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Storia della CrimeaStrategia della destabilizzazione: Intervista con Massimiliano Di PasqualeDavide Cavaliere
12 Luglio 2021
http://www.linformale.eu/strategia-dell ... -pasquale/ Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).
Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.
Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.
Nel 2014, la Russia ha occupato e annesso, illegalmente, la Crimea. A causa di questa violazione del diritto internazionale è stata sanzionata economicamente da Unione Europea e Stati Uniti d’America. In Italia, molti partiti, di destra come di sinistra, hanno contestato le sanzioni e sostenuto che Mosca sarebbe un alleato essenziale. Le ammende inflitte alla Russia danneggiano l’economia italiana? Mosca è davvero un partner fondamentale?
Come lei ha giustamente sottolineato in Italia molti partiti sia di destra che di sinistra e una considerevole parte dell’opinione pubblica esprimono un parere sostanzialmente negativo sulle sanzioni. Molti pensano che siano dannose per la nostra economia perché ritengono Mosca un partner essenziale, altri le avversano sostenendo che, oltretutto, non sono utili alla risoluzione del problema politico. Prima di analizzare la questione da un punto di vista economico volevo fare alcune considerazioni per rispondere a chi afferma che le sanzioni non servono a risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina. Le sanzioni sono state introdotte da UE e Stati Uniti in risposta all’occupazione della Crimea. Questo pacchetto di sanzioni contro la Russia è stato ulteriormente inasprito dopo l’abbattimento il 17 luglio 2014 di un volo di linea della Malaysia Airlines sui cieli del Donbas da parte di proxy russi, che provocò la morte di 298 persone tra passeggeri e personale di bordo. Come hanno fatto notare storici quali Timothy Snyder e Serhii Plokhy l’annessione russa della Crimea e la guerra ibrida in Donbas vanno letti come tentativi di destabilizzare non solo l’Ucraina ma l’intera Europa. Di fronte ad azioni gravi come queste, che minacciano le fondamenta dell’ordine internazionale, cosa avrebbero dovuto fare Stati Uniti e UE? È chiaro che l’unica risposta possibile era votare un pacchetto di sanzioni mirate visto che nessuno auspica un conflitto militare con la Russia. Ho usato il termine mirate perché c’è grande ignoranza su questo tema. Forse non molti sanno che le sanzioni non hanno mai imposto l’embargo sull’esportazione in Russia di beni di consumo. Per cui quello dei produttori italiani devastati dalle sanzioni è un mito o se preferite una fake news. A partire dall’annessione della Crimea nel 2014, le sanzioni economiche dell’UE sono mirate al settore economico, a quello energetico e a quello della difesa e colpiscono 150 persone fisiche (alti funzionari moscoviti, numerosi deputati e senatori e diversi oscuri funzionari della Crimea, guerriglieri e “ministri” delle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk) che non possono entrare in Europa e si sono viste congelare i loro beni nella UE (società, immobili, conti correnti). L’embargo riguarda anche a una ventina di entità politiche russe e separatiste e undici grandi imprese russe – cinque banche statali, tre major petrolifere a partecipazione statale e tre grandi aziende belliche di stato – che non possono ricevere prestiti o collocare strumenti finanziari presso partner europei per più di 30 giorni. Ciò a cui si riferisce l’opinione pubblica, spesso senza rendersene conto, sono le “controsanzioni”, ossia l’embargo voluto da Putin alle importazioni di numerosi prodotti alimentari europei. Ma questa contromisura russa ha danneggiato in primo luogo i consumatori della Federazione, visto che la Russia importava nel 2013 circa la metà dei prodotti alimentari che consumava, e il 40% di queste merci proveniva da Paesi europei. Prima di Natale i leader europei hanno deciso all’unanimità di estendere le sanzioni fino al 31 luglio 2021. Le misure, rinnovate due volte l’anno, hanno colpito gravemente la Russia: si stima che la sua economia sia diminuita del 6% alla fine del 2018 a causa delle sanzioni di UE e Stati Uniti. In estrema sintesi, come afferma anche uno studio dell’ISPI, le sanzioni europee non hanno colpito duramente l’export italiano. Il calo sperimentato dalle esportazioni italiane in Russia dal 2013 al 2017 è stato relativamente poco significativo rispetto al totale delle esportazioni italiane all’estero, pesando nel 2017 per circa l’1% del totale. La Russia avrebbe potuto diventare un partner economico importante per l’Italia e per gli altri paesi europei se avesse veramente realizzato quelle riforme economiche, promesse da Putin nei primi anni della sua presidenza, per sviluppare il settore manifatturiero e per modernizzare il settore energetico. Il grave problema demografico – intorno al 2050, secondo le cifre dell’ONU, la popolazione totale della Federazione sarà diminuita di ben 10 milioni assestandosi su una cifra intorno a 135 milioni (su un territorio pari a un ottavo delle terre abitate mondiali) – sembra condannare la Russia a un ruolo marginale negli scenari geopolitici futuri. È illusorio pensare che, a fronte di un calo demografico così consistente che avrà ripercussioni evidenti anche sulla forza lavoro con un settore energetico arretrato e prezzi decrescenti, petrolio e gas possano, come negli Anni Settanta, garantire la sopravvivenza della Russia. I petrol rubli possono aver arricchito le élite e riempito gli scaffali dei negozi con beni di lusso importati, ma queste trappole della ricchezza hanno avuto come costo il prolungato declino del settore manifatturiero e dei settori di esportazione non energetici.
Il presidente Putin, per il suo conservatorismo, la sua fede cristiana e i suoi metodi risoluti, è diventato un leader ammirato, talvolta in modo parossistico. Lo Zar, come viene talora chiamato, è un autentico conservatore oppure uno scaltro autocrate, che usa il nazionalismo e la religione come instrumentum regni?
