Poledega

Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven mag 03, 2019 6:40 pm

Gran Bretagna, trionfo lib-dem: crollano conservatori e laburisti
Francesco Boezi
Mag 3, 2019

http://www.occhidellaguerra.it/elezioni ... n-bretagna

Le elezioni locali inglesi, quelle che interessavano pure almeno sei città di rilievo, dovevano raccontare una storia già scritta: la caduta dei Tories e la risalita elettorale dei laburisti di Jeremy Corbyn. Doveva andare così, ma le previsioni statistiche sulle tendenze politiche del Regno unito hanno iniziato a vacillare dai tempi del referendum sull’uscita dall’Unione europea. Partiamo dal primo dato emerso: gli elettori non hanno premiato l’attuale gestione del caso Brexit, prescindendo dalla parte politica rappresentata.

Certo, a governare oggi sono Theresa May e il partito conservatore, ma la bocciatura, quando si tratterà di votare per il rinnovo del Parlamento europeo, cioè il prossimo 23 maggio, potrebbe riguardare tutta la partitocrazia britannica. Quella che, spendendosi per una causa o per l’altra, ha gestito queste storiche e convulse fasi. Questo è quello che suggeriscono i dati parziali di questa turnata. A vincere, considerando il segno più davanti ai 293 seggi conquistati, sono stati i liberal – democraticiche, come evidenziato da Repubblica, erano spariti dall’agone da un pezzo.

Non è certificabile la performance del Brexit Party di Nigel Farage, che i sondaggi hanno iniziato a dare attorno al 30%, dopo il 27% di partenza, ma solo perché la nuova creatura politica del primo leader populista continentale è nata da troppo poco tempo. Nigel Farage a maggio sarà sulla lista elettorale, con tutto quello che può comportare. Le carte potrebbero essere rimescolate e l’attuale bipolarismo potrebbe desistere sotto i colpi delle urna elettorali. Bisognerà, variabili permettendo, dividere i voti per quattro. Ma le elezioni locali, com’è noto, rispondono a logiche differenti. L’equilibrio nel giudizio, in questi casi, non è mai troppo.

Intanto nulla sembra accadere per scongiurare il voto europeo. La May e Corbyn dialogano, ma la lancetta scorre inesorabile. Se Nigel Farage dovesse confermare quello che i sondaggi ventilano, allora la dialettica interna, anche quella tra i partiti, cambierebbe e di molto. Se non altro perché i cittadini del Regno unito dimostrerebbero di non aver affatto cambiato idea rispetto alla consultazione del 23 giugno 2016.

Il quadro – come vedete – è davvero complicato. Tutto ruota attorno al Brexit Party: le elezioni di maggio costituiscono, in qualche modo, un appuntamento referendario mascherato. Se Farage dovesse sbancare – lo agitiamo ancora – il tema “Hard Brexit” non potrebbe più essere affrontato alla stregua di una mera ipotesi. C’era un assente giustificato a queste elezioni: lo stesso esponente politico che potrebbe contribuire a cambiare di nuovo il corso della storia Uk.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 10:01 pm

Austria, terremoto sul governo: Kurz chiede le elezioni anticipate
18 maggio 2019

https://www.ilmessaggero.it/mondo/austr ... 00321.html

Terremoto politico in Austria. A pochi giorni dalle elezioni europee, il leader dell'estrema destra Hans Christian Strache si dimette da vice-cancelliere. E il cancelliere Sebastian Kurz chiede elezioni anticipate «il prima possibile» al presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen: il quale domani potrebbe comunicare la data del voto.

«Non ci sono alternative: con la Fpoe una collaborazione è impossibile, perché quando è troppo è troppo. I socialdemocratici non condividono le nostre posizioni e gli altri partiti sono troppo piccoli», sostiene il 32enne 'enfant prodigè dei popolari austriaci. Strache, il 'delfinò di Haider, si dimette dopo che, in un video ripreso di nascosto e diffuso dai media tedeschi, si è saputo di un suo incontro a Ibiza, nel 2017, con una sedicente nipote di un oligarca russo, Aljona Makarowa, che si offriva di investire circa 250 milioni di euro per acquisire quote del quotidiano «Kronen Zeitung», con soldi in nero di provenienza ignota. La donna era in realtà un'adescatrice e l'incontro a Ibiza una vera e propria trappola.

Nel video il vice-cancelliere austriaco e il suo braccio destro Johann Gudens si lanciano in elogi del sistema con cui Viktor Orban controlla la stampa. E propongono alla russa di finanziare l'Fpoe in forme «discutibili», attraverso circoli ed associazioni per aggirare le leggi austriache sul finanziamento ai partiti. Strache e Gudens avevano confermato l'incontro, ricordando «un'atmosfera di festa e di bevute». Strache denuncia che «i giornali hanno atteso due anni per perpetrare questo attentato politico messo in scena segretamente». Poi si commuove, si scusa soprattutto con la moglie, ammette di essersi «comportato come un teenager», di aver «detto cose sotto influenza dell'alcol».

Al Capo dello Stato la vicenda non è piaciuta per niente: «L' Austria non è così», dice Van der Bellen, stigmatizzando «l'intollerabile mancanza di rispetto ai cittadini». Nel frattempo, nella Ballhausplatz, davanti al palazzo della Cancelleria a Vienna si riuniscono in circa 5000 per protestare. E dalla Germania parte un duro attacco contro i populisti. «Non abbiano ruoli di responsabilità in Europa, sono pronti a vendersi per un pezzo di pane», tuona la leader della CDU tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer. E il ministro degli Esteri di Berlino, Heiko Mass della Spd, facendo pressing su Kurz perchè scarichi la FPOE, ribadisce che «I populisti di destra sono i nemici della libertà. Fare causa comune con i populisti di destra è irresponsabile».

A questo punto, forte dei sondaggi che vedono i Popolari austriaci in forte crescita, Kurz decide di tornare alle urne «al più presto possible». Prende le distanze alla velocità della luce dagli ex alleati, che scarica senza complimenti: «Quando è troppo è troppo. La Fpoe danneggia il nostro Paese. È in contrasto con il principio del servizio per il Paese e in questi due anni ho dovuto mandar giù troppo pur di fare le riforme», sostiene. Ed è già in modalità «campagna elettorale» quando chiede agli austriaci: ora votatemi e rafforzatemi. Il Capo dello Stato annuncia elezioni anticipate, senza però indicare una data.



Austria, via il vice-cancelliere. Il governo cade sul video choc
Daniel Mosseri - Dom, 19/05/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 97382.html

Strache, leader dell'ultradestra Fpö, ripreso a trattare di finanziamenti illeciti russi. Kurz: «Troppo, voto anticipato»

Berlino «Quando è troppo, è troppo. Io non sono qua per restare al potere ma per lavorare per il Paese».

Con queste parole, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz del partito popolare (Övp) ha annunciato sabato sera che chiederà al capo dello Stato Alexander van der Bellen di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. Ad aprire la crisi era stato poche ore prima il vicecancelliere austriaco Heinz-Christian Strache del Fpö, il Partito della Libertà, formazione xenofoba e populista tornata al potere a Vienna 15 mesi fa in coalizione con l'Övp di Kurz. Strache si era dimesso travolto dall'Ibizagate: ossia dall'apparizione sui media tedeschi Der Spiegel e Süddeutsche Zeitung di un video girato a luglio 2017 sull'isola delle Baleari. Nel filmato si vedono Strache e il compagno di partito Johann Gudenus in compagnia di una sedicente oligarca russa, poi rivelatasi un'adescatrice, che ha portato i due politici a esporsi in dichiarazioni compromettenti.

