La Merkel perde colpi: Germania a rischio?14/12/2017
http://www.huffingtonpost.it/federico-l ... a_23297819Chi lo avrebbe mai detto che dopo dodici anni di governo e di successi, suoi e della Germania, Angela Merkel avrebbe imboccato il suo viale del tramonto, eppure sembra che stia proprio per accadere a due mesi scarsi dalle ultime elezioni tedesche dove, pur arrivando prima, ha accusato un'emorragia di voti che l'hanno dissanguata.
Le conseguenze sono state drammatiche visto che ha perso la maggioranza e per formare un nuovo governo si è dovuta rivolgere sia al Diavolo che all'Acqua Santa. Troppe le differenze tra i partiti incaricati di formare il governo per poterci passare sopra, d'altro canto non era nemmeno difficile immaginare una cosa del genere considerando le distanze abissali tra i Verdi e i Liberali teutonici in più, a quanto pare, non è che ci fosse grande fiducia tra i leader dei suddetti.
In realtà l'impresa della Cancelliera appariva disperata sin dall'inizio perché mischiare l'olio con l'acqua non è possibile e per quanto ci si sforzi resteranno sempre divisi visto che uno è un partito con una forte identità di sinistra, mentre l'altro ha una visione della società più conservatrice o addirittura con lo sguardo rivolto a destra.
Lo scoglio principale su cui è naufragato il vascello della Merkel è stata l'immigrazione, fiore all'occhiello della sua politica in questi ultimi anni e in particolare il ricongiungimento familiare per gli immigrati siriani che hanno ottenuto lo status di profughi. Il governo lo aveva sospeso per due anni, i Verdi ne volevano il ripristino subitaneo, mentre i Liberali non ci pensavano proprio e anzi chiedevano una nuova legge sull'immigrazione, meno aperta della precedente.
Era quindi difficile, per non dire impossibile, raggiungere un accordo. Intendiamoci non era questo il solo problema ce ne erano altri sul tavolo, insomma se uno si fa chiamare Verde come minimo sarà uno attento all'ambiente, anche troppo magari, e cosa può avere in comune con uno che si fa chiamare Liberale che certamente è più interessato agli affari che ai fiori? Direi nulla.
Cosa accadrà ora? Non ne ho idea, tuttavia è chiaro che questa instabilità della Germania non potrà non riverberarsi sull'intero sistema Europa, sino a ora al traino di questa grande e salda democrazia, e la principale conseguenza sarà una paralisi delle sue istituzioni nell'attesa che questo nodo venga sciolto perché i tedeschi non sono mica come gli italiani da sempre abituati ad avere governi travicelli, crisi istituzionali e consultazioni più o meno permanenti.
Costoro è dalla fine della prima guerra mondiale che non attraversavano una congiuntura del genere e quindi avranno i capelli ritti sulla testa e vivranno la situazione con un peso e una responsabilità sconosciuti alla nostra politica che, anzi, in quel mare ci nuota come un pesce. In questo ore si riparla di Große Koalition con la Spd di Shulz e c'è già il sì del partito della Merkel, manca quello della sinistra tedesca, sonoramente bocciata alle ultime elezioni, ma immagino che arriverà perché le elezioni non convengono nemmeno a loro, per cui non ci resta che attendere ancora qualche giorno per rivedere la Signora Merkel di nuovo in sella pronta a riprendere la sua giostra.
Vedremo se avrà sempre lo stesso cipiglio, nonostante i bozzi e le bende che si porta addosso, o se invece assumerà un atteggiamento più indulgente e se a maggio brancolerà ancora nel buio allora gli basterà volgere un sguardo al Bel Paese per capire come si possa governare tra cime tempestose, acque perigliose e venti di passioni.
Germania, le «divergenze parallele» dei grandi partitiMarco Bascetta
17 dicembre 2017
https://ilmanifesto.it/germania-le-dive ... di-partitiSi dice che la somma di due debolezze non produca una forza ma una debolezza maggiore.
La formula può non avere validità universale ma al tentativo di ripristinare in Germania la Grande coalizione tra i socialdemocratici della Spd e i democristiani della Cdu\Csu si attaglia perfettamente. Su quale esito avrà questa trattativa è inutile azzardarsi a pronosticare. La faccenda si annuncia lunga, tortuosa e assolutamente incerta.