A partire dalla seconda metà degli anni 2000 Putin, che nei primi anni della sua presidenza aveva rafforzato le strutture statali per cercare di frenare ogni impulso centrifugo e usato la ricchezza derivante dalle esportazioni di risorse naturali (gas e petrolio) per aumentare il tenore di vita dei russi e garantire acquiescenza popolare al suo regime, brucia la sua credibilità a livello internazionale invadendo Georgia (2008) e Ucraina (2014). L’anno di vera e propria svolta della Russia coincide con il biennio 2011-2012. Con le elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdica al principio di successione. Putin spinge alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini, ma diventano solo un rituale. Quando il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestano a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali, Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kyiv dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti. Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è fornire prove ma inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna. La UE e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolate.Ed è proprio in questa fase che il regime di Putin enfatizza sempre più il tema delle radici cristiane individuando nel pensiero del filosofo russo di fine Ottocento Ivan Ilyin le fondamenta teoriche del nuovo corso.
Ci può illustrare in cosa conistono queste fondamenta teoriche?
Ilyin, analogamemte a Marx si rifà al corpus filosofico hegeliano offrendone però una lettura di destra, sostiene che la storia sia iniziata con un peccato originale così grave da condannare l’umanità alla sofferenza. Ma il peccato originale, secondo Ilyin, non fu perpetrato dall’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata ma da Dio sull’uomo attraverso la creazione del mondo. Secondo Ilyin la patria di Dio era la Russia. La Russia era da tutelare a tutti i costi perché era l’unico territorio da cui sarebbe potuta iniziare la ricostruzione della totalità divina. Lo storico Timothy Snyder ha osservato come, nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler, il suo pensiero non si discostasse troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. Non è un caso che la Russia attuale, che lo elegge a suo ideologo, è lo stesso paese che riscrive i libri di storia riabilitando il culto di Stalin. Per Ilyin la parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. La Russia è innocente ma la sua innocenza non è osservabile nel mondo. Ilyin vede la propria nazione come virtuosa, e la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto. Rifacendosi al teorico nazista del diritto Carl Schmitt, Ilyin considera la politica l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione. La fantasia di una Russia innocente in eterno che comprende la fantasia di un redentore innocente in eterno torna utile al regime cleptocratico di Putin che la sfrutta opportunisticamente per coprire una realtà fatta di ingiustizie sociali, soprusi e incapacità di evoluzione in senso democratico. La diffamazione diventa un illecito penale, il Patriarcato Ortodosso di Mosca si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzhinsky, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.
La rivoluzione ucraina contro l’esecutivo filorusso di Viktor Yanukovych è stata descritta come un “colpo di stato” eterodiretto dagli Stati Uniti d’America e da George Soros. Si è trattato di una cospirazione o di una protesta spontanea?
Euromaidan, la rivoluzione scoppiata in Ucraina in seguito alle dimostrazioni di piazza del 21 novembre 2013 a Kyiv, è stata una rivolta spontanea contro il regime cleptocratico di Yanukovych. Pur avendo come epicentro Kyiv ha interessato l’intero Paese. La Rivoluzione, giustamente definita, della Dignità, ha testimoniato la volontà del popolo ucraino di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica e il desiderio di aprire una nuova fase, quella della rigenerazione morale. Questo ambizioso tentativo ha dovuto però fare i conti con l’ostilità di Mosca che ha cercato di fermare a ogni costo un progetto che, se vittorioso, avrebbe messo in serio pericolo il modello autocratico putiniano e fornito linfa vitale alla debole opposizione democratica russa. E infatti, cinque giorni dopo la fuga di Yanukovych avvenuta il 22 febbraio 2014, Putin ha inviato il primo contingente militare in Crimea, annettendo de facto, in data 16 marzo, la penisola ucraina alla Federazione Russa attraverso un ‘referendum’, imposto con uso della forza, brogli, intimidazioni e in violazione del Memorandum di Budapest del 1994. Ciò che è accaduto in quei 93 giorni meriterebbe di essere analizzato dettagliatamente visto che si tratta di una pagina fondamentale della Storia Europea dell’ultimo secolo.
Può fornirci ulteriori approfondimenti?
Euromaidan (Euro sta per Europa e Maidan è una parola di origine turca, entrata nel vocabolario ucraino grazie ai tatari di Crimea, che significa Piazza), neologismo apparso per la prima volta in un hashtag su Twitter il 21 novembre 2013 quando Mustafa Nayyem, giornalista ucraino di origini afghane chiede alla gente di scendere in piazza, per protestare contro la mancata firma dell’Accordo di Associazione economica tra Unione Europea e Ucraina, promessa, mai poi rigettata, dall’ex Presidente Yanukovych, è all’inizio una protesta principalmente di studenti. Accanto a loro scendono in piazza pure imprenditori e proprietari di piccoli business stremati dall’azione predatoria di Yanukovych. Per comprendere questo passaggio occorre ricordare come la Famiglia, ossia il gruppo di potere che fa capo al Presidente ucraino, attraverso l’ufficio del procuratore generale Viktor Pshonka, monitori da tempo i business più redditizi per poi impadronirsene. Grazie a questo sistema il figlio maggiore di Yanukovych, Oleksandr, un dentista, diventa in un paio di anni uno degli uomini più ricchi del Paese con un patrimonio personale superiore a 500 milioni di dollari. Dopo i primi giorni, alle proteste degli studenti si aggiungono quelle di altri componenti della società civile. Il popolo del Maidan diventa così sempre più composito ed eterogeneo.Una delle date fondamentali nella cronologia della Rivoluzione della Dignità è quella del 30 novembre 2013. La notte del 30 novembre infatti le forze di polizia attaccano violentemente gli studenti che protestano pacificamente sul Maidan. Secondo dati ufficiali sono ben 79 i manifestanti che vengono picchiati e percossi dalla Berkut, la polizia antisommossa. Le autorità, incuranti del rispetto della dignità umana, ritengono che questo sia il mezzo più efficace per disperdere una folla che credono pagata. È il punto di non ritorno. La sera del 1° dicembre la folla si raduna di nuovo in Piazza superando questa volta le 500.000 unità. E la maggior parte è mossa dal desiderio di protestare contro la violenza usata dal regime, più che dal rifiuto di firmare l’Accordo di Associazione con la UE. L’International Renaissance Foundation, ONG ucraina fondata da Soros, ha svolto un ruolo importante a sostegno della società civile durante le proteste di Euromaidan. La fondazione ha assicurato l’assistenza legale durante la crisi per attivisti civili, manifestanti e giornalisti; ha fornito cure mediche alle vittime di violenza; ha supportato canali come Hromadske TV che hanno realizzato reportage indipendenti e in diretta sugli eventi del Maidan; ha documentato casi di tortura, percosse e abusi della polizia e dei tribunali. Tutto ciò è ben diverso dal sostenere, come fanno le teorie cospirazioniste della dezinformatsiya russa, che George Soros mira a destabilizzare i paesi e rovesciare i regimi nell’Europa orientale post-comunista e nell’ex Unione Sovietica.
