliere provinciale, Claudio Civettini di “Civica Trentina”, che ha chiesto alla giunta trentina di sinistra di fare chiarezza, avanzando l’ipotesi di sistemi contributivi facilitati per quanto riguarda l’assunzione a qualsiasi titolo di profughi o presunti tali.



Non deprediamo e non uccidiamo la nostra gente con l'irresponsabile accoglienza indiscriminata e scriteriata a spese delle scarse risorse pubbliche, dei nostri figli e nipoti e dei nostri compaesani e concittadini
viewtopic.php?f=196&t=2605

I clandestini e i finti profughi disoccupati non aumentano il PIL e non pagano le pensioni ai pensionati
È chiaramente una menzogna quello che raccontano certi fanfaroni che questi "migranti irregolari e nuovi disoccupati" possano contribuire con la loro disoccupazione ad aumentare il PIL e a pagare le pensioni dei pensionati.
viewtopic.php?f=194&t=1800
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Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 8:09 am

Sottoscritta a Sarule la convenzione per l'avvio del progetto di volontariato sociale rivolto ai migranti
Le attività riguarderanno: attività sociali, educative e culturali; la pulizia e la cura del verde pubblico e di spazi esterni urbani; la sistemazione e la manutenzione di aree sportive e la collaborazione per l’organizzazione di eventi pubblici.
Di: Redazione Sardegna Live
15 dic 2017

https://www.sardegnalive.net/news/in-sa ... i-migranti

“Consideriamo i progetti di volontariato sociale destinati ai migranti un tassello fondamentale nel quadro del rafforzamento del sistema di accoglienza in Sardegna. La Regione sostiene la realizzazione di questi interventi nella convinzione che possano agevolare il processo di inclusione dei richiedenti asilo nel tessuto sociale. Oltre ai comuni abbiamo coinvolto anche le associazioni del terzo settore dalle quali abbiamo già avuto buoni riscontri”.

Lo ha detto l’assessore degli Affari Generali Filippo Spanu intervenuto a Sarule, insieme al prefetto di Nuoro Carola Bellantoni, all’incontro per la sottoscrizione della Convenzione per l’impiego di richiedenti protezione internazionale in attività di utilità sociale nello stesso comune. Il documento è stato siglato, nella sala del polo culturale "Don Giuseppe Piu", dal sindaco Mariangela Barca e da Michele Virdis, in rappresentanza del centro di accoglienza per migranti “Donnedda”.

“Oggi a Sarule viene compiuto un passo significativo. L'avvio del progetto di volontariato sociale rafforza il legame tra i migranti e la comunità. I richiedenti asilo che vivono nella struttura "Donnedda", arrivati da terre lontane, al termine di viaggi drammatici, manifestano in modo forte la loro volontà di rendersi utili, senza togliere nulla ai giovani sardi, e di offrire, con generosità, servizi preziosi per la collettività”, ha spiegato l’assessore Spanu.

Le attività riguarderanno: attività sociali, educative e culturali; la pulizia e la cura del verde pubblico e di spazi esterni urbani; la sistemazione e la manutenzione di aree sportive e la collaborazione per l’organizzazione di eventi pubblici. Il progetto, che coinvolge 12 migranti, verrà realizzato nell’arco di un anno.

A seguito della sottoscrizione del protocollo d’intesa tra Giunta, Prefetture, Anci e sindaci di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano, relativa alle attività di volontariato sociale rivolte ai richiedenti protezione internazionale, la Regione ha pubblicato la manifestazione di interesse per la presentazione dei progetti da parte dei comuni.

Alla scadenza dello scorso 30 settembre tre comuni - Cargeghe, Iglesias, Valledoria - hanno presentato in raccordo con le associazioni del proprio territorio altrettante proposte. I progetti, al momento in fase di attuazione, coinvolgono 40 richiedenti protezione internazionale in attività di pubblica utilità.

Recentemente la Regione ha previsto che le proposte possano essere presentate anche da parte delle associazioni del terzo settore, previa condivisone della progettualità con le amministrazioni comunali. Le proposte, pervenute, sulla base del nuovo avviso, coinvolgono circa 70 migranti dei centri di accoglienza del Comune di Elmas, Lunamatrona, Sanluri, Valledoria, Trinità d’Agultu e Vignola e appunto Sarule. E’ possibile presentare i progetti entro il prossimo 22 dicembre.