Nel video il gruppo parla di possibili investimenti russi in Austria e di come i due politici potrebbero agevolarli. Frasi scambiate tre mesi prima delle elezioni dell'ottobre 2017, dalle quali uscirà proprio l'attuale governo fra i moderati e la destra dura e pura. «La domanda è se ci sono investitori per la campagna elettorale» dice schietto Gudenus, che funge da interprete con l'ospite straniera. Strache le ricorda che nessun trasferimento di denaro deve essere fatto nelle casse del Fpö ma solo a favore di associazioni che lo sostengano. Scopo non dichiarato è aggirare i controlli della Corte dei Conti. L'oligarca sembra anche interessata a investire nel Kronen Zeitung, il più diffuso tabloid austriaco. «Se riesce a prenderne il controllo qualche settimana prima delle elezioni, anziché al 27% arriviamo al 34%», spiega Strache; per inciso il suo partito otterrà il 26%. Importante, riprende, è che all'investimento faccia seguito l'allontanamento dal giornale di alcuni elementi sgraditi, e l'assunzione di giornalisti più favorevoli all Fpö. «Alcuni fuori, altri dentro: zac, zac, zac!», dice Strache, auspicando l'asservimento generale dei media al potere. Frasi che hanno creato scompiglio in Austria, tanto più che a pronunciarle è l'uomo che ha rilanciato l'Fpö come formazione degli incorruttibili, contrapposta alla «partitocrazia» popolare e socialdemocratica al potere da lustri nel paese.

Esploso lo scandalo, Strache ha provato a difendersi affermando che «nel corso della serata era stato consumato molto alcol» e che le «barriere linguistiche» avevano dato vita a numerose incomprensioni. Parole che non hanno convito Kurz: sabato mattina ha accettato le dimissioni del vicecancelliere; ore dopo ha annunciato il ritorno alle urne. Nel frattempo anche Gudenus si è dimesso da parlamentare, mentre il ministro dei Trasporti Norbert Hofer, già candidato della destra alla presidenza della Repubblica, veniva nominato vicecancelliere. La crisi non poteva però risolversi solo con un rimpasto: nel video i due politici del Fpö nominano anche numerose grandi aziende austriache, fra cui il produttore di armi da fuoco Glock, come possibili finanziatori del partito: le smentite degli interessati sono piovute a raffica.

L'Ibizagate coglie l'Austria nel pieno della campagna per le Europee, trascinando nell'imbarazzo il 32enne Kurz: l'alleanza fra popolari e sovranisti guidata dall'enfant prodige di Vienna era presa da molti a modello per la prossima Commissione Ue. Lo scandalo rimette tutto in gioco: per non rimanere travolto dalle magagne dei propri alleati e dalle proteste dell'opposizione, Kurz ha deciso di ridare la parola agli elettori.


Un comico, una finta russa e una villa. I misteri della trappola a Strache
Articolo di Lorenzo Vita
19 maggio 2019

https://it.insideover.com/politica/mist ... rache.html

È bastato un video per far cadere il governo di Sebastian Kurz e mettere in soffitta la coalizione fra popolari e liberali in Austria. Il leader dell’Fpo, Heinz-Christian Strache, è stato costretto a rassegnare le proprie dimissioni. E il cancelliere Kurz non ha potuto fare altro che accettarle, incontrarsi con il presidente Van der Bellen e certificare la fine del governo. Si andrà a elezioni anticipate.

Ma qualcosa non quadra in questa vicenda. Ed è proprio il video che ha incastrato Strache a destare più di un sospetto. Perché il fatto che si sia trattato di una trappola è ormai acclarato, al netto delle evidenti colpe di un uomo, il vice-cancelliere, che ancor prima di essere eletto prometteva favori in cambio di soldi. E la domanda sorge spontanea: chi c’è realmente dietro questa mossa nei confronti del governo austriaco e del vice-cancelliere?

I misteri di quello che ormai sembra passare alle cronache come l’Ibizagate sono molti. Uno su tutti: chi ha girato il video che ha scosso Vienna? I due giornali tedeschi che hanno ricevuto il filmato, Süddeutsche Zeitung e il Der Spiegel, continuano a dire che non hanno conoscenza di chi abbia inviato il video. È chiaro che non potranno mai dire chi sia la fonte, ma è del tutto evidente che l’identità del “regista” potrebbe far capire subito chi sia la personalità che a monte ha deciso di far scattare il piano anti-Strache. Un piano perfetto e decisamente professionale. Come racconta La Stampa, “è stata affittata appositamente una villa extra-lusso, è stata poi ingaggiata un’attraente donna russa per adescare il politico, negli interni della villa sono state installate poi telecamere nascoste e microfoni per documentare l’incontro ed infine sono stati coperti tutti i costi di viaggio per il leader della Fpö, il suo braccio destro Johann Gudenus e la consorte”. Tutto tenuto nel cassetto per due anni, finché proprio a pochi giorni dalle europee, i due quotidiani fanno saltare il banco con questo filmato.

Altri mistero: chi è la donna? Nessuno, anche in questo caso, sa nulla. Come non si sa nulla di questo fantomatico oligarca russo “vicino a Vladimir Putin” di cui questa donna si spacciava come nipote. Anzi, semmai la misteriosa identità della donna dimostra una cosa: che di russo qui non c’è nulla. La “regia” del Cremlino in realtà è molto probabile che non esiste. Mentre è vero che qualcuno abbia voluto incastrare Strache e Gudenus e l’abbia fatto proprio utilizzando Mosca. Insomma, lo strumento del “Russiagate” esiste e viene usato, ancora una volta, per attaccare il mondo del populismo o del sovranismo occidentale. La Russia non c’è: c’è però il fantasma russo.

Un fantasma cui se ne aggiunge un altro: Jan Böhmermann, il conduttore della trasmissione satirica tedesca Neo Magazin Royal. Dov’è il mistero? In un suo discorso. Anzi, in due. Giovedì, prima di terminare l’ultima puntata del suo programma, Böhmermann ha detto che il giorno dopo in Austria sarebbe scoppiato il caos. Poi, nei giorni scorsi, mentre gli veniva conferito un premio giornalistico a Vienna, si è collegato in video-chiamata scusandosi con il pubblico e i giurati per non essere presente. Il motivo? Ridendo, aveva detto di essere a Ibiza “immerso nell’alcol e insieme ad alcuni esponenti della Fpo” e aggiungendo di essere una donna russa a discutere di come avrebbe comprato il Kronen Zeitung, lo stesso tabloid austriaco inserito nelle trattative fra la “nipote” del magnate russo e Strache. Insomma, il comico sapeva del video già da settimane. Segno che nei media tedeschi il video era noto: ma qualcuno ha tenuto il segreto. E c’è chi punta il dito sui servizi segreti: ma di quale Stato?
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab giu 08, 2019 7:56 pm

Per un'Europa diversa che assomigli sempre di più alla Svizzera
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6880364059

L'Europa che sognamo e che vogliamo
viewtopic.php?f=92&t=2801
https://www.facebook.com/groups/338929683317591


Si spera che la vittoria di Salvini porti ai veneti, ai lombardi e tutti coloro che la vogliono la loro agognata autonomia e responsabilità
https://www.facebook.com/profile.php?id=100017003387674
Si spera che la vittoria di Salvini porti ai veneti, ai lombardi e tutti coloro che la vogliono la loro agognata
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » sab giu 08, 2019 8:06 pm

???