A seguito dell’invasione russa della Crimea, l’Ucraina è stata dipinta come uno Stato fascista, antisemita e russofobo. Realtà o disinformazione? L’Ucraina è una nazione che nutre sentimenti antiebraici?
Quella dell’Ucraina fascista, antisemita e russofoba è una delle più consolidate narrative della disinformazione russa. Esisteva già all’epoca della Guerra Fredda, oggi viene semplicemente attualizzata e riproposta avvalendosi del potere amplificativo delle testate online e dei social media. Farò alcune considerazioni proprio sul Maidan, definito anche da alcuni organi di informazione italiani un movimento fascista, per confutarla. Se proprio volessimo connotare politicamente Euromaidan sarebbe più corretto definirlo un movimento liberal-socialista, visto che il suo nemico è la cleptocrazia autoritaria e il suo programma centrale la giustizia sociale e lo stato di diritto. L’obiettivo che accomuna i diversi gruppi presenti sul Maidan è cacciare Yanukovych e trasformare l’Ucraina in una nazione realmente democratica. La natura del Maidan, a dispetto dell’eterogeneità dei gruppi che lo compongono, è essenzialmente civica. Spontaneità, autenticità e una certa ingenuità politica, sono le caratteristiche più evidenti di un movimento che raggruppa diverse anime e che sorge per la mancanza di una vera opposizione nel Paese. Le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto liquidare cosi, senza alcuna analisi storico-politica, ripetendo ad libitum la propaganda del Cremlino, movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. Una percentuale risibile se confrontata con i ben più ampi consensi elettorali ottenuti dalle destre xenofobe in Francia, Inghilterra, Italia e in altri Paesi europei. Che il popolo del Maidan non sia assolutamente in sintonia con Svoboda lo dimostra il fatto che alle elezioni presidenziali del Maggio 2014 otterrà un misero 1.2 %. Addirittura peggio farà Yarosh, il leader di Pravyi Sektor, movimento che dopo il Maidan si trasforma in Partito, conseguendo solo lo 0.7 %.
Ci può parlare di Pravyi Sektor? Di cosa si tratta?
Pravyi Sektor, nella fase iniziale è stata una formazione estremamente eterogenea. Nasce infatti come federazione di diversi movimenti accomunati dalla volontà di rendere la protesta più incisiva e di difendersi dagli attacchi violenti della polizia. Accanto a frange nazionaliste, seppure non in senso etnico – lo stesso Yarosh proviene dalla città industriale russofona di Dniprodzerzhynsk e si esprime in russo come la maggior parte dei militanti, a riprova di come la Russofobia sia un’altra invenzione dei media pro-Cremlino –, nelle fila di Settore Destro combattono anche diversi ebrei e ucraini non etnici, come l’armeno Serhiy Nihoyan e il bielorusso Mikhail Zhyznevsky, che passeranno tristemente alla storia come le prime vittime del Maidan. Con il Maidan abbiamo assistito per la prima volta a una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% ma nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. Storicamente l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo: i pogrom di fine Ottocento erano fatti dai russi non dagli ucraini. Anche i pogrom descritti da Isaak Babel nella famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Ugualmente l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. L’Ucraina ha subito ad opera dei nazisti persecuzioni e deportazioni paragonabili a quelle della Polonia. Nonostante ciò, anche a causa della forza mediatica dei media russi e pro-Cremlino, è molto più probabile che qualsiasi rapporto sull’estrema destra o sull’antisemitismo in Ucraina finisca sui titoli dei giornali rispetto a storie e tendenze simili in Russia o rispetto agli ampi legami di Mosca con i gruppi di estrema destra nei paesi europei. Il presunto fascismo del Maidan è il frutto di letture faziose consolidatesi nel nostro Paese per ignoranza, disonesta intellettuale o un mix di entrambe.Fortunatamente a livello internazionale la rappresentazione del nuovo governo di Kyiv come una “giunta fascista”, sostenuta da orde antisemite e intenta a compiere un genocidio contro i russofoni, ha incontrato grossi ostacoli. Eminenti personalità ebraiche ucraine hanno pubblicato annunci a tutta pagina su diversi giornali internazionali per smentire tali affermazioni e condannare l’aggressione russa. In diverse occasioni, minoranze etniche o ebraiche hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche dissociandosi da falsi gruppi etnici che rivendicavano la persecuzione.
