Poledega

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Messaggioda Berto » mar dic 12, 2017 4:54 pm

Macron e Mogherini, ovvero l’insostenibile inconsistenza dell’Ue
Di Riccardo Ghezzi
11 dicembre 2017

http://www.linformale.eu/macron-e-moghe ... nza-dellue

Federica Mogherini ed Emmanuel Macron sono i due simboli dell’Unione Europea attuale. Non possono certo essere definiti esponenti politici di vecchia data e reduci della diplomazia filo-araba anni ’80 e ’90, eppure ne ricalcano interamente il modus operandi.
Emmanuel Macron, presidente della repubblica francese, era stato accolto con curiosità ed entusiasmo dopo la vittoria alle presidenziali parigine. L’uomo nuovo, capace di trionfare senza un partito alle spalle e di porsi come argine contro la cosiddetta “avanzata populista”, è oggi probabilmente il leader europeo più influente, complice la netta difficoltà di Angela Merkel in Germania.
La mossa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente statunitense Donald Trump ha però squarciato il Velo di Maya e ci ha fatto ben comprendere l’inconsistenza di questo aspirante condottiero su cui erano riposte le speranze di francesi ed europei.
Ebbene sì, oggi sappiamo che questo “argine contro l’avanzata populista” su cui in tanti hanno investito e scommesso non è stato affatto un buon affare.

L’inconsistenza di Emmanuel Macron è, purtroppo, quella dell’intera Ue. Lo specchio dell’ipocrisia europea, come ben l’ha definita il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un’Unione Europea che riserva una standing ovation ad Abu Mazen e riceve con tutti gli onori l’ex terrorista Leila Khaled, ma non ha mai il coraggio di prendere posizione a favore di Israele, che oltre ad essere l’unica democrazia in Medio Oriente è anche l’unico paese del Medio Oriente che tutela la libertà di culto. Non è questione di lana caprina, se si parla di Gerusalemme.
Il presidente francese non ha trovato di meglio che commentare la decisione di Trump definendola “contraria al diritto internazionale” e “pericolosa per la pace”, come se davvero la certificazione dell’ovvio, ossia che Gerusalemme è la capitale di Israele, possa costituire un ostacolo per futuri accordi.
Parole simili a quelle del segretario generale dell’Onu, Antonio Gutierres, il quale ha sostenuto che la mossa degli Usa “può compromettere definitivamente gli sforzi per la pace tra israeliani e palestinesi”.
Esattamente, cosa possa peggiorare la decisione di Trump non lo spiegano né Macron né Gutierres. Gerusalemme capitale di Israele è un riconoscimento che non ha alcuna implicazione religiosa. Finché Gerusalemme sarà israeliana, potrà continuare ad essere la città considerata sacra dai tre principali culti monoteisti. Ci sarà posto per tutti: ebrei, certo, ma anche musulmani e cristiani.
In alcun modo sono stati lesi i diritti dei musulmani, ancor meno degli arabi residenti a Gerusalemme. Il riconoscimento di Trump può anzi costituire un ottimo punto di partenza per avviare vere trattative di pace tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese.

Neppure si può dire che sia tramontata la soluzione “due popoli due stati”. La stessa Arabia Saudita ha recentemente presentato al leader arabo palestinese Abu Mazen un piano di pace che prevede il riconoscimento di uno stato palestinese con capitale Abu Dis, nei pressi di Gerusalemme.
Che Gerusalemme debba essere giocoforza la capitale di Israele per il bene di tutti non appare invece chiaro ai leader europei, da Macron a Gentiloni, passando per l’Alto Commissario per gli Affari Esteri, l’italiana Federica Mogherini, che addirittura dichiara di auspicare la soluzione “Gerusalemme capitale di due stati”. Probabilmente pensa ad una Gerusalemme divisa, dimenticandosi che, nei diciannove anni in cui la cosiddetta Gerusalemme est si è trovata sotto dominio giordano, gli ebrei non avevano accesso ai loro luoghi sacri.
Le rivendicazioni arabe su Gerusalemme riguardano l’intera città vecchia, luoghi sacri ebraici compresi. Inaccettabile.
Donald Trump, peraltro, non ha neppure escluso la possibilità di ridisegnare i confini della capitale di Israele, altro aspetto da stabilire nell’ambito dei negoziati tra Israele e Anp. Meno “provocatorio” di così, il presidente Usa non poteva essere.
Da Macron a Mogherini, nessuno l’ha capito. Un brutto segnale dato dall’Unione Europea. Una dimostrazione che l’ormai anacronistica questione palestinese infiamma i vertici europei persino più di quanto stia a cuore ai paesi arabi.
Pavidità o interesse?


Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni.
viewtopic.php?f=197&t=2472
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mar dic 12, 2017 8:56 pm

???

Il presidente verde Van Der Bellen nega all'estrema destra i ministeri chiave in Austria
2017/11/17

http://www.eunews.it/2017/11/17/preside ... tria/96876

Bruxelles – Il presidente della Repubblica austriaca Alexander Van Der Bellen dice no alla nomina di ministri di estrema destra. Il 73enne leader storico dei Verdi austiaci è più volte intervenuto nei colloqui della nuova coalizione del governo di Vienna. L’Ovp, il partito dei conservatori, guidati da Sebastian Kurz, sta tenendo colloqui con il partito di estrema destra Fpo di Heinze Christian Strache per la formazione del nuovo governo. Il presidente federale ha però chiarito che non vuole vedere i principali ministeri, degli Esteri e degli Interni, nelle mani dei politici di Fpo, e che farà tutto ciò che è in suo potere per impedirlo.

Recentemente, Van Der Bellen ha fatto in pubblico i nomi dei parlamentari del Fpo che rifiuta di nominare ministri. Il primo è il vice sindaco di Vienna, Johann Gudenus. L’altro, Harald Vilimsky, è un eurodeputato. Entrambi sono attualmente seduti al tavolo dei negoziati della futura coalizione. Il presidente è irremovibile nei loro confronti per numerose ragioni.

Nina Weissensteiner, giornalista di Der Standard, la principale testata dell’Austria, ha esaminato il passato dei due politici Fpo. Per lei “è chiaro che Gudenus, nato nel 1976, diplomato all’Accademia diplomatica e membro della Fraternità Vandalia (una confraternita anti immigrati), non possa essere nelle grazie di Van Der Bellen”. In più Gudenus è stato presidente dell’Anello Freiheitlicher jugend osterreich, un’organizzazione giovanile di estrema destra ispirata all’ideologia nazista. Nel marzo 2004, di fronte al crescente numero di immigrati di varie etnie in Austria, l’allora 27enne Gudenus dichiarò “Proprio come la lingua tedesca, la nostra gente è minacciata. Abbiamo bisogno di un “Umvolkung” sistematico per porre fine a questo.” ‘Umvolkung’ significa ‘re-germanizzazione ‘ ed è un termine che viene direttamente dal dizionario nazista.

