Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:11 am

Trump non è un uomo perfetto, come non lo è nessun essere umano, ma la sua imperfezione è meno imperfetta di tante altre e politicamente si è palesata come è il male minore e il bene maggiore sia per gli USA che per il mondo.




Lo ho scritto, ma forse non bene, in passato.
Jaime Andrea Jaime
8 novembre 2020

https://www.facebook.com/jaime.mancagra ... 5802931447

Donald J. Trump è un umano e quindi NON può essere perfetto e come tutti fa i suoi errori.
Ha il suo carattere di cui molti lo accusano e certo non è una persona facile, ma ciò che sostengo io è che è proprio questo suo carattere che lo ha portato ad ottenere i risultati che ha ottenuto altrimenti se lo sarebbero mangiato a colazione.
Megalomane, con un ego grande come la galassia e la sua spavalderia certo che causano errori, ma rispetto ad altri sono una minima percentuale rispetto al resto ed è il motivo per cui, con tutti contro ed in quattro anni, è riuscito a fare gran parte di ciòche aveva promesso, cosa rarissima per un politico che infatti lui non è.
Dove invece io faccio il tifo vero, e certo non me ne vergogno, è per ciò che ha fatto ed ancora gli rimane da fare, con l'aiuto dei tanti che ha intorno a cominciare da Mike Pence, sia per gli USA che per il resto del mondo dato che sono convinto che sia l'unica strada da percorrere.


Trump senza veli: Storia di un Presidente inaspettato
Di John K. Wilson

https://books.google.it/books?id=0CgkDw ... &q&f=false


Questa campagna elettiva del 2020 dimostra quanto Trump nonostante le sue imperfezioni, sia amato da chi vota per lui e lo sostiene, i suoi comizi sono strapieni, nulla al confronto con Biden.
https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 1918604227
https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 9604527125
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 5763871987
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 9446011107


Tra i MAGA di Trump al comizio in Florida, per capire perché è così tanto amato
di Stefano Vaccara
13 ottobre 2020

https://www.lavocedinewyork.com/news/pr ... nto-amato/

“Molti dicono che non è un uomo di successo perché è fallita la sua linea aerea. L’università privata che ha fondato – anche quella è fallita. Io invece vedo una persona che non si arrende... Non mi sorprenderebbe se fosse stato contagiato non a caso, ma apposta... Che ti piaccia o no la sua politica, non puoi negare che sta mantenendo le sue promesse elettorali”


Mancano solo 22 giorni alle elezioni presidenziali americane. Trump fa la prima comparsa in pubblico da quando è stato diagnosticato con coronavirus appena una settimana fa. Parla davanti a un pubblico di 5000 sostenitori, a pochi passi dall’aereo presidenziale Air Force One, all’aeroporto di Sanford, Florida: l’evento segna un ritorno vigoroso per il presidente sotto assedio per problemi politici e di salute. L’inizio del rally è fissato per lunedì sera, le 7 pm, ma alle 3 comincia già ad affluire il pubblico. È una folla mista con giovani, anziani, e famiglie con bambini, quasi esclusivamente bianchi. Pochissimi, forse uno su venti, portano la mascherina.

Lungo la strada che porta al comizio, vari venditori di memorabilia Trumpista. Uno di essi, Adrian Robinson, ci dice: “amo il nostro presidente.” Robinson e tra i rari afro-americani visti all’evento. “Mi piace come ci parla il presidente, e amo che a volte sia volgare e che non è sempre politicamente corretto, perché capisco il suo linguaggio”. Robinson lo apprezza anche come businessman: “Molti dicono che non è un uomo di successo perché è fallita la sua linea aerea. L’università privata che ha fondato – anche quella è fallita. Io invece vedo una persona che non si arrende”. Chiedo a Robinson cosa pensi del coronavirus di Trump, pero evita la domanda, spiegando che non è il caso di parlare di un caso di virus tra tanti milioni.

Altri sono più disposti a dare il loro parere: “Non mi sorprenderebbe se fosse stato contagiato non a caso, ma apposta,” dice Nathan Robin di Ormond Beach, Florida. “È incredibile che abbia contratto il coronavirus”. La sua amica Sandy la vede diversamente: “Penso onestamente che lui non sia stato attento. Ma non vuol dire che non voterò per lui!”

Debbie, la terza di questo gruppo di anziani seduti su lettini all’ombra, condivide i sospetti di Nathan: “Sono stati troppi a contrarre il virus *bang* tutti allo stesso tempo, non è possibile che ciò accadesse con la stretta security che circondava il presidente. Io penso che la sinistra stia facendo tutto il possibile per ostacolare il presidente, per ribaltare i risultati di quest’elezione”.

Uno studente universitario, Matthew Peterson, vende cioccolata incisa con la faccia di Trump. “Che ti piaccia o no la sua politica, non puoi negare che sta mantenendo le sue promesse elettorali”.

Atterra Air Force One in perfetto orario. Un organizzatore ferma la colonna del pubblico per il controllo della temperatura. “Allineatevi l’uno accanto all’altro come il muro di Trump!” ci ordina scherzosamente. Il muro si sfalda e tutti si lanciano in avanti appena il presidente sbarca dall’aereo. L’organizzatore perde controllo della folla, riuscendo solo a prendere la temperatura di quei pochi che gli passano a fianco.

L’evento si svolge sulla pista di decollo incorniciato dagli hangar, il podio di Trump e l’aereo presidenziale ai due estremi. La pista contiene migliaia di partecipanti. Si ammassano vicino al podio, senza che alcun distanziamento fisico venga imposto dagli organizzatori.

Il discorso di Trump non devia dalle formule consuete, con qualche elemento aggiunto riguardando eventi recenti. Non ha per niente l’aspetto di un malato, a differenza di quando comparve davanti ai media sul balcone della Casa Bianca qualche giorno fa. Ricorda i suoi successi con il muro sul confine e il rimpatrio dei criminali. Si vanta di aver distrutto l’economia iraniana e dice che “si aspetta una loro chiamata” dopo l’elezione.

La sua capacità di arringare la folla non è stata intaccata dai molteplici problemi che hanno caratterizzato la sua amministrazione, tra cui il coronavirus e la sua performance al dibattito con Joe Biden. Sul virus, dice in modo giocoso: “Per fortuna non sono vecchio, sono una persona molto giovane” e la folla risponde con gran risate. Quando afferma di essere immune, il pubblico canta “TI AMIAMO! TI AMIAMO!”


Tutti i libri sul presidente | Il divide et impera di Donald Trump fa schizzare le vendite in libreria - Linkiesta.it
Dario Ronzoni
settembre 2020

https://www.linkiesta.it/2020/09/donald ... ita-libri/


Non manca nulla: biografie, reportage, resoconti da dentro, inchieste giornalistiche di alto livello.

Ogni giorno la biblioteca sul presidente americano si arricchisce di qualche nuovo titolo, e quasi sempre si tratta di un successo.

In alcuni casi sono delle vere e proprie hit, libri che raggiungono il milione di copie in una settimana (è il caso della biografia della nipote Mary L Trump), o i due milioni stabili, come “Fear” del celebre giornalista Bob Woodard – che si prepara a fare uscire uno nuovo, in prossimità delle elezioni.

In tutto si contano 1.200 titoli su di lui – il predecessore Barack Obama, nel suo primo mandato, ne aveva collezionati ben 500, ed era già un record.

Trump, però, è per definizione oltre ogni limite. Divisivo, offensivo, provocatorio, non è mai stato, come usano dire dopo le elezioni, il “presidente di tutti”. E la sua figura polarizzante si traduce in ambito editoriale in una impennata delle vendite.

Si parte dall’ormai classico “Fire and Fury” di Michael Wolff del 2018, che ha inaugurato un filone e ha totalizzato alla sua uscita 1.700.000 vendite, e si continua in una slavina di titoli, per tutti i tipi.

I più notevoli sono stati, come è noto, il già citato “Fear” di Bob Woodward (che si sa, vuole bissare il record con il prossimo libro, “Rage”), ma anche il memoir di Anthony Scaramucci, durato 11 giorni come capo della comunicazione, il contributo della ex assistente Omarosa Manigault Newman, il libro di Cliff Sims (ex comunicazione) e non può mancare James Comey e il suo “A Higher Loyalty”. Tanti scommettevano sul tell-all “Full Disclosure”, della ex pornostar Stormy Daniels, ma la vera bomba è stata quella di John Bolton, ex consigliere della sicurezza personale, che con il suo “The Room Where It Happened” ha davvero messo in imbarazzo la Casa Bianca.

Ma attenzione: funziona anche la stampa pro-Trump, anche se i volumi di vendita non sono paragonabili: la difesa del presidente di Edward Klein, in “All Out War: The Plot to Destroy Trump” è stato un successo, insieme a “The Permanent Coup”, di Lee Smith e alla negazione del Russiagate, a firma di Gregg Jarrett, “The Russia Hoax”. In questi quattro anni sono andate benissimo anche le copie della Costituzione americana, le opere di George Orwell (soprattutto “1984”, e perfino le edizioni del rapporto Mueller, nonostante fosse disponibile su internet in forma gratuita. Comprare e leggere è diventato, negli anni di Trump, una sorta di militanza.

È per questo che, in vista delle elezioni di novembre, la grande sfida tra i candidati passa anche per le librerie. Le case editrici si scaldano, hanno una pipeline già piena di titoli di prossima pubblicazione e contano sulle impennate di vendita nelle prossime settimane.

Il più agguerrito promette di essere Michael Cohen, l’ex avvocato del presidente (quello che aveva detto che avrebbe preso un proiettile al posto di Trump), che con il suo “Disloyal” ha già pronte 600mila copie da vendere. Ma ci sarà anche un libro di Andrew Weissmann, ex membro del team di consulenza di Robert Mueller, e uno di Peter Strzok, ex agente del Fbi, che tornerà a parlare delle interferenze russe nelle elezioni americane, insieme a quello di Rick Gates, ex aiutante di Trump nella sua campagna nel 2016 (anche lui racconterà le vicende legate alla Russia).

E ancora: “Melania and Me: The Rise and Fall of My Friendship with the First Lady,” di Stephanie Winston Wolkoff, sua ex amica e consigliera.

E se con l’eventuale vittoria del candidato dem Joe Biden il filone andrà in secca, niente paura: è già pronto il metavolume, cioè il libro sui libri di Trump. Lo scriverà il critico librario del Washington Post Carlos Lozada e si intitolerà “What We Were Thinking”, una rassegna dei 150 titoli più rappresentativi della presidenza Trump e dell’America che lo ha amato e lo ha odiato.

Tutta questa ricchezza di testimonianze, volumi e pubblicazioni è conseguenza della personalità di Trump ma anche dell’altissimo turnover che ha segnato i suoi primi anni alla Casa Bianca.

La sua tendenza a cacciare, licenziare e cambiare collaboratori in velocità ha accresciuto le file dei suoi nemici, creando un numero inedito di testimoni della sua inettitudine. Di qui le ondate di memoir e autobiografie, resoconti e ricordi. Alcuni pubblicano per dovere civile, altri per vendetta, altri ancora per notorietà.

Ma conta poco. Come spiega al New York Times Robert B. Barnett, avvocato di Washington esperto nella cessione di diritti d’autore, «nel male o nel bene Trump ha accresciuto l’interesse generale per la politica». Un appetito che in questo momento è diventato «tribale, drammatico e urgente». E si manifesta anche nei libri.


La personalità di Donald Trump: psicologia e comunicazione
Dott. Davide Algeri
11 Novembre 2016

https://www.davidealgeri.com/personalit ... nicazione/

Personaggi Pubblici, politici e grandi imprenditori hanno sempre avuto un certo ascendente verso la gente e in generale verso le masse. Ciò che li rende famosi è anche il loro stile comunicativo, in parte studiato, ma spesso dovuto anche alla loro personalità controversa.

E’ proprio questo contrasto che rende questi personaggi delle icone, nel bene e nel male. E anche nel caso delle elezioni presidenziali, la personalità di Donald Trump, ha giocato un ruolo importante, contribuendo a farlo diventare presidente degli Stati Uniti d’America.

Ma cosa rende interessante, seguito, amato e odiato, un personaggio che presenta la personalità di Donald Trump? Di certo i suoi contrasti caratteriali, uniti al suo stile comunicativo, hanno contribuito a renderlo così popolare e seguito.

È interessante analizzare il mix di tratti caratteriali, stile comunicativo ed il profilo psicologico che definiscono nell’insieme la personalità di Donald Trump.

Il coraggio di puntare in alto come chiave di successo, soprattutto in politica.

E’ il senso patriottico che tiene uniti gli americani. E questo Donald Trump è stato in grado di capirlo fin da subito con il suo motto “Make America Great Again!”.

Perché gli Americani vogliono sentirsi uniti e facenti parte di una grande famiglia (“Vi prometto che non vi abbandonerò”).

Già si parla di dinastie che verranno dopo di lui…

Per potere governare uno stato sono necessarie tutta una serie di competenze e capacità utili per garantire la stabilità del paese, da un lato, e l’evoluzione dall’altro. Capacità di negoziazione, di team building, ma anche capacità di affrontare e gestire situazioni complesse, sono solo alcune delle abilità richieste a chi si appresta a governare uno Stato.

Da quando è emerso il dato ufficiale della vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi, si è creato un tam tam mediatico attorno alla notizia e, ancora di più, una palese preoccupazione rispetto al destino non soltanto degli USA, ma anche dell’interno equilibrio mondiale.

Allo stesso tempo, da quando è iniziata la campagna elettorale – che ha visto in scena il duello Trump-Clinton – altrettanto numerose sono state le dissertazioni attorno alla personalità di Donald Trump, il neo presidente USA. Ciò che ne viene fuori è un quadro altamente complesso.

Il tentativo di questo articolo è quello di riflettere sotto diversi punti di vista sulle caratteristiche di personalità di Donald Trump.
Un primo profilo psicologico della personalità di Donald Trump: Dottor Jekyll e Mister Hyde

Come detto all’inizio, i contrasti comportamentali e comunicativi della personalità di Donald Trump lo renderebbero simile a “Dr Jekyll e Mr Hyde”. Che il suo comportamento sia studiato o meno, a primo acchito la personalità di Trump si potrebbe inquadrare all’interno di un Disturbo Narcisistico, oltre che Antisociale di personalità. Ma non è questo il contesto giusto per effettuare una diagnosi così accurata. Di sicuro la personalità di Trump ha contribuito in un modo o nell’altro al suo successo nella vita e non per ultimo a permettergli di occupare il ruolo di presidente.

Vediamo nel dettaglio i tratti più evidenti:

Non si lascia intimorire anche se sotto pressione. Trump, nel corso dei suoi interventi, non ha mai mostrato segni di ansia o nervosismo. E’ apparso sempre calmo anche quando sotto pressione.

Ha un’alta stima di sé utile per non farsi sopraffare da difficoltà o da critiche. Il lato negativo è che può mostrarsi riluttante a ricevere feedback e commenti, in particolar modo quelli negativi.
E’ competitivo e molto ambizioso. Questa sua caratteristica potrebbe rappresentare una qualità in presenza di ostacoli ed eventuali sfide. L’altra faccia della medaglia, sta nel fatto che potrebbe avere difficoltà a condividere successi e ed esperienze con il suo team.
Ama intrattenere e stare al centro dell’attenzione. Non teme di doverci mettere la faccia. Di contro, questa sua caratteristica, rischia di portarlo ad essere poco disposto ad ascoltare gli altri.
Comunica in modo diretto. In molti suoi discorsi Trump ha comunicato senza mezzi termini. Questa modalità comunicativa gli permette da un lato, di esprimersi sinceramente e senza il desiderio di compiacere gli altri, dall’altro lato, però, tale modalità non gli consente di empatizzare con le persone. In più di ogni occasione, infatti, ha mostrato di non prendere in considerazione i sentimenti di chi lo ascoltava. In questo modo, pertanto, rischia di inimicarsi la gente.

Si preoccupa poco delle regole e si sofferma poco sui dettagli. Se questa dote potrebbe permettergli di prendere decisioni molto velocemente, dall’altro lato, potrebbe condurre a prendere decisioni affrettate o poco ponderate.
E’ molto curioso, ha un sacco di idee ed una grande immaginazione. Donald Trump è un imprenditore e in quanto tale possiede doti creative ed è abile a tirare fuori tante idee per risolvere i problemi. La sua ridotta capacità a sapersi fermare per riflettere, al contempo, potrebbe renderlo imprevedibile e dispersivo.
Si mostra sicuro di sé, mostra sentimenti di grandiosità e pensa che le cose gli spettino di diritto. Individui come lui tendono a fare una buona prima impressione, ma risulta difficile lavorare con loro perché si sentono in diritto di ricevere un trattamento speciale, ignorano chi li critica e non si lasciano intimidire da altri.
E’ estremamente malizioso, può sembrare affascinante, interessante e audace. Ama correre i rischi e superare i limiti. Questo fa di lui una persona con cui risulta difficile lavorare, poiché è impulsivo e tende minimizzare i propri sbagli, accusando pesantemente gli altri.

Profilo psicologico di Donald Trump: una personalità patologica?

Approfondiamo i tratti di personalità di Donald Trump. Un quadro altrettanto interessante del neo presidente è quello fornito da Maria Konnivoka che riassume i principali sintomi della personalità di Trump:

Ha un ego spropositato ed esagera in ogni cosa che fa o dice (ad esempio, rispetto ai risultati e nel talento si aspetta di essere riconosciuto);
È ossessionato da fantasie di successo illimitato, potere, fascino, bellezza o amore ideale. Afferma di continuo quanto è grande tutto quello che farà come presidente e anche la sua carriera sembra incentrata sul cercare di trasferire questa immagine di grandiosità, successo e brillantezza, che a quanto pare, seguendo i parametri di valutazione, non corrispondono al vero.
Pensa di essere una persona speciale ed unica che può essere compresa solo da persone (o istituzioni) alquanto speciali o di status elevato.
E’ alla ricerca di ammirazione. “Tutte le donne su The Apprentice hanno flirtato con me. Ma questo me lo aspettavo”, ha affermato Trump in occasione di diverse interviste;
Possiede un forte senso del diritto. Ad esempio sostiene che il Congresso dovrebbe “approvare le leggi sulla diffamazione” affinché si possa citare in giudizio qualcuno che scrive o dice qualcosa di negativo su di lui.
È spesso invidioso degli altri e crede che gli altri provino invidia per lui: “Uno dei problemi quando si diventa di successo è che la gelosia e l’invidia che seguono inevitabilmente. Ci sono persone che io classifico come perdenti – chi nella vita si realizza cercando di ostacolare gli altri” (Leggi l’arte della transazione).
Mostra regolarmente comportamenti o atteggiamenti arroganti. “Se Hillary Clinton non riesce nemmeno a soddisfare il suo uomo, come fa a pensare di poter soddisfare l’America?”.

Personalità di Donald Trump, linea comunicativa e successo alle elezioni.

La comunicazione in ambito politico è molto complessa. A tratti può sembrare studiata: non a caso si parla di vero e proprio marketing, il cui fine non è vendere, ma stabilizzare e aumentare il consenso popolare (e alle urne).

Spesso però, quando si tratta di personaggi forti e determinati come quelli che presentano la personalità di Donald Trump, i tratti psicologici e caratteriali rappresentano un forte valore aggiunto nella comunicazione studiata a tavolino.

Ma quali sono i punti della comunicazione di Donald Trump che lo hanno portato al successo elettorale? Di seguito alcuni punti salienti che hanno inciso sul suo successo.

Parte dai bisogni. Con l’obiettivo di aumentare la propria “potenza di tiro”, Trump ha puntato ai bisogni delle persone e per far questo ha assunto una società per conoscere i profili psicologici di milioni di elettori statunitensi. Gesto manipolativo o strategia? Di sicuro ha mostrato di saper “giocare” meglio dei suoi competitors.
Pensa in grande. E’ uno dei temi più caldi degli Americani che vivono quotidianamente seguendo il mito dell’essere i migliori. In questo senso Trump ha utilizzato questo suo modo di essere o forse di mostrarsi come “il migliore” per risultare agli occhi degli americani, da un lato, un modello da seguire e dall’altro un uomo dalle larghe vedute. Bisogna capire in che modo ora le parole andranno d’accordo con i fatti.
Ha un bisogno psicologico primordiale di mostrarsi forte e senza paura. Trump è un concentrato di “Es” o di comportamenti infantili ed è questo che riattiva nei suoi elettori. Al centro dei suoi comizi, critica e minaccia i suoi nemici. Incita la folla ad atti di violenza verso gli altri candidati bugiardi e sfigati. Questo lo ha reso antipatico al 70% della popolazione. Nonostante ciò è ora il nuovo presidente.
Segue l’istinto. Nella sua carriera, afferma che è stato l’istinto a portarlo alla vittoria. A scegliere di comprare un immobile, che in molti casi era anche visto come un investimento fallimentare, finendo per trasformarlo in una fonte inesauribile di denaro. Per questo è convinto che è possibile avere tutti i titoli accademici cui si possono ambire, ma senza l’istinto diventa molto faticoso arrivare al top e rimanerci;
E’ sincero, ma determinato. Trump è brutalmente sincero e parte dal concetto che gli altri lo vogliono fregare solo per il gusto di farlo. Questo lo porta a resistere e a combattere fino alla fine, rafforzando la sua capacità di resilienza per resistere, contrattaccare e vincere. (leggi il suo libro “Pensa in grande e manda tutti al diavolo”)
Unico personaggio di spicco. Rispetto agli altri candidati, compresa Hillary Clinton, Trump ha saputo spiccare (in bene o in male), grazie alla sua personalità, oscurando tutti gli altri. Aspetto da non sottovalutare quando si concorre per salire al potere dello Stato. Se poi parliamo degli USA, il tutto si moltiplica.