I filorussi europei evocano, spesso, la strage di Odessa del 2014. Si è trattato di un massacro deliberato o c’è dell’altro?
La strage di Odessa del 2014 è un altro episodio su cui la propaganda russa ha insistito tantissimo per ingannare l’Occidente. Per spiegare l’accaduto e la copertura mediatica di questo tragico evento, credo sia necessaria una premessa. A parte le Repubbliche Baltiche, che conoscono perfettamente le tattiche di guerra informativa della Russia essendo state soggette al dominio sovietico, la comunità internazionale è stata piuttosto lenta nel riconoscere il pericolo rappresentato dalla disinformazione e dalla propaganda sponsorizzate dal Cremlino. È altresì vero che molte persone non si rendono neppure conto di essere ingannate dalle informazioni che ricevono da media quali RT (ex Russia Today) e non pensano di verificare ciò che questa emittente trasmette. Pensano, sovente in buona fede, che RT rappresenti una sorta di versione russa della BBC o della Deutsche Welle. Venendo allo specifico dell’incendio e degli scontri di Odessa del 2014, nel corso dei quali morirono 48 persone e di cui il maggio scorso ricorreva il settimo anniversario, è interessante sottolineare che la Russia iniziò a presentarlo come un massacro da parte dei nazionalisti ucraini quando le fiamme ancora divampavano. Questa versione dei fatti è stata diffusa in tutto il mondo nonostante diverse indagini indipendenti – Gruppo 2 maggio bipartisan; il Comitato consultivo internazionale del Consiglio d’Europa e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani – abbiano ricostruito una realtà molto diversa da quella raccontata dagli outlet pro-Cremlino. Da queste indagini si è scoperto che i primi disordini sono iniziati quando un folto gruppo di attivisti filo-russi ha attaccato una marcia pacifica a sostegno dell’unità ucraina. Da quel momento in poi, le armi sono state usate da entrambe le parti e sei persone sono decedute. Verso sera, gli attivisti filo-ucraini si sono diretti in Piazza Kulikove Pole con l’intenzione di distruggere una tendopoli allestita da attivisti filo-russi. Questi ultimi hanno risposto con colpi di arma da fuoco e bottiglie molotov dal tetto e dalle finestre del palazzo del sindacato. Tutti i rapporti indipendenti concordano sul fatto che dal momento che le bombe molotov sono state lanciate sia contro l’edificio sia dall’interno dell’edificio, è impossibile determinare la fonte dell’incendio che ha causato la morte di 42 attivisti filo-russi. I media e i politici russi sono a conoscenza dei risultati di questi rapporti ma hanno preferito offrire una copertura selettiva degli eventi sin dall’inizio. Tutti i filmati russi hanno trattato i “radicali” ucraini come gli autori delle precedenti rivolte. Nessuna menzione è stata fatta delle sparatorie e delle bottiglie molotov dall’interno del palazzo, né degli attivisti filo-ucraini che hanno rischiato la loro incolumità per salvare le persone nell’edificio. I filmati russi hanno invece mostrato un attivista filo-ucraino che sparava con una pistola contro il palazzo, senza notare che l’uomo stava rispondendo al fuoco proveniente dalle finestre dell’edificio. Due anni dopo il rapporto del Consiglio d’Europa, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che “i nazionalisti ucraini hanno spinto persone indifese nel palazzo del sindacato e le hanno bruciate vive”. Questa storia consapevolmente falsa è stata spacciata in tutto il mondo, con mostre generosamente finanziate e “testimonianze” accuratamente selezionate e portate in tournée nei paesi europei. Inoltre è risaputo che molti giovani si sono offerti volontari per combattere a fianco di proxy russi, separatisti e mercenari sostenuti dal Cremlino in Donbas citando il presunto “massacro di Odessa” come catalizzatore.
Ultima domanda: come pensa che evolverà la situazione ucraina durante la presidenza di Joe Biden?
L’evoluzione della situazione ucraina dipenderà molto dalle relazioni Mosca-Washington che sembrano al minimo storico nonostante l’incontro di metà giugno a Ginevra tra Biden e Putin. La risposta affermativa di Joe Biden alla domanda se ritenesse Putin un assassino è stata paragonata da alcuni analisti di politica internazionale all’affermazione fatta da Ronald Reagan nel marzo 1983 nella quale definiva l’URSS l’Impero del Male. Quello fu l’inizio della fine della Guerra Fredda che portò poi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il contesto odierno è molto diverso per cui mi sembra azzardato fare dei parallelismi. Biden ha un approccio diverso da quello di Trump e sembra voler recuperare un rapporto costruttivo con i principali partner europei, in primis Francia, Germania ma anche con l’Italia che, grazie al governo Draghi, ha riacquistato credibilità internazionale dopo i fallimentari, non solo in politica estera, dicasteri Conte. Il dossier ucraino è molto complesso ma sarebbe profondamente sbagliato se l’Occidente sottovalutasse l’ostentazione di muscoli russa che si è manifestata anche lo scorso aprile quando il Cremlino ha ammassato le sue forze armate ai confini orientali e meridionali dell’Ucraina. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken sembra perfettamente consapevole di questa situazione. Mi auguro che ci sia la stessa consapevolezza a Parigi e a Berlino.
Storia della Crimeahttps://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Crimea Medioevo
Intorno all'anno 400 i Bizantini, continuatori dell'Impero romano, recuperarono il controllo della parte meridionale della penisola e lo mantennero fino al 717. Nello stesso periodo nella parte centrale della Crimea continuavano a vivere i Goti, mentre l'area settentrionale subiva le vicende della pianura sarmatica: dopo la disgregazione dell'Impero Unno, a metà del VI secolo, vi fu l'ondata dei Proto-bulgari, durante il VII secolo, e poi, alla fine dello stesso secolo, i Cazari. Nel 717 questo popolo invase l'intera Crimea e la governò per più di un secolo.