L’altro parlamentare Fpo non considerato idoneo da Van Der Bellen per un ufficio ministeriale, Harald Vilimsky, è il vicepresidente dell’Enf, l’alleanza euroscettica di destra al Parlamento europeo. Tra i 37 membri dell’alleanza ci sono i rappresentanti del Front national di Marine Le Pen, della Lega Nord italiana di Matteo Salvini e del partito del belga Vlaams Belang, che oltre ad essere contro l’accoglienza dei migranti, rivendica l’indipendenza delle Fiandre.

Il Partito della libertà austriaco ha difficoltà a ignorare il volere del presidente Van Der Bellen, poiché l’articolo 70 della costituzione afferma che “su proposta del cancelliere federale il presidente della Repubblica austriaca nomina gli altri membri del governo”.

Mercoledì 15 novembre migliaia di persone si sono radunate nel centro di Vienna per protestare contro la potenziale nuova coalizione di governo.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 9:18 am

Austria: chiuse trattative. Kurz, c'è accordo governo
Intesa tra conservatori e populisti di destra
15 dicembre, 22:28


http://www.ansa.it/nuova_europa/it/noti ... 0b365.html

(ANSA) - BERLINO - In Austria, le trattative fra l'Oevp del conservatore Sebastian Kurz e il Fpoe del populista di destra Heinz Christian Strache sono concluse, e i due partiti sono pronti a governare. "C'è un accordo turchese-blu", ha affermato Kurz. "Alle elezioni del 15 ottobre si è deciso per il cambiamento, e insieme vogliamo mettere al sicuro questo cambiamento", ha affermato Kurz, che ha annunciato di voler stabilire un "nuovo stile". "La nuova coalizione si impegna per una politica che risparmia nel sistema, e non a carico della gente", ha continuato il cancelliere designato che ha promesso l'abbassamento delle tasse agli austriaci. A soli 31 anni, sarà il cancelliere più giovane della storia del suo Paese e dell'Europa. E questo è l'esito di uno stile politico spregiudicato, con cui il giovanissimo ex ministro degli Esteri ha conquistato la leadership del partito popolare - fino a inserire il suo nome nel logo, e a cambiarne il colore da nero in turchese - e lo ha portato progressivamente più a destra, strappando il possibile successo elettorale dei populisti di destra del Fpoe. (ANSA).


L’Austria annuncia l’accordo di governo: destra e ultra destra insieme
marco bresolin
2017/12/15

http://www.lastampa.it/2017/12/15/ester ... agina.html

Ben prima della Germania arenata sulle trattative, l’Austria a soli 61 giorni dalle elezioni annuncia di aver formato il governo della destra e dell’ultradestra. La coalizione “turchese-blu” (ÖVP-FPÖ) del premier popolare Sebastian Kurz e della destra nazionalista di Christian Strache annuncia di aver chiuso un programma comune, che punta «sul rafforzamento del sistema sociale, sulla sicurezza e sulla battaglia contro l’immigrazione illegale» - quest’ultimo è stato uno dei punti chiave della campagna elettorale -.

Kurz e Strache in due mesi hanno limato le non grandi distanze politiche e con il lavoro di focus group sui differenti temi hanno messo insieme programmi che già erano per diversi punti simili. Ora, l’Austria si prepara a governare i prossimi cinque anni senza troppe sorprese sulle riforme da attuare, che comprenderanno una maggiore attenzione all’ambiente e al clima, riforme fiscali e tra il resto lo slittamento del divieto di fumo nei locali, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2018. Ma l’intesa più delicata era quella sui ministeri: saranno quasi divisi a metà (con uno o due in più al partito dell’astro nascente della politica europea, il 31enne Kurz, arrivato primo alle elezioni del 15 ottobre).

Non è ancora confermata la lista dei dicasteri, che resteranno probabilmente 14, ma dalle indiscrezioni si sa che a ricoprire il ruolo di ministro degli Interni sarà il falco dell’ultradestra, segretario dell’FPÖ, Herbert Kickl, mentre il vicecancelliere e fedele alleato di Kurz sarà Heinz-Christian Strache. Qualcuno ricorderà forse il nome di Norbert Hofer, oggi terzo presidente del Consiglio nazionale austriaco, che a dicembre dell’anno scorso era candidato contro il verde Van der Bellen alle presidenziali, ma all’epoca non vinse. Ora, dovrebbe ereditare il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre l’attuale ministro degli Interni Sobotka potrebbe andare a fare il presidente del parlamento. All’esperta di Medioriente Karin Kneissl sarebbe destinato il ministero degli Esteri, che finora era ricoperto da Kurz.

Oggi verrà presentato il programma pattuito più nel dettaglio e si capiranno meglio anche i ministri. “Le austriache e gli austriaci - ha detto Kurz - hanno scelto di cambiare direzione due mesi fa, ora parte questo cambiamento”. Lunedì Kurz e Strache giureranno davanti al presidente Van der Bellen. Ed è la terza volta che popolari e ultradestra fanno un governo insieme dal 2000. Ma da 11 anni i popolari non guidavano le danze. Il governo che ora Kurz promette di piegare più che mai su sicurezza e protezione dei confini.


Ricollocamenti degli immigrati, adesso anche l'Austria è contro
Sergio Rame - Ven, 15/12/2017

http://www.ilgiornale.it/news/migranti- ... 74448.html

Anche l'Austria si unisce a "gruppo Visegrad" nella crociata contro i ricollocamenti dei migranti nell'Unione europea. L'Italia così è sempre più sola

Per il ministro degli Esteri, e probabile futuro premier, Sebastian Kurz, il sistema è sbagliato e va cambiato. Ad allargare la spaccatura ha sicuramente contribuito l'apertura del presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, all'opposizione dei Paesi dell'Est Europa che si stanno battendo contro la redistribuzione degli immigrati sbarcati in Italia. "Non si può tradurre nell'avallo della posizione di chi dice 'non applichiamo le regole europee' - ha stigmatizzato il premier Paolo Gentiloni - le aperture a considerare un optional le regole sulla relocation non sono condivise dall'Unione europea".

Ormai è certo. Il Consiglio europeo non prenderà decisioni sulla gestione della crisi dei migranti e sulla riforma del sistema di asilo. Ieri il "gruppo di Visegrad", formato da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, hanno annunciato che contribuiranno con 35 milioni complessivamente al finanziamento del progetto guidato dall'Italia in Africa per proteggere I confine libici. Una buona notizia alla quale, però, si aggiunge la conferma la divisione tra gli Stati membri su cosa deve intendersi per solidarietà persiste. Una vera e propria spaccatura tra Est e Ovest europeo che rimette in discussione la questione della ripartizione obbligatoria in quote di rifugiati. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dato ragione a Gentiloni sulla necessità di dare "soluzioni basate sulla solidarietà non solo nella gestione esterna delle migrazioni ma anche all'interno dell'Europa". Ma l'Ungheria ha difeso, a muso duro, la posizione incassando il sostegno di diversi alleati, tra cui anche quello del Nord Europa.