Le azioni mirano a promuovere il coinvolgimento dei migranti in interventi di pubblica utilità per instaurare relazioni sociali con le popolazioni locali e favorire così un reale e effettivo processo di inclusione. Le attività, fondate sul principio della gratuità, devono essere svolte da migranti che hanno raggiunto la maggiore età, ospitati nei Centri di Accoglienza straordinaria e nella rete Sprar. I giovani devono aver presentato istanza per il riconoscimento della protezione internazionale o essere in attesa della definizione del ricorso in caso di impugnativa della decisione negativa della competente Commissione territoriale.
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Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 8:10 am

I peggiori sono quelli che si servono degli ultimi o dei presunti ultimi per derubare e opprimere tutti gli altri, tra cui la loro stessa gente
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Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 6:11 am

Piano migranti, lavoreranno nei siti di Pompei e Caserta
Accordo con il ministro dell'Interno Minniti, lunedì firma in prefettura: coinvolti 230 Comuni, capofila Napoli con la Città metropolitana. Oggi de Magistris da Mattarella per il presepe del Quirinale
di CONCHITA SANNINO
14 dicembre 2017

http://napoli.repubblica.it/cronaca/201 ... -184049104

Piano migranti, lavoreranno nei siti di Pompei e Caserta
Migranti e integrazione, ora c'è "Napoli Città Rifugio". E un più articolato Piano Campania, nell'ottica di quella accoglienza "più ragionata e diffusa" come va incoraggiando da tempo il ministro dell'Interno Marco Minniti.

L'operazione a cui si lavora da mesi - fondi per un tetto di 30 milioni, 2000 migranti solo su Napoli, almeno altri 5-7 mila in regione, con facilitazioni, bonus e possibilità di assunzioni in deroga al tetto di spesa per i Comuni che aderiscono - è pronta a decollare con una serie di novità e intuizioni.

Il tema è riservatissimo, bocche cucite sull'argomento in Comune, in Regione e soprattutto al Viminale, dove sono alla correzione le ultime bozze del Protocollo. Sette pagine (e sette "articoli") che saranno firmati in Prefettura, a Napoli, lunedì prossimo. Ma Repubblica ne ricostruisce la mission e i dettagli.

Per il sindaco Luigi de Magistris, un altro modo per accreditarsi con un pezzo di governo. Proprio mentre, oggi alle 18, varca il Quirinale come ospite del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per l'inaugurazione della mostra su "Il presepe napoletano. Tra storia, cultura, religiosità e tradizione". Chissà, se tra un angioletto e un Benino, scambieranno ancora una parola sulle attese dei Comuni a un passo dal dissesto.

I migranti nei siti culturali
Appuntamento lunedì alle 11 in Prefettura con il ministro Minniti, affiancato dal presidente della Regione Vincenzo De Luca e dal primo cittadino de Magistris, qui anche (e soprattutto) nella sua veste di vertice della Città Metropolitana, per la firma del Protocollo.
Ma la giornata termina con Minniti alla Federico II per un incontro con la comunità islamica.
Al centro del documento, un'idea semplice. Ed insieme, intrigante (a patto di sottrarla alle strumentalizzazioni di qualunque segno, specie alla vigilia della campagna per le politiche).

Obiettivo: superare l'emergenza, ma sposando le esigenze dei territori con la crisi/opportunità del flusso dei rifugiati.
Così la cifra nuova è che saranno coinvolte, oltre a tutti i livelli amministrativi e della sicurezza, le istituzioni culturali: dall'Università alle Sovrintendenze. Tanto che i "rifugiati" saranno impiegati non solo in varie attività socialmente utili, ma coinvolti in servizi di custodia o assistenza in aree di assoluto prestigio, come gli Scavi di Pompei e la Reggia di Caserta. I cui vertici saranno presenti al tavolo con il ministro e il prefetto Carmela Pagano, insieme con i rappresentanti dell'associazione dei Comuni, l'Anci regionale.

Beni confiscati
Duemila migranti solo tra Napoli e provincia. Almeno il triplo suddivisi tra i 230 comuni che aderiscono. Ma, a sostenere un Piano che intende concretamente favorire l'integrazione e il dialogo tra "richiedenti asilo" e territorio - nel senso di un miglioramento progressivo delle condizioni per le fasce più deboli - è anche lo strumento dell'utilizzo di beni confiscati alle mafie, e il principio della riqualificazione di siti abbandonati. I Comuni potranno infatti non solo avvalersi del "sostegno economico dello Stato agli oneri a carico dei Comuni per i servizi e le attività funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti, con un contributo di importo superiore per le progettualità aderenti alla rete Sprar", così è scritto nel Protocollo - ma potranno ristrutturare sedi e immobili, grazie ai fondi Fami (Fondi Asilo Migrazione e integrazione, 2014-2020) in cui alloggiare non solo i rifugiati, ma anche senzatetto e rom. Tutto, ovviamente, andrà sotto la lente della sicurezza e dei filtri antimafia. Si prevede infatti "l'attivazione di percorsi virtuosi in grado di arginare tentativi di infiltrazione".