L'imperatore bizantino Teofilo riconquistò ancora una volta la costa meridionale della Crimea attorno all'840 e la inquadrò nell'Impero come "Thema Cherson" dal nome della capitale. A nord delle montagne rimanevano i Cazari, sostituiti nell'882 dai Peceneghi.
A metà del X secolo Svjatoslav I di Kiev sottomise i Goti e conquistò la parte orientale della Crimea; quest'ultima all'inizio del secolo successivo divenne parte del principato russo di Tmutarakan'. Nel 989 Vladimiro I di Kiev s'impadronì per breve tempo anche della costa bizantina ed a Cherson si convertì al cristianesimo. In seguito, tuttavia, restituì la costa meridionale ai Bizantini, che ne mantennero il controllo fino al 1091.
In tale anno i Cumani invasero la Crimea e vi si stabilirono. Durante il secolo successivo, in ogni modo, Cherson e il suo thema furono ripristinati sulla costa meridionale e durarono fino al 1204, quando Costantinopoli cadde in mani veneziane.
Il dominio genovese
Nel XIII secolo due avvenimenti mutarono l'ordine internazionale del Mar Nero e delle steppe eurasiatiche.
Innanzitutto nel 1204 la quarta crociata, guidata dai Veneziani, portò alla temporanea scomparsa dell'Impero bizantino. La costa crimaica rimase nell'area controllata da uno degli stati nati in seguito alla disgregazione dell'Impero d'Oriente, l'Impero di Trebisonda, che chiamò l'area in questione Perateia.
Qualche decennio dopo le steppe eurasiatiche furono sconvolte dall'invasione dei Mongoli, che non risparmiò la Crimea. La penisola fu invasa nel 1237 da Batu Khan, che pose fine al domino cumano, e la parte settentrionale fece parte del canato dell'Orda d'Oro per due secoli. La popolazione cumana rimase, peraltro, a vivere nella penisola e costituì la base etnica dei Tatari di Crimea.
Nel 1261, in seguito al trattato di Ninfeo, i Genovesi sostituirono i Veneziani nel controllo degli stretti del Mar Nero e nel 1266 riuscirono a conquistare alcuni porti sulla costa meridionale della Crimea per utilizzarli come basi d'appoggio per i commerci con i popoli dell'interno. Si stabilirono a Sebastopoli, Cembalo, Soldaia, Tana e soprattutto Caffa, ove stabilirono un'imponente colonia, dal carattere multietnico. L'insieme dei domini genovesi in Crimea si chiamava "Gazaria" (dal nome dei Cazari) ed ebbe fine nel 1475, ovvero ventidue anni dopo la caduta di Costantinopoli.
I Genovesi, tuttavia, non avevano conquistato tutti i territori del Thema Cherson: una parte di essi erano rimasti sotto il controllo del governatore bizantino, il quale peraltrò si dichiarò indipendente dando vita al Principato di Teodoro, che durò anch'esso fino al 1475. Bisogna infine menzionare la presenza in quest'epoca di Armeni "cerchessogai" di cui sono testimonianza numerose chiese e monasteri.
Khanato di Crimea
La Crimea nel XVII secolo
Nel frattempo le popolazioni turche che diverranno note come Tatari di Crimea, discendenti di vari popoli pervenuti in questa penisola in epoche diverse, fra cui particolare importanza avevano i Cumani, nella fase di disgregamento dell'Orda d'Oro, fondarono a partire dal 1427 un Khanato di Crimea separatista e ne offrirono la corona a Haci Giray, un mongolo discendente diretto di Gengis Khan e pretendente al trono dell'Orda d'Oro. Il canato occupava il nord della penisola e i khan risiedevano prima a Solkhat (Eski-Qirim), e a partire dall'inizio del XV secolo a Bachčysaraj.
Tra i Tatari di Crimea viveva una comunità di ebrei Caraiti, principalmente a Chufut Kale. Comunità ebraiche meno numerose e molto più antiche si trovavano anche a Derbent e Madjalis. Le città commerciali in mano ai genovesi ed il principato di Teodoro vennero conquistate dal generale turco ottomano Gedik Ahmet Pascià nel 1475 e divennero una provincia dell'Impero ottomano. Mentre i Khan di Crimea, a partire dalla stessa data, governarono come principi tributari dell'Impero Ottomano per circa tre secoli.
La provincia ottomana di Crimea, che comprendeva anche la penisola di Taman, inizialmente era un sangiaccato con capoluogo Caffa (in turco Kefe)[9]. Nel 1568 essa fu elevata ad eyalet (l'Eyālet-i Kefê) e tale rimase fino al 1774, quando fu ceduta al Khanato di Crimea..
Nella nuova provincia turca Armeni e Greci del Ponto erano ormai una minoranza di dhimmi e non ci sarebbero stati altri cristiani in Crimea fino all'arrivo dei Russi nel 1783.
Per due secoli, fino all'inizio del Settecento, il canato organizzò una significativa tratta degli schiavi con l'Impero Ottomano ed il Medio Oriente, esportando circa due milioni di schiavi razziati nelle steppe della Polonia-Lituania e della Russia.