L’evidente dato di partenza è che entrambi i due grandi partiti di massa hanno subito una formidabile emorragia di voti. Il nuovo millennio ha visto ridursi della metà il numero degli elettori socialdemocratici, cosicché il vecchio Oskar Lafontaine ha gioco facile nel sentenziare: «Il problema è assai semplice, se una politica allontana gli elettori, allora bisogna cambiare politica».
Già, ma come? Un partito è più la sua storia recente (si intende quella di un paio di decenni) che quella remota.
L’attuale Spd è ben più vicina alle riforme liberiste di Gerhard Schröder che a Willy Brandt, per non parlare di una più combattiva antichità socialista.
Questo vale tanto per la soggettività di funzionari e apparati quanto per l’immagine che perviene agli elettori.
L’essere il più antico partito socialdemocratico d’Europa non procura più alcun vantaggio, semmai il contrario. La Spd si identifica insomma con quella pratica di governo e di solerte garanzia della stabilità che ha segnato tutta la sua storia più recente, alienandole la simpatia degli elettori. Il problema appare dunque senza soluzione.
Le affinità tra i due grandi partiti popolari sono andate accentuandosi negli anni sotto l’abile guida governativa di Angela Merkel, rendendo, soprattutto per la Spd (il partner minore), sempre più indispensabile marcare le differenze.
Ma anche la Cdu, e in particolar modo la Csu bavarese, ha perso molti voti a favore della destra, con la conseguente propensione a ripristinare un profilo più nettamente conservatore.
Ecco dunque il paradosso della Grande coalizione: dovrebbero darle vita due partiti che vivono la medesima necessità politica di distanziarsi nettamente l’uno dall’altro, sottolineando caratteri reciprocamente alternativi.
In queste condizioni il compromesso è un’impresa quasi disperata. Nonostante il totem della stabilità politica, della responsabilità verso il paese, e le confortevoli abitudini degli apparati all’amministrazione dell’esistente.
Per rovesciare una celebre formula del lessico politico italiano ai tempi della prima repubblica, Spd e Cdu\Csu dovrebbero disporsi su un piano di «divergenze parallele». Se non fosse che in Germania la distinzione tra geometria e commedia non è stata mai accantonata.
Martin Schulz tenta la fuga in avanti verso gli «Stati Uniti d’Europa» che dovrebbero prender forma, almeno nei tratti più essenziali, entro il 2025. Dopodomani. E, subito, c’è chi gli rimprovera di voler abbandonare il concreto pragmatismo della Socialdemocrazia a favore di un «astratto e vetusto internazionalismo» inutilmente visionario.
Ma anche proiettando ragionevolmente la politica tedesca sulla dimensione europea (di sponda con Macron) non si sfugge in nessun modo al solco sempre più profondo che divide le prospettive politiche dei due grandi partiti chiamati a coalizzarsi. Schulz non potrebbe rinunciare a una visibile coloritura sociale dell’Unione europea, così come il fronte conservatore a una riproposizione del rigore in chiave di «priorità nazionale». Una bandiera sventolata tanto dai liberali della Fdp quanto dai nazionalisti di Afd premiati alle elezioni di settembre e in concorrenza fra loro.
Se si volesse tratteggiare lo stato d’animo che ha alimentato questa tendenza e condiziona ora il partito di Merkel e dei suoi alleati bavaresi è quella nota sindrome che spinge i ricchi a vedersi insidiati da scrocconi, postulanti e profittatori d’ogni risma.
La Repubblica federale è indubbiamente uno dei paesi più ricchi del mondo e anche i numerosi cittadini che da questa ricchezza sono in diversa misura esclusi se ne sentono parte, non di rado imputando questa loro condizione sfavorita ai suddetti profittatori europei o immigrati.
È questa percezione, ben più significativa del campanile e del folklore nazionalista che appassiona l’estrema destra e i paladini dell’Occidente, che dovrebbe essere smontata. Non può esserlo, tuttavia, con espedienti retorici, modeste misure di correzione sociale o scontati proclami antifascisti.