La posizione dei Paesi del "gruppo Visegrad" è condivisa anche dall'Austria. La dichiarazione del leader del Partito popolare austriaco (Ovp) segue quella di Tusk che martedì scorso aveva messo in dubbio il sistema delle quote obbligatorie parlando di "un meccanismo inefficace". "Tusk ha ragione quando dice che le quote obbligatorie di rifugiati nell'Ue non hanno funzionato - ha affermato Kurz, parlando all'agenzia di stampa Apa - promuoverò il cambiamento di questa politica sbagliata sui rifugiati". Per il capo della diplomazia austriaca, che ha ultimato i negoziati per la formazione di un governo con gli ultranazionalisti del Fpo, è necessario un cambio di politica. "Senza un'efficacia protezione delle frontiere esterne dell'Unione europea - spiegano - non sarà possibile controllare il problema dell'immigrazione illegale".
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 8:37 pm

Austria, il governo vira a destra
Luca Romano - Sab, 16/12/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/aus ... 74842.html

Il partito ultranazionalista austriaco FpÖ avrà 14 incarichi nel nuovo governo, dopo l'accordo raggiunto con il partito popolare Övp: tra essi ci saranno i ministeri di Interno, Esteri e Difesa. È stato confermato a Vienna, dove i leader dei due partiti, Heinz-Christian Strache e Sebastian Kurz, rispettivamente futuri vice cancelliere e cancelliere, hanno presentato l'intesa e il programma del futuro esecutivo.

Il nuovo ministro dell'Interno sarà Herbert Kickl, attualmente segretario generale del FpÖ, principale stratega e capo della campagna elettorale del movimento di estrema destra. In questo ruolo è stato autore di numerosi slogan xenofobi e islamofobi nel passato. Il 49enne in precedenza si è espresso anche a favore di limitazioni al diritto di manifestare, con la motivazione che le restrizioni siano utili a limitare le situazioni violente, soprattutto a proposito di proteste di gruppi di sinistra e minori stranieri.

Kickl aveva inizato la sua carriera a fianco di Jörg Haider, leader del partito FpÖ morto nel 2008, che portò lo schieramento alla sua prima coalizione con il partito Övp nel 2000. Quando Haider aveva abbandonato il partito e creato una nuova formazione politica, Kickl si era unito a Strache come nuovo capo del partito FpÖ e da allora è stato tra i suoi più stretti collaboratori. Alla Difesa sarà la 52enne Karin Kneissl. Sebbene non militi nel partito di Strache, negli ultimi tempi si è avvicinata allo schieramento, con cui condivide molte posizioni sul rifiuto dei rifugiati. Esperta di Medioriente (parla arabo ed ebraico), ha trascorso parte dell'infanzia in Giordania dove il padre lavorava come pilota. Durante la crisi dei rifugiati del 2015, insistette sul fatto che l'80% di quanti arrivavano in Europa fossero in realtà quelli che vengono considerati "migranti economici" e giovani che non trovavano moglie non avendo impiego e casa, e che pertanto non godevano "dello status di uomo in una società tradizionale".

Ha anche criticato il sionismo, movimento politico che difende la creazione di uno Stato per il popolo ebraico. Si è poi espressa a favore di un'eventuale indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Nonostante sia considerata europeista, la nuova ministra non avrà controllo sull'agenda europea, che resterà nelle mani del nuovo cancelliere Kurz e del suo partito, con un ministro della Cancelleria di sua totale fiducia, Gernot Blümel. La formazione di Strache controllerà anche Questioni sociali e Salute, Difesa, Infrastrutture (quest'ultimo affidato all'ex candidato presidenziale, Norbert Hofer). Il lader Strache non sarà solo vice cancelliere, ma anche ministro di Funzionari e Sport. Il partito Övp controllerà invece la cancelleria e sette ministeri. A 31 anni d'età, Kurz sarà il capo di governo più giovane d'Europa. Nella distribuzione dei ministeri non è rientrato nessun ministro dell'esecutivo uscente, in cui Kurz era titolare degli Esteri. Kurz ha così confermato la strategia di rinnovamento, annunciata quando aveva cambiato il nome del movimento, lo statuto e il colore simbolo (blu invece di nero). I popolari occuperanno inoltre i dicasteri di Questioni europee e Cultura; Donne, famiglia e Gioventù; Giustizia e riforme; Educazione e università; Agricoltura e ambiente. Cinque ministri su 13 sono donne, mentre l'età media del governo è 47 anni.

"Non possiamo perdere tempo a discutere la redistribuzione dei rifugiati, quando sappiamo che essa non funziona", ha dichiarato Sebastian Kurz, leader del partito popolare (Övp) e futuro cancelliere dell'Austria, ribadendo la sua contrarietà al sistema di redistribuzione dei rifugiati elaborato dall'Unione europea. La posizione è stata tra gli assi portanti della campagna elettorale che lo ha portato alla vittoria delle elezioni del 15 ottobre scorso. Stessa linea hanno espresso Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, tanto che agli ultimi tre Paesi essa è valsa una procedura d'infrazione per non aver rispettato gli impegni. Kurz, che terrà sotto il proprio controllo le politiche europee, separate dal ministero degli Esteri controllato dal FpÖ, ha indicato che il nuovo governo ha "un orientamento filo europeo" e che i due partiti vogliono "contribuire in modo attivo nell'Ue".


Si riapre la questione degli altoatesini

Nel giorno della nascita del nuovo Governo della Repubblica d'Austria, in Alto Adige torna puntuale in auge un'antica questione, quella di concedere ai cittadini sudtirolesi anche la cittadinanza austriaca. Dopo una serie di "no" sia da parte di Vienna che da Roma, il tema è tornato d'attualità quando alcune settimane fa 19 consiglieri provinciali altoatesini (tra essi anche quelli della Sueditiroler Volkspartei) hanno chiesto - inviando una lettera al Governo austriaco, che da oggi sarà nelle mani di Sebastian Kurz - di vagliare la possibilità di concedere alla popolazione dell'Alto Adige oltre al passaporto italiano anche quello austriaco. Cittadini altoatesini aventi diritto sono quelli che durante i censimenti si sono dichiarati appartenenti al gruppo linguistico tedesco.