La modalità comunicativa di Trump

Nel bene e nel male, qualsiasi cosa abbia fatto o detto Trump nel corso della campagna elettorale, non è passata inosservata. Per quale motivo?

Ha incoraggiato le visioni impopolari. Vietare o censurare le visioni impopolari non serve ad eliminarle, ma solo a metterle in ombra. Trump si è rivolto proprio a quel target di persone che nutre visioni impopolari, ottenendo il supporto e quindi una fetta in più di elettori.
Si è mostrato genuino. Se da un lato Hillary Clinton appariva quasi perfetta e sorridente nei dibattiti, quando Donald Trump parlava della sua avversaria, usava spesso un linguaggio forte. Se per la maggior parte delle persone un atteggiamento di questo tipo è da condannare, tuttavia, per una fetta di elettori, è stato percepito come autentico e quindi affidabile.
Ha usato un linguaggio semplice. Dopo anni di pratica all’interno di reality show, Trump ha capito come utilizzare un linguaggio che sia comprensibile a tutti. Questo potrebbe da un lato offendere le persone intelligenti, ma di fatto il suo messaggio risulta abbastanza chiaro all’ascolto di tutti.
Sa “mettere” a posto i suoi avversari. Nel corso dei suoi interventi, Trump è stato in grado di scoprire i punti deboli dei suoi avversari, sfruttandoli, o al contrario ha utilizzato anche la strategia del “prendere in giro” i punti di forza degli avversari, trasformandoli comunque in punti deboli. Ha detto tutto quello che pensava su di loro senza preoccuparsi se stesse dicendo o meno la verità. Questo atteggiamento ha fatto leva su tutte quelle persone che, in una fase instabile e di tensione come questa, si sentono indifesi e impotenti. Ai loro occhi si è presentato come l’eroe che li salverà da tutti i mali del mondo. I suoi seguaci, infatti, sembrano apprezzare il fatto che ha affrontato tematiche che molti politici avrebbero evitato: oltre ai Democratici, ha attaccato il governo messicano, musulmani ecc…
Conosce molto bene il target cui si riferisce. Trump sa cosa rende infelice i suoi elettori – il terrorismo, l’immigrazione clandestina, la crisi finanziaria dopo l’economia, la sicurezza, i cambiamenti demografici e molto altro ancora. Molti di quelli che si sentono impotenti e scontenti hanno creduto (e credono) che un uomo d’affari di grande successo, riuscirà a mettere a posto le cose.
Ha usato una comunicazione ripetitiva. Ripete molte volte fino a convincere le persone. Se un messaggio viene ripetuto tante volte, molti finiranno per crederci a prescindere dal fatto che sia vero o meno.
Sa come farsi pubblicità gratuitamente. Trump sa che il suo essere oltraggioso attirerà l’attenzione dei media. Naturalmente, i media vivono di personaggi famosi che attirano l’attenzione. Amanti e nemici di Trump sono stati attratti da lui allo stesso modo, perché sono ansiosi di vedere quello che sta per fare.
Il fenomeno Trump continua. Ai tempi in cui la corsa per la nomination repubblicana è cominciata, nessuno pensava che Trump avrebbe vinto. Trump, come Reagan e Schwarzenegger prima di lui, ha usato la sua celebrità per comunicare in modo più efficace rispetto ai suoi rivali. Qual è stata la sua strategia? Comunicare in modo più efficace sfruttando le debolezze e ad attaccando i punti di forza del suoi avversari.

In conclusione

Sembrerebbe che Trump sia apparso più umano, astuto e intelligente rispetto ai suoi rivali ed una cosa appare sicura, almeno dal personaggio e da quel che dice, che creerà un cambiamento. Bisognerà vedere come e che tipo di cambiamento.

E’ un pò quello che tutti si aspettano.

Noi restiamo qui in attesa e vediamo cosa sarà in grado di fare.


Cose buone fatte da Trump legislatore:

E meno male che Trump è stupido...altrimenti chissà cosa combinava
‎Jaime Andrea Jaime‎
Un amico mi ha passato queste informazioni, in inglese, le ho tradotte ed ora sono a disposizione. Tutte cose facilmente verificabili online.
Divertitevi.
Mancano molte altre cose, tipo gli accordi con il boss nordcoreano, ma sono sicuro che questa lista sia sufficiente ai babbei ritardati che berciano idiozie su Trump.
Ragazzi, è in carica da 3 anni e mezzo.... cosa ha fatto?
Oltre a schivare le frecciate che i media e Pelosi hanno lanciato?!?
che cosa hanno realizzato il PRESIDENTE TRUMP e il suo gabinetto......
Ecco a voi.
* Trump ha recentemente firmato 3 leggi a beneficio dei Nativi. Una dà un risarcimento alla tribù degli Spokane per la perdita delle loro terre a metà del 1800, una finanzia i programmi di lingua nativa, e la terza dà un riconoscimento federale alla Little Shell Tribe degli indiani Chippewa in Montana.
* Trump ha finalizzato la creazione della Forza Spaziale come nostro sesto ramo militare.
* Trump ha firmato una legge per rendere la crudeltà verso gli animali un reato federale, in modo che i maltrattatori di animali affrontino conseguenze più dure.
* I crimini violenti sono diminuiti ogni anno che è stato in carica dopo essere aumentato durante i 2 anni prima della sua elezione.
* Trump ha firmato un disegno di legge che rende legali la CBD e la canapa.
* L'EPA di Trump ha dato 100 milioni di dollari per risolvere il problema delle infrastrutture idriche a Flint, Michigan.
* Sotto la guida di Trump, nel 2018 gli Stati Uniti hanno superato la Russia e l'Arabia Saudita per diventare il più grande produttore mondiale di petrolio greggio.
* Trump ha firmato una legge che pone fine agli ordini di bavaglio sui farmacisti che impedivano loro di condividere informazioni che consentivano di risparmiare denaro.
* Trump ha firmato il "Consentire agli Stati e alle vittime di combattere il traffico sessuale online" (FOSTA), che include il "Stop Enabling Sex Traffickers Act" (SESTA) che fornisce alle forze dell'ordine e alle vittime nuovi strumenti per combattere il traffico sessuale.
* Trump ha firmato un disegno di legge per richiedere agli aeroporti di fornire spazi per l'allattamento al seno alle mamme.
* Il 25% degli americani meno pagati ha beneficiato di un aumento del reddito del 4,5% nel novembre 2019, che supera il 2,9% di guadagno per i lavoratori più pagati del Paese.
* I lavoratori a basso salario beneficiano di salari minimi più alti e di società che stanno aumentando la retribuzione iniziale.
* Trump ha firmato il più grande disegno di legge per la protezione e la conservazione della natura selvaggia degli ultimi dieci anni e ha designato 375.000 acri come terra protetta.
* Trump ha firmato il Save our Seas Act che finanzia 10 milioni di dollari all'anno per pulire tonnellate di plastica e rifiuti dall'oceano.
* Quest'anno ha firmato una legge che permette l'importazione di alcuni farmaci dal Canada, in modo che i prezzi delle prescrizioni diminuiscano.
* Trump ha firmato un ordine esecutivo quest'anno che obbliga tutti i fornitori di servizi sanitari a rivelare il costo dei loro servizi in modo che gli americani possano confrontare il negozio e sapere quanto meno i fornitori facciano pagare le compagnie di assicurazione.
* Quando ha firmato quel disegno di legge, ha detto che nessun americano dovrebbe essere preso alla sprovvista dalle fatture per i servizi medici che non hanno mai accettato in anticipo.
* Gli ospedali saranno ora tenuti a pubblicare le loro tariffe standard per i servizi, che includono il prezzo scontato che un ospedale è disposto ad accettare.
* Negli otto anni precedenti l'insediamento del Presidente Trump, i prezzi dei farmaci su prescrizione sono aumentati in media del 3,6% all'anno. Sotto Trump, i prezzi dei farmaci hanno registrato un calo su base annua in nove degli ultimi dieci mesi, con un calo dell'1,1% a partire dal mese più recente.
* Ha creato una Hotline VA della Casa Bianca per aiutare i veterani e l'ha gestita principalmente con i veterani e i familiari diretti dei veterani.
* I dipendenti della VA sono stati ritenuti responsabili per le scarse prestazioni, con più di 4.000 dipendenti della VA rimossi, retrocessi e sospesi finora.
* Ha emesso un ordine esecutivo che richiede ai Segretari della Difesa, della Sicurezza Nazionale e degli Affari dei Veterani di presentare un piano congiunto per fornire ai veterani l'accesso alle cure psichiatriche durante il passaggio alla vita civile.
* A causa di un disegno di legge firmato e sostenuto da Trump, nel 2020 la maggior parte dei dipendenti federali vedrà aumentare la propria retribuzione in media del 3,1% - il più grande aumento degli ultimi 10 anni.
* Trump ha firmato una legge che prevede fino a 12 settimane di congedo parentale retribuito per milioni di lavoratori federali.
* L'amministrazione Trump fornirà gratuitamente farmaci per la prevenzione dell'HIV a 200.000 pazienti non assicurati all'anno per 11 anni.
* Record di vendite di tutti i tempi durante le vacanze del 2019.
* Trump ha firmato un ordine che permette alle piccole imprese di raggrupparsi quando acquistano un'assicurazione per ottenere un prezzo migliore.
* Il presidente Trump ha firmato il Preventing Maternal Deaths Act (Legge per la prevenzione della morte materna) che fornisce finanziamenti agli Stati per sviluppare analisi della mortalità materna per comprendere meglio le complicazioni materne e identificare soluzioni e si concentra in gran parte sulla riduzione dei tassi di mortalità più elevati per i neri americani.

Fine seconda parte

Seconda parte
* Nel 2018, il Presidente Trump ha firmato il rivoluzionario First Step Act, un disegno di legge sulla giustizia penale che ha promulgato riforme che rendono il nostro sistema giudiziario più equo e aiutano gli ex detenuti a tornare con successo nella società.
* Le riforme del First Step Act hanno affrontato le iniquità nella condanna di leggi che hanno danneggiato in modo sproporzionato i neri americani e hanno riformato i minimi obbligatori che hanno creato esiti iniqui.
* Il First Step Act ha ampliato la discrezionalità giudiziaria nella condanna di crimini non violenti.
* Oltre il 90% di coloro che beneficiano delle riduzioni retroattive della pena previste dal First Step Act sono neri americani.
* Il First Step Act fornisce programmi di riabilitazione ai detenuti, aiutandoli a reinserirsi con successo nella società e a non tornare al crimine.
* Trump ha aumentato i finanziamenti per i college e le università storicamente neri (HBCU) di oltre il 14%.
* Trump ha firmato una legge che perdona il debito dell'uragano Katrina che minacciava gli HBCU.
* Le nuove vendite di case unifamiliari sono aumentate del 31,6% nell'ottobre 2019 rispetto a un anno fa.
* Ha reso le HBCU una priorità, creando la posizione di direttore esecutivo dell'iniziativa della Casa Bianca sulle HBCU.
* Trump ha ricevuto il Premio Giustizia Bipartisan in un college storicamente nero per i suoi risultati nella riforma della giustizia penale.
* Il tasso di povertà è sceso a un minimo di 17 anni dell'11,8% sotto l'amministrazione Trump, come risultato di un ambiente ricco di posti di lavoro.
* I tassi di povertà per gli afroamericani e gli ispano-americani hanno raggiunto i livelli più bassi da quando gli Stati Uniti hanno iniziato a raccogliere questi dati.
* Il presidente Trump ha firmato un disegno di legge che crea cinque monumenti nazionali, amplia diversi parchi nazionali, aggiunge 1,3 milioni di acri di aree naturali e riautorizza in modo permanente il Fondo per la conservazione della terra e dell'acqua.
* L'USDA di Trump ha impegnato 124 milioni di dollari per ricostruire le infrastrutture idriche rurali.
* La fiducia dei consumatori e delle piccole imprese è ai massimi livelli.
* Oltre 7 milioni di posti di lavoro creati dalle elezioni.
* Oggi il numero di americani occupati è più alto che mai nella nostra storia.
* Più di 400.000 posti di lavoro nel settore manifatturiero creati dalla sua elezione.
* Trump ha nominato 5 ambasciatori apertamente gay.
* Trump ha ordinato a Ric Grenell, il suo ambasciatore apertamente gay in Germania, di guidare un'iniziativa globale per depenalizzare l'omosessualità in tutto il mondo.
* Attraverso l'iniziativa dell'Anti-Trafficking Coordination Team (ACTeam) di Trump, le forze dell'ordine federali hanno più che raddoppiato le condanne dei trafficanti di esseri umani e aumentato il numero degli imputati del 75% nei distretti dell'ACTeam.
* Nel 2018 il Dipartimento di Giustizia (DOJ) ha smantellato un'organizzazione che era la principale fonte di pubblicità su Internet per la prostituzione, con conseguente traffico sessuale.
* L'OMB di Trump's ha pubblicato una nuova guida anti-tratta per i funzionari degli appalti pubblici per combattere più efficacemente la tratta di esseri umani.
* Trump's Immigration and Customs Enforcement's Homeland Security Investigations ha arrestato 1.588 criminali associati al traffico di esseri umani.
* Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di Trump's ha fornito finanziamenti per sostenere la linea telefonica diretta nazionale sulla tratta di esseri umani per identificare i colpevoli e dare alle vittime l'aiuto di cui hanno bisogno.
* La hotline ha identificato 16.862 potenziali casi di tratta di esseri umani.
* Il DOJ di Trump ha fornito sovvenzioni alle organizzazioni che sostengono le vittime della tratta di esseri umani - che hanno servito quasi 9.000 casi dal 1° luglio 2017 al 30 giugno 2018.
* Il Dipartimento per la Sicurezza interna ha assunto un numero maggiore di specialisti in assistenza alle vittime, aiutandole ad ottenere risorse e sostegno.
* Il Presidente Trump ha chiesto al Congresso di approvare una legge sulla scelta della scuola in modo che nessun bambino sia intrappolato in una scuola in difficoltà a causa del suo codice postale.
* Il Presidente ha firmato una legge di finanziamento nel settembre 2018 che ha aumentato i finanziamenti per la scelta della scuola di 42 milioni di dollari.
* I tagli alle tasse firmati dal Presidente Trump promuovono la scelta della scuola permettendo alle famiglie di utilizzare 529 piani di risparmio per l'istruzione elementare e secondaria.
* Sotto la sua guida l'ISIS ha perso gran parte del suo territorio ed è stato in gran parte smantellato.
* Il leader dell'ISIS Abu Bakr Al-Baghdadi è stato ucciso.
* Ha firmato la prima riautorizzazione della Perkins CTE dal 2006, autorizzando ogni anno più di un miliardo di dollari per gli stati a finanziare programmi di formazione professionale e di carriera.
* Ordine esecutivo che amplia le opportunità di apprendistato per studenti e lavoratori.
* Trump ha emesso un ordine esecutivo che proibisce al governo degli Stati Uniti di discriminare i cristiani o di punire le espressioni di fede.
* Firmato un ordine esecutivo che consente al governo di trattenere il denaro dai campus universitari ritenuti antisemiti e che non riescono a combattere l'antisemitismo.
* Il presidente Trump ha ordinato la sospensione del pagamento delle tasse statunitensi alle organizzazioni internazionali che finanziano o praticano l'aborto.
* Trump ha imposto sanzioni ai socialisti in Venezuela che hanno ucciso i loro cittadini.
* Ha concluso un nuovo accordo commerciale con la Corea del Sud.
* Ha fatto un accordo con l'Unione Europea per aumentare le esportazioni di energia degli Stati Uniti verso l'Europa.
* Ha ritirato gli Stati Uniti dall'accordo TPP, che uccideva i posti di lavoro.
* Ha assicurato 250 miliardi di dollari in nuovi accordi commerciali e di investimento in Cina e 12 miliardi di dollari in Vietnam.
* Ha approvato fino a 12 miliardi di dollari in aiuti agli agricoltori colpiti da ingiuste ritorsioni commerciali.
* Ha fatto liberare più di una dozzina di ostaggi americani, compresi quelli che Obama non ha potuto essere liberato.
* Trump ha firmato il Music Modernization Act, il più grande cambiamento alla legge sul copyright degli ultimi decenni.
* Trump si è assicurato miliardi di dollari che finanzieranno la costruzione di un muro al nostro confine meridionale.
* L'amministrazione Trump sta promuovendo l'assunzione di una seconda possibilità per dare agli ex detenuti l'opportunità di vivere una vita senza crimine e di trovare un'occupazione significativa.
* Il Dipartimento di Giustizia di Trump e il Consiglio delle Carceri hanno lanciato una nuova iniziativa "Ready to Work" per aiutare i datori di lavoro a collegare direttamente i datori di lavoro con gli ex detenuti.

Fine seconda parte

Terza parte

* La storica legislazione di taglio delle tasse del Presidente Trump includeva nuovi incentivi per le zone di opportunità per promuovere gli investimenti nelle comunità a basso reddito in tutto il Paese.

* 8.764 comunità in tutto il Paese sono state designate come Opportunity Zone.

* Si prevede che le Opportunity Zone stimoleranno 100 miliardi di dollari in investimenti di capitale privato a lungo termine in comunità economicamente svantaggiate in tutto il Paese.

* Trump ha ordinato al Segretario all'Istruzione di porre fine al Common Core.

* Trump ha firmato il Fondo di risarcimento per le vittime dell'11 settembre.

* Trump ha firmato un provvedimento che finanzia programmi di prevenzione per il suicidio dei veterani.

* Le aziende hanno riportato oltre un trilione di dollari da oltreoceano a causa del disegno di legge del TCJA che Trump ha firmato.

* I posti di lavoro nel settore manifatturiero stanno crescendo al ritmo più veloce degli ultimi 30 anni.

* Il mercato azionario ha raggiunto livelli record.

* Il reddito medio delle famiglie ha raggiunto il livello più alto mai registrato.

* La disoccupazione afroamericana è ai minimi storici.

* La disoccupazione ispano-americana è ai minimi storici.

* La disoccupazione asiatico-americana è ai minimi storici.

* Il tasso di disoccupazione femminile è al minimo storico di 65 anni.

* La disoccupazione giovanile è al minimo storico di 50 anni.

* Abbiamo il più basso tasso di disoccupazione mai registrato.

* La promessa ai lavoratori americani ha fatto sì che i datori di lavoro si impegnino a formare più di 4 milioni di americani.

* Il 95 per cento dei produttori americani sono ottimisti sul futuro, il più alto mai registrato.

* Come risultato della legge fiscale repubblicana, le piccole imprese avranno la più bassa aliquota marginale massima d'imposta degli ultimi 80 anni.

* Numero record di regolamenti eliminati che hanno danneggiato le piccole imprese.

* Firmata la riforma del welfare che richiede adulti abili che non hanno figli per lavorare o che non cercano lavoro se hanno il sussidio.

* Sotto Trump, la FDA ha approvato farmaci generici più accessibili che mai nella storia.

* Il programma Reformed Medicare per fermare gli ospedali dal sovraccaricare gli anziani a basso reddito sui loro farmaci, risparmiando agli anziani 100 milioni di $$$ solo quest'anno.

* Firmata la legislazione Right-To-Try che permette ai pazienti malati terminali di provare un trattamento sperimentale che prima non era permesso.

* Ha assicurato 6 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti per combattere l'epidemia di oppioidi.

* Firmato il VA Choice Act e il VA Accountability Act, ampliato i servizi di teleassistenza sanitaria, i servizi di ambulatorio e l'assistenza sanitaria primaria e mentale urgente in giornata.

* La produzione di petrolio degli Stati Uniti ha recentemente raggiunto il massimo storico, quindi siamo meno dipendenti dal petrolio del Medio Oriente.

* Gli Stati Uniti sono esportatori netti di gas naturale per la prima volta dal 1957.

* Gli alleati della NATO hanno aumentato le spese per la difesa a causa della sua campagna di pressione.

* Ha ritirato gli Stati Uniti dall'accordo sul clima di Parigi nel 2017 e nello stesso anno gli Stati Uniti sono ancora in testa al mondo con la più grande riduzione delle emissioni di carbonio.

* La sua nomina a giudice di circuito è stata confermata più velocemente di qualsiasi altra nuova amministrazione.

* Ha avuto la conferma di Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh del suo giudice della Corte Suprema.

* Ha trasferito l'ambasciata americana in Israele a Gerusalemme.
* Accordato un nuovo accordo commerciale con Messico e Canada che aumenterà i posti di lavoro qui e $$$$ in arrivo.

* Raggiunto un accordo con l'Unione Europea per aumentare le esportazioni americane.

* Imposta tariffe sulla Cina in risposta al trasferimento forzato di tecnologia della Cina, il furto di proprietà intellettuale, e le loro pratiche commerciali cronicamente abusive, ha accettato un accordo commerciale parte uno con la Cina.

* Ha firmato una legge per migliorare la linea telefonica nazionale per i suicidi.

* Firmato la più completa legislazione sul cancro infantile mai entrata in vigore, che farà progredire la ricerca sul cancro infantile e migliorerà le cure.

* Il Tax Cuts and Jobs Act firmato da Trump ha raddoppiato l'importo massimo del credito d'imposta per i bambini a disposizione dei genitori e ha innalzato i limiti di reddito in modo che più persone possano rivendicarlo.