Servirebbe rimettere radicalmente in questione la politica condotta dalla Spd nell’ultimo ventennio.
Una prospettiva che non rientra in nessun modo nel quadro di una riedizione della Grosse Koalition e probabilmente neanche nell’attuale soggettività politica della Socialdemocrazia, la cui crisi non sembra ancora avere toccato il fondo, come è invece accaduto in altri paesi europei.
La Germania resta bloccata e l’Europa di conseguenza.
Lo schiaffo Volkswagen: "Merkel, cambia marcia"Daniel Mosseri - Dom, 24/12/2017
La crescita c'è, il governo non ancora. E la casa automobilistica suggerisce: "Via le vecchie facce"
Berlino - Secondo l'Istituto per la ricerca economica (Ifo) di Monaco di Baviera la Germania va avanti da sé.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 77240.htmlPriva di un governo nella pienezza dei suoi poteri ormai da tre mesi, la Repubblica federale dovrebbe comunque chiudere il 2017 con una crescita del 2,3 per cento, alla quale seguirà un'espansione del Pil del 2,6 nel 2018 e del 2,1 l'anno dopo. Altri paesi europei come l'Olanda, la Spagna e il Belgio sono rimasti per molti mesi senza un esecutivo, riuscendo in economia anche meglio che in periodi normali. Le rosee previsioni dell'ascoltatissimo istituto bavarese non bastano tuttavia a tranquillizzare gli imprenditori tedeschi. Giovedì scorso il direttore generale della Federazione dei datori di lavoro (Bda), Steffen Kampeter, ha chiesto alla Cdu della cancelliera Angela Merkel e al partito socialdemocratico (Spd) di «non attardarsi in discussioni prolungate ma di concentrarsi piuttosto sulla formazione rapida di un governo che guidi la crescita della Germania». I due mesi di negoziati esplorativi sprecati nel tentativo di formare una coalizione nero-giallo-verde (Giamaica) seguiti da un altro mese di tira e molla fra Cdu e Spd hanno stufato anche il presidente di Confindustria tedesca (Bdi): «Ci aspettiamo che il governo sia formato il prima possibile», ha detto Dieter Kemp, augurandosi che la pausa natalizia porti consiglio alle parti. È stato lo stesso istituto Ifo a notare a inizio settimana che l'indice della fiducia delle imprese è calato a 117,2 punti a dicembre rispetto al picco di novembre (117,6). Per assicurarsi che il messaggio di Bda e Bdi sia ben ascoltato, è sceso in campo un pezzo da novanta dell'industria tedesca: «Ci stanno mettendo troppo tempo», ha affermato alla Welt l'ad di Volkswagen Matthias Müller. Per il numero uno dell'industria automobilistica tedesca non è più tempo di traccheggiamenti in politica. Dopo essersi detto «piuttosto deluso» per il naufragio della Giamaica che avrebbe portato al governo «uno spettro molto ampio di elettori, con una grande varietà di personaggi diversi» (traduzione: un po' di facce nuove pro impresa rispetto ai soliti socialdemocratici concentrati sulla spesa pubblica), Müller ha esortato Merkel&Co a riformare la politica tedesca. «Io comincerei dai ministeri», ha insistito il manager spiegando che oggi sono almeno quattro i dicasteri competenti per mobilità e trasporti. Troppi per un'industria automobilistica in cerca di una nuova reputazione dopo il Dieselgate, lo scandalo della falsificazione delle emissioni delle vetture diesel. È di queste ore la notizia che VW ha patteggiato un accordo provvisorio con i querelanti canadesi. Finora in Nord America VW ha versato 25 milioni di euro fra multe e risarcimenti legati alla falsificazione delle emissioni. Intanto la Bild ha diffuso la notizia che la casa automobilistica di Wolfsburg ha licenziato il responsabile VW per la conformità negli Usa, Oliver Schmidt, arrestato lo scorso gennaio a Miami e appena colpito da una sentenza a sette anni per frode e violazione del Clean Air Act (la legge sull'inquinamento atmosferico). Trovato il «capro espiatorio globale», ha scritto la Bild, VW vuole rimettersi a lavoro.