Stando ai dati dell'ultimo censimento, quello del 2011, il 69,64 % si era dichiarato di appartenere al gruppo tedesco, il 25,84 % a quello italiano e il 4,52 a quello ladino (in particolare nelle valli Gardena e Badia). I dettagli non sono ancora stati sviluppati ma molto probabilmente al cittadino appartenente al gruppo italiano non verrebbe concessa la doppia cittadinanza. Ad insorgere dopo il documento inviato al Parlamento di Vienna si sono aggiunti anche i "vicini" trentini. Con una petizione online gli Schuetzen di Trento hanno chiesto al presidente trentino Ugo Rossi, ironicamente chiamandolo Landeshauptmann, di avviare analoga procedura. Stando a Guenther Pallaver, politologo altoatesino, il doppio passaporto troverebbe difficoltà di applicazione e sarebbe complicata la definizione di chi ne avrebbe diritto perchè anche gli italiani, i profughi e altri cittadini dell'Unione Europea, dichiarandosi di madrelingua tedesca, potrebbero rivendicare la cittadinanza tedesca". "Sulla scena internazionale la doppia nazionalità si è dimostrata un mezzo per proteggere le minoranze in tutto il mondo e per il Sudtirolo (Alto Adige), il recupero della cittadinanza austriaca non sarebbe solo una riparazione storica, ma soprattutto una difesa per il futuro", dice Sven Knoll, consigliere provinciale altoatesino del movimento popolare secessionista della Suedtiroler Freiheit. "Il recupero della cittadinanza austriaca per gli altoatesini non è diretto contro la popolazione italiana, ma è un progetto completamente europeo. L'Italia concede anche la nazionalità italiana alle proprie minoranze all'estero soprattutto nelle relazioni storicamente tese tra Italia e Slovenia", ha concluso Knoll, delfino della pasionaria Eva Klotz.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 8:55 pm

La Merkel perde colpi: Germania a rischio?
14/12/2017

http://www.huffingtonpost.it/federico-l ... a_23297819

Chi lo avrebbe mai detto che dopo dodici anni di governo e di successi, suoi e della Germania, Angela Merkel avrebbe imboccato il suo viale del tramonto, eppure sembra che stia proprio per accadere a due mesi scarsi dalle ultime elezioni tedesche dove, pur arrivando prima, ha accusato un'emorragia di voti che l'hanno dissanguata.

Le conseguenze sono state drammatiche visto che ha perso la maggioranza e per formare un nuovo governo si è dovuta rivolgere sia al Diavolo che all'Acqua Santa. Troppe le differenze tra i partiti incaricati di formare il governo per poterci passare sopra, d'altro canto non era nemmeno difficile immaginare una cosa del genere considerando le distanze abissali tra i Verdi e i Liberali teutonici in più, a quanto pare, non è che ci fosse grande fiducia tra i leader dei suddetti.

In realtà l'impresa della Cancelliera appariva disperata sin dall'inizio perché mischiare l'olio con l'acqua non è possibile e per quanto ci si sforzi resteranno sempre divisi visto che uno è un partito con una forte identità di sinistra, mentre l'altro ha una visione della società più conservatrice o addirittura con lo sguardo rivolto a destra.

Lo scoglio principale su cui è naufragato il vascello della Merkel è stata l'immigrazione, fiore all'occhiello della sua politica in questi ultimi anni e in particolare il ricongiungimento familiare per gli immigrati siriani che hanno ottenuto lo status di profughi. Il governo lo aveva sospeso per due anni, i Verdi ne volevano il ripristino subitaneo, mentre i Liberali non ci pensavano proprio e anzi chiedevano una nuova legge sull'immigrazione, meno aperta della precedente.

Era quindi difficile, per non dire impossibile, raggiungere un accordo. Intendiamoci non era questo il solo problema ce ne erano altri sul tavolo, insomma se uno si fa chiamare Verde come minimo sarà uno attento all'ambiente, anche troppo magari, e cosa può avere in comune con uno che si fa chiamare Liberale che certamente è più interessato agli affari che ai fiori? Direi nulla.

Cosa accadrà ora? Non ne ho idea, tuttavia è chiaro che questa instabilità della Germania non potrà non riverberarsi sull'intero sistema Europa, sino a ora al traino di questa grande e salda democrazia, e la principale conseguenza sarà una paralisi delle sue istituzioni nell'attesa che questo nodo venga sciolto perché i tedeschi non sono mica come gli italiani da sempre abituati ad avere governi travicelli, crisi istituzionali e consultazioni più o meno permanenti.

Costoro è dalla fine della prima guerra mondiale che non attraversavano una congiuntura del genere e quindi avranno i capelli ritti sulla testa e vivranno la situazione con un peso e una responsabilità sconosciuti alla nostra politica che, anzi, in quel mare ci nuota come un pesce. In questo ore si riparla di Große Koalition con la Spd di Shulz e c'è già il sì del partito della Merkel, manca quello della sinistra tedesca, sonoramente bocciata alle ultime elezioni, ma immagino che arriverà perché le elezioni non convengono nemmeno a loro, per cui non ci resta che attendere ancora qualche giorno per rivedere la Signora Merkel di nuovo in sella pronta a riprendere la sua giostra.

Vedremo se avrà sempre lo stesso cipiglio, nonostante i bozzi e le bende che si porta addosso, o se invece assumerà un atteggiamento più indulgente e se a maggio brancolerà ancora nel buio allora gli basterà volgere un sguardo al Bel Paese per capire come si possa governare tra cime tempestose, acque perigliose e venti di passioni.




Germania, le «divergenze parallele» dei grandi partiti
Marco Bascetta
17 dicembre 2017

https://ilmanifesto.it/germania-le-dive ... di-partiti

Si dice che la somma di due debolezze non produca una forza ma una debolezza maggiore.

La formula può non avere validità universale ma al tentativo di ripristinare in Germania la Grande coalizione tra i socialdemocratici della Spd e i democristiani della Cdu\Csu si attaglia perfettamente. Su quale esito avrà questa trattativa è inutile azzardarsi a pronosticare. La faccenda si annuncia lunga, tortuosa e assolutamente incerta.

L’evidente dato di partenza è che entrambi i due grandi partiti di massa hanno subito una formidabile emorragia di voti. Il nuovo millennio ha visto ridursi della metà il numero degli elettori socialdemocratici, cosicché il vecchio Oskar Lafontaine ha gioco facile nel sentenziare: «Il problema è assai semplice, se una politica allontana gli elettori, allora bisogna cambiare politica».

Già, ma come? Un partito è più la sua storia recente (si intende quella di un paio di decenni) che quella remota.

L’attuale Spd è ben più vicina alle riforme liberiste di Gerhard Schröder che a Willy Brandt, per non parlare di una più combattiva antichità socialista.

Questo vale tanto per la soggettività di funzionari e apparati quanto per l’immagine che perviene agli elettori.