* Ha anche creato un nuovo credito d'imposta per altre persone a carico.

* Nel 2018, il presidente Trump ha firmato un aumento di 2,4 miliardi di dollari per il Fondo per l'assistenza all'infanzia e lo sviluppo, fornendo un totale di 8,1 miliardi di dollari agli Stati per finanziare l'assistenza all'infanzia per le famiglie a basso reddito.

* Il Child and Dependent Care Tax Credit (CDCTC) firmato da Trump fornisce un credito d'imposta pari al 20-35% delle spese per l'assistenza all'infanzia, 3.000 dollari per bambino e 6.000 dollari per famiglia + i conti di spesa flessibili (FSA) consentono di accantonare fino a 5.000 dollari in dollari al lordo delle imposte da utilizzare per l'assistenza all'infanzia.

* Nel 2019 il Presidente Donald Trump ha firmato la Legge sulla collaborazione, la responsabilità, la ricerca, l'istruzione e il sostegno all'autismo (CARES) che stanzia 1,8 miliardi di dollari di finanziamenti nei prossimi cinque anni per aiutare le persone con disturbi dello spettro autistico e per aiutare le loro famiglie.

* Nel 2019 il presidente Trump ha firmato due pacchetti di finanziamento che forniscono quasi 19 milioni di dollari in nuovi finanziamenti per i programmi di ricerca e istruzione specifici della Lupus, oltre a 41,7 miliardi di dollari aggiuntivi per i National Institutes of Health (NIH), il finanziamento più importante della Lupus.

* Un altro risultato imminente da aggiungere: nella prossima settimana o due Trump firmerà la prima importante legge anti-robocall da decenni chiamata TRACED Act (Telephone Robocall Abuse Criminal Enforcement and Deterrence.) Una volta che sarà la legge, il TRACED Act prolungherà il periodo di tempo che la FCC deve prendere e punire coloro che intenzionalmente infrangono le restrizioni del telemarketing. La legge richiede inoltre ai fornitori di servizi vocali di sviluppare un quadro di riferimento per verificare che le chiamate siano legittime prima che raggiungano il telefono.

* Il mercato azionario statunitense raggiunge continuamente i massimi storici.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:11 am

Quella volta che Trump derise un giornalista disabile (Serge Kovaleski del New York Times) che lo contrariava e contestava e che nel passato non era mai stato benevolo con lui, derisione istintiva e naturalmente infantile.
Giornalista che si era dimostrato chiaramente pro islam e che aveva cercato di sminuire se non di negare le evidenti reazioni di approvazione degli attentati alle torri gemelle del 2001, reazioni peraltro avvenute in tutto il mondo (ed anche negli USA) che esprimevano tutto il loro odio demenziale e nazi razzista per l'America (e anche per l'Europa e per l'Occidente tutto, per i bianchi, per i cristiani, per gli ebrei e Israele e la civiltà laica dell'uomo di buona volontà ragionevole e non idolatramente fideista), proprio come quelle che seguono da sempre ogni attentato tra cui quelli in Europa e che ognuno di noi ha constatato di persona, dalle stragi di Charlie Hebdo e del Bataclan di Parigi a quelle di Nizza, di Londra, di Madride quelle in Germania.
Negarlo è una grave menzogna e un farsi complici del male, pari a quella della santificazione di Maometto e del Corano.


Chi è Kovaleski, giornalista premio Pulitzer deriso da Trump
Andrea Cauti
09 gennaio 2017

L'allora candidato repubblicano chiamò in causa il reporter per un articolo sull'11 settembre ma fu smentito.
https://www.agi.it/estero/chi_kovaleski ... 017-01-09/
...

Cosa ha provocato la discussione tra Trump e Kovaleski
Come ricorda in una puntuale riscostruzione il sito Heavy.com, in quel periodo della sua campagna elettorale, Trump era sotto accusa per la sua affermazione che i musulmani americani "hanno festeggiato" la distruzione del World Trade Center e delle Twin Towers l'11 settembre 2001. A sostegno della sua tesi, Trump indicò un articolo scritto il 18 settembre 2001 da Kovaleski sul Washington Post in cui il giornalista scriveva che la polizia aveva "fermato e interrogato un numero di persone che sarebbero state viste festeggiare gli attacchi". A quel punto Kovaleski ha corretto Trump dicendo che non ci sono stati rapporti credibili di tali festeggiamenti. In risposta, Trump ha affermato che il giornalista ha "fatto retromarcia" rispetto alla sua versione originale.


Donald Trump deride un giornalista disabile
davidemazzocco
26 Novembre 2015

https://www.blogo.it/post/363863/donald ... a-disabile

Donald Trump, uno dei candidati repubblicani alle presidenziali Usa 2016, ha scherzato durante un comizio tenutosi nel South Carolina sulla disabilità di un giornalista, Serge Kovaleski del New York Times. In questi mesi Trump di gaffe ne ha inanellate parecchie, ma sembra evidente che quella commessa ieri avrà un peso determinante nella sua corsa alla Casa Bianca.

Kovaleski, già vincitore del premio Pulitzer, è affetto fin dalla nascita dall’artrogriposi, una sindrome che provoca una contrazione di alcune parti del corpo, gli arti in particolare. Trump ha citato l’articolo in cui Kovaleski aveva detto che nel 2001, migliaia e migliaia di musulmani avevano festeggiato dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre.

In realtà Kovaleski aveva scritto sul Washington che alcune persone – non migliaia come affermato da Trump – avevano festeggiato dopo gli attacchi dell’11 settembre.

“Prima era un buon giornalista, ora non fa che inanellare scuse tipo ‘uhh, ma, non so se davvero ho scritto una cosa del genere, uhh, non ricordo…’ del resto potete vederlo, povero ragazzo”
ha detto Trump che, a questo punto, si è messo a mimare gestualmente la disabilità di Kovaleski.

Sul suo profilo Twitter Kovaleski non ha voluto commentare, limitandosi a linkare alcuni articoli relativi alla vicenda. D’altronde le parole, così come i comportamenti di Trump, si qualificano da soli. Neanche la peggiore politica di casa nostra, razzista e sessista come poche altre al mondo, si era mai spinta a tanto.

Il New York Times ha minacciato di voler querelare il candidato repubblicano per lo spettacolo offerto in South Carolina, ma l’iniziativa appare davvero come il male minore per un candidato dalla comunicazione politica a dir poco raccapricciante. Ora il problema di Trump non sono tanto i soldi che dovrà sborsare per un’eventuale querela, ma quelli che ha già speso e che ancora spenderà per una campagna elettorale che ha imboccato ieri la strada di un fallimento irreversibile.

Gino Quarelo
Non vi è stato alcun fallimento perché poi ha vinto.


Trump senza veli: Storia di un Presidente inaspettato
Di John K. Wilson

https://books.google.it/books?id=0CgkDw ... mp&f=false




???

Donald Trump ha preso in giro un giornalista disabile
Durante un comizio elettorale in South Carolina, per giunta per una storia considerata da tempo infondata

http://www.ilpost.it/2015/11/26/donald- ... york-times
https://www.youtube.com/watch?v=37zvOZ17eSE

Durante un comizio in South Carolina, Donald Trump – imprenditore e candidato Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti – ha preso in giro un giornalista del New York Times con l’artrogriposi, una malattia genetica che provoca rigidità articolare.
Trump stava difendendo alcune sue recenti dichiarazioni riguardo i giorni successivi agli attacchi al World Trade Center dell’11 settembre del 2001: sostiene di avere visto in quei giorni in New Jersey migliaia di musulmani festeggiare gli attacchi, una storia mai dimostrata e che era già stata smentita allora dalle autorità locali e di nuovo smentita dalla stampa negli anni successivi.

Nel suo discorso in South Carolina, Trump si è riferito a Serge Kovaleski – attuale giornalista del New York Times – per un articolo che Kovaleski scrisse nel 2001 sul Washington Post e che ha commentato di nuovo di recente. Nel suo articolo del 2001, Kovaleski scrisse a un certo punto: «Le autorità hanno arrestato e interrogato un certo numero di persone accusate di festeggiare gli attacchi e fare delle feste sui tetti mentre guardavano la devastazione dall’altra parte del fiume». Dopo che di recente Trump aveva raccontato di avere assistito a scene di festeggiamenti di migliaia di persone che inneggiavano gli attacchi – e aveva citato anche quell’articolo di Kovaleski – Kovaleski ha detto a CNN: «Facemmo molte indagini dentro e attorno a Jersey City e parlammo con molti residenti e funzionari per scriverne un articolo più ampio. Molte di quelle cose sono ovviamente sfuggite dalla mia memoria. Non ricordo nessuno dire che erano migliaia, o nemmeno centinaia le persone che festeggiavano. Non fu così, per quello che posso ricordare».

Dopo la precisazione di Kovaleski a CNN, Trump durante un comizio ha detto: «Povero ragazzo. Dovreste vederlo: “Ehm, non so cosa ho detto. Non mi ricordo», agitando le mani e mimando le difficoltà motorie di Kovaleski provocate dalla sua malattia.


Chi è Kovaleski, giornalista premio Pulitzer deriso da Trump
di Andrea Cauti

http://www.agi.it/estero/2017/01/09/new ... mp-1354851
Roma - Meryl Streep attacca ancora Donald Trump e lo fa dal palcoscenuico dei Golden Globe. Lo accusa di bullismo e cita il caso del cronista disabile del 'New York Times', Serge Kovaleski, che fu preso in giro da Trump nella campagna elettorale. "Non ho mai preso in giro nessuno - si è difeso il presidente eletto -. Sono stato chiamato in causa da un giornalista che era nervoso perché aveva cambiato storia. La gente continua a dire che l'ho preso in giro, come se Meryl Streep o qualcun altro potesse leggere nella mia mente. Ma non ho fatto nulla di tutto questo".

Chi è Serge Kovaleski, premio Pulitzer preso in giro da Trump
Nato in Sudafrica e laureatosi nel 1984 in Filosofia in un college della Virginia, è un reporter investigativo della redazione nazionale del 'The New York Times'. Dopo essere stato al 'Washington Post', al 'NY Daily News' e al magazine 'Money' del 'The Miami News' è arrivato al 'New York Times' dove ha lavorato per due anni nella redazione culturale facendo inchieste importanti come quella sulla morte per overdose di Prince. In cronaca ha coperto avvenimenti importanti come come l'attentato alla maratona di Boston o le complesse e conflittuali questioni di diritto legate alla legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti. Nel 2008 ha fatto parte del pool di giornalisti che hanno realizzato l'inchiesta sulla prostituzione che ha portato allo scandalo Eliot Spitzer con cui il 'New York Times' ha vinto il premio Pulitzer. Kovaleski è affetto da artrogriposi e di questa disabilità si è fatto beffe Donald Tump durante un discorso pubblico in South Carolina in campagna elettorale il 26 novembre 2015 in cui ha imitato il giornalista mimando la sua disabilità e dicendo: "avete visto questo ragazzo... 'Uhh, non so quello che ho detto... Uhh, non mi ricordo... non mi ricordo. Forse è quello che ho detto". Durante il discorso Trump ha piegato il polso e ha agitato le braccia più volte mentre parlava dando a molti spettatori l'impressione che il suo intento non fosse solo di mettere in ridicolo le parole del reporter ma anche di deridere l'aspetto fisico del Kovaleski.

Cosa ha provocato la discussione tra Trump e Kovaleski
Come ricorda in una puntuale riscostruzione il sito Heavy.com, in quel periodo della sua campagna elettorale, Trump era sotto accusa per la sua affermazione che i musulmani americani "hanno festeggiato" la distruzione del World Trade Center e delle Twin Towers l'11 settembre 2001. A sostegno della sua tesi, Trump indicò un articolo scritto il 18 settembre 2001 da Kovaleski sul Washington Post in cui il giornalista scriveva che la polizia aveva "fermato e interrogato un numero di persone che sarebbero state viste festeggiare gli attacchi". A quel punto Kovaleski ha corretto Trump dicendo che non ci sono stati rapporti credibili di tali festeggiamenti. In risposta, Trump ha affermato che il giornalista ha "fatto retromarcia" rispetto alla sua versione originale.


Donald Trump deride il giornalista disabile Serge Kovaleski: il New York Times minaccia di quererarlo L'Huffington Post
26/11/2015
http://www.huffingtonpost.it/2015/11/26 ... 53522.html
Questa volta ha passato il segno. Durante un comizio in North Carolina, il candidato repubblicano ha deriso Serge Kovaleski, giornalista del New York Times, affetto dall'artrogiprosi, una condizione clinica caratterizzata da una grave rigidità degli arti. "Dopo l'attacco alle Torri Gemelle - ha detto Trump parlando di Kovaleski - scrisse che gli arabi d'America festeggiarono ma oggi dice di non ricordare bene quell'articolo". "Ora, poverino, dice 'non ricordo', 'non sono sicuro', 'può darsi che lo abbia detto'", ha concluso scimmiottando i gesti del giornalista.
Lo staff del magnate americano ha cercato di giustificare l'accaduto sostenendo che "Trump non era a conoscenza della condizione" di Kovaleski e che "non stava prendendo in giro il suo aspetto fisico in nessun modo". In un'intervista telefonica, il giornalista ha replicato confermando che Trump sicuramente si ricorda di lui e della sua condizione. A supporto di questa versione c'è il fatto che Kovaleski ha seguito Trump dal 1987 al 1993, quando l'imprenditore era alle prese con alcuni scandali finanziari.


Un gruppo di palestinesi sono stati girati festeggia in strada per celebrare le notizie locali di attacchi al World Trade Center e la morte di migliaia di americani.
https://en.wikipedia.org/wiki/Reactions ... 11_attacks
Fox News ha riferito che a Ein el-Hilweh, il più grande campo profughi palestinese del Libano, festaioli sparato armi in aria, con simili spari celebrativo sentito al campo Rashidiyeh vicino alla città meridionale di Tiro pure. Yasser Arafat e quasi tutti i capi delle Autorità Nazionale Palestinese (Anp) hanno condannato gli attacchi e ha tentato di censurare e screditare trasmissioni e altri rapporti di stampa palestinese che giustificano gli attacchi in America, con molti giornali, riviste, siti web e agenzie di stampa in esecuzione fotografie di celebrazioni pubbliche palestinesi. Il PNA ha sostenuto tali celebrazioni non erano rappresentativi dei sentimenti del popolo palestinese, e il ministro dell'Informazione Yasser Abed Rabbo ha detto che l'Anp non consentirebbe "un paio di bambini" a "spalmare il vero volto dei palestinesi". Nel tentativo di reprimere ulteriormente segnalazione, Ahmed Abdel Rahman, segretario di gabinetto di Arafat, ha detto che l'Autorità palestinese non ha potuto "garantire la vita" di un cameraman Associated Press (AP) se metraggio ha filmato di post-9/11 celebrazioni a Nablus è stato trasmesso . L'affermazione di Rahman ha spinto una protesta formale da parte del capo dell'ufficio di AP, Dan Perry.
...
Un sondaggio condotto dalla Fondazione Fafo nell'Autorità Palestinese nel 2005 ha rilevato che il 65% degli intervistati ha sostenuto "le azioni di Al Qaeda come attentati in USA e in Europa".



Attentato Gerusalemme: a Gaza si festeggia!!!
7 marzo 2008
https://www.focusonisrael.org/2008/03/0 ... -festeggia


Attentato Gerusalemme: a Gaza si festeggia!!!
7 marzo 2008
http://www.lastampa.it/2015/11/16/multi ... agina.html

Gaza festeggia l'attentato di Tel Aviv: "Non è vendetta contro gli ebrei, ma una reazione ovvia"
https://www.youtube.com/watch?v=KPH2C-GwchE



Gli estremisti svizzeri festeggiano gli attentati: "Solo 140 morti"
Sulla rete gli islamisti svizzeri ironizzano sui tragici fatti di Parigi. Alcuni hanno espresso perfino soddisfazione. Anche in Ticino sono spuntati commenti in difesa dei terroristi

http://www.tio.ch/News/Svizzera/Attuali ... -140-morti

LUGANO - Iniziamo subito col dire che i mussulmani svizzeri hanno condannato gli attentati di Parigi. Anche in Ticino la Lega dei Musulmani ha usato parole dure per stigmatizzare la ferocia assassina che ha sconvolto l'intero mondo venerdì sera.
Ma esiste una minoranza di radicalisti musulmani svizzeri che sulla rete si è fatta avanti plaudendo gli assassini autori delle tragedie parigine, ed è proprio sulla frangia di estremisti - presenti pure nel nostro paese - che i terroristi fanno leva.
Appena 140 morti - La stampa d'oltralpe si occupa oggi di loro, e delle loro esternazioni raccolte sul web. Ed ecco allora un certo Samir K che sulla pagina di Facebook del Consiglio Centrale Islamico della Svizzera (ICCS) ironizza: "Sono molto triste. Non riesco a calmare il mio dolore: appena 140 morti". Parole dure. Inopportune, che hanno suscitato lo sdegno dei lettori, infiammando la rete. E a chi condannava le sue parole, Samir K ha spiegato che "ogni giorno muoiono 450 musulmani e questo accade da 25 anni a questa parte", e che gli attacchi continueranno fintanto che i paesi occidentali non si ritireranno dal Medio Oriente.
Europei peggiori dell'Isis - Sullo stesso tenore di Sami K, è il commento di Soner O che dice: "Gli europei sono dieci volte peggiori dell'ISIS". E poi ancora Mohammed K che su Twitter se la prende con i musulmani che in queste ore stanno prendendo le distanze dagli attentati: "È incredibile - scrive - che dopo decenni di massacri contro di noi ci siano nostri fedeli convinti che il lavoro di lecchinaggio sia ancora utile".
Sulla stessa pagina di Facebook i musulmani che si distanziano dagli attentati vengono presi di mira e insultati. "Coloro che si vergognano di essere fedeli all'islam -scrivono alcuni estremisti - non sono utili e possono diventare tranquillamente cristiani".
La zurighese che vuole morire in nome di Allah - Ci sono poi le parole di Almedina K che abita a Zurigo, musulmana con origini balcaniche. Dice di aver festeggiato venerdì sera così come aveva fatto l'11 settembre per l'attentato alle Torri gemelle, e rivela di voler conoscere un qualunque combattente eroe siriano, perché anche lei vuole morire e sacrificarsi come martire in nome di Allah".

In Ticino - Dichiarazioni che gettano benzina sul fuoco. Che indignano. Anche sulla pagina ticinese della Lega dei musulmani qualcuno si spinge oltre e arriva a scrivere "Qualcuno piangerà anche per i bambini siriani e iracheni uccisi dalle bombe francesi?". Saber M, che abita in Ticino, se la prende con la disparità di trattamento: "Perché quando i musulmani muoiono non fanno rumore BASTARDI", mentre Mouez B. urla on line "Diooo grandeee....".
La Svizzera non è un'isola felice - Va però sottolineato ancora una volta che si tratta di casi singoli, non si sa quanto numerosi, e che la Lega dei musulmani in Ticino "ha condannato fermamente e senza esitazione la tragedia di Parigi". Ma i commenti dei radicalisti fanno oggi discutere più delle parole di condanna, e aprono gli occhi su una realtà che sta venendo a galla con maggiore evidenza in queste ore e che ha portato Amhad Mansour (psicologo e scrittore israelo-palestine) a dire che: "La Svizzera non è un'isola felice. I gruppi estremisti sono attivi anche qui. I giovani che vogliono compiere attentati lo faranno ovunque".
Molti i musulmano che stigmatizzano l'attentato - Va pure detto che la maggior parte dei musulmani in Svizzera hanno condannati i tragici fatti di Parigi. "Non solo la Lega dei musulmani ha reagito con critiche nei confronti dell'attentato, ma pure la Comunità islamica e i musulmani sciiti dell'Associazione Imam Alì", sottolinea Francesco Mismirigo, delegato cantonale all'integrazione degli stranieri.
"Solo il 20% dei musulmani in Svizzera si riconosce in una delle associazioni esistenti - aggiunge -. La maggioranza di loro (80%) è europea e non si sente per forza sempre rappresentata da associazioni in gran parte arabofone".

Muslims Celebrate live on camera the terrorist attack
https://www.youtube.com/watch?v=icXJH6WYkOE

A Belgian minister said Muslims ‘danced’ after terror attacks. Now he’s facing questions.
https://www.washingtonpost.com/news/wor ... 16820d8e9d



Islamici arrestati a Bruxelles: festeggiavano per gli attentati
Confermate le "manifestazioni di gioia" dopo gli attentati. Ma è bufera sul ministro dell'Interno
Sergio Rame - Lun, 18/04/2016
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/isl ... 48200.html

Il Belgio fatica ancora a riprendersi dallo choc degli attentati all'aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles.
E, mentre infuriano le polemiche sulle politiche di integrazione degli immigrati musulmani, il quotidiano Le Soir rivela come poco dopo la diffusione delle notizie degli attacchi in un quartiere periferico della capitale belga "un piccolo gruppo di persone ha festeggiato". Tanto che la polizia ha arrestato due persone. Sebbene la notizia confermi la veridicità delle parole del ministro dell'Interno Jan Jambon, in tutto il Belgio si è riattizzato lo scontro politico contro il nazionalista fiammingo, già duramente contestato per gli errori e le incongruenze nella gestione della prevenzione.