Nel 1736, nel corso della guerra russo-turca del 1735-1739, la Crimea fu occupata e devastata dalle truppe russe al comando del feldmaresciallo Burkhard Christoph von Münnich che tuttavia dovette poi ritirarsi in Ucraina. L'anno successivo vi irruppero nuovamente le truppe russe del generale Peter Lacy, che tuttavia dovette nuovamente lasciare il campo. Vi ritornò lo stesso Lacy nell'estate del 1738 ma le devastazioni precedenti avevano reso la penisola incapace di fornire assistenza e vettovaglie alle truppe di occupazione e i russi si ritirarono per la terza volta. Il trattato di Nissa che pose fine alla guerra ebbe come conseguenza la cessione ai russi del porto di Azov, mentre il Khanato di Crimea rimase uno stato vassallo della Sublime Porta.
Alla fine della successiva guerra russo-turca del 1768-1774, i russi vincitori imposero all'Impero ottomano la pace di Küçük Kaynarca del 1774, in base alla quale il Khanato di Crimea perse il suo stato di signoria vassalla della Sublime Porta e divenne formalmente uno stato indipendente, ma di fatto entrò nella sfera di influenza della Russia. L'imperatrice Caterina II decise di concentrare gli insediamenti degli ebrei russi in Crimea per crearvi una zona-cuscinetto utile al respingimento dei turchi oltreconfine. Adottò quindi una politica bivalente nei confronti delle comunità ebraiche, di tipo repressivo per gli altri insediamenti esistenti nella sua giurisdizione territoriale, e di importante incentivo economico per le migliaia di giovani che nel XIX secolo si trasferirono in questa regione. La corona riconobbe i titoli nobiliari dei tatari autoctoni, assorbendoli nella nobiltà russa; inoltre, ebbe cura del clero islamico al quale non espropriò le terre e i relativi di superficie (waqf), riconoscendo anzi ad essi un ruolo amministrativo mediante l'Amministrazione Spirituale Maomettana della Tauride. Ciononostante, in un secolo più di 900.000 musulmani emigrarono dalla Crimea.
Infine, nel 1784, approfittando dei conflitti di potere sorti all'interno della famiglia del Khan di Crimea, le truppe russe entrarono nel Khanato a sostegno del Khan, il quale offrì loro l'intero territorio: l'annessione fu ufficialmente proclamata l'8 gennaio 1784. L'Impero ottomano reagì con molto ritardo a questa invasione dichiarando guerra alla Russia (guerra russo-turca del 1787-1792) solo il 13 agosto 1787, ma ne uscì sconfitto e con il Trattato di Iassy del 1792 la Crimea entrò definitivamente a far parte dell'impero russo.
Impero russo
Il Nido di rondine, uno dei romantici castelli costruiti dall'élite russa in Crimea.
Fra il 1802 ed il 1921 la Crimea costituì il Governatorato della Tauride dell'Impero Russo. Particolare importanza acquistò Sebastopoli quale porto della Flotta del Mar Nero.
Nel 1854-1855 la Crimea fu il principale teatro della Guerra d'Oriente, che perciò è oggi nota come "Guerra di Crimea": gli eserciti congiunti di Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna riuscirono ad espugnare la cittadella militare russa di Sebastopoli, così ponendo termine alle mire espansionistiche dell'Impero Russo verso Costantinopoli. Le truppe piemontesi si distinsero soprattutto alla battaglia della Cernaia e ciò servì ad ottenere l'appoggio anglo-francese al progetto di Unità d'Italia. La guerra devastò il tessuto economico e sociale di Crimea e i Tatari che la abitavano furono costretti ad abbandonare la loro madrepatria non solo per le conseguenze della guerra ma anche per le persecuzioni e le confische di cui furono vittime. I sopravvissuti al viaggio, alla fame e alle malattie si stabilirono nella Dobrugia, in Anatolia e in altri luoghi dell'Impero ottomano.
I Tatari di Crimea divennero una minoranza nella penisola, mentre la maggioranza di essi viveva nella diaspora. Alla fine il governo russo decise di fermare il processo, e l'agricoltura iniziò a soffrire a causa dell'abbandono delle terre fertili... (argomentazione incompiuta).
All'inizio del Novecento Jalta divenne la più elegante località balneare russa, con ville, palazzi e alberghi.
Storia della Crimeahttps://www.treccani.it/enciclopedia/cr ... aliana%29/ La popolazione della Crimea è molto varia, essendo composta da rappresentanti di sette popoli diversi, e cioè Tatari, Russi, Ebrei, Zingari, Greci, Armeni e Tedeschi. I primi si dividono in due gruppi: i Nogai, i quali hanno conservato meglio di tutti il tipo fisico originario, assai vicino al tipo calmucco; e i Tatari, che, per le frequenti mescolanze con l'elemento greco, hanno assunto caratteristiche e sembianze quasi europee, con occhi grandi, non obliqui, naso diritto e ben modellato, zigomi poco sporgenti, barba folta, capelli castani. Tuttavia l'elemento russo tende a prevalere e a sostituirsi all'elemento tataro. Greci e Armeni costituivano alla seconda metà del sec. XVIII, una parte ragguardevole della popolazione della Crimea, ma, dopo l'annessione della regione alla Russia, essi emigrarono in Romania, Turchia e nel Caucaso. L'odierna popolazione della Repubblica della Crimea ammonta a 600.000 ab. circa; di essi il 25% è composto di Tatari, il 44% di Russi, il 14% di Ucraini. Avvenuto lo sfacelo dell'impero zarista, vi fu un tentativo di risveglio dei Tatari; il 5 maggio 1917 essi proclamarono la propria autonomia e procedettero all'organizzazione politica, sociale e militare del nuovo stato. La propaganda bolscevica disgregò ben presto la piccola repubblica e, dopo la partenza degli esercitì di Denikin e Wrangel, il governo di Mosca rimase padrone della situazione, vincolando la Crimea, eretta a repubblica autonoma, alla politica bolscevica.