L’essere il più antico partito socialdemocratico d’Europa non procura più alcun vantaggio, semmai il contrario. La Spd si identifica insomma con quella pratica di governo e di solerte garanzia della stabilità che ha segnato tutta la sua storia più recente, alienandole la simpatia degli elettori. Il problema appare dunque senza soluzione.

Le affinità tra i due grandi partiti popolari sono andate accentuandosi negli anni sotto l’abile guida governativa di Angela Merkel, rendendo, soprattutto per la Spd (il partner minore), sempre più indispensabile marcare le differenze.

Ma anche la Cdu, e in particolar modo la Csu bavarese, ha perso molti voti a favore della destra, con la conseguente propensione a ripristinare un profilo più nettamente conservatore.

Ecco dunque il paradosso della Grande coalizione: dovrebbero darle vita due partiti che vivono la medesima necessità politica di distanziarsi nettamente l’uno dall’altro, sottolineando caratteri reciprocamente alternativi.

In queste condizioni il compromesso è un’impresa quasi disperata. Nonostante il totem della stabilità politica, della responsabilità verso il paese, e le confortevoli abitudini degli apparati all’amministrazione dell’esistente.

Per rovesciare una celebre formula del lessico politico italiano ai tempi della prima repubblica, Spd e Cdu\Csu dovrebbero disporsi su un piano di «divergenze parallele». Se non fosse che in Germania la distinzione tra geometria e commedia non è stata mai accantonata.

Martin Schulz tenta la fuga in avanti verso gli «Stati Uniti d’Europa» che dovrebbero prender forma, almeno nei tratti più essenziali, entro il 2025. Dopodomani. E, subito, c’è chi gli rimprovera di voler abbandonare il concreto pragmatismo della Socialdemocrazia a favore di un «astratto e vetusto internazionalismo» inutilmente visionario.

Ma anche proiettando ragionevolmente la politica tedesca sulla dimensione europea (di sponda con Macron) non si sfugge in nessun modo al solco sempre più profondo che divide le prospettive politiche dei due grandi partiti chiamati a coalizzarsi. Schulz non potrebbe rinunciare a una visibile coloritura sociale dell’Unione europea, così come il fronte conservatore a una riproposizione del rigore in chiave di «priorità nazionale». Una bandiera sventolata tanto dai liberali della Fdp quanto dai nazionalisti di Afd premiati alle elezioni di settembre e in concorrenza fra loro.

Se si volesse tratteggiare lo stato d’animo che ha alimentato questa tendenza e condiziona ora il partito di Merkel e dei suoi alleati bavaresi è quella nota sindrome che spinge i ricchi a vedersi insidiati da scrocconi, postulanti e profittatori d’ogni risma.

La Repubblica federale è indubbiamente uno dei paesi più ricchi del mondo e anche i numerosi cittadini che da questa ricchezza sono in diversa misura esclusi se ne sentono parte, non di rado imputando questa loro condizione sfavorita ai suddetti profittatori europei o immigrati.

È questa percezione, ben più significativa del campanile e del folklore nazionalista che appassiona l’estrema destra e i paladini dell’Occidente, che dovrebbe essere smontata. Non può esserlo, tuttavia, con espedienti retorici, modeste misure di correzione sociale o scontati proclami antifascisti.

Servirebbe rimettere radicalmente in questione la politica condotta dalla Spd nell’ultimo ventennio.

Una prospettiva che non rientra in nessun modo nel quadro di una riedizione della Grosse Koalition e probabilmente neanche nell’attuale soggettività politica della Socialdemocrazia, la cui crisi non sembra ancora avere toccato il fondo, come è invece accaduto in altri paesi europei.

La Germania resta bloccata e l’Europa di conseguenza.



Lo schiaffo Volkswagen: "Merkel, cambia marcia"
Daniel Mosseri - Dom, 24/12/2017
La crescita c'è, il governo non ancora. E la casa automobilistica suggerisce: "Via le vecchie facce"
Berlino - Secondo l'Istituto per la ricerca economica (Ifo) di Monaco di Baviera la Germania va avanti da sé.

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 77240.html

Priva di un governo nella pienezza dei suoi poteri ormai da tre mesi, la Repubblica federale dovrebbe comunque chiudere il 2017 con una crescita del 2,3 per cento, alla quale seguirà un'espansione del Pil del 2,6 nel 2018 e del 2,1 l'anno dopo. Altri paesi europei come l'Olanda, la Spagna e il Belgio sono rimasti per molti mesi senza un esecutivo, riuscendo in economia anche meglio che in periodi normali. Le rosee previsioni dell'ascoltatissimo istituto bavarese non bastano tuttavia a tranquillizzare gli imprenditori tedeschi. Giovedì scorso il direttore generale della Federazione dei datori di lavoro (Bda), Steffen Kampeter, ha chiesto alla Cdu della cancelliera Angela Merkel e al partito socialdemocratico (Spd) di «non attardarsi in discussioni prolungate ma di concentrarsi piuttosto sulla formazione rapida di un governo che guidi la crescita della Germania». I due mesi di negoziati esplorativi sprecati nel tentativo di formare una coalizione nero-giallo-verde (Giamaica) seguiti da un altro mese di tira e molla fra Cdu e Spd hanno stufato anche il presidente di Confindustria tedesca (Bdi): «Ci aspettiamo che il governo sia formato il prima possibile», ha detto Dieter Kemp, augurandosi che la pausa natalizia porti consiglio alle parti. È stato lo stesso istituto Ifo a notare a inizio settimana che l'indice della fiducia delle imprese è calato a 117,2 punti a dicembre rispetto al picco di novembre (117,6). Per assicurarsi che il messaggio di Bda e Bdi sia ben ascoltato, è sceso in campo un pezzo da novanta dell'industria tedesca: «Ci stanno mettendo troppo tempo», ha affermato alla Welt l'ad di Volkswagen Matthias Müller. Per il numero uno dell'industria automobilistica tedesca non è più tempo di traccheggiamenti in politica. Dopo essersi detto «piuttosto deluso» per il naufragio della Giamaica che avrebbe portato al governo «uno spettro molto ampio di elettori, con una grande varietà di personaggi diversi» (traduzione: un po' di facce nuove pro impresa rispetto ai soliti socialdemocratici concentrati sulla spesa pubblica), Müller ha esortato Merkel&Co a riformare la politica tedesca. «Io comincerei dai ministeri», ha insistito il manager spiegando che oggi sono almeno quattro i dicasteri competenti per mobilità e trasporti. Troppi per un'industria automobilistica in cerca di una nuova reputazione dopo il Dieselgate, lo scandalo della falsificazione delle emissioni delle vetture diesel. È di queste ore la notizia che VW ha patteggiato un accordo provvisorio con i querelanti canadesi. Finora in Nord America VW ha versato 25 milioni di euro fra multe e risarcimenti legati alla falsificazione delle emissioni. Intanto la Bild ha diffuso la notizia che la casa automobilistica di Wolfsburg ha licenziato il responsabile VW per la conformità negli Usa, Oliver Schmidt, arrestato lo scorso gennaio a Miami e appena colpito da una sentenza a sette anni per frode e violazione del Clean Air Act (la legge sull'inquinamento atmosferico). Trovato il «capro espiatorio globale», ha scritto la Bild, VW vuole rimettersi a lavoro.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven gen 05, 2018 9:43 pm