Intervistato dal quotidiano De Standard Jambon Jambon ha affermato che "in occasione degli attentati una parte significativa della comunità musulmana si mise a ballare". Una presa di posizione che ha scatenato un terremoto negli ambienti politici, non solo tra le file dell'opposizione ma addirittura tra quelle della coalizione di centro-destra al governo. "Parole deprecabili - ha commentato Nahima Lanjiri, deputato dei cristiano-democratici delle Fiandre, di origini marocchina - questa è retorica assolutistica, e indebolisce i tanti musulmani che hanno condannato gli attacchi e partecipato alla marcia di ieri contro il terrore". Alla manifestazione hanno sfilato almeno settemila persone per le strade del centro della capitale. "Sono affermazioni preoccupanti", ha commentato dal canto suo la capogruppo socialista alla Camera, Meryame Kitir. "Se sono veritiere, il ministro deve esporre le prove riguardanti l'accaduto - ha, poi aggiunto - se non lo sono, non fa che alimentare la diffidenza e l'ansia".

Nonostante le polemiche, il quotidiano Le Soir conferma quanto dichiarato dal ministro dell'Interno spiegando che, poco dopo la diffusione delle notizie degli attentati in un quartiere periferico della capitale belga, "un piccolo gruppo di persone ha festeggiato". Di questi la polizia ha arrestato due persone. Jambon, che il 24 marzo aveva rassegnato le dimissioni respinte però dal premier Charles Michel, ha messo in chiaro: "Io non ho parlato di balli. Ho parlato di fatti che ci sono stati comunicati durante una seduta del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, e penso sia normale in una democrazia chiamare i fatti con il loro nome. È questo - ha concluso - che permette il dibattito".


"Parigi in fiamme": i sostenitori di Isis festeggiano sui social le morti francesi. E c'è chi cita V per Vendetta
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/e ... 56184.html
Foto della Torre Eiffel che brucia, video di miltanti di origine francese che negli scorsi mesi minacciavano di riempire di cadaveri le strade di Parigi, vecchie immagini di coloni francesi in Medio Oriente o nel NordAfrica. Così i disseminatori di Isis commentano quanto accaduto nella notte, gioiscono delle morti degli infedeli (tralasciando il fatto che, probabilmente, tra le vittime ci saranno anche uomini e donne di fede musulmana) e invitano altre persone a unirsi a loro. "Cosa state aspettando?" - si legge in altre immagini pubblicate su twitter - "Parigi è in fiamme. Bruciamo il resto dell'Europa". L'appello ai cosiddetti "lupi solitari", alle "cellule dormienti" in grado di scatenare la guerriglia urbana, come in quest'ultima notte nella capitale francese, è continuo e mira a rafforzare il sospetto reciproco e far sentire chiunque insicuro, anche nel proprio quartiere, nella propria casa.
"O crociati, stiamo arrivando da voi con bombe e fucili.
Aspettateci" si legge sull'account di @TurMedia316. "Dopo i crimini francesi in Mali, e i bombardamenti in Siria e in Iraq siamo arrivati noi. Nelle vostre case arriveranno la morte e la guerra" scrive in arabo @ev8_ho. Un altro supporter di Isis invece commenta in inglese: "Il sangue francese è gustoso (e aggiunge un emoticon per rafforzare l'idea), ma il sangue americano è ancora migliore e noi lo assaporeremo presto". Qualcun altro cita "V per vendetta" e scrive, minacciando i francesi: "Ricorda per sempre il 13 novembre, il giorno dell'attacco a Parigi".
Molti i riferimenti alla "giusta vendetta": "Avete ucciso i nostri bambini e le nostre donne con i bombardamenti. Ora tocca a noi.
Vi distruggeremo e berremo il vostro sangue". Come già con i fratelli Koauchi, responsabili del massacro di charlie Hebdo, i martiri vengono glorificati. Sono eroi che hanno "giustamente" compiuto la vendetta di una collettività. Al momento sui social non ci sono ancora le loro immagini, i loro testamenti, le loro storie che probabilmente compariranno nei prossimi giorni nei video e nei proclami ufficiali, per finire poi sulle pagine patinate del numero di Dabiq.
Molti musulmani nel mondo stanno cercando di cambiare il segno dell'hashtag associandolo a #PrayforParis e condannando le parole e l'esultanza dei "falsi islamici". Ma le immagini di distruzione e le parole di odio di migliaia di simpatizzanti di Isis continuano a percorrere rapidamente il web. Come in altre situazioni simili la guerra virtuale combattuta a colpi di tweet e post imperversa sui social, Non si macchia direttamente di sangue e non uccide materialmente nessuno. Ma fa crescere l'odio e preconizza un futuro di violenza e terrore cui sarà davvero difficile mettere fine.


Tosiani: “Detenuti che gioiscono nelle carceri italiane per gli attentati terroristici e per cui spendiamo oltre 250 euro al giorno: devono scontare la pena nel proprio paese”
04/08/2016

http://www.farecontosi.it/stampa/rasseg ... paese.html

“Detenuti che gioiscono nelle carceri italiane per gli attentati terroristici e per cui spendiamo oltre 250 euro al giorno: devono scontare la pena nel proprio paese”. Così il capogruppo della Lista Tosi in Consiglio regionaleStefano Casali commenta le dichiarazioni del ministro della Giustizia Andrea Orlando. “In questi mesi di attentati terroristici e nello stato d’allerta in cui siamo, nessun segnale può essere tralasciato – spiega Casali – rimango dunque allibito quando il ministro afferma, sulla stampa, di aver rilevato dopo gli ultimi fatti di terrorismo, manifestazioni di esultanza, giubilo e di simpatia nei confronti degli attentatori da parte di detenuti di radice islamica”. “A fronte di questi gravissimi episodi che sono stati monitorati – aggiunge Casali assieme ai colleghi tosiani in Consiglio regionale Andrea Bassi, Giovanna Negro e Maurizio Conte - e considerato il sovraffollamento nelle carceri italiane, in cui oltre il 30% sono stranieri (un detenuto su tre) chiediamo al ministro di attivarsi in maniera efficace, diversamente da ciò che avviene oggi, per far sì che questi detenuti che costano allo Stato Italiano oltre 250 euro al giorno vengano espulsi dall’Italia e rispediti a scontare la pena nelle carceri dei Paesi da dove provengono. E’ il minimo che si possa chiedere alla massima carica politica della Giustizia italiana che oggi però sembra concentrarsi solo su un obiettivo: trovare degli escamotage per far adottare i bambini alle coppie omosessuali”.

I tosiani chiedono ufficialmente al ministro Orlando: “Di metter mano alla riforma della giustizia in modo serio – affermano i quattro – prevedendo tempi certi e accettabili per avere delle sentenze, civili o penali che siano; la separazione delle carriere tra chi accusa e chi deve giudicare (Pm e giudici); certezza delle pene e sconto delle stesse nei paesi d’origine”.



Linea dura muSsulmani in Pakistan ha tenuto uno speciale evento commemorativo per onorare i due terroristi che hanno assassinato giornalisti e vignettisti a Parigi.
Religiosi musulmani hanno portato la cerimonia a Peshawar nel nord-ovest del Pakistan. Hanno elogiato gli assassini, dicendo che hanno fatto la cosa giusta per vendicare il giornale satirico Charlie Hebdo per la sua blasfemia contro Maometto.
http://www1.cbn.com/cbnnews/world/2015/ ... do-Cartoon



Hundreds of Muslims in Sweden celebrate terrorist attack on Charlie Hebdo in France shouting, “Islam will take over the world”
http://www.barenakedislam.com/2015/01/0 ... -the-world
Centinaia di musulmani in Svezia celebrano attacco terroristico su Charlie Hebdo in Francia gridando, "L'Islam conquisterà il mondo"



Come ricorda in una puntuale riscostruzione il sito Heavy.com, in quel periodo della sua campagna elettorale, Trump era sotto accusa per la sua affermazione che i musulmani americani "hanno festeggiato" la distruzione del World Trade Center e delle Twin Towers l'11 settembre 2001. A sostegno della sua tesi, Trump indicò un articolo scritto il 18 settembre 2001 da Kovaleski sul Washington Post in cui il giornalista scriveva che la polizia aveva "fermato e interrogato un numero di persone che sarebbero state viste festeggiare gli attacchi". A quel punto Kovaleski ha corretto Trump dicendo che non ci sono stati rapporti credibili di tali festeggiamenti. In risposta, Trump ha affermato che il giornalista ha "fatto retromarcia" rispetto alla sua versione originale.

Io credo di più alla versione di Trump poiché ad ogni strage, ognuno può constatare di persona come ovunque nel mondo, buona parte dei mussulmani gioisca e festeggi per la morte dei cristiani, degli europei, degli americani, degli ebrei.
Per me così hanno fatto anche nel 2001 in America e come avviene oggi i filo islamici, come questo giornalista e il suo gionale, nascondono e negano la violenza mussulmana, del nazismo maomettano e la loro guerra idolatra per la supremazia religiosa.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 00x107.jpg
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... emelle.jpg



https://themuslimissue.wordpress.com/20 ... brated-911

Saudi billionaire Prince Alwaleed Bin Talal Alsaud has claimed in video interview that ALL the Saudi’s – himself included – and the entire Middle East celebrated and distributed sweets on 9/11 for the Arab killing of 3,500 innocent people. The Arabs have endlessly been attacking and terrorizing people for more than 1,400 years. Saudi’s have been funding the expansion of jihad since America handed them oil contracts to “help” poor bedouines. America is constantly being blamed for Muslim terrorism in the Middle East. But Muslim terorism never ends. It’s part and parcel of Islam and have been happening nonstop for more than 1,400 years. If they can’t terrorize someone, they are not true Muslims and not deemed dedicated enough.

Il miliardario principe saudita Alwaleed Bin Talal Alsaud ha rivendicato nella video intervista che tutti i sauditi - lui compreso - e l'intero Medio Oriente hanno celebrato e distribuito dolci il 9/11 per l'uccisione araba di 3.500 persone innocenti. Gli arabi stanno continuamente attaccando e terrorizzando le persone del mondo da più di 1.400 anni. È stata l'Arabia a finanziare l'espansione della jihad da quando l'America ha consegnato loro contratti petroliferi per "aiutare" i poveri bedouines. L'America ha costantemente accusato di terrorismo islamico il Medio Oriente. Ma il terrorismo musulmano non finisce mai. È parte integrante dell'Islam e sta accadendo senza sosta da più di 1.400 anni. Se non possono terrorizzare qualcuno, non sono veri musulmani ... .




Jaime Andrea Jaime
10 novembre 2020

https://www.facebook.com/jaime.mancagra ... 4666793038

Mettetevi al mio posto:
Ho 69 anni e sono da sempre un convinto Capitalista Conservatore contrario a qualsiasi forma di "Socialismo", che trovo repellente: un crimine contro l'umanita'.
In USA dal 1997 mi sono sorbito gli ultimi anni di Clinton, poi Bush 2 e poi Obama.
Ho votato la prima volta, mezzo vomitando, per quel verme di Romney (questo passava il convento).
Poi è apparso Roscio ed ho votato per lui.
Da prima ancora che entrasse alla Casa Bianca è attaccato, deriso, insultato, minacciato di morte, gente che vuole bombardare la Casa Bianca, gente che dice di voler abbandonare gli USA, hanno addirittura parlato del 25 emendamento che è l'articolo che manda a casa un Presidente per manifesta incapacità mentale o fisica, l'America fallisce, l'economia crolla, impeachment ogni due per due, provoca l'eccidio dei Curdi, Xi se lo mangia a colazione, Kim pure, la terza guerra mondiale, abbandona Israele, vuole chiudere la NATO, abbandona l'Europa, isolazionista, sovranista, nazionalista, infame, agente di Putin, un fascista, un razzista, misogeno, mangia i bambini......tutti i giorni da tutti. Russiagate, Tasse, donne palpate, picchia la moglie, un fallito....fatelo voi l'elenco.
Ed ora le elezioni truccate in molti stati.
Lui serafico, con il sorrisetto da gatto che ha mangiato il sorcio, lavora 18 ore al giorno, fa dieci cose tutte insieme, ogni due per due ne inventa e ne sistema una nuova (che per 50 anni nessuno ha voluto affrontare), la risolve, l'economia e tutto il resto và a gonfie vele, tutti trovano un lavoro, pagano meno tasse ed hanno più soldi in tasca, gli USA sono i più grandi produttori di petrolio e di gas del pianeta.........e tutto il resto.
Prende il vairus e dopo tre giorni torna a casa, in otto mesi trovano un virus che funziona.
E contrattacca, tutti a randellate nei denti, tutti a pesci in faccia, sputtanandoli tutti ogni ora, ridendogli in faccia, davanti a tutti, pubblicamente, ogni giorno con le sue conferenze stampa improvvisate ed i suoi tweets, uno spettacolo e senza pagare il biglietto!!
E tutto j'arimbarza.
Ed alla fine, per giunta, ha sempre ragione lui.
E lo fa per il paese e la bandiera.
Ed anche per il suo ego smisurato e per la sua megalomania ed ogni tanto pure qualche errore di battitura, e allora?




Questi di Atlantico danno Trump per sconfitto, ma sconfitto ancora non è! Ed è ancora il Presidente che sta facendo verificare che le elezioni si siano svolte correttamente poiché in caso contrario i giudici dichiareranno le elezioni nulle o parzialmente nulle e potrebbero essere in parte rifatte o potrebbe risultare al netto delle schede falsificate e irregolari la vittoria di Trump.


Grazie a Trump e oltre Trump: bilancio di una presidenza feconda di successi e di lascito futuro
Marco Faraci
10 novembre 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... to-futuro/

Donald Trump ha servito bene gli interessi degli americani e, più in generale, ha servito bene i valori e i princìpi della libertà occidentale. È andato vicino alla riconferma ridefinendo il perimetro della coalizione sociale che sostiene il Partito Repubblicano. È il primo leader ad avere compreso e affrontato la minaccia cinese. Ma ha identificato bene anche un insidioso “nemico interno” per la democrazia Usa: il sostanziale controllo che il progressismo ha acquisito sui media mainstream. Altro che disfatta, grazie a Trump il Gop è “in partita” e dimostra che è in grado di sopravvivere ai cambiamenti in atto nella demografia del Paese…

Sembra consolidarsi la presa di Joe Biden sulla presidenza degli Stati Uniti, pur con tutti i legittimi dubbi lasciati dal processo di voto surreale di vari Stati.

Donald Trump, quindi, lascerebbe la Casa Bianca dopo un solo mandato, ma questo scacco non diminuisce l’importanza e la valenza della sua presidenza che, al netto delle intemperanze e degli istrionismi, resta una delle più feconde in termini di contenuti e di potenziale lascito futuro.

Se ci troviamo, forse, a dover dare il “benservito” all’attuale presidente, questo è giusto che sia un “ben-servito” in senso proprio. Donald Trump ha servito bene gli interessi degli americani e, più in generale, ha servito bene i valori e i princìpi della libertà occidentale.

Trump ha vinto le elezioni del 2016 ed è andato vicino alla riconferma nel 2020 ridefinendo per certi versi il perimetro della coalizione sociale che sostiene il Partito Repubblicano. Quello che ha compreso è che la preservazione del modello di sviluppo capitalista richiede che i benefici a cui esso conduce siano non solamente “diffusi”, ma anche effettivamente percepiti come tali. Per questa ragione, politiche “sviluppiste” pro-mercato e pro-business devono poter essere coniugate con esigenze di coesione sociale e nazionale. In questo senso si comprende come, nella visione trumpiana, l’attenzione all’economia e la difesa di temi patriottici e identitari sia andata di pari passo. È, se vogliamo, una nuova formula di “conservatorismo di massa”, di “conservatorismo popolare” che non sempre risponde a paradigmi rigorosi in termini di teoria economica liberale, ma che al tempo stesso presenta innegabili qualità di realismo politico e sembra offrire oggi forse la più promettente prospettiva di “liberismo possibile”.

E in effetti le scelte di politica economica interna di Trump sono andate, in gran parte, nella direzione giusta. Ha varato una vasta e complessiva riforma fiscale e ripristinato condizioni di migliore praticabilità per vari settori dell’industria, presiedendo ad un quadriennio di marcata crescita generale dell’economia e dell’occupazione. Complessivamente è riuscito a tradurre in pratica le ricette del proprio programma in modo più concreto ed esteso della maggior parte dei presidenti repubblicani precedenti.
È importante, poi, notare anche che, verso l’esterno, il presidente non è stato affatto l’”isolazionista dazi e muri” che una certa propaganda ha costantemente dipinto; anzi ha portato l’America a commerciare di più e meglio. Ha concluso un nuovo ampio accordo commerciale con Canada e Messico, l’USMCA, a sostituzione del vecchio NAFTA, varato un’importante intesa commerciale con il Giappone e aperto la strada ad una più forte collaborazione con il Regno Unito post-Brexit.

In generale, in politica estera, la svolta in positivo rappresentata da Trump è stata significativa. Dopo anni di maldestre e pericolose manipolazioni dello scenario nord-africano e medio-orientale da parte dell’amministrazione Obama, che hanno, in definitiva, indebolito la posizione occidentale su tanti delicati scenari, il presidente repubblicano ha scelto di concentrarsi su interventi diplomatici efficaci e mirati, con dietro una visione chiara.

Il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme ha rappresentato una pagina storica ed un quanto mai dovuto riconoscimento delle ragioni di Israele quale baluardo della democrazia occidentale nella regione. Questa posizione forte ha potuto convivere con la regia dell’altrettanto storica normalizzazione delle relazioni di Israele con gli Emirati Arabi Uniti, con il Barhain, con il Sudan, in prospettiva allargabile a altri Paesi arabi.

Dopo anni di insuccessi dell’Ue nel districare la questione, la Casa Bianca ha patrocinato anche la normalizzazione dei rapporti economici tra la Serbia e il Kosovo, che, tra l’altro, sarà il primo stato musulmano ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme.

Insomma, tante tessere ritenute finora difficilmente combinabili sono andate a posto durante questo quadriennio.

Con poche semplici mosse, Trump ha saputo portare a più miti consigli tanto iraniani quanto nord-coreani, ma soprattutto ha compreso come la difesa dell’Occidente, nei prossimi anni, dipenderà sempre più dalla capacità di contenimento geo-strategico della minaccia cinese.

Con il fronte russo ormai meno rilevante, Donald Trump è il primo leader ad avere effettivamente compreso il valore della posta in gioco sul fronte cinese.

Il rischio è che, in nome di interessi economici di breve termine, i Paesi occidentali mettano in atto politiche di acquiescenza nei confronti del “sistema cinese”, destinate in breve a trasformarsi in sostanziale sottomissione. Questa graduale “finlandizzazione” nei confronti del crescente potere di Pechino rappresenterà, nel futuro, il pericolo globale più importante per il concetto occidentale di libertà e di democrazia come l’abbiamo conosciuto. Trump ha avuto il merito di capirlo, ma adesso, nel dopo-Trump, servirà la forza di portare avanti la questione, anche trasversalmente agli schieramenti politici.

Ma Trump ha identificato bene anche un insidioso “nemico interno” per la democrazia americana. Si tratta del sostanziale controllo che il moderno progressismo ha acquisito sui media mainstream, televisione e grandi giornali in primis, ma anche, negli ultimi anni, sui grandi social network.
Questa situazione garantisce ai cosiddetti “liberals” un “monopolio della narrazione” e con esso la possibilità continuativa di attribuire a chiunque patenti di moralità e di presentabilità. In queste condizioni, qualunque politico che risulti “fuori linea”, è soggetto ad un sistematico massacro mediatico, tanto più se il politico è, guarda caso, di particolare successo.

Quello che è grave è che i media finiscono per squalificare non solamente un leader come Trump, ma anche quella metà d’America che si riconosce nelle sue idee e nelle sue priorità, la cui voce, di fatto, scompare nella “rappresentazione” pubblica.

Questa coordinata strategia mediatica è funzionale a determinare fenomeni socio-psicologici che rappresentano un pregiudizio ad uno sviluppo sano ed equilibrato delle dinamiche politiche. Avere dato per mesi Trump, “chiaramente sconfitto”, “fuori gioco”, “rigettato”, “condannato”, “pateticamente aggrappato al potere”, serviva a creare le basi di una “profezia autoavverantesi” e ad aumentare la pressione sociale sugli americani ad abbandonarlo. Serviva a far sì – e questo è molto triste – che il “costo reputazionale” per un cittadino di sostenere il presidente diventasse sempre più alto, con conseguenze in termini di potenziali ritorsioni sociali e in qualche caso persino lavorative.

La reazione di Trump ai mezzi di comunicazione mainstream è stata in termini di conflitto – immediato e duro. Non c’erano alternative, nel breve, periodo. Ma a questo punto appare sempre più urgente lavorare anche a risposte più ampie e di lungo periodo, concentrando le forze, nei prossimi anni, su una grande battaglia “gramsciana” per una più forte presenza conservatrice nella cultura e nell’informazione.

Un’altra questione chiave per comprendere la presidenza Trump è stata il sempre più forte ricorso dei Democratici alla “identity politics”, cioè alla strategia di balcanizzare la società americana in una pluralità di “minoranze oppresse” – i neri, gli immigrati, le donne, i gay e così via. Nella visione dei progressisti, ciascuna di queste minoranze deve rappresentare un elemento di conflitto sociale e politico rispetto alla cultura tradizionale americana – quella dei “conservatori”, da presentarsi in ogni occasione sistematicamente come bigotta ed escludente. Black Lives Matter ha rappresentato l’esempio più drammatico e clamoroso dell’istigazione alla rabbia sociale delle minoranze per renderla funzionale a “progetti rivoluzionari”.