Elezioni Danimarca, trionfo dei socialdemocratici grazie alla linea dura sull'immigrazione
Potrà formare un governo non di minoranza, che è la normalità nel Paese scandinavo. Dura battuta di arresto per la destra euroscettica e xenofoba
di ANDREA TARQUINI
05 giugno 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -228057918

BERLINO - Tempi duri per i sovranisti nell'Europa scandinava. Alle elezioni politiche danesi i socialdemocratici guidati dalla 41enne Mette Frederiksen, hanno battuto nettamente il governo uscente del premier liberalconservatore Lars Løkke Rasmussen. I socialdemocratici potrebbero allearsi con i socialisti popolari, che rappresentano il partito Verde danese. Oltre alla priorità su ambiente e welfare, punto cardine della vittoria della nuova leader dello storico partito socialdemocratico danese è la linea di tolleranza zero sui migranti.

La Danimarca, insieme alla Svezia, è il paese con la più alta densità di migranti dell'Ue. L'ondata ha colpito i paesi scandinavi dopo la decisione unilaterale di Angela Merkel nel 2015 di aprire ogni porta, senza consultare gli altri governi dell'Unione.


I risultati delle elezioni in Danimarca
I socialdemocratici guidati da Mette Frederiksen hanno vinto con oltre il 25% dei consensi. Sarebbero 5 i punti percentuali di vantaggio sui liberali-conservatori del premier uscente Lars Løkke Rasmussen, che governava dal 2015 con l'apoggio degli xenofobi sovranisti del Dansk Folkeparti. Il Dansk Folkeparti crolla dal 21% al 10%. Volano invece i Verdi del Partito socialista progressista che raddoppiano dal 4% all'8%. I socialdemocratici ottengono 90 seggi su 179, conquistando così la maggioranza assoluta.

Adesso Mette Frederiksen avrà ampi margini di scelta per proporre nuove coalizioni. "Facciamo i conti con la realtà, ascoltiamo cosa ci dicono i cittadini, e facciamoci di nuovo forza di governo", ha dichiarato la leader socialdemocratica. Considerando la sua linea dura in tema migrazioni, non si può escludere totalmente neanche un'alleanza al Dansk Folkeparti. Gli elettori socialdemocratici, come confermato anche da alcuni sondaggi, sembrano ad ogni modo a favore di una politica di sostegno all'istruzione, occupazione e ricerca tecnologica. Altro tassello fondamentale è la salvaguardia dell'ambiente: un elettore su tre di età compresa fra 18 e 35 anni pensa che il prossimo governo debba dare priorità alla lotta contro il riscaldamento globale.

La Danimarca, come la Svezia, può vantare trend economici eccellenti. Membro della Ue e della Nato ma non dell'Eurozona, gode di una crescita media del prodotto interno lordo del 2,2%, e una dissoccupazione del 3,7%, inferiore anche a quella della Baviera, Stato federale più ricco della Germania. Un risultato è sicuro: dalle urne danesi esce un segnale positivo per la crescita della sinistra europea.



Elezioni in Danimarca: vince la sinistra che fa la destra e dice no ai migranti
Di Enrico Mingori 06 Giu. 2019

https://www.tpi.it/2019/06/05/elezioni- ... -risultati

Mercoledì 5 giugno in Danimarca si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Folketing, il Parlamento danese. Sono stati chiamati alle urne circa 4 milioni di cittadini [qui tutte le informazioni sul voto].

La sfida era principalmente tra il Partito liberale al governo, Venstre, e il Partito socialdemocratico.

Ma come sono andate le elezioni parlamentari danesi?

A vincere sono stati i socialdemocratici, primo partito con il 26 per cento dei consensi. Un’affermazione personale per la leader Mette Frederiksen, 41 anni, che dal 2015 si è spostata su una linea di contenimento dei flussi migratori, vicina alle politiche del centrodestra.

Sconfitto il partito del premier uscente Lars Loekke Rasmussen. I liberali hanno infatti ottenuto il 23,4 per cento dei voti.

I populisti del Danish People’s Party, dopo il risultato negativo delle europee, ottengono un altro esito deludente, fermandosi all’8,8 per cento. Un crollo di circa 13 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni parlamentari.
Male anche gli altri due partiti populisti di destra: New Right ottiene il 2 per cento, Hard Line non supera l’1 per cento.
Le elezioni europee dello scorso 26 maggio hanno visto prevalere proprio il Venstre, che ha raccolto il 23,5 per cento dei voti, a fronte del 21,5 per cento dei socialdemocratici.

Elezioni parlamentari Danimarca 2019
La sfida delle elezioni parlamentari danesi si concentra principalmente intorno a tre blocchi.
Il blocco dei partiti liberali che reggono la coalizione di governo – Partito liberale (Venstre), Alleanza liberale e Partito popolare conservatore -, il blocco di centrosinistra – Partito socialdemocratico e il Partito popolare socialista – e l’estrema destra, rappresentata dal Partito del Popolo danese.
Il Partito liberale (Venstre) è guidato dal premier danese in carica, Lars Løkke Rasmussen, 55 anni. Alla guida del Partito socialdemocratico c’è invece la 41enne Mette Frederiksen.


Le recenti elezioni europee in Danimarca sono andate così:
– Partito liberale (Venstre): 23,5 per cento
– Partito socialdemocratico: 21,5 per cento
– Partito popolare socialista: 13,2 per cento
– Partito popolare conservatore: 6,2 per cento
– Partito del Popolo danese: 10,8 per cento
– Alleanza liberale: 2,2 per cento.


Nel 2015, alle precedenti elezioni parlamentari, la forza più votata fu il Partito socialdemocratico, che raccolse il 26,3 per cento dei consensi. Al secondo posto arrivò il Partito del Popolo danese, che registrò un exploit con il 21,1 per cento dei voti.
Il Partito liberale (Venstre) ottenne il 19,5 per cento: percentuale che gli fu però sufficiente per diventare la forza attorno a cui si è formata la maggioranza di governo (insieme all’Alleanza liberale e al Partito popolare conservatore.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » ven giu 14, 2019 6:56 am

???

"Nessun Paese Ue paghi i debiti degli altri", il mantra economico dei sovranisti europei
Dario Prestigiacomo
13 giugno 2019 14:37

http://europa.today.it/lavoro/sovranist ... nF_ljHm11k

Se fossero stati al potere in Europa negli anni passati avrebbero detto no al salvataggio della Grecia. Come oggi dicono un secco no a qualsiasi ipotesi di riforma dell'Eurozona che contempli un bilancio e una tassazione comuni, quella che a Bruxelles viene chiamata 'condivisione dei rischi' e che per molti aiuterebbe ad alleggerire il peso del debito pubblico su Paesi come l'Italia, proteggendoli dalle minacce dello spread. Perché loro, i sovranisti di Identità e democrazia, il nuovo gruppo parlamentare europeo guidato dalla Lega di Matteo Salvini, sono contrari ai "trasferimenti interni". Per dirla con le parole del leghista Marco Zanni, nuovo leader del gruppo, "Nessuno qui vuole che un Paese debba pagare per altri".