Breve storia della Crimea Andreej Zubov
Andreej Zubov, dottore in scienze storiche, docente universitario russo, redattore responsabile di “La storia della Russia nel XX secolo”.
https://www.culturacattolica.it/cultura ... lla-crimeaCome è noto, la Crimea è all’origine della tragedia nell’Ucraina. All’inizio di marzo la società russa e il popolo della Crimea hanno esultato mentre il presidente Vladimir Putin pronunciava magniloquenti parole sulla nave della Crimea ritornata per sempre nel porto russo.
“La Crimea è sempre stata ed è ritornata ad essere russa”. Queste parole furono replicate come uno scongiuro.
Ma la riannessione di una provincia altrui, anche con pretesti che possono apparire giusti, non può mai passare in modo silenzioso e tranquillo. Fra occupanti e occupati sorgono conflitti che poi si prolungano per decine di anni e costano milioni di vittime. Pensiamo al conflitto fra la Germania e la Francia, fra l’Austria e la Serbia per la Bosnia. Il Donbass è il proseguimento diretto della politica russa nei confronti dell’Ucraina, soltanto che il risultato è apparso molto più sanguinoso. Valeva la pena iniziare con la Crimea?
Se la Crimea fosse sempre stata nostra e fosse stata perfidamente sottratta all’Ucraina come “un cesto di patate”, la questione sarebbe chiusa, l’ingiustizia si doveva riparare. Sarebbe doveroso uscire senza il gioco dei gentili “uomini verdi” e raggiungere la giustizia attraverso le istanze internazionali. La Crimea poteva porre il problema di separarsi dall’Ucraina, come la Scozia dall’Inghilterra e la Catalogna dalla Spagna.
Certamente se in Crimea fosse avvenuto il genocidio del popolo russo sarebbe entrata in vigore la risoluzione n° 2625 del 1970 sul diritto dei popoli all’auto-determinazione. Ma in Crimea, fin da quando fu unita all’Ucraina, non si verificò alcun genocidio. Da parte dei cittadini ucraini non venne effettuato alcun assassinio di russi, non fu intrapresa alcuna iniziativa volta a esiliare i cittadini russi in luoghi impossibili a vivere, non fu impedita la difesa delle famiglie e la nascita dei figli; si verificarono certi problemi con la lingua russa nella sfera ufficiale, ma credo che si possa riconoscere che fra una debole discriminazione linguistica e il genocidio esiste un’immensa distanza.
Se la separazione della Crimea e l’unificazione alla Russia non si può spiegare con il genocidio, ci sono forse degli altri argomenti storici indubitabili? Portiamo 3 argomenti: 1) la Crimea è sempre stata russa; 2) la Crimea è stata innaffiata dal sangue russo in molte guerre; 3) la Crimea è stata assegnata all’Ucraina illegalmente. Cerchiamo di spiegarci.
Nell’antichità e nel Medioevo la penisola di Crimea fu governata da molti regimi; sulla sua terra si mescolarono molti popoli, la Russia allora non esisteva ancora e i Rus’ e gli slavi erano, in Crimea, in piccola quantità. Nel secolo XI a Taman (oggi Kuban’) esisteva il principato di Tmutarakan, governato dai Rurikovic’. Probabilmente governavano una certa parte della Crimea orientale ed erano vassalli di Costantinopoli. I tempi antichi testimoniano piuttosto in favore di Kiev che in favore di Mosca. Infatti allora Mosca non era neppure ricordata mentre Kiev era “madre delle città russe”, tant’è che proprio a Kiev ospitava la sede suprema dei Rurikovic’
In seguito, furono Bisanzio, i mongoli e l’Orda aurea a dirigere la Crimea. Nella seconda metà del secolo XIII Costantinopoli consegnò ai genovesi il litorale meridionale, da loro venne fondato il capitanato Gotskij. Nell’estate del 1475 l’impero osmano sottomise la Crimea. Nella parte stepposa della penisola e a Priazov gli osmani conservarono il canato vassallico della Crimea; il litorale meridionale lo inclusero direttamente nella propria dipendenza. La popolazione della Crimea allora era molto eterogenea; vi erano non pochi greci, italiani, armeni, ebrei e slavi. La popolazione della steppa era soprattutto mongolica, la popolazione sui monti e in riva al mare era europea. La lingua comune un po’ alla volta divenne “crimeo-tatara”. Nella penisola fianco a fianco vivevano musulmani, cristiani di varie denominazioni ed ebrei. Ma questo mondo strano divenne russo non prima del 1783.
Proprio in quell’anno la Crimea venne inclusa nell’impero russo. La conquista del canato crimeo da parte della Russia non avvenne senza spargimento di sangue. La popolazione indigena della Crimea, a causa dell’emigrazione nella Turchia che aveva la stessa religione, e a causa della ferocia del governo russo, alla fine del secolo XIV diminuì di 5 volte. Il principe Potemkin così interpretò gli accordi con la Turchia nel 1874 sul diritto di difendere coloro che avevano la stessa fede: con la violenza trasferì i cristiani della Crimea sulle terre del Mar Nero settentrionale. Molti di questi passarono all’Islam per evitare la deportazione. Ancora nel 1930 in molte popolazioni crimeo-tatare esistevano due cimiteri, uno funzionante musulmano e uno chiuso cristiano, e i vecchi spiegavano ai giovani: dobbiamo occuparci di ambedue, nel cimitero cristiano sono sepolti i nostri antenati.
Il governo russo in Crimea, per la popolazione indigena, non fu un beneficio; le comunità musulmane furono private della proprietà sull’acqua e sulla terra, proprietà che passò al governo o agli uomini di corte. Da possessori gli abitanti indigeni divennero affittuari. Durante i 100 anni di dominio russo, da Caterina II ad Alessandro II complessivamente dalla Crimea emigrarono 900.000 musulmani.