Trump è stato soggetto in questi anni a ogni tipo di attacchi su questo fronte – incluse le accuse di prossimità al “suprematismo bianco”. Ha saputo rispondere bene, non perdendo occasione di evidenziare di star presiedendo al periodo più prospero per tutte le tradizionali “minoranze”, con livelli record di occupazione ed opportunità per donne, neri e ispanici – e che la vera emancipazione non passa dalla “victim mentality”, bensì dal sentirsi pienamente parte “come americani” delle dinamiche di sviluppo economico del Paese.

Dalle elezioni di questo novembre emerge il segnale positivo di un rafforzamento dei consensi per i Repubblicani tra afroamericani e latinos, dimostrando che quella intrapresa è la strada giusta e che la competitività del Partito è in grado di sopravvivere ai cambiamenti in atto nella demografia del Paese. Tuttavia, è chiaro che lo sforzo di rendere evidente che le idee conservatrici funzionano per tutti e non solo per la vecchia “America bianca” deve proseguire ed essere intensificato nell’ottica di ampliare la base politica del GOP.

Le grandi questioni che hanno contrassegnato la presidenza Trump continueranno, senza dubbio, ad accompagnarci anche nei prossimi anni e richiederanno un importante impegno di elaborazione politica, organizzazione e militanza. Sarebbe stato estremamente prezioso poter contare su un altro mandato di presidenza repubblicana, ma le cose sembrano a questo punto evolvere in maniera diversa e sarà necessario, pertanto, confrontarsi con un nuovo scenario.

Alla luce della situazione che si è venuta a creare, la domanda è: dove si può andare da qui? Come può vivere il mondo conservatore il passaggio dall’era Trump al dopo-Trump?

Innanzitutto, va detto che in termini generali la situazione del Partito Repubblicano non è certo di disfatta. Si sono guadagnati governatori, si sono conquistati seggi alla Camera ed è ancora concreta, malgrado i due ballottaggi in Georgia, la prospettiva di mantenere il controllo del Senato.

Il Partito mantiene, inoltre, la sua grande capacità di rappresentare l’”America profonda” e la sua anima antistatalista, anticentralista e libertaria. Ha più difficoltà, è vero, in altri contesti, ma resta, a tutti gli effetti, “in partita”, smentendo sistematicamente le Cassandre che da parecchi anni ne profetizzano l’ineluttabile tramonto.

Le intuizioni e i temi di fondo di Donald Trump restano, senza dubbio, il punto di partenza per l’iniziativa politica dei prossimi anni – si tratta di questioni reali e che hanno ancora un importante “mercato politico” nell’America di oggi. Non c’è, da questo punto di vista, la necessità di nessun “reset”.

Al tempo stesso è nell’ordine normale delle cose che altre questioni e altre istanze si dovranno aggiungere, così come è chiaro che gli stessi temi trumpiani potranno essere elaborati e presentati in modo diverso da leadership diverse. Va da sé, che nessuna esperienza politica, per quanto di successo, è mai perfettamente replicabile. Chi verrà dopo Trump sarà per forza di cose diverso da Trump.

Inoltre, per quanto vi sia stata notevole sostanza nell’ultimo quadriennio, non è detto che le “scelte stilistiche” di Donald siano state le migliori possibili. Questa cosa ha senso riconoscerla. È un dato di fatto, tra l’altro, che in questi ultimi anni il dibattito sulle “forme” della presidenza trumpiana abbia persino soverchiato quello sulla sostanza delle scelte politiche. Non è nemmeno detto che ciò abbia necessariamente “giocato contro” la rieleggibilità di Trump che, anzi, in qualche modo ha trovato una sua “zona di comfort” nel “fare surf” sui quotidiani “incidenti”. Tuttavia è certo che ciò non ha aiutato i Repubblicani a combattere, oltre alla contingente battaglia elettorale, anche la più importante “battaglia delle idee”.

In ogni caso, uno dei limiti dell’approccio del presidente alla rielezione è stato quella di aver puntato tutto su una sostanziale replica dello schema del 2016, cioè fondamentalmente su una vittoria costruita per pochi voti in pochi cruciali “swing States”. Si è trattato, sostanzialmente, di provare a blindare l’elettorato di quattro anni fa, senza compiere in questi anni uno sforzo sufficiente per parlare ad un Paese più ampio. Poteva funzionare, di poco. Non ha funzionato, di poco.

La prossima corsa repubblicana alla presidenza deve porsi in una prospettiva diversa e di più forte inclusività, puntando a costruire una coalizione sociale più ampia e a parlare a un elettorato potenziale non inferiore al 60 per cento.

Tale obiettivo non si persegue tanto annacquando i programmi, quanto attraverso una comunicazione politica in grado di entrare in sintonia ed in empatia con aree più vaste dell’elettorato. Un’immagine meno ruvida e arcigna di quella comunicata da Trump potrebbe risultare, da questo punto di vista, più efficiente.

Donald è apparso, purtroppo, troppo indaffarato nella polemica quotidiana e nella dinamica del conflitto continuo per riuscire a costruire effettivamente una narrazione “alta” e “di ampio respiro” della propria missione politica.

Si è sentita troppo spesso la mancanza di quel messaggio instancabilmente positivo ed inclusivo che, nei gloriosi anni ’80, un presidente come Ronald Reagan riusciva a veicolare – la capacità di fare costantemente appello alle “migliori speranze” degli americani prima che alle loro paure e di promuovere in simbiosi un’”etica della libertà” e un’”estetica della libertà”.

Quella di Trump resta una forte presidenza, le cui scelte fondamentali devono essere difese. L’orientamento, tuttavia, deve sempre essere al futuro – e il futuro è quello di nuove leadership che possano recuperare al GOP piena centralità politica già dalle elezioni di mid term del 2022. Un obiettivo impegnativo, ma certo non proibitivo, considerando che la presidenza Biden non parte certo con una vitalità prorompente. Ai conservatori servirà molto lavoro, ma esistono le condizioni per svolgerlo egregiamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:12 am

Ho letto con molto piacere l'autocritica pubblicata da una delle riviste più importanti di sinistra negli Usa, chiamata The New Republic, fondata nel 1914 e sempre schierata come parte dei socialisti del partito democratico.
Dario Berardi
4 dicembre 2020

https://www.facebook.com/dario.berardi. ... 6262621220

Il saggio è disponibile anche con traduzione in italiano su Huffington Post, che è una specie di versione italiana The New Republic nella nostra lingua madre.
Con molta onestà intellettuale descrivono cio che ha fatto il Presidente Donald Trump nei suoi quattro anni di presidenza e la descrivono giustamente come una "rivoluzione egualitaria". La rivoluzione egualitaria è un concetto tipico dei paesi anglosassoni, nato nel Regno Unito grazie ai Levellers, che vuol dire proprio "egualitari", che furono il primo movimento liberale classico nella storia della politica.
L'analisi di The New Republic è impietosa: i ricconi, i radicalchic e quelli che guardano il mondo dall'oblò della loro posizione di privilegiati hanno votato Biden e soprattutto sono stati loro il vero "potere forte" perché oltre il 90% dei media appartengono al ceto alto borghese hanno presentato una visione volontariamente distorta della presidenza Trump, che invece è stata caratterizzata da molteplici successi.
La cosa più interessante di un saggio comunque pregevole, garbato, politicamente ineccepibile ed assolutamente da leggere è l'analisi del voto nello stato capitale degli Usa, il distretto federale di Washington ( da non confondere con lo stato di Washington con capitale Seattle).
Nel centro di Washington chiamato Columbia, hanno votato 93% Biden, 7 % Trump e non a caso Biden vuole far diventare Columbia, i Parioli di Washington, la nuova capitale degli Usa.
Praticamente gli stessi meccanismi da noi dove il partito democratico italiano è "il partito della Ztl". Uguale identico.
All'analisi perfetta di The New Republic manca solo una precisaziome: Trump è stato l'unico presidente Usa a non aver mosso guerre imperialiste nel mondo mentre il suo predecessore, Obama, premio nobel per la guerra, è stato colpevole diretto di aver deliberatamente e volontariamente causato una guerra civile in Libia, in Siria ed in Yemen.
Mentre Trump ha fatto una politica moderata e prudente, senza scatenare ulteriori guerre civili in medioriente. Ed ha anche ritirato le truppe da Iraq e Afghanistan. Meritandosi lui veramente il Premio Nobel per la Pace, che non gli sarà mai dato, ma come ha detto lui:" il mio nobel sarà la Pace tra i popoli in medioriente, non una statuetta".
Io, nel mio piccolissimo, reputo Trump il miglior presidente degli Stati Uniti dopo Jfk ma se dovesse dare, come ultimo atto della sua presidenza alla Casa Bianca, la grazia ad Assange e Snowden sarà il più grande.
Comunque io sono stato fortunato a vederlo perché un Presidente degli Usa così non penso che ci sarà più e questi quattro anni con lui, sbruffone, popolare, populista, sincero, anti imperialista, politicamente scorretto e sempre pronto alla battuta contro i perbenisti, sono stati fantastici.
Grazie Donald!





Trump ha realizzato il primo boom egualitario degli ultimi decenni
Mauro Suttora
4 dicembre 2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/tru ... e_facebook

Il mensile di sinistra Usa The New Republic ha pubblicato una lunga, scarnificante autocritica che può risultare preziosa anche per la sinistra italiana. L’autore, Christopher Caldwell, scrive che c’è poco da festeggiare per i democratici americani, visto il loro anemico risultato nel voto per il Congresso, derivante da mali strutturali.

Per cominciare, i risultati della presidenza Trump: invisibili dalle città globalizzate, tutte democratiche, dove vive il 90% dei giornalisti Usa. Trump ha realizzato qualcosa di straordinario: il primo boom egualitario degli ultimi decenni. Nel 2019 è riuscito ad abbassare la disoccupazione al 3,7% (praticamente pieno impiego, tranne la quota frizionale di chi sta cambiando lavoro), e soprattutto un aumento del 4,7% dei salari del quarto più basso della popolazione. Anche durante gli ultimi tre anni di Obama i redditi da lavoro erano aumentati, ma soprattutto quelli del decile più alto (del 20%), mentre gli altri strati avevano registrato miglioramenti solo lievi.

Quindi, se non ci fosse stato il virus, Trump probabilmente avrebbe vinto. Ma, anche qui: il crollo del 31% del pil nel secondo trimestre è stato annullato dal rimbalzo del 33% del terzo trimestre. Solo che il dato favorevole al presidente in carica è stato pubblicato appena cinque giorni prima del voto: troppo tardi perché mutasse la percezione di declino economico. Inoltre, buona parte degli elettori aveva già votato: è stata questa la vera distorsione provocata dal voto postale, non gli inesistenti brogli.

Per i democratici è imbarazzante ammetterlo: Trump ha avuto sfortuna. È stato il caso a provocare, più che la sua vittoria quattro anni fa, la sua sconfitta un mese fa. Perché ormai il partito democratico è visto come il difensore del privilegio economico: nove dei dieci stati più ricchi hanno votato Biden, 14 dei 15 più poveri per Trump. Se il distretto di Columbia (la capitale Washington) diventasse uno stato, come vogliono molti democratici, sarebbe il più ricco d’America, con un reddito pro capite superiore del 17% rispetto al secondo, il Connecticut. E a Washington Biden ha battuto Trump 92 a 5. I democratici sono il partito dell’economia globale, quindi delle sue due conseguenze aborrite dai ceti popolari: ineguaglianza e diversità etnica.

“Per questo il fronte popolare di Biden è destinato a sfaldarsi”, sentenzia Caldwell. Come fanno i socialisti Sanders ed Elizabeth Warren a rimanere assieme ai ricconi ‘big money’ che hanno regalato al partito democratico la sua prima campagna da un miliardo di dollari (il 60% più di quanto ha speso Trump)? Dove sono finiti i piccoli ‘donors’ da dieci dollari l’uno di Obama? Questa volta hanno coperto solo il 39% dei fondi di Biden, contro il 45% di Trump. Che quindi anche qui è stato più democratico dei democratici.

Nell’analisi di Caldwell c’è posto anche per l’Italia. “Negli anni ’60 del diciannovesimo secolo”, scrive, “tre grandi Paesi occidentali, Germania, Italia e Stati Uniti, combatterono guerre simili di unificazione, in cui la parte più dinamica di ciascuna nazione soggiogò la parte più bucolica”. Oggi negli Usa i democratici sono il partito del progresso tecnologico e demografico (la California della Silicon Valley, New York, Boston), i repubblicani dell’arretratezza. Fino a mezzo secolo fa i repubblicani erano invece il partito del capitale e i democratici quello dei lavoratori. Ma capitale e lavoro hanno bisogno l’uno dell’altro, dinamismo e tradizione no. Quindi l’attuale divaricazione rischia di essere insanabile.

Conclude Caldwell: non abbiamo mai visto mai nulla di simile prima. Ci sarà più instabilità in futuro: “Il conflitto non è più fra due visioni dell’America, ma fra due popoli differenti”. Ciascuna delle fazioni è convinta di rappresentare l’incarnazione dell’America, contro l’antiamericanismo degli altri. La vicepresidente Kamala Harris ha detto ai suoi 79 milioni di elettori: “Avete scelto speranza e onestà, scienza e verità”. E Michelle Obama: “Abbiamo votato contro bugie, odio, caos e divisione”. Cose brutte, che però hanno ottenuto 73 milioni di voti, più di quelli mai presi da suo marito. Cose xenofobe, maschiliste, egoiste: “deplorabili”, secondo la famosa definizione suicida di Hillary Clinton. Le quali tuttavia, seppur politicamente scorrettissime, hanno attratto dieci milioni di statunitensi in più rispetto al bottino di Trump nel 2016.

Cosicché, anche se per ora ha prevalso il fascino ecumenico di Joe Biden, gli Stati Uniti del nuovo presidente sono diventati indecifrabili per tanti dei litigiosi capi della sua corte. Un po’ come in Lombardia soltanto due anni fa, quando il democratico Giorgio Gori perse 29 a 49 con il leghista Attilio Fontana alle regionali. Un distacco astronomico. A qualche democratico italiano fischiano le orecchie?




TRUMP ANNUNCIA
Donald Trump annuncia un'altra "svolta storica" e una "grandissimo passo in avanti" per la pace in Medio Oriente. In un tweet, il presidente Usa riferisce che "i nostri due grandi amici Israele e il Regno del Marocco hanno acconsentito a piene relazioni diplomatiche".
10-12-2020


https://www.shalom.it/blog/mondo/trump- ... e-b1053901

In un altro tweet, Trump ha anche annunciato di avere firmato "una proclamazione che riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale". Per Trump, la "proposta di autonomia seria, credibile e realistica è l'unica base per una soluzione giusta e duratura per garantire pace e prosperità". "Il Marocco ha riconosciuto gli Stati Uniti nel 1777 - scrive Trump in un altro tweet - è quindi giusto che noi riconosciamo la loro sovranità sul Sahara Occidentale". In una nota nella quale la Casa Bianca dà conto della telefonata tra il presidente Trump e re Mohammed IV, si legge che "l'amicizia tra Usa e Marocco ha le sue radici nella nostra comune fede nelle promesse di pace, stabilità ed opportunità economiche e dura da quando il Marocco divenne il primo Paese a riconoscere gli Stati Uniti nel 1777". Il presidente, si legge, ha "riaffermato il suo sostegno per la proposta di autonomia seria, credibile e realistica del Marocco, quale unica base per una soluzione giusta e duratura alla disputa sul territorio del Sahara Occidentale e in questo ambito il presidente ha riconosciuto la sovranità del Marocco sull'intero territorio del Sahara Occidentale". Durante la telefonata, si legge ancora nella nota della Casa Bianca, "il re ha acconsentito alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra Marocco e Israele e ad espandere la cooperazione economica e culturale per fare avanzare la stabilità regionale".

L'ambasciatore israeliano a Washington, Ron Dermer, ha confermato l'accordo per le relazioni diplomatiche fra Israele e Marocco, annunciato dal presidente americano Donald Trump. "Sono quattro! Grazie Potus (l'acronimo per il presidente americano, ndr) per aver permesso la pace fra Israele e Marocco, e per quanto fatto per far avanzare la pace in Medio Oriente", ha twittato l'ambasciatore, nella prima reazione da parte d'Israele.

Significativo il fatto che il,ministero degli Esteri del Marocco abbia ritwittato i messaggi di Donald Trump che annunciano l'apertura di rapporti diplomatici fra Rabat e Israele, senza fare però altri commenti.

Il Marocco è il sesto Paese arabo a normalizzare i rapporti con Israele ed è uno dei pochissimi paesi arabi in cui vive una piccola comunità ebraica. Cruciale, come nei recenti accordi di pace con Emirati, Bahrein e Sudan, è stata ancora una volta la mediazione degli Stati Uniti. Risalgono invece agli anni Novanta nel caso della Giordania e alla fine degli anni Settanta per l'Egitto gli accordi di pace tra i primi due Paesi arabi con lo Stato ebraico. Proprio l'Egitto fu il primo Paese arabo a riconoscere Israele con lo storico Trattato di pace israelo-egiziano del 26 marzo 1979, firmato a Washington a seguito degli accordi di Camp David del 1978. Amman seguirà il Cairo 15 anni dopo. Il processo di normalizzazione tra gli Stati arabi e quello ebraico ha avuto un nuovo impulso con l'Amministrazione Trump. Risale al 13 agosto l'annuncio del presidente americano sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati, mentre il 'capitolo Bahrein' venne aperto il mese successivo. I cosiddetti 'Accordi Abramo' vennero firmati il 15 settembre nel corso di una cerimonia alla Casa Bianca in cui furono sancite la normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti e la firma della "Dichiarazione di pace" tra Israele e Bahrein. Il Sudan, al momento guidato da un governo di transizione, è stato il quinto Stato arabo a normalizzare i rapporti. L'accordo venne annunciato da Trump il 23 ottobre.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:13 am

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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:18 am

18)


Putin, Xi Jinping e il Presidente del Mexico non riconoscono Biden come il nuovo Presidente USA, perché le le elezioni non sono ancora terminate.


La Russia afferma di attendere i risultati delle elezioni "ufficiali" prima di riconoscere un vincitore.
9 novembre 2020

https://www.breitbart.com/2020-election ... -a-winner/

Da quando il Joe Biden ha dichiarato la vittoria sabato, il Presidente Vladimir Putin è rimasto in silenzio sulla questione e ha detto lunedì di essere consapevole che i procedimenti legali riguardanti i risultati delle elezioni sono ancora in corso.

La Cina lunedì ha rifiutato di congratularsi con Joe Biden come vincitore delle elezioni presidenziali statunitensi, dicendo che il risultato dei sondaggi americani dovrebbe essere determinato dalle leggi e dalle procedure del paese.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha dichiarato: "La nostra comprensione è che l'esito delle elezioni sarà determinato in conformità con le leggi e le procedure statunitensi."