Come i falchi, ma solo in Europa

È la formula che Zanni ha utilizzato per mettere a tacere le voci di dissidi interni tra le varie anime di Identità e democrazia, in particolare i 'falchi' del Nord Europa come i tedeschi dell'AfD, gli austriaci dell'Fpo e i Veri Finlandesi, le cui posizioni sull'Italia sono chiare da tempo: rispetti il Patto di stabilità e i diktat dell'austerity. Se non lo fa, che esca pure dall'Euro. Anzi, tanto meglio. Perché, "bisogna smantellare l'unione monetaria, almeno nella sua forma attuale" in quanto "costringe a un'integrazione più profonda", ha spiegato Jussi Halla-Aho, eurodeputato dei Veri Finlandesi.

Insomma, in campo economico la strada che seguirà il nuovo gruppo sovranista è quella che li avvicina ai falchi dell'austerity, contrari a qualsiasi integrazione delle finanze degli Stati membri. Un'integrazione che finora è stata chiesta proprio dall'Italia, nella ricerca di una sponda comune che riduca i contraccolpi del debito pubblico sui mercati. Per i falchi, un'ipotesi del genere aprirebbe al rischio che siano anche altri Paesi a pagare una parte del debito italiano. Ed è proprio su questo rischio che Zanni, durante la conferenza stampa del neonato gruppo a Bruxelles, con al fianco di Marine Le Pen (ma non Salvini, rimasto a casa), è intervenuto, chiarendo che i sovranisti sono tutti uniti nel dire no alla solidarietà finanziaria tra Stati membri.

Ogni Paese pensi per sé e se di flessibilità si parla è solo, per Zanni, quella che deve essere lasciata a ogni governo affinché persegua con le sue politiche e i propri soldi la strada economica che ritiene più giusta. No a diktat da Bruxelles, insomma: falchi in Europa, ma poi a casa sua ognuno faccia come gli pare. Ecco perché le politiche economiche dell'Ue "devono essere cambiate radicalmente", ha proseguito l'esponente del Carroccio. Identità e democrazia "rifiuta un bilancio dell'Eurozona più capiente" e "l'autorità" dell'Ue di "creare delle tasse dirette o mascherate".

L'unità sulla Russia

Chiarite le posizioni in campo economico, Zanni ha anche assicurato l'unità del gruppo sulla politica estera, in particolare sulla Russia: "L'identificazione di strumenti alternativi all'imposizione di sanzioni nel quadro dei rapporti con la Federazione Russa è cruciale per arrivare a un confronto più diplomatico e a un compromesso" con l'Ue, ha spiegato. Niente sanzioni, dunque: "Non sono sicuramente lo strumento più efficace nel quadro dei rapporti con Mosca - ha aggiunto Zanni - Abbiamo visto che il Paese non ha cambiato il suo approccio, nemmeno dopo anni di misure economiche restrittive. Tutto questo rappresenta un danno soprattutto per l'Italia e i Paesi europei piuttosto che per la Russia".

La prima forza d'opposizione

A prendere parola in conferenza stampa è stata anche Marine Le Pen, che ha lanciato un monito agli altri gruppi affinché il Parlamento rispetti, in termini di cariche e posizioni chiave nelle varie commissioni, il peso di Identità e democrazia: "Le cose devono cambiare, perché gli elettori lo esigono. Basta isolamento. Lavoreremo con pragmatismo per costruire ponti", ha aggiunto la leader francese. Ponti con chi? Secondo Le Pen, in giro per l'Eurocamera il blocco sovranista puo' arrivare a 200 voti. Zanni ha citato le possibili convergenze con Orban o con Farage. Di fatto, Identità e democrazia puo' contare al momento su 73 deputati, numero che li pone quale quinta forza a Strasburgo, dietro popolari, socialisti, liberali e Verdi. Ossia la possibile nuova maggioranza Ue.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mar lug 16, 2019 8:51 pm

Ue, Ursula von der Leyen eletta presidente della Commissione: "La fiducia che avete in me la riponete nell'Europa"
dal nostro corrispondente ALBERTO D'ARGENIO
2019/07/16

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -231293184


STRASBURGO - Ursula von der Leyen è stata eletta presidente della commissione europea. Con la sua visione di un'Europa più verde, più equa e basata su regole, è diventata la prima donna presidente della Commissione europea.

I deputati europei hanno votato a scrutinio segreto. Designata dai Ventotto a succedere a Jean-Claude Juncker, è stata eletta con soli 383 voti a favore (su 733 votanti), la maggioranza necessaria prevista era di 374 voti. Quindi per soli 9 voti. I contrari sono stati 327. Ad annunciarlo è stato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
"Mi sento molto onorata sono sopraffatta, la fiducia che riponete in me la riponete nell'Europa, un'Europa forte e unita da est a ovest, da nord a sud, pronta a combattere per il futuro invece che contro sé stessa. Il compito che dovrò affrontare pesa su di me ed il mio lavoro comincia adesso", ha commentato la presidente della Commissione europea. "Ringrazio tutti i membri del parlamento europeo che hanno deciso di votare per me, ma il mio messaggio è lavoriamo insieme in modo costruttivo", ha aggiunto.

Poi una precisazione. "Nella democrazia la maggioranza è la maggioranza". "Era necessario - ha detto - lavorare con i gruppi politici per convincerli e formulare i programmi di lavoro per i prossimi cinque anni e sono estremamente felice che dopo due settimane siamo riusciti a formare una maggioranza pro-europea. È una buona base per cominciare".

La sua nomina da parte del Consiglio europeo è stato il risultato di un compromesso tra Germania e Francia con il consenso del governo italiano e dei paesi del blocco di Visegrad. A seguito del voto di questo pomeriggio, entrerà in carica il primo novembre 2019.
Ue, Ursula von der Leyen eletta presidente della Commissione: "La fiducia che avete in me la riponete nell'Europa"

Lungo abbraccio tra Federica Mogherini, Alto rappresentante uscente per la politica estera e di sicurezza, e Ursula von der Leyen, non appena quest'ultima ha ringraziato l'emiciclo di Strasburgo per essere stata scelta alla guida della commissione europea. Le due donne si sono tenute strette per mano per qualche secondo, sorridenti

Voti determinanti (M5S)
Con 383 sì, l'annunciato voto favorevole del M5S potrebbe essere stato determinante per l'elezione di Ursula von der Leyen. La maggioranza a Strasburgo, composta da Ppe-S&D-Liberali, conta infatti 444 eurodeputati ma, escludendo i 14 sì dei pentastellati, l'ex ministro della Difesa avrebbe potuto contare solo su 369 voti delle forze pro-europeiste, cinque in meno della maggioranza richiesta di 374 sì. Tra franchi tiratori e schede bianche, quindi, a von der Leyen sono invece mancati, sulla carta, 75 voti dei partiti che sostengono la maggioranza.

Voti contrari (Lega)
"È gravissimo il voto europeo: Von der Leyen passa grazie all'asse Merkel, Macron, Renzi, 5stelle. Avrebbe potuto essere una svolta storica: la Lega è stata coerente con le posizioni espresse finora, ha tenuto fede al patto con gli elettori e difende l'interesse nazionale", si legge in una nota della Lega.

A votare contro il gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega, ha votato contro. A chi chiedeva se il gruppo fosse pronto a votare compatto contro la tedesca, l'eurodeputato del Rassemblement national di Marine Le Pen, Nicolas Bay ha risposto: "Sì, penso che le posizioni siano chiare. Questa mattina nell'emiciclo Marco Zanni si è espresso chiaramente, criticando le posizioni presentate da von der Leyen. Non ci sono dubbi, è una posizione comune".