Austria: Kurz smentisce alleanza con Gruppo Visegrad (???)
2018/01/05

http://www.ansa.it/nuova_europa/it/noti ... ?idPhoto=1

(ANSA) - SEGGAUBERG - Il nuovo cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha respinto le ipotesi di un allineamento del governo di Vienna al Gruppo di Visegrad, l'alleanza dei Paesi orientali dell'Ue contrari alle politiche dell'Unione su migranti e altre questioni. Kurz guida una coalizione composta dal Partito popolare e dall'euroscettico Partito della libertà, il cui esecutivo è entrato in carica poco prima di Natale. Tanto il Ppo quanto il Fpoe hanno assunto posizioni dure sul tema dell'immigrazione, generando speculazioni sulla possibilità di un avvicinamento dell'Austria al blocco composto da Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia. Kurz ha invitato a evitare "eccessi di interpretazione", spiegando che "ci sono misure e iniziative su cui abbiamo l'appoggio dei paesi dell'Europa occidentale. Altre su cui saremo forse applauditi dai paesi di Visegrad e altre ancora dove siamo d'accordo con tutti e 27 gli Stati dell'Ue". Ha quindi invocato un'Unione europea forte sulle "grandi questioni" come la sicurezza dei confini, ma capace di lasciare molte decisioni ai singoli paesi e regioni.

L'Austria ricoprirà la presidenza di turno nella seconda metà dell'anno, quando l'Ue dovrebbe mettere a punto i termini della Brexit. "Spero davvero che riusciremo a organizzare un'ordinata uscita da parte della Gran Bretagna", ha detto Kurz. (ANSA).
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven gen 05, 2018 10:33 pm

Austria: Minniti, su Brennero Kurz non lungimirante
Ministro alla Welt, militarizzarlo non è stato incoraggiamento
05 gennaio 2018

http://www.ansa.it/nuova_europa/it/noti ... c7ed7.html

(ANSA) - BERLINO - "Non è stato molto lungimirante arrivare con i carri armati al Brennero, proprio mentre l'Italia aveva preso seriamente la politica sui profughi. Qual era il messaggio? Voleva essere un incoraggiamento? Direi allora che io non l'ho inteso come tale". Il ministro dell'Interno Marco Minniti risponde così, in un'intervista a die Welt, alla domanda su che opinione abbia del nuovo cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. (ANSA).




Migranti, altro schiaffo all’Italia: l’Austria schiera i carri armati al Brennero
di Carmine Crocco
martedì 4 luglio 2017

http://www.secoloditalia.it/2017/07/mig ... l-brennero

L’Italia riceve l’ennesimo schiaffo. Quattro mezzi corrazzati «Pandur» sono stati avvistati al Brennero e potrebbero essere utilizzati delle forze armate austriache nelle operazioni di controllo sull’immigrazione al confine annunciate dal ministro della difesa Hans Peter Doskozil. Immediata la risposta della Farnesina: «Convocato l’Ambasciatore austriaco a Roma, René Politzer». Lo schiaffo brucia.

Il dispositivo di controllo austriaco potrebbe essere già attivo in meno di tre giorni: un dispiegamento di forze che comprende 750 militari, 450 dei quali saranno messi a disposizione da reparti stanziati nella regione del Tirolo, mentre i restanti verrebbero dal comando militare della Carinzia. «I preparativi per i controlli alla frontiera con l’Italia non sono solo giusti ma anche necessari. Noi ci prepariamo e difenderemo il nostro confine del Brennero se ciò sarà necessario». Ha commentato il ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz.

I carri armati sono ovviamente una misura del tutto sproporzionata rispetto all’emergenza migranti. Basta e avanza un robusto spiegamento di polizia. Però evocare l’esercito e i carri armati è cosa che colpisce l’immaginario collettivo e crea consenso tra una popolazione allarmata come quella austriaca. Non è altro che un espediente propagandistico, che però fa risaltare tutta l’insipienza delle governo italiano. Fanno ridere, certo, gli austriaci con i loro carri armati al Brennero contro gli immigrati. Ma fa ancor più ridere il governo Gentiloni, che prima promette di bloccare i porti e poi si lascia nuovamente irretire dalle chiacchiere di Bruxelles e degli altri partner europei. E poi ci stupiamo se il governo austriaco si mette fare facile propaganda contro l’Italia, con la scusa dei migranti
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom gen 07, 2018 10:19 pm

La Germania ci riprova con la grande coalizione: quali sono gli ostacoli all’intesa
vittorio sabadin
2018/01/07

http://www.lastampa.it/2018/01/07/ester ... agina.html

In Germania l’anno nuovo inizia così com’era finito quello vecchio: senza un nuovo governo e con i partiti impegnati a sondare le possibilità di dar vita a nuove alleanze. Questa mattina è così iniziato un nuovo round nella sempre più difficile e complessa ricerca di una maggioranza di governo. I partiti dell’Unione di centro-destra (Cdu e Csu) di Angela Merkel e i socialdemocratici di Martin Schulz si sono riuniti assieme per sondare le possibilità di formare assieme un’ennesima Grosse Koalition. Dopo il fallimento delle trattative per una coalizione “Giamaica” fra Cdu Verdi e Liberali, quella del governo di ampie intese è ormai l’unica opzione rimasta per dare alla Germania un governo stabile. Se anche questa dovesse fallire, non resterebbe altra alternativa se non quella di un ritorno anticipato alle urne.

Per Angela Merkel la posta in gioco è molto alta. Le trattative con l’Spd per dar vita a quella che nel corso della sua lunga carriera sarebbe già la terza Grande coalizione, sono tutt’altro che semplici e prive di rischi. I socialdemocratici, che dopo il loro tracollo elettorale alle politiche del 24 settembre, avevano categoricamente escluso un loro ritorno al tavolo di governo, tenteranno di vendere cara la loro pelle e il loro ingresso in una nuova maggioranza guidata dalla Merkel. L’Spd esige così l’abolizione delle casse malati private, un massiccio programma d’investimenti pubblici nell’infrastruttura pubblica, nelle scuole e nella rete digitale, una riforma dell’Unione europea accogliendo le proposte fatte a riguardo dal Presidente francese Macron e un piano a favore dei ricongiungimenti familiari dei profughi che già hanno ottenuto diritto d’asilo in Germania. Gran parte di queste proposte tuttavia vengono respinte dall’Unione cristiano-sociale di Horst Seehofer, la costola bavarese della CDU di Angela Merkel e da sempre l’anima conservatrice e tradizionalista del centro-destra.