Prove di intesa
Un'iniziativa fortemente voluta dal governo e da Minniti. Che, vista dalla trincea de Comune, acquista anche un valore politico. L'intesa tra Minniti e de Magistris, quasi immediata su questo fronte - che sta a cuore al ministro - da un lato
ha "indotto" il più recalcitrante governatore a sposare in toto il Piano. Dall'altro, lascia anche pensare che rientri in quel lavoro di "ricucitura" di rapporti tra Napoli e Roma cui il sindaco si sta dedicando (in questo caso, affiancato dal capo di gabinetto Attilio Auricchio, dall'assessore Roberta Gaeta) per strappare dalla manovra le sospirate condizioni di maggiori agibilità nei conti, in assenza delle quali si spalanca il baratro per il Comune
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Re: Il falso lavoro è furto legalizzato di stato, parassitis

Messaggioda Berto » mar dic 19, 2017 10:02 pm

Profughi-custodi agli Scavi, è rivolta «Non li vogliamo come colleghi»
di Susy Malafronte
19/12/2017

https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca ... 38002.html

Pompei. Profughi a lavoro tra le domus, scoppia il caso Pompei: i custodi non li vogliono come colleghi. Il direttore generale del Parco Archeologico, Massimo Osanna, apre le porte del sito ai profughi-custodi. I sindacati «bocciano» il piano. «Non li vogliamo come custodi. L'Italia deve dare lavoro agli italiani». Così Antonio Pepe, segretario Unsa, (il sindacato con il maggior numero di iscritti tra gli addetti alla vigilanza e del personale amministrativo), dice: «Lavoro agli italiani nel Parco archeologico di Pompei». «Non possiamo permetterci di dare impiego ai profughi - continua il leader sindacale - a danno dei cittadini, in un’area con un tasso di disoccupazione più alto d’Europa. Impiegare i profughi come custodi, nel Parco Archeologico di Pompei, è un oltraggio ai disoccupati del territorio, è un affronto alla giustizia sociale, ed è un insulto ai giovani che vengono definiti, a più riprese, 'bamboccioni' in quanto, essendo senza lavoro, sono costretti a vivere con mamma e papà. A fronte di questa piaga il nostro Stato che fa? Dà impiego ai profughi».

«Un’iniziativa a dir poco biasimevole che offende i giovani disoccupati italiani - continua Pepe - che vedono sottrarsi la possibilità di ottenere un posto di lavoro e vanificarsi la speranza di formare una propria famiglia. È indubbio che il patrimonio culturale, storico archeologico di Pompei, rivesta il ruolo di 'motore' per lo sviluppo occupazionale del territorio vesuviano e in futuro e, non prima, anche ad altri. Gli italiani disoccupati sono tanti, ed è proprio e sopratutto nel rispetto di questi ultimi che è innanzitutto necessario tutelarli e garantirgli un futuro. Dobbiamo imparare prima a risolvere i problemi di 'casa nostra' e poi occuparci degli altri, onde evitare discriminazioni che alimentano sempre più razzismo e delinquenza. Tuteliamo le famiglie italiane che lottano contro la fame tutti i giorni, e poi, magari troviamo una sistemazione adeguata anche per i profughi. Per dare risposte concrete bisogna favorire subito nuove assunzioni agli italiani. Noi - conclude Pepe - come sindacato siamo favorevoli a iniziative per la realizzazione di un programma occupazionale ma non daremo giustificazione a chi innesca una guerra tra poveri, tra proprietari ed ospiti».


Gino Quarelo
La protezione umanitaria (profughi veri e falsi e non, come i migranti economici) è un lusso che non ci possiamo permettere perché danneggia i cittadini europei e italiani. Non ci sono le risorse e sottrarre le poche esistenti ai cittadini italiani è un crimine, un delitto gravissimo da alto tradimento e arresto immediato.

Claudio Tio Claudio Carpentieri
La protezione umanitaria a chi se la merita e ne viene riconosciuto degno è innanzitutto un preciso dovere. Legale e morale.

Gino Quarelo
I doveri morali innanzi tutto vanno ai propri cittadini ed è immorale quando mancano le risorse privare i propri cittadini per darle ad altri. In ogni caso quando non ci sono le condizioni materiali, economiche, finanziarie, culturali e sociali non esistono "doveri legali internazionali" che tengano. Uno stato che estorce, deruba, rapina i propri cittadini per dare risorse ad altri è uno stato criminale.
No alla manipolazione dei diritti e dei doveri umani da parte dei malvagi che si fanno passare per buoni come questi politicanti che ci governano.
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