La #Cina lunedì ha rifiutato di congratularsi con Joe Biden
come vincitore delle elezioni presidenziali statunitensi, dicendo che il risultato dei sondaggi americani dovrebbe essere determinato dalle leggi e dalle procedure del paese.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha dichiarato: "La nostra comprensione è che l'esito delle elezioni sarà determinato in conformità con le leggi e le procedure statunitensi."

https://www.thehindu.com/news/internati ... 058087.ece


Non è finita fino a che non è finita!!! Ricordatelo!
di Rosj Domini

https://www.facebook.com/federica.chime ... 2605883121

Quello che si apre ora, in America, è un vero e proprio Election gate. Che tutto finisca in mano alla Corte Suprema, ormai è certezza.
In questo momento sono più di 19.000, dalla GOP room, i ricorsi per i cosiddetti brogli elettorali nella disfida fra Donald Trump e Joseph Biden. “Le elezioni americane sono ben lungi dell’essere finite” ha dichiarato l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, uno dei super legali che Donald Trump ha schierato insieme a Jay Sekulow, o l’ex procuratore generale della Florida Pam Bondi, Sidney Powell, avvocato dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael T.Flynn.
Ma al centro dell’inchiesta per il cosiddetto Election Gate non c’è solo Joseph Biden. Ci sono i media americani mainstream e l’indagine parte da Capitol Hill. Per le strade si sono viste file di americani in macchina, come quelli che hanno creato una coda di 60 km in Nevada, per andare a manifestare a Phoenix. In ballo, da qualsiasi parte si “penda”, c’è il senso della parola democrazia. E quando c’è in ballo la democrazia l’America si compatta. Questa volta lo ha fatto in cinque giorni.
“La modalità fraudolenta di alterare i voti è stata sistemica, ovvero è avvenuta in dieci stati -ha dichiarato Giuliani ai microfoni di Maria Bartiromo di Fox News, dicendo che “le elezioni sono ben lungi dall’essere finite”. Ma quel che avvince, è la mobilitazione popolare per l’adesione compatta dei media alla causa Dem e per la modalità con cui le notizie sono state date. Abbiamo chiesto un commento a Flavio Robert Paltrinieri, membro del partito Repubblicano della Florida e leader di Noi di Centro.
Lo strano caso dei morti che votano e del fatal error dei software.
Alcune notizie, come quella dei 14.000 defunti che avrebbero votato in Michigan, nella Contea di Whayne, hanno fatto il giro del pianeta. “Ma ci sono anche i “fatal error” dei software che ogni 1.000 voti attribuiti a Trump, ne levavano 300, beccato da un acuto observer (il funzionario che ai seggi controlla le regolarità delle procedure). O i 10.000 voti duplicati in Oklahoma”.
Pare che agli osservatori dei seggi repubblicani sia stato impedito di ispezionare i voti per posta. “La Virginia è stata assegnata a Biden con lo spoglio al 20% e durante l’apertura dei seggi, questo ha ovviamente condizionato gli elettori che ancora non si erano espressi. Hanno usato la Fox come agente provocatore ma l’America non è l’Italia, la gente te la trovi all’uscio. È stata aperta un’inchiesta contro il cartello di tv e giornali che vede protagonisti Cnn, Abc, perché si capiva che la strategia per vincere partiva da una compagine di media che per un anno ha montato l’Onda blu”.
Il miracolo delle 4 del mattino
Come ha sottolineato la grande giornalista che si firma Correia in un editoriale, gli americani sono andati a dormire con Trump che sembrava prevalere e si sono svegliati con Biden che lo surclassava. Ma alcuni dati, come il 98,4% (in un solo flusso di voti) a favore di Biden in Wisconsin, sono al di là di qualsiasi evidenza statistica. Correia lo chiama il miracolo delle 4 del mattino e evidenzia lo strano fenomeno del 200% dei voti che si ottiene in alcuni distretti, andando alle fonti del dato statistico. La bomba è scoppiata quando Pennsylvania, Michigan, Ohio, Nevada, Wisconsin, Arizona, si sono colorati di blu in modo plebiscitario e improvviso. “Dai primi momenti fino a metà Election Day Trump era in testa e prendeva più voti della precedente elezione dove aveva vinto con 67 milioni”. Casi sospetti come gli 0 voti di Trump e i 650mila voti plebiscitari attribuiti a Biden in Georgia, stato dove i Dem non hanno mai trionfato, hanno palesato la legittimità del sospetto. “In Pennsylvania si sono trovati quasi 150.000 voti senza certificazione del documento. La Corte Suprema dello stato che chiesto la segregation dopo il 3 e ora si va al riconteggio. In North Carolina Trump è in testa realmente (senza i voti illegali) di 400.000 voti, il Nevada è sempre stato repubblicano e qui hanno votato 39.000 persone non residenti in Nevada!” Paltrinieri, in Florida nei giorni cruciali, afferma che “alla fine delle 24 ore successive all’Election day, Trump era in testa in modo schiacciante. Mentre nella costa est i seggi erano chiusi, nel Midwest erano spalancati, ma le TV davano ingiustamente e senza alcuna base di calcolo possibile, Biden in testa in modo schiacciante. Sapete in quel caso cosa succede? Gli elettori del Midwest, vedendo un epilogo scontato, stanno al saloon a bere birra, tanto ha già vinto quell’altro. Invece si assisteva nelle varie contee ad un testa a testa che vedeva il Presidente saldamente in vantaggio”.
Quali sono le notizie certe sulle anomalie elettorali?
“Uno dei più bravi giornalisti d’inchiesta James Okeef, ha intervistato e pubblicato il video di un operatore dell’UPS che è stato costretto a falsificare in Pennsylvania timbri sulle buste voto, per validarle. E l’esperta politica Trish Regan ha twittato di recente che in Pennsylvania la corte ha consentito alle schede di arrivare dopo l’Election day e senza l’evidenza che fossero state spedite prima della giornata fatidica. Poi sono iniziate le illegali espulsioni degli osservatori di scrutinio repubblicani a Detroit ed in Wisconsin, mentre in Nevada votavano più di 3.000 cittadini non residenti (cosa illegale), molti anziani denunciavano di aver votato rosso, trovandosi poi scrutinati in blu. In Texas il responsabile della campagna di Biden è stato indagato dall’FBI per aver raccolto voti in modo illegale, mentre la stessa FBI ha fatto irruzione al quartier generale in Pennsylvania per capire cosa stava succedendo, prendendo atto che 14.000 morti avevano votato per Biden. Nel distretto di Washington DC Trump ha preso il 5,6% e Biden il 93%. Cioè anche I repubblicani che abitano li, secondo lo scrutinio, avrebbero votato democratico…...Più chiaro di così”.
È vero che Wall Street vota democratico?
“Come specificato ieri e ribadito anche dal presidente della camera di commercio americana in Italia Luca Arnaboldi, se vincessero i Dem potebbe verificarsi addirittura un crollo della Borsa. In America esiste il mercato OTC, Over The Counter, dove si quotano le aziende che non avrebbero i requisiti per entrare su quelli regolamentati, anche un negozio può quotarsi. Trump ha fatto abbassare del 50% le tasse delle società cosiddette pink e così facendo ha favorito migliaia di posti di lavoro. Alcuni indici sono chiari, ogni volta che Trump era saldamente in vantaggio, la valuta cinese precipitava, salvo recuperare miracolosamente valore quando la finta Onda blu ripristinava la parità. Moltissimi analisti di borsa vedono con terrore il cambiamento, la borsa precipiterebbe nel caso I Dems fossero plenipotenziari. Questo è il segno che nemmeno Wall street vuole Biden. I brogli di ogni natura dei Dems fanno capire che il disegno è più grande ed appartiene alle mire globaliste di alcune imponenti e transnazionali lobby, che vedono in Trump il nemico numero 1 ed un argine che ancora oggi sembrerebbe insuperabile. Non dimentichiamo che prima del Covid la disoccupazione era al 2,1%, un dato bassissimo. Che Trump abbia fatto volare l’economia è un fatto conclamato.
Lei dice che Trump rimarrà alla casa Bianca. Come?
“I Dems hanno sempre avuto una presenza sul territorio molto organizzata con apparati capillari. Da qui lo spuntare di rimonte incredibili, dove per ore Trump non prendeva un voto. Ma nonostante tutto Trump nella notte del 4, ha vinto comunque.
Allora si è messa in campo la terza fase del piano, quella che secondo il mio parere, lo farà rimanere alla Casa Bianca. I Dems hanno creduto di poter compiere ogni tipo di angheria contro la democrazia, falsificando e duplicando voti, convincendo operatori delle poste USA a falsificare la data di voti, confezionati dopo il 3. Ma hanno fatto i conti senza il popolo americano, che si schiera. I latinos, dipinti come nemici giurati di Trump, per la questione muro con il Messico (raccontata in Italia in modo vergognoso e del tutto fuorviante), alla notizia di Trump vincitore in Florida, hanno inscenato cortei pacifici e spontanei con auto ed ogni tipo di scritta inneggianti a Trump. In Usa si dice che se durante un’elezione i repubblicani mettono in campo Rudolf Giuliani, “we have a story to tell”; significa che c’è qualcosa di vero da scoprire e denunciare. Appena il grande avvocato, forse il migliore si è recato con una poderosa squadra di colleghi nella Rust Belt, sono impazzite le voci di brogli, mentre Conway nel Midwest faceva lo stesso. All’ uscita della notizia che Biden aveva surclassato Obama per numero di voti (cosa assai improbabile, Obama era di colore ed ottenne voti che ora non ci sono) si è ben compreso che c’era qualcosa che non andava. I Dems avevano pianificato di ottenere il controllo di Camera, Senato e Presidenza. Cosa che priva l’America del naturale bilanciamento democratico fra I poteri. Si chiama colpo di Stato”.
Gli ultimi aggiornamenti
Secondo gli ultimi dati, in Pennsylvania ora il gap sarebbe rientrato e Trump verrebbe dato vincitore all’85% dell probabilità, non contando i voti segregati.. In Arizona, la probabilità che Trump rimanga in sella è del 58%. Il Wisconsin va al riconteggio. In Michigan, senza il “fatal error” dei software in 47 paesi, Trump guida al 2,6%, la Georgia va a ricontare e secondo Giuliani ci sarebbero in totale ben 10 stati dove i brogli hanno falsato la classifica.
L’ultima clamorosa Breaking news è che AMLO (Andrés Manuel López Obrador), Presidente del Messico, ha ben chiarito che non riconosce Biden come Presidente. Ha dichiarato “ è troppo presto per dirlo, le elezioni saranno ancora lunghe”. Ma i Messicani non erano nemici giurati di Trump?
( fonte La Presse)



PALCOSCENICO
Niram Ferretti
9 novembre 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La narrativa in corso è semplice, funzionale ed efficace. Joe Biden è stato annunciato urbi et orbi presidente eletto degli Stati Uniti, nonostante lo scrutinio dei voti non sia ancora terminato e Donald Trump non abbia riconosciuto l'esito delle elezioni, ritenendo che, (vedremo se con basi consistenti), vi siano state irregolarità.
I dubbi, le riserve, le azioni legali in corso, devono essere spazzati via come spazzatura, inutili iniziative rabbiose di un presidente che non si rassegna alla sconfitta, e, come Adolf Hitler nel bunker di Berlino quando ormai l'Armata Rossa stava avanzando, si è circondato solo di fedelissimi, allucinati come lui.
Questa è l'immagine che all'unisono trasmette il grande comparto mediatico, con poche eccezioni periferiche. Ormai Joe Biden, il loro favorito e beniamino, il perfetto simbolo della Controriforma, ha vinto e non si può e non si deve mettere in discussione la sua vittoria.
Naturalmente, non molleranno di un centimetro, la posta in gioco è troppo alta, si tratta niente di meno che dell'assetto geopolitico mondiale dei prossimi quattro anni, essendo gli Stati Uniti ancora oggi, malgrado gli annunciati crepuscoli, la principale potenza del pianeta, e chi la guida ha, più o meno, la stessa importanza di chi guidava Roma ai tempi dell'impero.
Per quattro anni, durante il periodo della presidenza Trump, le forze a lui antagoniste hanno fatto tutto quello che era in loro potere per rimuoverlo dalla scena, inventando scandali e scandaletti che potessero interrompere la presidenza. L'esito è stato fallimentare.
Ora, grazie a una pandemia che ha messo il mondo in ginocchio, grazioso regalo della Cina, il principale competitor degli Stati Uniti, sono riusciti, in virtù del massiccio uso del voto postale, a scalzare Trump.
E' dunque immaginabile che concederanno qualche cosa a Trump, che gli riconosceranno il diritto di intraprendere una battaglia legale perchè venga fatta assoluta trasparenza sul voto e le schede scrutinate? Impensabile.
Trump, con fair play, dovrebbe gettare la spugna e riconoscere senza se e senza ma, la vittoria del rivale, e, mansuetamente cedere. Se non lo farà, e non lo sta facendo, l'offensiva nei suoi confronti, come sta accadendo, proseguirà senza sosta.
Dunque, eccolo rappresentato come il Führer dentro il bunker, incapace di accettare la realtà, mentre parti del partito cominciano a scollarsi da lui, e la moglie, sull'orlo di una crisi di nervi, è pronta a chiedergli il divorzio.
Bisogna che non vada avanti. Deve fermarsi. Per il bene del paese, ovvio. Il paese, su cui il suo avversario Joe Biden, da presidente eletto dai media, ha già iniziato a versare rosolio.
Da una parte il buon riconciliatore con famiglia del Mulino Bianco al seguito, ("Nonno, nonno hai vinto tu!"), dall'altra il divisore, il seminatore di zizzania, il babau che offusca con il suo comportamento odioso la radiosità della nuova era che si affaccia sul proscenio della storia.
Questo è quello che ci hanno apparecchiato.


Biden avrebbe dovuto attendere l’esito delle azioni legali promosse dal Presidente Trump prima di annunciare la vittoria e i capi di Stato che si sono congratulati hanno interferito politicamente in una vicenda legalmente in atto.
Magdi Cristiano Allam
9 novembrte 2020

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 3270655901

In una Nazione in cui buona parte dei cittadini va in giro armata e in cui il clima politico è surriscaldato, la forzatura politica di Biden rischia di essere percepita come una prova di forza se non una provocazione. La prospettiva di una guerra intestina sarebbe una tragedia per gli Stati Uniti d’America e per il mondo intero, così come suonerebbe come il colpo di grazia a una democrazia che ha mostrato serie problematiche
Buongiorno amici. Sono preoccupato perché sia all’interno sia dall’esternodegli Stati Uniti d’America, finora la superpotenza e il baluardo della libertà nel mondo, si stanno calpestando delle regole basilari della democrazia e del diritto internazionale.
Piaccia o meno, al di là dei toni talvolta sopra le righe e dei comportamenti esuberanti, Donald Trump è ancora il Presidente degli Stati Uniti d’America e lo sarà fino al 14 dicembre, quando il “Collegio elettorale” formato da 538 “Grandi elettori” eleggerà e formalizzerà la vittoria del prossimo Presidente. Di fatto il Presidente viene eletto indirettamente dai “Grandi elettori” che sono stati eletti dal voto dei cittadini il 3 novembre. È prassi che i “Grandi elettori” votino per il candidato presidenziale che li ha scelti, ma non si può escludere il caso di “Grandi elettori infedeli”. Votare in modo difforme è politicamente sanzionabile ma è costituzionalmente lecito.
Entro l’8 dicembre dovranno essere risolte le controversie legali, a partire da quelle sul voto per posta, il riconteggio dei voti nei singoli Stati, le cause nei tribunali e l'eventuale ricorso alla Corte Suprema.
Il 3 gennaio 2021 debutterà il nuovo Congresso, che si conferma in bilico con la Camera dei Rappresentanti a lieve maggioranza democratica e il Senato a lieve maggioranza repubblicana.
La transizione del potere tra il Presidente uscente e il Presidente eletto avviene tra il 14 dicembre, data dell’ufficializzazione del risultato delle elezioni da parte del “Collegio elettorale” e il 20 gennaio 2021, data del giuramento del Presidente eletto. Da un punto di vista costituzionale il Presidente eletto entra in carica solo dopo il giuramento il 20 gennaio 2021.
Ebbene, le elezioni si sono svolte il 3 novembre. Il 7 novembre il candidato democratico alla Presidenza Joe Biden ha annunciato la vittoria, ma il risultato è stato contestato dal Presidente Trump che ha avviato delle azioni legali e evocato l’intervento della Corte Suprema, denunciando brogli elettorali e chiedendo il riconteggio delle schede. Tutto ciò è assolutamente legale e il fatto che sia il Presidente in carica a mettere in discussione il risultato elettorale va considerato con il massimo rispetto sia dentro sia fuori gli Stati Uniti.
Invece abbiamo assistito a un dileggio e a un oltraggio senza precedenti nei confronti di Trump, con le televisioni che gli hanno tolto la parola e le piattaforme virtuali che l’hanno censurato per il semplice fatto che ha denunciato dei brogli e di conseguenza non considera valida la vittoria di Biden.
Così come sorprende che diversi capi di Stato e di governo, i nostri Mattarella e Conte, Merkel, Macron e Boris Johnson, l’israeliano Netanyahu e il palestinese Abu Mazen, l’iraniano Hassan Rohani e persino i terroristi islamici palestinesi di Hamas si sono precipitati a congratularsi con Biden per la sua elezione. Ben più saggio è stato il Presidente messicano Andres Lopez Obrador, che ha detto che è troppo presto per congratularsi con Biden: “Aspetteremo fino a quando tutte le questioni legali saranno risolte. Non vogliamo essere sconsiderati".
Cari amici, se come abitualmente accade un candidato alla Presidenza vince e chi ha perso riconosce la sconfitta e si congratula con il vincitore, Biden non avrebbe avuto problemi a proclamare pubblicamente la propria vittoria. Ma avendo il Presidente in carica Trump contestato il risultato e avviato delle azioni legali tra cui il ricorso alla Corte Suprema, Biden avrebbe dovuto saggiamente attendere l’esito delle contestazioni legali promosse legittimamente e conformemente alla Costituzione.
A maggior ragione se si considera che di fatto l’elezione formale avverrà solo dopo il voto dei 538 “Grandi elettori” il prossimo 14 dicembre. In una Nazione in cui buona parte dei cittadini va in giro armata e in cui il clima politico è surriscaldato, la forzatura politica di Biden rischia di essere percepita come una prova di forza se non una provocazione. La prospettiva di una guerra intestina sarebbe una tragedia nazionale e il colpo di grazia a una democrazia che ha mostrato serie problematiche. Ugualmente i capi di Stato e di Governo che si sono già congratulati con Biden hanno comunque interferito negli affari interni degli Stati Uniti, schierandosi politicamente in una vicenda che non si è conclusa legalmente, anche se è improbabile che i ricorsi legali diano la vittoria a Trump. Questo scenario di per sé rappresenta il declino di un Mondo che ha avuto finora negli Stati Uniti d’America il riferimento certo sul piano monetario, economico, militare, politico e anche valoriale. L’alternativa che si afferma con sempre più prepotenza è la Cina, un ferreo regime comunista sul piano politico e un sistema economico iper-capitalista. Ecco perché dobbiamo mobilitarci culturalmente e civilmente per salvaguardare la nostra umanità e riscattare la nostra civiltà.


Poco fa il Leader di maggioranza repubblicana al Senato, il Senator Mitch McConnell ha dichiarato di essere d'accordo con il Presidente Donald J. Trump sul rifiuto a concedere la vittoria al candidato alla presidenza Biden.
L'Osservatore Repubblicano
9 novembre 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 0350644717

Il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell (R-Ky.) ha celebrato le vittorie del Congresso dei repubblicani e ha difeso il rifiuto del presidente Trump di concedere la vittoria a Joe Biden, affermando lunedì nell'aula del Senato che Trump ha "tutto il diritto di esaminare le accuse e richiedere il riconteggio".
A partire da lunedì pomeriggio, solo quattro senatori repubblicani - la sens. Lisa Murkowski (Alaska), Mitt Romney (Utah), Susan Collins (Maine) e Ben Sasse (Neb.) - si erano congratulati con Biden per la sua prevista vittoria (tradottto sono dei RINO che si sono trovati spesso in contrasto con Trump).
I principali alleati di Trump alla Camera e al Senato hanno continuato a diffondere accuse (infondate secondo Axios) di frode elettorale e ad attaccare i media per aver indetto la corsa prima che ogni voto "legale" fosse conteggiato.
Axios commenta che il rifiuto da parte dei repubblicani di alto livello di accettare la vittoria di Biden e consentire che tutte le opzioni legali siano esaurite potrebbe significare settimane di drammi e, cosa più importante, distrazioni dal lavoro vitale di transizione del governo per un cambio di potere.
MA I MEDIA NON DICEVANO CHE TRUMP ERA SOLO E CHE TUTTI L'AVEVANO ABBANDONATO??
FAKE NEWS COME AL SOLITO.
IL GOP è SALDAMENTE CON TRUMP!
I MEDIA SANNO CHE, IN QUESTO MOMENTO, SENZA LA CONCESSIONE DELLA VITTORIA DA PARTE DI TRUMP, LA VITTORIA DI BIDEN NON PUÒ ESSERE UFFICIALIZZATA E CHE L'UFFICIALIZAZIONE POTRÀ AVVENIRE AL TERMINE DELLE SFIDE LEGALI, COMUNQUE ENTRO IL 14 DICEMBRE GIORNO IN CUI SI RIUNIRANNO I GRANDI ELETTORI.
McConnel ha continuato:
"Negli Stati Uniti d'America, tutte le schede legali devono essere contate. Le schede illegali non devono essere conteggiate. Il processo deve essere trasparente o osservabile da tutte le parti e i tribunali sono qui per risolvere i problemi, "Ha detto McConnell.
"Le nostre istituzioni sono effettivamente costruite per questo. Abbiamo il sistema in atto per prendere in considerazione le preoccupazioni e il presidente Trump è al 100% nei suoi diritti di esaminare le accuse di irregolarità e valutare le sue opzioni legali", ha continuato.
"E in particolare, la Costituzione non attribuisce alcun ruolo in questo processo alle ricche società di media. Le proiezioni e i commenti della stampa non ottengono il potere di veto sui diritti legali di nessun cittadino, compreso il presidente".


Barr tells DOJ to probe election fraud claims if they exist
Nov 9 2020
https://www.cnbc.com/2020/11/09/barr-au ... fraud.html

A seguito delle accuse del Presidente Trump, il procuratore generale William Barr approva l'indagine sulle "affermazioni solide" per il disordine nel conteggio dei voti!

Il Procuratore Generale William Barr autorizza il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, DOJ, ad esaminare le irregolarità del voto, in una nota pubblicata lunedì.
L'Osservatore Repubblicano
10 novembre 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 3267262092

Il promemoria è stato indirizzato e firmato da Barr agli avvocati degli Stati Uniti, agli assistenti procuratori generali della divisione criminale del DOJ, della divisione dei diritti civili, della divisione della sicurezza nazionale e del direttore del Federal Bureau of Investigation (FBI), Christopher Wray.
"Ora che la votazione è conclusa, è imperativo che il popolo americano possa fidarsi che le nostre elezioni siano state condotte in modo tale che i risultati riflettano accuratamente la volontà degli elettori", si legge nella nota.
Il promemoria di Barr arriva dopo che i 39 repubblicani della Camera avevano pressato Barr in una lettera di venerdì per consentire al Dipartimento di Giustizia di esaminare le accuse di irregolarità di voto in tutto il paese e in diversi Stati chiave.
La campagna di Trump ha già intentato una serie di azioni legali in alcuni di questi stati.



Usa 2020: il ministro della giustizia dà l’ok alle indagini sui “brogli elettorali”, ma il procuratore si dimette per protesta
10 novembre 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/11/ ... 1.39522157

WASHINGTON. Come promesso, il presidente Usa uscente, Donald Trump, che ancora non ha riconosciuto la sconfitta elettorale, va alla battaglia legale per il riconteggio dei voti: contestando la vittoria di Joe Biden alla presidenza, il suo team legale ha avviato una denuncia in Pennsylvania, sostenendo che Filadelfia e Pittsburgh sono state inondate dai brogli: gli avvocati hanno chiesto un'ingiunzione di emergenza per impedire ai funzionari statali di certificare la vittoria di Biden nello Stato. Nel frattempo il procuratore generale degli Stati Uniti, Bill Barr, ha autorizzato i pubblici ministeri federali ad avviare indagini sulle presunte irregolarità nel voto.