Per il loro giro di consultazioni preliminari, Cdu, Csu ed Spd hanno fissato cinque sedute e un codice di comportamento con i giornalisti molto severeo e disciplinato: niente comunicati stampa, niente twitter ed embrago di tutte le partecipazioni alle talk show televisive e r radiofoniche per l’intera durata dei negoziati. Se questo primo giro di incontri dovesse risultare proficuo, i delegati socialdemocratici decideranno nel corso di un congresso straordinario fissato il 21 gennaio prossimo a Bonn se proseguire o meno le trattative col centro-destra per una riedizione della Grosse Koalition. Questa potrebbe essere poi insediata al più presto entro le festività pasquali.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom gen 28, 2018 4:35 pm

Repubblica ceca, rivince il presidente filorusso e xenofobo: all'Est nuova sconfitta europeista
Milos Zeman, presidente ceco riconfermato dal voto, durante il suo discorso di ringraziamento che ha tenuto a Praga (afp)
Al ballotaggio delle presidenziali il capo dello Stato uscente Milos Zeman ha sconfitto Jiri Drahos col 52 per cento contro il 48 con una campagna elettorale di colpi bassi anche sui social. Rafforzata la linea dura del "gruppo di Viségrad", composto da Polonia, Cechia, Ungheria e Slovacchia, e ostico a Bruxelles
di ANDREA TARQUINI
27 gennaio 2018

http://www.repubblica.it/esteri/2018/01 ... -187431018

NUOVA seria sconfitta dell´europeismo nell'Europa centro-orientale. Nella civilissima, avanzata Repubblica ceca il capo dello Stato uscente, il russofilo nazionalpopulista xenofobo Milos Zeman, ha sconfitto lo sfidante europeista accademico Jiri Drahos al ballotaggio delle elezioni presidenziali a suffragio universale. Zeman conquista dunque un secondo mandato.

Ha vinto, secondo i risultati definitivi, con una percentuale di almeno il 52 per cento dei voti espressi, contro il 48 per cento di Drahos. Quest'ultimo con lealtà è stato velocissimo nel dichiararsi sconfitto in pubblico.

Le elezioni presidenziali a Praga erano e sono importanti come test delle tendenze e degli umori generali nel Centro-Est dell'Unione europea. Rafforzano la linea dura del "gruppo di Viségrad" (composto da Polonia, Cechia, Ungheria e Slovacchia) a fronte di Bruxelles, su quasi tutti i temi costitutivi del futuro dell'Unione europea e contro i nuovi piani d'integrazione Ue franco-tedeschi.

Zeman è in sintonia con i leader polacco e magiaro, Jaroslaw Kaczynski e Viktor Orbán, popolari e liberamente eletti. E, tra tutti, il numero uno di Viségrad, è il più russofilo, il più gradito all´aggressiva Russia di Putin. Zeman dice no alle quote di ripartizione di migranti, chiede - come hanno fatto poche ore prima del voto i quattro premier dei paesi di Viségrad ospitati da Orbán a un summit a Budapest - un'Europa di nazioni sovrane. Vuole la fine delle sanzioni occidentali contro Mosca per l'annessione della Crimea, punta sui rapporti economici con i russi nonostante la Cechia membro di Ue e Nato sia altamente integrata con le altre economie industriali della Ue. E tende a respingere ogni critica o richiesta della Commissione europea sul rispetto dei valori costitutivi dello Stato di diritto.

"Sono comunque contento dell'energia europeista che abbiamo saputo esprimere con queste elezioni, continueremo a batterci", ha commentato a caldo lo sconfitto europeista Drahos, intervistato questa settimana in esclusiva da La Repubblica. Ma la paura della perdita di sovranità, e un timore esasperato dell'ondata di migranti hanno avuto la meglio sugli slogan europeisti, democratici, occidentali del 68enne sfidante.

Zeman ha condotto una campagna elettorale di colpi bassi anche sui social forum, calunniando assurdamente Drahos come pedofilo, ex agente della feroce StB (la disciolta polizia segreta della vecchia dittatura comunista, da cui invece Drahos fu perseguitato) e come politico al servizio di oscure forze economiche multinazionali. Una frase che suona come implicita accusa antisemita e come avallo alle teorie diffuse di presunto strapotere delle comunità ebraiche internazionali. Lo ha anche accusato di voler far invadere la Cechia da una marea umana di migranti esuli e profughi, sebbene attualmente quelli accolti siano appena 116.

La partecipazione al voto al secondo turno è stata del 66,5 per cento, ben superiore alla media nel paese. Ma il massiccio appoggio a Drahos da parte di molti elettori di Praga e altre grandi città non è bastata.

Con la conferma di Zeman si salva anche Andrej Babis, detto Babisconi, il tycoon secondo uomo piú ricco del paese. Leader del partito antiestablishment ANO, è premier designato che si è visto appena togliere l'immunità parlamentare perché indagato di malversazione e dunque ha dovuto dimettersi. Zeman che lo ha sempre appoggiato senza riserve gli aveva promesso di rinnovargli l'incarico.

Ai giornalisti che lo criticano in conferenze
stampa, il vincitore delle elezioni di oggi ha a volte mostrato un Kalashnikov di legno dicendo "bisognerebbe trattarvi con questo".
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom feb 04, 2018 9:40 pm

I (veri) nemici dell’Europa
Giulio Terzi di Sant'Agata
2018/02
http://www.lintraprendente.it/2018/02/i ... delleuropa

I candidati che proclamano la necessità di avere “più Europa” si guardano bene dal ricordare e da difendere i principi sui quali il Vecchio Continente si fonda. A partire dal rispetto dei diritti umani. Farlo creerebbe loro qualche problema con regimi sanguinari e repressivi (vedi Iran) con cui sostengono la necessità di dialogare...

Pubblichiamo un estratto dell’intervento che l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata ha tenuto lunedì 29 gennaio al convegno organizzato alla Camera dei deputati dall’associazione Fare Futuro.