Al loro posto giunsero i cristiani dell’impero osmano, greci, bulgari, armeni. Dalla Russia, dalla Germania e dall’Austria giunsero i colonialisti. I proprietari della terra venivano trasferiti in terre abbandonate di agricoltori e di contadini della grande Russia.
Simile situazione vigeva in Abkazia e sul litorale caucasico della Russia: nel secolo XIX la popolazione musulmana, soffrendo per il giogo religioso e per la mancanza di libertà, emigrò nell’impero osmano e si immischiò con i cristiani di origine varia (dalla Anatolia, dai Balcani e da altre provincie dell’impero russo). In Crimea nel 1795 i tatari rappresentavano l’87,6% della popolazione; nel 1897 il 35,6%, nel 1920 il 25% e nel 1939 il 19,4%.
Inoltre dobbiamo tener presente che l’Impero russo dei secoli XVIII, XIX e l’attuale Russia non avevano lo stesso governo. Nell’Impero non entravano soltanto i territori dell’attuale Russia, ma anche buona parte dei territori dell’Ucraina, Bielorussia, Kasakistan, Caucaso, governi baltici, perfino la Polonia e la Finlandia. E tutti i popoli, in modo eguale, consideravano propria la terra della Crimea e la irrigarono con il proprio sudore ed il proprio sangue. Durante la guerra di Crimea (1853-1856) nell’Armata russa erano forse pochi gli ucraini, i bielorussi, i georgiani, tedeschi e polacchi?
L’Impero russo era un paese di molti popoli e l’attuale Federazione russa non può pretendere di avere certe terre solo per il motivo che un tempo facevano parte dell’Impero dei Romanov. I bolscevichi rifiutarono di essere la successione dell’Impero russo, dichiararono di voler fondare un nuovo stato di operai e contadini, suddivisero l’Impero dei territori da loro conquistati in stati formalmente indipendenti, uniti apparentemente in un libero legame.
Essi cambiarono diverse volte i confini di questi stati. L’URSS staccò dalla propria costituzione il Kazakistan e la Kirgizia, in seguito la Carelia-finnica; alla Bielorussia consegnarono le provincie di Vitebsk e Mogila, in seguito l’URSS si aggregò la Carelia e nel 1954 consegnò all’Ucraina la Crimea. Tutte queste manipolazioni, giuridicamente approvate, non tenevano conto della volontà della gente che occupava queste terre. La consegna della Crimea all’Ucraina fu, più o meno, legittima come tutte le altre attività dei bolscevichi riguardo a paesi loro sottomessi.
L’importante è un’altra cosa: sebbene i confini nell’URSS non fossero convenzionali, dopo la caduta dell’URSS furono confermati da accordi internazionali e proclamati indipendenti dalla Federazione russa nel dicembre 1991. Riconosciuti in tutto il mondo dall’accordo bieloiez’skoe, dal grande accordo della Russia con l’Ucraina nel 1997. Così furono definiti i confini e l’appartenenza della Crimea all’Ucraina. A parte il numero formale degli anni di potere, l’Impero russo come quello osmano sono un altro mondo. Ma anche sotto questo aspetto l’Impero osmano comandò la Crimea per 3 secoli, mentre l’Impero russo per 134 anni. Il governo sovietico del quale la Federazione russa si è dichiarata come continuatrice ha diretto la Crimea dal 1920 al 1954, 34 anni, mentre l’Ucraina sovietica e l’attuale Ucraina 60 anni (1954-2014).
Sotto il potere sovietico furono compiuti una moltitudine di crimini contro il popolo originale crimeo-tataro e tutti gli altri popoli della Crimea, compresi i russi. Dopo aver conquistato la Crimea nel 1920 i bolscevichi compirono una carneficina degli appartenenti alla Guardia Bianca che non erano usciti con il generale Vrangel e di altri cittadini legati ai bianchi. Allora perirono circa 60.000 persone. La fame provocata dai bolscevichi negli anni 1921-1922 costò la vita ad altri 80.000 uomini, in gran parte tatari-crimei.
La collettivizzazione dei territori portò alla morte e alla deportazione ancora di decine di migliaia di persone di tutte le nazionalità. Nell’agosto 1941 dalla Crimea furono espatriati con la forza 63.000 tedeschi, e nel gennaio-febbraio 1942 700 italiani, lontani discendenti dei genovesi medioevali. Nel maggio-agosto 1944 dalla Crimea furono espulsi tutti i crimeo-tatari (191.000), i greci (15.040), i bulgari (12.242), gli armeni (9.600), turchi e persiani (3.650). Molti perirono lungo il trasferimento e morirono per le tristi condizioni di vita dove furono deportati.
La popolazione della Crimea si ridusse di 3 volte, nel 1939 nella penisola vivevano 1.126.000 abitanti, nel settembre 1944 379.000. In seguito la Crimea di nuovo cominciò a ripopolarsi, nelle case vuote si stabilirono i veterani della guerra, gli ufficiali ell’ex-esercito sovietico, l’NKVD, e operatori politici. La composizione della popolazione di Crimea mutò drammaticamente. Tutti i gruppi etnici-storici scomparvero. Soltanto nel 1980 incominciarono a ritornare gli scacciati rimasti vivi, i loro figli e i loro nipoti. Ma la loro terra e le loro case furono assegnate ad altre persone. Fra i residenti e i ritornati sorsero terribili conflitti.
Ed ecco “La Crimea è nostra”. Da questo è nata la guerra in Ucraina, mentre la Russia impetuosamente si è trasformata in un paese degradato. Esiste una soluzione? Sì, ma a mio avviso essa esige il rifiuto delle pretese di dirigere questo paese e ritornare alla volontà delle persone che ci vivono, volontà che deve stabilire il proprio destino.