"Il nostro gruppo ha diverse ragioni per votare contro" ha aggiunto Bay, "soprattutto le posizioni che ha preso stamattina in aula, chiaramente garanzie per socialisti e liberali. Ha annunciato di voler aumentare il federalismo mettendo in discussione l'unanimità del Consiglio in decisioni importanti come quelle in materia fiscale, e poi ha difeso il modello di libero scambio che tanti danni ha fatto alla nostra economia e la politica che amplifica i flussi migratori".

Insomma, le aperture "verso sinistra" che l'ex ministra della Difesa tedesca ha fatto nel suo discorso programmatico di stamattina non ha infatti convinto gli eletti della Lega, che ne hanno discusso con i colleghi del gruppo nel pomeriggio. Lo stesso ministro delle Politiche europee Lorenzo Fontana, intervenuto alla riunione del gruppo, ha riferito di un orientamento verso il no.

Meno votata di Junker e Barroso
Nell'elezione da parte del Parlamento europeo Ursula von der Leyen ha ricevuto meno voti rispetto ai suoi predecessori Jean-Claude Juncker, che ottenne il 56,19% dei voti della plenaria di Strasburgo, e José Barroso, che nel suo secondo mandato ebbe il 51,9%. La tedesca, rende noto il Parlamento europeo, si è fermata infatti al 51,27% dei voti.

Il discorso la mattina del voto
Il discorso stamattina all'Europarlamento ha spaziato su vari temi. Von der Leyen ha mostrato il suo più marcato profilo europeista in un intervento durato 15 minuti, applaudito più volte, in cui ha concesso tutte le aperture possibili alla componente socialista e liberale dell'emiciclo, così come annunciato alla vigilia, cercando di strappare il consenso delle due forze decisive per ottenere una maggioranza filo-europea nella prossima legislatura.

La prima donna alla guida dell'europa
Nata l'8 ottobre del 1958, sessantuno anni, di cui quattordici passati ininterrottamente da ministro della Cdu. Medico, di sangue blu (discende da un barone di Brema diventato ricco commerciando con la Russia alla fine dell'Ottocento) e madre di sette figli nati in dodici anni dal matrimonio con un altro medico divenuto poi imprenditore. Decisamente europea, visto che è nata a Ixelles ed è cresciuta nella capitale dell'Europa, dove ha vissuto fino a 13 anni imparando, oltre al tedesco, il francese e l'inglese. Politicamente, von der Leyen è figlia d'arte: il padre, Ernst, è stato a lungo presidente del Land della Bassa Sassonia. Nella Cdu dal 1990, è scelta da Merkel che la vuole ministro per la Famiglia dal 2005 al 2009 (fu la madre dell'Elternzeit, il congedo parentale per i papà e la paladina della lotta alla pornografia online), per farla passare, dal 2009 al 2013, alla guida del dicastero del Lavoro e gli Affari sociali. Infine approda, prima donna nella storia tedesca, al vertice del ministero della Difesa. In passato è stata candidata a segretario generale della Nato ma anche a presidente della Repubblica tedesca, al posto di Frank-Walter Steinmeier.



LA MERKEL CI RIFILA URSULA
Un'Europa diversa
18 luglio 2019

https://uneuropadiversa.it/la-merkel-ci ... q0aVOBdan0

Ursula von der Leyen, la nuova presidentessa della Commissione Ue ci viene spacciata per una politica dalle spiccate qualità e da un curriculum eccellente. Peccato che, in realtà, si sia riciclata dopo essere finita in uno dei più grossi scandali politici che l’hanno vista protagonista quando era ministra della Difesa tedesca.

Due donne alla guida dell’Unione, hanno esultato a Bruxelles. Evviva. Chi le conosce, però, non esulta. Della Lagarde abbiamo già parlato: il suo curriculum sembra piuttosto debole per guidare la Bce nei prossimi anni. Ursula, invece, ne sfoggia uno che sembra impeccabile: parla correntemente tre lingue, francese, inglese e ovviamente tedesco. “L’inizio della sua carriera politica è stato contraddistinto da una coraggiosa proposta di istituire gli Stati Uniti d’Europa, sul modello degli stati federali come la Svizzera, la Germania o gli Usa – scriveva ieri la testata online Quotidiano.net –. Molti commentatori sottolineano i progressi fatti sotto la sua guida nell’integrazione della difesa europea, come la missione Nato nell’Egeo nel 2016 per arginare la crisi dei migranti che invasero Grecia e Turchia. Quando era ministro della Famiglia, tra il 2005 e il 2009, aumentarono i posti negli asili nido e le retribuzioni per i congedi parentali. Due anni fa aveva votato a favore dei matrimoni gay, superando le contrarietà della stessa Merkel.”

Peccato che a un certo punto la stella di Ursula si sia oscurata: “Da quando è titolare della Difesa tedesca, nel 2013, la popolarità di Ursula von der Leyen è scesa ai minimi, tanto che oggi risulta penultima nella classifica dello Spiegel sul gradimento dei titolari di dicasteri in Germania – prosegue Quotidiano.net –. È un dato di fatto che la neoeletta presidente sia riuscita a sopravvivere allo scandalo che ha infangato la reputazione della Difesa tedesca, riconducibile direttamente alla ministra: una commissione parlamentare indaga su accuse di nepotismo in relazione a contratti multimilionari affidati ad appaltatori esterni. Uno di questi appalti era stato affidato alla McKinsey, società di consulenza nella quale lavora anche un figlio della Leyen.”

E così Ursula ha pensato bene di riciclarsi, con l’aiuto di Merkel e Macron, in un ruolo che la dovrebbe veder vigilare sull’applicazione dei Trattati e degli atti vincolanti da parte dei governi, spesso in rotta di collisione per motivi politici o per meri interessi economici. A pensar male si fa peccato, ma verrebbe da pensare che avrà un occhio di riguardo per Berlino e per Parigi.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mer lug 24, 2019 7:25 am

La Grecia chiude l'era Tsipras e svolta a destra
07 luglio 2019

https://www.agi.it/estero/grecia_elezio ... 3LkGVbqruo

Torna al governo il partito conservatore Nuova Democrazia, guidato da Kyriakos Mitsotakis, che si impone su Syriza con oltre il 40% dei voti. Potrebbero rimanere fuori dal parlamento le ultradestre di Alba dorata e Soluzione Greca. Sembra fatta invece per il partito di sinistra radicale di Yanis Varufakis
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » mer lug 24, 2019 7:25 am

NUOVO CORSO BRITANNICO
Niram Ferretti
23 luglio 2019
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Boris Johnson è il nuovo leader del partito conservatore e a breve il nuovo Primo Ministro inglese. E' una buona notizia per la comunità ebraica anglosassone e anche per Israele nei cui confronti, Johnson, non ha mai mancato di manifestare il proprio appoggio nonostante fosse agli Esteri quando la Gran Bretagna votò a favore della scandalosa Risoluzione 2334 del 2016, la più ignobile mai presentata alle Nazioni Unite, la pugnalata alla schiena a Israele di Barack Obama.

Johnson è uno dei più risoluti sostenitori della Brexit. Anche senza un accordo, ha dichiarato, la Gran Bretagna lascerà l'Unione Europea il 31 ottobre prossimo.