Usa 2020, Trump minaccia: "È in atto una frode, andremo alla Corte Suprema"

Barr, a lungo uno strenuo difensore del presidente, ha spiegato che la sua mossa non significa che il ministero abbia in mano prove a sostegno della tesi della Casa Bianca, ma ha liberato i pubblici ministeri dalle restrizioni su indagini di questo tipo. Una scelta che ha avuto un'immediata ripercussione al ministero della Giustizia: subito dopo il suo annuncio, in segno di protesta, ha annunciato le sue dimissioni Richard Pilger, alto funzionario del Dipartimento di giustizia responsabile proprio delle indagini sui brogli elettorali. Pilger contesta a Barr di esser venuto meno alla «linea politica di non interferenza» segnata da quarant'anni nelle indagini sulle frodi elettorali. Le indagini sui brogli sono normalmente di competenza dei singoli Stati, che stabiliscono e controllano le proprie regole elettorali. La politica del Dipartimento di Giustizia è stata finora quella di evitare qualsiasi coinvolgimento federale fino a quando i conteggi dei voti non siano certificati e i riconteggi completati.

Ma Barr ha detto ai procuratori che, «trattandosi di pratiche che non sono mai veloci», se trovano qualcosa che potrebbe invertire i risultati delle elezioni, devono aprire un'indagine. Di fatto in tal modo Barr ha messo i procuratori federali al servizio della strategia di Trump ed il timore adesso è che il Dipartimento di Giustizia finisca nella battaglia elettorale.

Trump avrebbe fatto pressioni su Barr già settimane prima delle elezioni; e il procuratore generale era scomparso per diverse settimane, fino a quando ieri è stato visto a un incontro con il leader della maggioranza repubblicana in Senato, Mitch McConnell. Il presidente si batte per invertire le vittorie del rivale democratico in diversi Stati chiave - Pennsylvania, Nevada, Georgia e Arizona - che danno a Biden abbastanza voti elettorali per vincere le elezioni presidenziali complessive. La campagna di Trump e il partito repubblicano hanno intentato o minacciato azioni legali in diversi Stati (una decina di cause avviate, alcune già ritirate) sperando di cambiare il risultato con squalifiche e riconteggi.

Joe Biden presidente, sostenitori di Trump armati e schierati in Pennsylvania: ''Non è finita qui''

Ma finora le loro azioni non hanno prodotto risultati: deve portare le prove delle accuse, e comunque, anche qualora vincesse, non è detto che questo gli basterebbe per rivendicare la vittoria. Nella sua battaglia, il presidente trova il Gop ancora compatto nel sostenerlo. Finora solo tre senatori repubblicani si sono ufficialmente schierati con Biden: dopo Mitt Romney e Lisa Murkowski, lunedì è stata la volta di Susan Collins che ha rotto gli indugi e ha fatto le «congratulazioni al presidente eletto (tra l'altro, il suo nome è girato per un suo possibile ingresso nella squadra della futura amministrazione). I repubblicani per ora non contestano la sua narrativa, che le elezioni gli siano state rubate: anzi, per la prima volta in pubblico dopo il voto, Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana, lunedì ha parlato in modo deciso proprio nell'aula al Congresso: Trump, ha detto, ha «il pieno diritto di accusare di irregolarità e valutare le sue opzioni legali».

Biden, presidente Usa eletto: "Appena avremo il vaccino contro il Covid sarà distribuito gratis"

La battaglia di Trump trova più ostacoli nei media: Fox News ha oscurato la portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, mentre teneva una conferenza stampa in cui accusava i democratici di «frodi e voti illegali»: d'imperio, il conduttore Neil Cavuto ha interrotto la messa in onda: «A meno che lei non abbia maggiori dettagli a sostegno di quello che dice, non posso continuare a mostrare la conferenza stampa» ha detto, ricordando che «accusare l'altra parte di truccare e barare» è «esplosivo».

Fox News è sempre stata molto vicina a Trump durante i quattro anni della sua amministrazione, ma di fronte alla vittoria di Joe Biden, insieme agli altri media conservatori di proprietà di Rupert Murdoch, sembra essersi riposizionata e nei giorni scorsi ha invitato il magnate a comportarsi con «compostezza». Una linea già adottata venerdì scorso anche da altre emittenti televisive statunitensi, Msnbc, Nbc News e Abc News: mentre il presidente Trump parlava in diretta tv alla nazione, accusando i democratici di avergli rubato le elezioni, hanno interrotto la diretta.

Le tv statunitensi oscurano il discorso alla nazione di Trump: "Quello che sta dicendo è falso"


Gino Quarelo
I sospetti di brogli da parte democratica, sono talmente tanti, inquietanti e pericolosi dato il clima che si è insaurato nel paese che il Ministro della Giustizia non poteva far finta di nulla e mantenere il tradizionale distacco di non interferenza fino a quando i conteggi dei voti non siano stati certificati e i riconteggi completati proprio perché normalmente (nel passato) le indagini sui brogli sono tradizionalmente state di competenza dei singoli Stati, che stabiliscono e controllano le proprie regole elettorali ma che oggi non offrono alcuna garanzia di corretteza e affidabilità democratica.



A sei giorni dall’annuncio della sua vittoria, Cina e Russia non hanno riconosciuto Biden come nuovo Presidente degli Stati Uniti. Attendono l’esito delle vertenze legali promosse da Trump, dimostrando una responsabilità politica che non ha avuto l’Unione Europea
Magdi Cristiano Allam
12 novembre 2020

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 1389792089

Cari amici, il fatto che le due maggiori potenze mondiali, la Cina e la Russia, che affiancano gli Stati Uniti nella gestione sostanzialmente tripolare del nostro Mondo, non abbiano riconosciuto la vittoria del candidato democratico alla Presidenza americana Joe Biden a sei giorni dalla sua proclamazione pubblica, ci impone una riflessione sull’esito delle elezioni, sulla correttezza del comportamento del Presidente Donald Trump, sulla fondatezza delle denunce non solo di irregolarità nel conteggio dei voti ma di una frode sistemica manipolando il risultato avvalendosi di un algoritmo, del software «Dominon», di oltre 400 mila schede cartacee false.
Le elezioni ci sono state il 3 novembre. Il 7 novembre Biden ha annunciato pubblicamente alla stampa la sua vittoria. Ma il Presidente Trump ha subito contestato il risultato, sostenendo che il vincitore è lui, ha promosso delle azioni legali e chiesto l’intervento della Corte Suprema, ha denunciato brogli elettorali e ha chiesto il riconteggio delle schede.
Ebbene in uno scenario che disonora la democrazia americana, Biden ha iniziato a operare come se lui fosse ufficialmente il Presidente mentre i mezzi di comunicazione di massa hanno oltraggiato Trump arrivando al punto di toglierli la parola mentre parlava in diretta. In parallelo, in uno scenario che viola i principi fondanti del diritto internazionale, l’Unione Europea e i suoi Stati si sono affrettati a fare le congratulazioni a Biden, esercitando una indebita interferenza negli affari interni degli Stati Uniti, manifestando una scelta politica in una vertenza legale irrisolta affidata alla giustizia, trascurando il fatto che a promuovere la vertenza legale e costituzionale è il Presidente in carica.
Radicalmente diverso è stato il comportamento della Cina e della Russia, a prescindere dal fatto che Trump è stato tutt’altro che conciliante con le due grandi potenze. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha chiarito che solo dopo che saranno risolte le controversie legali sul voto, la Cina agirà «in conformità con le pratiche internazionali». Anche il Portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto: «Crediamo sia corretto attendere i risultati ufficiali delle elezioni». Anche il Presidente messicano Andres Lopez Obrador, pur non avendo avuto un rapporto facile con Trump, non ha voluto congratularsi con Biden e ha detto: “Aspetteremo fino a quando tutte le questioni legali saranno risolte. Non vogliamo essere sconsiderati". Lo stesso ha fatto il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro.
Questa prudenza è oltretutto giustificata dal fatto che il sistema elettorale degli Stati Uniti contempla che l’elezione ufficiale e formale del Presidente avverrà solo il 14 dicembre con il voto espresso dai 538 «Grandi elettori» che formano il “Collegio elettorale” per cui i cittadini hanno votato lo scorso 3 novembre.
Sul piano degli accertamenti legali, dopo che martedì il Procuratore Generale degli Stati Uniti William Pelham “Bill” Barr ha ordinato di avviare un’indagine sulle irregolarità nel voto sostenute da Trump, oggi il Segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, ha annunciato che si svolgerà il riconteggio manuale delle schede per le elezioni presidenziali, come è stato chiesto dai legali di Trump. Al momento Joe Biden è in testa con appena 14 mila voti. «Con un margine così stretto, sarà necessario un completo riconteggio a mano in ogni Contea», ha detto Brad Raffensperger, sottolineando di aver preso questa decisione considerata «l’importanza nazionale» dei 16 voti elettorali della Georgia.
La Corte Suprema della Pennsylvania, Stato che vale 20 «Grandi elettori», ha ordinato il conteggio separato delle schede arrivate per posta dopo il 3 novembre, bocciando la decisione dei tribunali locali che avevano autorizzato l’accettazione delle schede postali fino al 6 novembre, in flagrante violazione con la Costituzione federale.
L’esito del voto in Pennsylvania si rivela cruciale per Biden. Ci sono otto Stati in cui il voto non è ancora definitivo. Ebbene solo se venissero confermate le vittorie di Biden in Michigan, Winsconsin e Pennsylvania, che valgono rispettivamente 16, 10 e 20 Grandi Elettori, Biden raggiungerebbe 279 Grandi Elettori e si aggiudicherebbe la Presidenza con 9 Grandi Elettori in più dei 270 che rappresentano la metà più uno rispetto al totale di 538 Grandi Elettori. Oltre a questi tre Stati, in altri cinque Stati non è stato ancora annunciato il risultato definitivo, Florida, Georgia, Carolina del Nord, Arizona e Iowa, che valgono rispettivamente 29, 16, 15, 11 e 6 Grandi Elettori. Trump è in vantaggio in Florida, Carolina del Nord e Iowa, mentre in Arizona e in Georgia la differenza è minima.
Cari amici, la decisione delle due grandi potenze mondiali, la Cina e della Russia, in aggiunta al Messico e al Brasile, di non congratularsi con Biden a sei giorni dall’annuncio della sua vittoria, attesta un comportamento responsabile e di non interferenza politica in una vertenza legale promossa dal Presidente Trump. A dispetto dell’annuncio pubblico della vittoria di Biden, il nuovo Presidente degli Stati Uniti verrà ufficialmente eletto solo il 14 dicembre dai 538 Grandi Elettori. Entro l’8 dicembre sapremo l’esito delle vertenze legali. Questa vicenda, qualunque sarà l’esito, registra il discredito totale dei mezzi di comunicazione di massa che non rappresentano correttamente la realtà e sono strumenti di manipolazione dell’opinione pubblica, così come attesta la crisi della democrazia e la decadenza della nostra civiltà. È in questo contesto che tutti noi siamo chiamati a una mobilitazione culturale e civile per individuare e perseguire una prospettiva che salvaguardi la nostra umanità.


La Cina riconosce Biden? No, solo che ha preso tanti voti...
13 novembre 2020

http://piccolenote.ilgiornale.it/48134/ ... tanti-voti

La Cina riconosce Biden come presidente degli Stati Uniti. Così sui media Usa e internazionali felici per l’accettazione del risultato delle presidenziali da parte di Pechino.

La Terra di Mezzo, infatti, insieme alla Russia, finora era rimasta in silenzio, in attesa del termine del processo elettorale, irritando non poco gli ambiti che sostengono Biden, ansiosi che il mondo riconosca la sua vittoria per far pressioni sul recalcitrante Trump.

Congratulazioni caute

La realtà è alquanto diversa, come fa notare il Global Times, che riferisce il messaggio ufficiale in questione, ad opera di Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese: «Inviamo le nostre congratulazioni al signor Biden e alla signora Harris, e comprendiamo anche che il risultato delle elezioni statunitensi sarà deciso in conformità con le leggi e le procedure statunitensi».

Tali congratulazioni, secondo analisti cinesi interpellati dal GT, non sono dirette «al presidente eletto degli Stati Uniti».

In proposito il media cinese riferisce l’opinione di Li Haidong, professore presso l’Istituto di relazioni internazionali della China Foreign Affairs University, il quale ha osservato che «definendo Biden “Mr”‘ piuttosto che “presidente eletto” ,gli osservatori hanno dimostrato che la Cina è ancora cauta”.

«Da un lato, la Cina ha riconosciuto che Biden e la Harris hanno tratto un chiaro vantaggio nelle votazioni; dall’altro, ha anche mostrato rispetto per il presidente Trump e i suoi elettori»,

Quindi, dopo aver notato che Xi Jinping nel 2016 si è congratulato con Trump solo dopo che Hillary Clinton ha concesso la vittoria (1), cioè quando tutto era compiuto, il GT fa notare la buona volontà di Pechino nei confronti di Trump, la cui amministrazione invece continua a «provocare».

Allo stesso tempo, si tratta di un piccolo segnale diretto a Biden, perché moderi la spinta anti-cinese dell’attuale amministrazione Usa (ipotesi oggi alquanto aleatoria).

Infatti, «le congratulazioni della Cina a Biden sono arrivate dopo che Pompeo ha negato che l’isola di Taiwan fosse parte della Cina». Dichiarazioni di portata devastante, perché la definizione “China One” non solo è alla base di tutti i rapporti tra Pechino e Taipei, ma è anche riconosciuta a livello internazionale, Usa compresi.

L’indipendenza di Taiwan

Riconoscere l’indipendenza di Taiwan e spingere le autorità di Taipei a una dichiarazione in tal senso, perché di questo si tratta, rischia davvero di provocare una guerra, perché ciò è semplicemente inaccettabile per Pechino.

Sul punto si rimanda a un bell’articolo del National Interest nel quale si spiega peraltro che Pechino sa perfettamente che non può attaccare Taiwan, dal momento che sa bene che gli Usa interverrebbero per difenderla, con esiti devastanti per l’esercito cinese.

Allo stesso tempo il NI fa notare che «la scomoda verità è che Washington si è impegnata esplicitamente diversi decenni fa a non “perseguire una politica di “due Cina” oppure “una Cina, una Taiwan ” come prerequisito strategico per stabilire un rapporto con Pechino».

E conclude: «La buona notizia è che, contrariamente al giudizio prevalente, Pechino non cerca scuse o opportunità per attaccare Taiwan: cerca ragioni per non farlo. Il pericolo è che i leader cinesi attualmente non ritengono che Washington e Taipei stiano fornendo loro queste ragioni».

Tale l’esito delle mattane di Pompeo e del variegato ambito anti-cinese che, consigliando Trump, lo ha messo in rotta di collisione con Pechino, incenerendo l’iniziale progetto del Tycoon prestato alla politica, che era quello di trovare un’intesa tripartita Cina-Russia-Usa per riportare un po’ di ordine del mondo preda al caos.

La spinta di tale ambito, che oltre a Pompeo annovera, ma gli influenti consiglieri Steve Bannon e Peter Navarro, non solo ha creato nuove tensioni nel mondo, ma ha anche perso Trump, che è stato indotto a combattere il coronavirus attaccando la Cina.

Posizione che non gli ha portato nessun voto, dato che i suoi elettori l’avrebbero votato a prescindere, mentre ha affossato l’ipotesi di una collaborazione con Pechino per contrastare la pandemia, rifiutando la mano tesa di Pechino, anzi mordendola.

Una collaborazione che avrebbe chiuso prima o comunque ridotto di molto la criticità prodotta dal Covid-19, evitando così a Trump di essere travolto dalla pandemia e permettendogli anzi di presentarsi alle elezioni come salvatore della patria e del mondo.

Il detto dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io vale anche oltreoceano.

(1) Da notare il sottinteso: in quel caso parlò Xi Jinping, non il portavoce del ministero degli Esteri…




Nuova lettera del Mons. Viganò
Franco Leonardi
9 novembre 2020

https://www.facebook.com/franco.leonard ... 7839143278

Il mondo nel quale ci troviamo a vivere è, per usare un’espressione evangelica, «in se divisum» (Mt 12, 25).
Questa spaccatura, a mio parere, consiste nella realtà e nella finzione: la realtà oggettiva da una parte, la finzione mediatica dall’altra.
Questo vale per la pandemia, che il filosofo Giorgio Agamben ha analizzato nella raccolta di interventi A che punto siamo recentemente pubblicata per i tipi di Quodlibet; ma vale ancora di più per la surreale situazione politica americana, nella quale l’evidenza di una colossale truffa elettorale viene impunemente censurata dai media, dando per acquisita la vittoria di Joe Biden.
La realtà del Covid contrasta palesemente con quello che vogliono farci credere i media mainstream, ma questo non basta per smontare il grottesco castello di falsità al quale la maggior parte della popolazione si adegua con rassegnazione.
La realtà dei brogli elettorali, delle palesi violazioni dei regolamenti e la falsificazione sistematica dei risultati contrasta a sua volta con la narrazione dei colossi dell’informazione, per i quali Joe Biden è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, punto.
E così deve essere: non ci sono alternative né alla presunta furia devastatrice di un’influenza stagionale che ha causato lo stesso numero di decessi dello scorso anno, né all’ineluttabilità dell’elezione di un candidato corrotto e asservito al deep state.
Tant’è vero che Biden ha già promesso di ripristinare i lockdown anche in America.
La realtà non conta, non è assolutamente rilevante, nel momento in cui essa si frappone tra il piano concepito e la sua realizzazione.
Il Covid e Biden sono due ologrammi, due creazioni artificiali, pronte ad essere adattate di volta in volta alle esigenze contingenti o sostituite rispettivamente con il Covid-21 o con Kamala Harris.
Le accuse di irresponsabilità per gli assembramenti dei sostenitori di Trump svaniscono se a riunirsi nelle piazze sono i sostenitori di Biden, come già avvenne per le manifestazioni dei BLM in America e per le celebrazioni partigiane del 25 Aprile in Italia.
Quello che è criminale per alcuni, è consentito ad altri: senza spiegazioni, senza logica, senza razionalità.
Perché il semplice fatto di essere di sinistra, di votare per Biden, di mettersi la mascherina è un lasciapassare assoluto, mentre il solo essere di destra, di votare per Trump o mettere in discussione l’efficacia dei tamponi è un motivo di condanna e di esecrazione che non necessita di prove né di processo.
Si è ipso facto fascisti, sovranisti, populisti, negazionisti. Lo stigma sociale dinanzi al quale si dovrebbero ritirare in silenzio quanti ne sono colpiti.
Ritorniamo così a quella divisione tra buoni e cattivi che viene ridicolizzata quando è usata da una parte – la nostra – e viceversa eretta a postulato incontestabile quando vi ricorrono i nostri avversari.
Lo abbiamo visto con i commenti sprezzanti alle mie parole sui «figli della Luce» e «i figli delle tenebre», come se i miei «toni apocalittici» fossero il frutto di una mente farneticante e non la semplice constatazione della realtà.
Ma nel respingere con sdegno questa divisione biblica dell’umanità, costoro l’hanno confermata, limitandosi a rivendicare a sé il diritto di dare patenti di legittimità sociale, politica e religiosa.
Loro sono i buoni anche se teorizzano l’uccisione degli innocenti e noi dovremmo farcene una ragione.
Loro sono i democratici, anche se per vincere le elezioni devono sempre ricorrere a brogli e frodi anche platealmente evidenti.
Loro sono i difensori della libertà, anche se ce ne privano giorno dopo giorno.
Loro sono obbiettivi e onesti, anche se la loro corruzione e i loro delitti sono ormai evidenti anche ai ciechi.
Il dogma che essi disprezzano e deridono negli altri è indiscutibile e inoppugnabile quando sono loro a promulgarlo.
Ma come ho avuto modo di dire in precedenza, costoro dimenticano un piccolo dettaglio, un particolare che non riescono a comprendere: la Verità è in sé, esiste a prescindere dal fatto che vi sia chi le presta fede, perché possiede in se stessa, ontologicamente, la propria ragione di validità.
La Verità non può essere negata perché essa è attributo di Dio, è Dio stesso.
E tutto ciò che è vero partecipa di questo primato sulla menzogna.
Possiamo quindi essere teologicamente e filosoficamente certi che questi inganni hanno le ore contate, perché basterà far luce su di essi per farli crollare.
Luce e tenebre, appunto. Lasciamo allora che si faccia luce sulle imposture di Biden e dei Democratici, senza indietreggiare di un passo.
La frode che essi hanno ordito contro Trump e contro l’America non potrà rimanere in piedi a lungo, così come non rimarranno in piedi la frode mondiale del Covid, le responsabilità della dittatura cinese, le complicità di corrotti e traditori, l’asservimento della deep church.
In questo panorama di menzogne erette a sistema, propagandate dai media con un’impudenza sconcertante, l’elezione di Joe Biden non è solo desiderata, ma considerata ineluttabile e quindi vera e quindi definitiva.
Anche se i conteggi non sono conclusi; anche se i controlli sui voti e le denunce sui brogli sono appena all’inizio; anche se le denunce sono appena state depositate.
Biden deve essere Presidente, perché così è stato deciso da loro: il voto degli Americani è valido solo se ratifica questa narrazione, altrimenti si muta in deriva plebiscitaria, populismo, fascismo.
Non stupisce quindi né l’entusiasmo, sguaiato e violento, con cui i Democratici esultano per il proprio candidato in pectore, né l’incontenibile soddisfazione dei media e dei commentatori ufficiali, né l’attestazione di complice e cortigiana sudditanza al deep state da parte dei leader politici di mezzo mondo.
Assistiamo a una gara a chi arriva prima, sgomitando scompostamente per mettersi in mostra, per far vedere di aver sempre creduto nella vittoria schiacciante del fantoccio democratico.
Ma se la cortigianeria di capi di Stato e segretari di partito fa parte del trito copione della Sinistra mondiale, lasciano francamente sconcertati le dichiarazioni della Conferenza Episcopale Americana, immediatamente rilanciate da VaticanNews, che con inquietante strabismo si ascrive il merito di aver sostenuto «il secondo Presidente cattolico della storia degli Stati Uniti», dimenticando il non trascurabile dettaglio che Biden è un accanito abortista, un sostenitore dell’ideologia LGBT e del globalismo anticattolico.
L’Arcivescovo di Los Angeles José H. Gomez, profanando la memoria dei martiri Cristeros del suo paese natale, sentenzia lapidario: «The American people have spoken», il popolo americano ha parlato.
Poco importano i brogli denunciati e ampiamente provati: la fastidiosa formalità del voto popolare, ancorché adulterata in mille modi, va considerata conclusa a favore del portabandiera del pensiero unico.
Abbiamo letto, non senza conati di vomito, i post di James Martin s.j. e di tutta quella schiera di cortigiani che scalpitano per salire sul carro di Biden per condividerne l’effimero trionfo.
Chi dissente, chi chiede chiarezza, chi ricorre alla legge per vedere tutelati i propri diritti non ha alcuna legittimazione e deve tacere, rassegnarsi, scomparire.
Anzi: deve unirsi al coro d’esultanza, applaudire, sorridere.
Chi non accetta, attenta alla democrazia e va ostracizzato.
Ancora due schieramenti, come si vede, ma questa volta legittimi e indiscutibili, perché sono loro a imporli.
È indicativo che la Conferenza Episcopale Americana e Planned Parenthood esprimano la propria soddisfazione per la presunta vittoria elettorale della stessa persona.
Questa unanimità di consensi ricorda l’appoggio entusiastico delle Logge massoniche in occasione dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio, anch’essa significativamente non scevra dall’ombra di brogli in seno al Conclave e parimenti voluta dal deep state, come ben sappiamo dalle mail di John Podesta e dai legami di McCarrick e dei suoi colleghi con i Dem e con lo stesso Biden. Una bella compagnia, non c’è che dire.
Con queste parole è confermato e suggellato il pactum sceleris tra deep state e deep church, l’asservimento dei vertici della Gerarchia cattolica al Nuovo Ordine Mondiale, rinnegando l’insegnamento di Cristo e la dottrina della Chiesa.
Prenderne atto è il primo, impreteribile passo per comprendere la complessità degli avvenimenti presenti e per considerarli in un’ottica soprannaturale, escatologica.
Noi sappiamo, anzi crediamo fermamente che Cristo, unica vera Luce del mondo, ha già vinto le tenebre che lo oscurano.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
8 Novembre 2020, Dominica XXIII Post Pentecosten
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:18 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:19 am