Una politica estera e di sicurezza che intenda affermare nel Mediterraneo e in Medio oriente “più Europa” , ma che voglia farlo in chiave esclusivamente affaristica e rinunciataria della propria identità, porta dritto allo smarrimento dell’Europa, non a un’Europa che si rafforza. Sembra assurdo che ciò avvenga proprio sulle sponde del Mediterraneo che hanno visto nascere il pensiero, la cultura, l’identità dei popoli europei. Ma questa è la sensazione che danno le Istituzioni dell’Unione, i Governi italiani e i candidati alle imminenti elezioni politiche che proclamano la necessità di avere “più Europa” sulla scena mondiale ma si guardano bene dal ricordare i principi sui quali l’Europa si fonda. Essi sorvolano su questi principi in reverente ossequio alle “sensibilità “ di regimi che non hanno alcuna parvenza di democrazia, mentre sono in atto da parte di quei regimi repressioni violente del dissenso politico, incarcerazioni arbitrarie e esecuzioni. Il silenzio dell’Europa e lo smarrimento dei suoi valori, come in altre terribili stagioni della nostra storia, è un potente stimolo per regimi sanguinari e corrotti . Ignorando la centralità dello Stato di Diritto nella politica estera e di Sicurezza l’Italia e le Istituzioni comunitarie stanno facendo perdere all’Europa la sua vera anima: quella dei principi fondanti dei Trattati Europei, obbligatori per tutti gli Europei‎. Credo non dobbiamo stancarci di dirlo in questa stagione elettorale.

Uno dei più grandi giuristi contemporanei è stato il professor Cherif Bassiouni. Tra gli internazionalisti degli ultimi decenni ha decisamente influito sulla tutela avanzata dei diritti umani attraverso i meccanismi della giustizia transizionale delle Nazioni Unite, fortemente sostenuti dall’Italia. Bassiouni, ci ha lasciato il 25 settembre scorso. Aveva accettato con entusiasmo di presiedere il Consiglio Scientifico del “Comitato Globale per lo Stato di Diritto-Marco Pannella”. Il suo ultimo libro – The “Chronic of the Egyptian Revolution”, è una descrizione documentatissima di quanto avvenuto nel Mediterraneo a partire dalla rivoluzione egiziana e dalle Primavere Arabe del 2011, sino alla immane tragedia della distruzione della Siria e del suo popolo. “Chronic of the Egyptian Revolution”, si conclude con la citazione di Charles Dickens da “A Tale of Two Cities”. Uno spunto letterario, si potrà dire, ma rilevante in un dibattito sul rapporto tra Europa e Mediterraneo. Nella contrapposizione Dickenseniana tra città della luce e città delle tenebre si possono anche oggi intravvedere le scelte per una nuova politica estera dell’Italia e dell’Europa nel Grande Mediterraneo.

Ci vuole una nuova politica estera non soltanto perché l’emarginazione dell’Europa e dell’Occidente dalla gestione politica, diplomatica e militare delle crisi durante gli ultimi sette anni- pesa negativamente sulla sicurezza dell’Europa, sulla coesione e stabilità sociale dei nostri Paesi, su nostri diretti interessi nazionali .L’emarginazione europea e soprattutto dell’Italia – Londra e Parigi hanno per parte loro dato prova di capacità di intervento ben diverse dalle nostre- e la rinuncia supina all’affermazione dell’identità europea e dell’interesse nazionale fanno si che nel Mediterraneo, ormai, l’Europa stia perdendo la sua anima nel senso letterale del termine.
Infatti:

– la politica estera e di sicurezza dell’UE sta affrontando in modo insufficiente e parziale la questione delle migrazioni: ritenendole soltanto una questione umanitaria quando esse devono essere considerate un aspetto fondamentale per la nostra sicurezza dentro e fuori i confini dell’Europa. Lo documenta perfettamente il rapporto sul progetto di ricerca realizzato dal CeNASS lo scorso maggio, pubblicato a cura di Paolo Quercia ;

– resta ugualmente ambigua, debole, insoddisfacente la definizione di una strategia comune nei rapporti con la Russia – dopo l’annessione della Crimea – sulla riduzione e il controllo degli armamenti convenzionali, strategici e sub strategici nel continente europeo, in particolare le armi nucleari vietate dal Trattato INF del 1987;

– rimane altrettanto incomprensibile quale linea l’Unione, e l’Italia in particolare , intendano seguire su Siria, Iraq, Yemen – tutte tessere del puzzle Iraniano – oltre che su Libia e Sahel ;

– mentre tutto questo è sotto i nostri occhi, abbiamo completamente e vistosamente rinunciato nell’affermazione di principi sui quali si basa prima di ogni di altra cosa la costruzione dell’Unità europea, la sua integrazione politica ed economica, e la sua identità culturale.

L’Europa perde la sua anima nel Mediterraneo quando l’Alto Rappresentante Federica Mogherini evitare sistematicamente di porre su qualsiasi tavolo dei negoziati con l’Iran, il rispetto delle libertà politiche, economiche e sociali della popolazione iraniana. Personalità del nostro Governo e di altri paesi europei fanno la stessa cosa. Non ci si vergogna di ignorare gli ottomila e più manifestanti arrestati negli ultimi giorni dello scorso anno, e quelli uccisi a decine durante le dimostrazioni, eliminati in carcere e impiccati perché si battono contro la corruzione e la repressione di un’intero popolo.

Ci sono chiare domande da porci. Non è fatto un obbligo dai Trattati a ciascuno Stato Membro dell’Unione Europea e a tutte le istituzioni comunitarie di porre al centro dei rapporti dell’Unione con tutti gli altri Stati il rispetto dei Diritti umani e dello Stato di Diritto? Non è quest’ obbligo sancito dai Trattati e da una miriade di decisioni dei Consigli europei, delle linee guida e di piani d’azione, come quelli sulla libertà di religione e di pensiero (FORB)? E non sono questi obblighi sottoscritti, conclamati, propagandati dal nostro Governo ma allo stesso tempo completamente ignorati nei fatti? Il Ministro dell’Economia Padoan ha celebrato nella sala Ciampi del suo Dicastero con il suo collega iraniano la concessione di linee di credito miliardarie, finanziate direttamente o indirettamente dal contribuente e dal risparmiatore italiano, proprio mentre il sangue scorreva nelle strade di decine di città iraniane. Si tratta delle linee di credito che saranno gestite da Invitalia, ai sensi dell’ultima Legge di Bilancio. Da essa il Governo ha voluto persino escludere emendamenti che erano stati saggiamente proposti per ribadire gli impegni derivanti dalle norme europee contro il riciclaggio con finalità terroristiche. Il segnale dato a Teheran dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene è quindi che l’Italia non sarà troppo “fiscale” sulla destinazione dei finanziamenti ad entità filo terroristiche – sanzionate dagli Usa e dall’Europa- o coinvolte nella gestione spesso disinvolta del sistema bancario iraniano.

L’Europa ha cancellato dal radar i diritti umani, la dignità dell’individuo, i diritti economici e sociali, la libertà religiosa, di credere e di non credere, il pluralismo politico. Siria, Iran, Egitto, Tunisia, Libia, sono le tappe dell’indifferenza europea e della nostra irrilevanza. Da sette anni gli orrori del genocidio siriano sono lo specchio che continuiamo a ignorare delle nostre incapacità.
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