È una scommessa ardua, sul filo del rasoio, che potrebbe portare la Gran Bretagna al voto. A quel punto Johnson si dovrebbe scontrare con quello che è oggi in Europa il più accanito politico antsionista, Jeremy Corbyn, segretario del partito laburista, e responsabile di averelo condotto, in politica estera, sulle posizioni dell'estrema sinistra anni '70 dalla quale proviene.
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » dom lug 28, 2019 6:52 am

BoJo, ovvero le virtù nazionali (e un tocco di eccentricità) per ripartire
27 luglio 2019

https://formiche.net/2019/07/boris-john ... wNbQswBxfA

Il discorso con cui Boris Johnson, presentando la sua squadra alla Camera dei Comuni, si è insediato a Downing Street non ha trovato spazio sulla stampa italiana. Tutta tesa, in questi giorni, a trovare analogie screditanti del nuovo premier inglese con sovranisti e populisti di mezzo mondo, a cominciare ovviamente da quelli di casa nostra.

In verità, BoJo non è affatto un “clown” o un ”giullare”, come pure si è letto, ma uno dei più colti giornalisti e scrittori inglesi di storia, diplomato a Eton e membro a pieno titolo della migliore élite cosmopolita d’Oltremanica. Egli è poi un conservatore a tutto tondo, con una “visione” e idee ben precise che, con tenacia e determinazione, cercherà sicuramente di rendere concrete. La sua eccentricità e stravaganza, la sua vita a dir poco tumultuosa e irregolare, è una delle cifre caratteristiche da sempre di alcuni esponenti di quella classe dirigente formatasi ad Oxford Bridge a cui, come ci ricorda Lorenzo Castellani su List, l’anticonformismo viene insegnato sin dai banchi universitari. Una tipica virtù inglese, che purtroppo, in tempi di politically correct, viene del tutto dimenticata.

E come un richiamo ai migliori valori della Old England può essere letto tutto il discorso d’insediamento. Il “brand” inglese, ha sottolineato Boris, “è ammirato in tutto il mondo per la nostra inventiva, il nostro humor, le nostre università, i nostri scienziati, le nostre forze armate, la nostra diplomazia; per le uguaglianze su cui ci fondiamo e per i valori per cui ci battiamo in tutto il mondo”. I pilastri fondanti dello speech sono stati una serie di argomenti tipicamente conservatori (e liberali) e un certo stato d’animo.

Cominciamo da quest’ultimo, che lo distingue nettamente dalla retorica grigia e burocratica di certa politica vecchio stampo, ma anche da una retorica fondata sul risentimento e la rabbia quale è propria di molti fra i cosiddetti “populisti”. Quello di Boris è stato un discorso esplicitamente ottimista e che ha voluto trasmettere ottimismo: un discorso non del “no”, ma del “sì” e del fare. Le virtù nazionali sono state richiamate come un serbatoio di energie da utilizzare subito per ribaltare ogni visione apocalittica e fare della Brexit una opportunità, come sempre i britannici hanno saputo fare in ogni tempo al cospetto di ogni “traversia” capitategli (ammesso e assolutamente non concesso che in questo caso di traversia si sia trattato). Un pessimismo avvalorato, nei tre anni che ci separano dal referendum sull’uscita dall’ Europa, dall’indecisionismo di Theresa May (che BoJo ha comunque formalmente ringraziato) e dall’aver trasmesso al mondo l’idea che proprio “la patria della democrazia sia incapace di onorare il mandato democratico di base”.

Un sonoro schiaffo, non c’è che dire, ai tanti fautori, più o meno palesi, anche nostrani, dell’epistemocrazia (cioè il “governo dei competenti”) . La vera élite di una democrazia rappresenta e incanala i sentimenti popolari verso sbocchi positivi, non impone al popolo (ritenuto “ignorante”) le sue idee (presunte “giuste” e “corrette”). Quanto agli argomenti, cioè all’agenda di governo, sono quelli del conservatorismo classico inglese, intriso di liberalismo: la sicurezza, la sanità pubblica, l’istruzione, le infrastrutture, la produzione, senza dubbio. Ma anche l’impresa privata, la libertà di espressione, l’habeas corpus, lo Stato di diritto, la capacità di attrarre investimenti anche con la leva fiscale, la ricerca, l’abolizione di qualsiasi regolamento che limiti lo sviluppo delle bioscienze. E, in più, un tocco leggermente eccentrico ma in salsa english: l’attenzione al verde e persino al benessere degli animali. Altro poi che nazionalismo isolazionista! La Gran Bretagna deve recuperare, per Boris, il suo storico “ruolo davvero globale, che guarda avanti, intraprendente, generoso nel temperamento e impegnato nel mondo”. E altro che protezionismo “sovranista”!

Il governo inizierà stipulando accordi di libero scambio perché “è il libero scambio che ha fatto più di ogni altra cosa per tirare fuori dalla povertà milioni di persone”. L’aria di sufficienza mostrata in questi giorni a livello europeo, di una Unione Europa attraversata fra l’altro da spaccature e divisioni, a me sembra veramente fuori luogo.

Siamo proprio sicuri che, con la Brexit, sia il Regno Unito a perderci e non noi?
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Re: Poledega

Messaggioda Berto » lun ago 12, 2019 7:54 am

La Francia sta lentamente precipitando nel caos
Guy Millière
11 agosto 2019

https://it.gatestoneinstitute.org/14705 ... tando-caos

Il presidente francese Emmanuel Macron non dice mai di essere dispiaciuto per coloro che hanno perso un occhio o una mano. Piuttosto, ha chiesto al parlamento francese di approvare una legge che abolisce quasi completamente il diritto alla protesta e la presunzione di innocenza, e che consente l'arresto di chiunque, dovunque, anche immotivatamente. La legge è stata approvata. (Foto di Kiyoshi Ota - Pool/Getty Images)

Parigi, Champs-Élysées, 14 luglio. Giorno della presa della Bastiglia. Poco prima dell'inizio della parata militare, il presidente Emmanuel Macron percorre il viale a bordo di un'auto militare per salutare la folla. Migliaia di persone si sono radunate lungo la strada al grido di "Macron dimettiti!", fischiando e lanciando insulti.

Al termine della sfilata, poche decine di persone fanno volare dei palloncini gialli e distribuiscono dei volantini con su scritto: "I gilet gialli non sono morti". La polizia li disperde, rapidamente e con fermezza. Poco dopo, arrivano centinaia di anarchici "Antifa", lanciano in aria le barriere di sicurezza poste in strada, per erigere barricate, accendere fuochi e distruggere le vetrine di molti negozi. La polizia ha difficoltà a padroneggiare la situazione, ma verso sera, dopo qualche ora, ripristina la calma.

Poche ore dopo, migliaia di giovani arabi delle banlieue si ammassano nei pressi dell'Arc de Triomphe. Sono lì per "festeggiare" a modo loro la vittoria di una squadra di calcio algerina. Molte vetrine vengono distrutte, molti negozi saccheggiati. Le bandiere algerine sono ovunque. Campeggiano slogan del tipo: "Lunga vita all'Algeria", "La Francia è nostra", "Morte alla Francia". I cartelli con i nomi delle vie vengono rimpiazzati da altri cartelli che riportano il nome di Abd El Kader, il leader religioso e militare che ha combattuto contro l'esercito francese all'epoca della colonizzazione dell'Algeria. La polizia si limita a reprimere la violenza nella speranza che non dilaghi.

Verso mezzanotte, tre leader del movimento dei "gilet gialli" escono da una stazione di polizia e dicono a un giornalista televisivo che sono stati arrestati la mattina presto e trattenuti per il resto del giorno. Il loro avvocato afferma che non hanno fatto nulla di male e che sono stati arrestati solo "preventivamente". Il legale sottolinea che una legge approvata nel febbraio scorso consente alla polizia francese di arrestare chiunque sia sospettato di partecipare a una manifestazione di protesta; non è necessaria l'autorizzazione da parte di un giudice e non è possibile presentare ricorso.

Venerdì 19 luglio, la squadra di calcio algerina incassa un'altra vittoria. Altri giovani arabi si radunano nei pressi dell'Arc de Triomphe per nuovi "festeggiamenti". Il danno è addirittura maggiore rispetto a otto giorni prima. Le forze di polizia sono più massicce; non fanno quasi nulla.

Il 12 luglio, due giorni prima del Giorno della presa della Bastiglia, diverse centinaia di migranti illegali clandestini privi di documenti entrano nel Pantheon, il monumento che ospita le tombe degli eroi che hanno avuto ruoli importanti nella storia della Francia. Lì i migranti annunciano la nascita del movimento dei "gilet neri". Chiedono la "regolarizzazione" di tutti gli immigrati illegali sul territorio francese e alloggi gratuiti per ciascuno di loro. La polizia è presente, ma rifiuta di intervenire. La maggior parte dei manifestanti se ne va pacificamente. Alcuni che insultano la polizia vengono arrestati.

La Francia oggi è un paese alla sbando. Tensioni e illegalità continuano a guadagnare terreno. Il disordine è diventato parte della vita quotidiana. I sondaggi mostrano che una grande maggioranza di intervistati boccia il presidente Macron. Sembrano detestare la sua arroganza ed essere inclini a non perdonarlo. Sembrano essere risentiti del suo disprezzo nei confronti dei poveri; del modo in cui ha schiacciato il movimento dei "gilet gialli" e del fatto che Macron non ha prestato la minima attenzione alle più piccole richieste, come il diritto di indire un referendum come quello tenutosi in Svizzera. Macron non può più andare da nessuna parte senza correre il rischio di suscitare rabbia da parte dei cittadini.

Pare che i "gilet gialli" abbiano smesso di manifestare: in troppi sono stati mutilati o sono rimasti feriti. Il loro malcontento, tuttavia, è ancora acceso. Sembra in attesa di esplodere di nuovo.

La polizia francese appare feroce quando si occupa dei manifestanti pacifici, ma riesce a malapena a impedire a gruppi come "Antifa" di provocare la violenza. Pertanto, "Antifa" ora si presenta alla fine di ogni manifestazione. La polizia francese sembra essere particolarmente cauta quando ha a che fare con i giovani arabi e con i migranti illegali. La polizia ha ricevuto ordini. Gli agenti sanno che i giovani arabi e gli immigrati clandestini potrebbero creare rivolte su vasta scala. Tre mesi fa, a Grenoble, la polizia stava inseguendo alcuni giovani arabi in sella a una moto rubata, che erano accusati di furto. Durante la fuga, hanno avuto un incidente. Ne sono seguiti cinque giorni di disordini.

Il presidente Macron sembra un leader autoritario di fronte agli indigenti contrariati. Non dice mai di essere dispiaciuto per coloro che hanno perso un occhio o una mano o che hanno subito un danno irreversibile al cervello a causa dell'estrema brutalità della polizia. Piuttosto, ha chiesto al parlamento francese di approvare una legge che abolisce quasi del tutto il diritto di manifestare, la presunzione di innocenza e che consente l'arresto di chiunque, dovunque, anche immotivatamente. La legge è stata approvata.

A giugno, il parlamento francese ha approvato un'altra legge, punendo severamente chiunque dica o scriva qualcosa che potrebbe contenere "incitamento all'odio". La legge è così vaga che un giurista americano, Jonathan Turley, si è sentito in dovere di reagire. "La Francia", egli ha scritto, "è ora diventata una delle maggiori minacce internazionali alla libertà di parola".

Ma Macron non sembra autoritario con gli anarchici violenti. Di fronte ai giovani arabi e ai migranti illegali, appare decisamente debole.

Sa cosa ha detto nel novembre 2018 l'ex ministro dell'Interno, Gérard Collomb, mentre dava le dimissioni dal governo:

"In Francia, le comunità sono sempre più in conflitto tra loro, un conflitto che sta diventando molto violento (...) oggi viviamo fianco a fianco, ma temo che domani potremmo ritrovarci gli uni contro gli altri".

Macron sa anche cosa ha detto l'ex presidente François Hollande dopo aver concluso il suo mandato presidenziale: "La Francia è sull'orlo della partizione".

Macron sa che la partizione della Francia esiste già. La maggior parte degli arabi e degli africani vive nelle no-go zones, separate dal resto della popolazione, dove si accetta sempre meno la presenza di non arabi e non africani. Non si definiscono francesi, tranne quando affermano che la Francia apparterrà a loro. Dalle notizie emerge che la maggior parte di loro nutre un profondo rifiuto della Francia e della civiltà occidentale. Un numero crescente sembra porre la propria religione al di sopra della cittadinanza; molti sono radicalizzati e pronti a combattere.

Macron sembra non volere combattere. Piuttosto, ha deciso di rabbonirli. Persegue senza esitazione i suoi piani per istituzionalizzare l'Islam in Francia. Tre mesi fa, è stata creata l'Associazione musulmana per l'Islam di Francia (AMIF). Una sezione di questa associazione si occuperà dell'espansione culturale dell'Islam e della "lotta contro il razzismo anti-musulmano". Un altro ramo sarà responsabile dei programmi di formazione degli imam e della costruzione delle moschee. Questo autunno verrà istituito un "Consiglio degli imam di Francia". I principali leader dell'AMIF sono (lo erano fino a poco tempo fa) membri dei Fratelli Musulmani, un movimento designato come organizzazione terroristica in Egitto, Bahrein, Siria, Russia, Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti – ma non in Francia.

Macron è a conoscenza dei dati demografici, i quali indicano che in Francia la popolazione musulmana aumenterà in modo significativo nei prossimi anni. (L'economista Charles Gave ha scritto di recente che entro il 2057, la Francia avrà una popolazione a maggioranza musulmana.) Macron può constatare che presto sarà impossibile per chiunque essere eletto presidente senza contare sul voto musulmano, pertanto, agisce di conseguenza.

A quanto pare, Macron si rende conto che il malcontento che ha dato vita al movimento dei "gilet gialli" è ancora lì. Pensa che la repressione sarà sufficiente per prevenire ulteriori insurrezioni e non fa nulla per porre rimedio alle cause del malcontento.

Il movimento dei "gilet gialli" è nato da una rivolta contro le imposte eccessivamente elevate sul carburante e contro le severe misure prese dal governo contro le auto e i conducenti. Tali misure includevano limiti di velocità ridotti – 80 km/h sulla maggior parte delle autostrade – e più autovelox; un sensibile aumento delle sanzioni e complessi e costosi controlli annuali dei veicoli a motore. Le imposte francesi sui carburanti di recente sono aumentate di nuovo e ora sono le più alte d'Europa (il 70 per cento del prezzo pagato al distributore di benzina). Altre misure ancora in vigore, prese contro le auto e i conducenti, sono particolarmente dolorose per coloro che hanno difficoltà economiche. Questi ultimi sono già stati cacciati dalle banlieue dai nuovi arrivati intolleranti e ora sono costretti a vivere e – a recarsi in auto – ancora più lontano dal luogo di lavoro.

Macron non ha preso alcuna decisione per porre rimedio alla disastrosa situazione economica in Francia. Quando è stato eletto, tasse, imposte e oneri sociali rappresentavano quasi il 50 per cento del prodotto interno lordo. La spesa pubblica rappresentava il 57 per cento del Pil (la più elevata tra i paesi sviluppati). Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo era quasi del 100 per cento.

Tasse, imposte, oneri sociali e spesa pubblica rimangono allo stesso livello di quando Macron è arrivato all'Eliseo. Il rapporto debito/Pil è del 100 per cento ed è in crescita. L'economia francese non crea posti di lavoro. La povertà rimane assai elevata: il 14 per cento della popolazione guadagna meno di 855 euro al mese.

Macron non presta attenzione al crescente disastro culturale che sta colpendo anche il paese. Il sistema scolastico si sta sgretolando. Una percentuale crescente di studenti si diploma alle scuole superiori senza sapere scrivere una frase priva di errori, rendendo incomprensibile tutto ciò che scrivono. Il Cristianesimo sta scomparendo. La maggior parte dei francesi non musulmani non si definisce più cristiana. L'incendio che ha devastato la cattedrale di Notre-Dame de Paris è stato ufficialmente considerato un "incidente", ma è solo uno dei tanti edifici religiosi cristiani del paese che di recente sono stati distrutti. Ogni settimana le chiese vengono vandalizzate nell'indifferenza generale dei cittadini. Solo nella prima metà del 2019, ne sono state bruciate 22.

La principale preoccupazione di Macron e del governo francese non sembra essere il rischio di rivolte, il malcontento dei cittadini, la scomparsa del Cristianesimo, la situazione economica disastrosa o l'islamizzazione e le sue conseguenze. La loro preoccupazione maggiore è il cambiamento climatico. Sebbene la quantità di emissioni di anidride carbonica della Francia sia infinitesimale (meno dell'1 per cento del totale globale), la lotta contro "il cambiamento climatico indotto dall'uomo" sembra essere la priorità assoluta di Macron.

Una ragazza svedese, Greta Thunberg, 16 anni – nonché guru della "lotta per il clima" in Europa – è stata di recente invitata all'Assemblea nazionale francese dai membri del parlamento che appoggiano Macron. La giovane ha tenuto un discorso, assicurando che la "distruzione irreversibile" del pianeta inizierà molto presto. Ha aggiunto che i leader politici "non sono abbastanza maturi" e hanno bisogno di lezioni impartite da bambini. I parlamentari che appoggiano Macron hanno applaudito calorosamente. Greta ha ricevuto il Prix Liberté, un premio appena istituito e che verrà assegnato ogni anno alle persone impegnate "nella lotta a difesa dei valori in cui credettero coloro che sbarcarono in Normandia nel 1944 per liberare l'Europa". È probabilmente ragionevole supporre che nessuno di coloro che sbarcarono in Normandia nel 1944 pensava che stesse combattendo per salvare il clima. Questi piccoli dettagli, tuttavia, sembrano sfuggire a Macron e ai parlamentari che lo appoggiano.

Macron e il governo francese sembrano anche non preoccuparsi del fatto che gli ebrei – spinti dall'intensificarsi dell'antisemitismo, e comprensibilmente preoccupati delle sentenze giudiziarie pervase dallo spirito di sottomissione all'Islam violento – continuano a fuggire dalla Francia.

Kobili Traore, l'uomo che uccise Sarah Halimi nel 2017 salmodiando sure coraniche e gridando che gli ebrei sono Sheitan (che in arabo sta per "Satana") non è stato dichiarato colpevole. Pare che Traore prima dell'omicidio avesse fumato cannabis, pertanto i giudici hanno deciso che non era responsabile delle sue azioni. L'uomo sarà presto scarcerato; cosa succede se fuma di nuovo cannabis?

Poche settimane dopo l'uccisione di Sarah Halimi, tre membri di una famiglia ebrea erano stati aggrediti, torturati e tenuti in ostaggio nella loro abitazione da un gruppo di cinque uomini, secondo i quali "gli ebrei sono ricchi" e "devono pagare". Gli uomini furono arrestati. Erano tutti musulmani. Il giudice ha stabilito che le loro azioni "non erano antisemite".

Il 25 luglio 2019, in occasione della partita disputata a Strasburgo dalla squadra di calcio israeliana Maccabi Haifa, il governo francese ha limitato a 600 il numero dei tifosi israeliani presenti nello stadio. Migliaia di persone avevano acquistato il biglietto aereo per recarsi in Francia e assistere alla partita. Il governo francese ha inoltre vietato ai tifosi di sventolare le bandiere israeliane durante la disputa calcistica o in altrove in città. Tuttavia, in nome della "libertà di espressione", il dipartimento francese dell'Interno ha consentito lo svolgimento di manifestazioni anti-israeliane davanti allo stadio, e l'utilizzo di bandiere palestinesi e di striscioni con su scritto: "Morte a Israele!". Alla vigilia della partita, in un ristorante nei pressi dello stadio, alcuni israeliani sono stati brutalmente aggrediti. "Le manifestazioni contro Israele vengono approvate in nome della libertà di espressione, ma le autorità vietano ai tifosi del Maccabi Haifa di alzare la bandiera israeliana, è inaccettabile", ha dichiarato Aliza Ben Nun, ambasciatore di Israele in Francia.

L'altro giorno, un aereo pieno di ebrei francesi che hanno lasciato la Francia è arrivato in Israele. Altri ebrei francesi se ne andranno presto. Il trasferimento degli ebrei in Israele comporta sacrifici: alcuni agenti immobiliari francesi sfruttano il desiderio di molte famiglie ebree di lasciare il paese, acquistando e vendendo le loro proprietà immobiliari a un prezzo molto inferiore al loro valore di mercato.

Il mandato presidenziale di Macron scadrà nel maggio 2022. Numerosi leader dei partiti di centrosinistra (come il Partito Socialista) e di centrodestra (Les Républicains) si sono uniti a La République en marche, il partito fondato da Macron due anni fa. Successivamente, il Partito Socialista e Les Républicains hanno subìto un crollo elettorale. Il principale avversario di Macron nel 2022 sarà probabilmente lo stesso del 2017: Marine Le Pen, la leader del populista Rassemblement national.

Sebbene Macron sia ampiamente impopolare e detestato, probabilmente utilizzerà gli stessi slogan del 2017: che lui rappresenta l'ultimo bastione della speranza contro il "caos" e il "fascismo". Ha un'ottima chance di essere rieletto. Chiunque legga il programma politico di Rassemblement national può vedere che Marine Le Pen non è fascista. Inoltre, chiunque analizzi la situazione in Francia potrebbe chiedersi se la Francia non abbia già iniziato a precipitare nel caos.

La triste situazione che regna in Francia non è poi così diversa da quella di molti altri paesi europei. Alcune settimane fa, un cardinale africano, Robert Sarah, ha pubblicato un libro, Le soir approche et déjà le jour baisse (Si fa sera e il giorno ormai volge al declino). "Alla radice del crollo dell'Occidente," egli scrive, "c'è una crisi culturale e d'identità. L'Occidente non sa più chi sia, perché non sa e non vuole sapere chi lo ha formato, chi lo ha costituito, come è stato e com'è. (...) Questa auto-asfissia conduce naturalmente a una decadenza che apre la strada a nuove civiltà barbariche".

Questo è esattamente ciò che sta accadendo in Francia e in Europa.

Guy Millière, insegna all'Università di Parigi ed è autore di 27 libri sulla Francia e l'Europa.
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