19)

I miserabili immorali si riducono a queste maldicenze. Si rifletta sulla credibilità e l'autorevolezza di questi demenziali media.

'Melania conta i minuti per scaricare Donald' - Lifestyle
(di Serena Di Ronza)
09 novembre 2020

https://www.ansa.it/canale_lifestyle/no ... dfa66.html

- Donald Trump ha perso la Casa Bianca e ora potrebbe perdere anche la moglie. First Lady reticente e non convenzionale, Melania starebbe infatti meditando il divorzio.

Nessuna mossa è attesa a breve: fino a gennaio l'ex modella, secondo indiscrezioni, resterà accanto al marito per evitargli "l'ennesima umiliazione" pubblica, lavorando però nel frattempo a definire nel dettaglio i termini della sua uscita. "Sta contando i minuti...", racconta l'ex consigliera della Casa Bianca Omarosa Manigault Newman.
Non è un segreto che il matrimonio fra Donald e Melania sia in difficoltà da tempo, con la coppia presidenziale che dorme in camere separate alla Casa Bianca così come viveva da separata in casa nella Trump Tower sulla Quinta Strada. La First Lady in diverse occasioni ha mostrato la sua disapprovazione nei confronti del consorte con il linguaggio del corpo e con l'abbigliamento. Non ha mai nascosto con le sue espressioni facciali neanche la sua antipatia per Ivanka Trump, la figlia prediletta del presidente. Ora, con la sconfitta alle elezioni, a Melania viene offerta quella che molti ritengono la sua vera occasione della vita: tagliare i rapporti con il clan dei Trump assicurandosi però quel lusso a cui ormai è abituata da tempo e garantendo un futuro di benessere al figlio Barron.
Melania, secondo indiscrezioni, potrebbe tornare a New York anche se non immediatamente a gennaio. La First Lady potrebbe infatti restare a Washington fino alla fine dell'anno scolastico di Barron, posticipando all'estate il trasloco nella Grande Mela e il ritorno alla sua vita normale fatta di pranzi e cene con le amiche. Non è escluso comunque che possa optare per Mar-a-Lago, in Florida. La decisione su dove vivere è legata all'ipotetico divorzio e a dove Trump vorrà fare base. Non si esclude che se il presidente sceglierà la Florida come sua residenza la First Lady punterà decisa a New York, e viceversa.
All'incertezza sull'abitazione si aggiunge quella sui futuri progetti di Melania. La sua passione per il design potrebbe spingerla a curare la biblioteca presidenziale di Trump. C'è chi ipotizza un suo libro e intravede che possa avere addirittura più successo di quello di Michelle Obama. Un racconto dei quattro anni alla Casa Bianca, con dettagli riservati anche sulla famiglia, potrebbe infatti non avere prezzo per milioni di americani e coronerebbe quel movimento #FreeMelania che molti, anche i critici di Trump, sognano e auspicano da tempo.




COME OSATE?
Niram Ferretti
10 novembre 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063
Perdente e condannato all'irrilevanza, ormai consegnato al crepuscolo, mentre si scollano pezzi di partito e Melania, la fulgida Melania, è prossima al divorzio.
Questa è la narrativa su Donald Trump, proposta dai "giornaloni", dalla stampa che cavalca indomita il Progresso incarnato dal revenant Biden, l'incolore travet della politica scelto per agire sotto dettatura.
Ma le cose stanno assai diversamente. La realtà si incarica di scompigliare la messa in piega del comparto mediatico unito.
L'offensiva legale di Trump è partita. Non si sa cosa porterà a casa, ma intanto è partita.
Da una parte c'è la causa intentata contro il segretario di Stato della Pennsylvania, Kathy Boockaver per violazione della Costituzione, dall'altra l'indagine autorizzata dal Procuratore Generale degli Stati Uniti, William Barr su "accuse rilevanti " di frode elettorale.
Barr, ha anche sottilineato come gli investigatori debbano dare credito unicamente ad accuse sostanziali" di irregolarità ignorando del tutto "affermazioni speciose, ipotetiche fantasiose o inverosimili". Insomma, Barr non ha fatto incetta di tutto il ciarpame che in questi giorni circola sui social come "prova" che le elezioni sono state taroccate.
Dunque, bisognerà aspettare per vedere come si concluderà la storia.
Nel mentre la linea mediatica che deve prevalere è che queste sarebbero le mosse disperate di un uomo che non accetta la sconfitta. Non si può concedere a che Trump abbia tutto il diritto di andare a fondo e verificare se, come ha dichiarato, ci sono state delle irregolarità da inficiare il risultato delle elezioni.
Whoopi Goldberg riassume molto bene il frame mentale dei progressisti, "Come osate mettere in discussione la vittoria di Joe Biden?".
Non si può osare infatti, e se osi pagherai il prezzo della gogna mediatica, alla quale però Trump, nei quattro anni della sua presidenza, ha fatto abbondantemente il callo.
Ma, per parafrasare ancora Whoopi Goldberg, come ha osato Trump, nel 2016, battere Hillary Clinton?
Da allora a oggi lo hanno mostrificato come nessun altro presidente americano e, naturalmente, non smetteranno certo adesso che pensano di avere la vittoria in pugno.


"Melania? Nessun segnale che voglia divorzio da Trump"
7/11/2020

https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/ ... refresh_ce


Melania Trump vuole veramente divorziare da Donald? Due fonti della sua ristretta cerchia hanno riferito al Washington post che la first lady "non ha mostrato alcun segnale" di voler lasciare il marito. A scriverlo è la giornalista Mary Jordan, autrice di una lunga biografia della first lady, che oggi appare scettica sulle numerose voci di una rottura del matrimonio dei Trump.

Altre due persone che ben conoscono la coppia presidenziale condividono questo scetticismo. "Non penso che Melania lascerà Donald. E' sua complice volontaria e ha proprie convinzioni. Quei due si meritano a vicenda", dice Michael Cohen, l'ex avvocato di Trump, ora agli arresti domiciliari per frode fiscale e violazioni finanziarie durante la campagna elettorale del 2016.

Stephanie Winston Wolkoff, ex amica e collaboratrice di Melania, autrice di un libro critico della first lady, afferma che il presidente e la moglie sono stati sempre in sintonia malgrado gli apparenti screzi. "Fa parte dello show - spiega - lei è sempre stata tranquilla. Lui è quello rumoroso. lei quella soft, lui fa il duro. È un gioco delle parti. È parte del rapporto e lo fa funzionare".

Nei quattro anni della presidenza sono girate più volte voci di freddezza fra Melania e Donald, una coppia apparentemente molto meno affiata di quelle dei Bush, i Biden e gli Obama. "Mai con nessuna first lady" vi sono state così tante teorie complottiste dice Myra Gutin, autrice di un saggio sulle mogli dei presidenti americani. Ma se a volte Melania appare distante, rifiuta la mano di Donald, va anche detto che nell'ultima fase della campagna elettorale lo ha sostenuto a spada tratta nei comizi.

Secondo la Jordan, le dicerie sul divorzio sono proiezioni, fantasie in linea con le aspettative di una sonora sconfitta di Trump alle elezioni. Sconfitta che c'è stata, ma non così enorme. Molti americani che detestano Trump, immaginano che la moglie faccia altrettanto. "Forse - conclude - Melania è simile all'America: una gran parte di lei ammira Donald, anche se l'altra è inorridita da lui".



Come si fa a non amare il Presidente Donald J. Trump e la First Lady Melania, uniti più che mai! Felici e forti insieme contrariamente a quanto riportano le Fake news!
President Trump, first lady participate in presentation of National Thanksgiving Turkey
President Donald J. Trump and First Lady Melania Trump participate in the presentation of the National Thanksgiving Turkey.
https://www.facebook.com/FoxNews/videos ... 6931019251


Nessuna è come lei!! Grande Melania!! Tutti avevano detto che era scappata, che aveva divorziato! Invece sta organizzando il Natale alla Casa Bianca!
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 4052568740



Melania in Georgia con il suo amato marito Trump
6 dicembre 2020

First Lady in Georgia: "We must keep our seats in the Senate."
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 2236606279


Che credibilità ha la nostra stampa?
Ricordatevelo dopo il 6 gennaio.
Aurelio Mustacciuoli
4 gennaio 2021

https://www.facebook.com/aurelio.mustac ... 5435395348

Il 6 gennaio negli Stati Uniti accadrà un evento epocale senza precedenti per importanza e gravità.
150 tra parlamentari e senatori hanno dichiarato che rigetteranno gli elettori di Biden e chiederanno una commissione di inchiesta formata da 5 senatori, 5 deputati e 5 membri della corte suprema per fare luce sui brogli elettorali.
Reuter (non l'ultima agenzia) ha pubblicato un sondaggio che indica che il 36% di americani ritiene ci sia stata frode elettorale.
Gallup un altro sondaggio che afferma che il 52% degli americani considera Trump la persona più ammirata.
Rasmussen un altro sondaggio ancora che indica che il 72% degli elettori repubblicani considera Trump il punto di riferimento per il partito repubblicano.
Probabilmente il 6 gennaio ci sarà una manifestazione popolare di quasi 2 milioni di persone che chiede chiarezza.
Ma il Corriere della Sera, il nostro quotidiano di punta descrive così gli eventi americani titolando "Donald Trump furioso con Melania per il nuovo arredamento di Mar-a-Lago".
Una stampa vergognosa che ha smesso di fare il suo dovere, ovvero riportare i fatti, per diventare la voce della propaganda politica di parte. Solo giornalisti e testate indipendenti tra cui LIBPLUS hanno cantato fuori dal coro.
RICORDATEVELO.



Usa, Trump e Melania ballano sulle note di My Way: ma non vanno a tempo
https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 09480.html





Un messaggio d'addio dalla First Lady Melania Trump
La Casa Bianca
18 gennaio 2021

https://www.whitehouse.gov/briefings-st ... ampaign=wh
https://www.facebook.com/ivana.zanette. ... 5044636543

Miei concittadini americani,

È stato il più grande onore della mia vita servire come First Lady degli Stati Uniti.

Sono stata ispirata da incredibili americani in tutto il nostro Paese che sollevano le nostre comunità attraverso la loro gentilezza e il loro coraggio, la loro bontà e la loro grazia.

Gli ultimi quattro anni sono stati indimenticabili. Mentre Donald ed io concludiamo il nostro tempo alla Casa Bianca, penso a tutte le persone che ho portato a casa nel mio cuore e alle loro incredibili storie di amore, patriottismo e determinazione.

Vedo i volti di giovani soldati coraggiosi che mi hanno detto con orgoglio nei loro occhi quanto amano servire questo Paese. Ad ogni membro del servizio e alle nostre incredibili famiglie militari: Siete eroi, e lo sarete sempre nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Penso a tutti i membri delle forze dell'ordine che ci salutano ovunque andiamo. Ad ogni ora di ogni giorno, fanno la guardia per mantenere le nostre comunità al sicuro, e noi siamo per sempre in debito con loro.

Sono stato commosso dai bambini che ho visitato negli ospedali e nei centri di affidamento. Anche quando combattono malattie difficili o affrontano sfide, portano una tale gioia a tutti quelli che incontrano.

Ricordo le madri che hanno combattuto la malattia della dipendenza da oppioidi e che hanno superato incredibili difficoltà per amore dei loro figli.

Sono stata ispirata dai devoti assistenti dei bambini nati con la sindrome di astinenza neonatale e dalle comunità che danno a questi bambini il sostegno e le cure di cui hanno bisogno per crescere.

Quando penso a queste esperienze significative, mi sento umiliata per aver avuto l'opportunità di rappresentare una nazione con persone così gentili e generose.

Mentre il mondo continua ad affrontare la pandemia COVID-19, ringrazio tutti gli infermieri, i medici, i professionisti della sanità, gli operai della produzione, i camionisti e tanti altri che lavorano per salvare vite umane.

Siamo addolorati per le famiglie che hanno perso una persona cara a causa della pandemia. Ogni vita è preziosa, e chiedo a tutti gli americani di usare cautela e buon senso per proteggere i più vulnerabili, visto che ora vengono somministrati milioni di vaccini.

In mezzo a queste difficoltà, abbiamo visto risplendere il meglio dell'America. Gli studenti hanno fatto carte e consegnato generi alimentari ai nostri cittadini anziani. Gli insegnanti hanno lavorato il doppio per far sì che i nostri figli imparino.

Le famiglie si sono riunite per fornire pasti, provviste, conforto e amicizia a chi ne ha bisogno.

Siate appassionati in tutto ciò che fate, ma ricordate sempre che la violenza non è mai la risposta e non sarà mai giustificata.

Quando sono arrivata alla Casa Bianca, ho riflettuto sulla responsabilità che ho sempre sentito come madre di incoraggiare, dare forza e insegnare valori di gentilezza. È nostro dovere, come adulti e come genitori, assicurare che i bambini abbiano le migliori opportunità per condurre una vita appagante e sana.

La passione di aiutare i bambini ad avere successo guiderebbe la mia iniziativa politica come First Lady.

Ho lanciato Be Best per garantire che noi americani facciamo tutto il possibile per prenderci cura della prossima generazione. Be Best si è concentrato su tre pilastri: benessere, sicurezza online e abuso di oppioidi.

In pochi anni, ho aumentato la consapevolezza su come mantenere i bambini al sicuro online; abbiamo fatto incredibili progressi sull'epidemia di droga nella nostra nazione e su come influisce sulla vita dei neonati e delle famiglie, e abbiamo dato voce ai nostri bambini più vulnerabili nel sistema di affidamento.

A livello internazionale, Be Best si è evoluto in una piattaforma che incoraggia i leader mondiali a discutere le questioni che hanno un impatto sulla vita dei bambini e permette loro di condividere le soluzioni. È stato un onore rappresentare il popolo americano all'estero. Faccio tesoro di ciascuna delle mie esperienze e delle persone che ho incontrato lungo il cammino.

Mentre dico addio al mio ruolo di First Lady, è mia sincera speranza che ogni americano faccia la sua parte per insegnare ai nostri figli cosa significa essere i migliori. Chiedo ai genitori di educare i vostri figli sugli eroi coraggiosi e altruisti che hanno lavorato e si sono sacrificati per fare di questo Paese la terra dei liberi. E di guidare con l'esempio e la cura per gli altri nella vostra comunità.

La promessa di questa Nazione appartiene a tutti noi. Non perdete di vista la vostra integrità e i vostri valori. Sfruttate ogni opportunità per mostrare considerazione per un'altra persona e costruire buone abitudini nella vostra vita quotidiana.

In ogni circostanza, chiedo a ogni americano di essere un ambasciatore di Be Best. Di concentrarsi su ciò che ci unisce. Di elevarci al di sopra di ciò che ci divide. Di scegliere sempre l'amore al posto dell'odio, la pace al posto della violenza, e gli altri prima di te stesso.

Insieme, come un'unica famiglia nazionale, possiamo continuare ad essere la luce della speranza per le generazioni future e portare avanti l'eredità dell'America di elevare la nostra nazione a livelli più alti attraverso il nostro spirito di coraggio, bontà e fede.

Nessuna parola può esprimere la profondità della mia gratitudine per il privilegio di aver servito come tua First Lady.
A tutto il popolo di questo paese: Sarai per sempre nel mio cuore.
Grazie. Dio vi benedica, e Dio benedica gli Stati Uniti d'America.

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)






Perché Melania è stata una grande first lady
Corrado Ocone
24 gennaio 2021

https://www.nicolaporro.it/perche-melan ... irst-lady/

Credo che sia giunto il momento, dopo le sbracate dichiarazioni televisive di Alan Friedman, ma non solamente per questo (parole meschine che qualificano da sole chi le usa), di fare un elogio di Melania Trump, la quarantacinquesima first lady dell’America. Di farlo soprattutto per la dignità e il decoro, la compostezza e lo stile, con cui ha affrontato il suo ruolo, cosa che non era affatto facile e scontata considerate le intemperanze e le uscite spesso borderline del consorte presidente e considerato il non edificante esempio che aveva in chi l’ha preceduta, cioè Michelle Obama.

Sia chiaro, qui non si vuole fare un discorso che rilega la donna in un suo cantuccio, come direbbe subito il falso femminismo di sinistra. Significa semplicemente capire che, come i soloni dell’altro campo pretendono di insegnarci solo quando fa a loro comodo, la democrazia, e quella americana più di tutte, è fatta di forme, liturgie, persino riti. E quello della first lady è un ruolo simbolico quanto altri mai perché richiama la tradizione e suoi valori, che per un “popolo senza storia” è un cemento sociale non indifferente. Bisogna rispettare il proprio ruolo, indipendentemente dal sesso, così come lo hanno rispettato, per fare solo due esempi nell’altro senso, il marito di Margareth Thatcher, a suo tempo, e quello di Angela Merkel, ancora oggi. Rispettare il proprio ruolo significa anche avere rispetto verso i propri concittadini che non hanno votato il o la consorte di un presidente e che perciò non debbono vedersi una tale persona fare politica o prepararsi, servendosi del consorte , una propria carriera politica (come ha fatto la Clinton e come, si capisce a mille miglia, ha fatto e continua a fare la Obama).

Non era facile anche perché si aveva gli occhi puntati di un sistema dei media orientato da una sola parte, pronto a cogliere ogni piccola e umana défaillance per colpire il presidente per interposta persona. E, non esitando pur di raggiungere lo scopo, a mettere in campo il più spinto “sessismo”, come ha fatto Friedman con rozzezza ma come hanno fatto nei quattro anni trascorsi tutti quelli che dietro una mano negata a Trump o un volto più corrucciato del solito hanno immaginato chissà quali dissapori o dissidi coniugali. Già dimenticando che il loro è un matrimonio consolidato e di lunga data (senza contare l’altrettanto lungo fidanzamento) e con un figlio, Barron, che, in barba ad ogni rispetto per i minori, è stato persino preso in giro per certi suoi diffusi “disturbi” comportamentali da adolescente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:19 am

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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:20 am

20)

I distretti elettorali e i grandi elettori che eleggono il Presidente USA

I cittadini americani eleggono direttamente i deputati (435) e i senatori (100) più i 3 del distretto elettorale di Columbia che coincide con la capitale federale Washington, distretto che non è uno stato (https://it.wikipedia.org/wiki/Washington ), per un totale di 538 membri;
in alcuni stati eleggono i Governatori in scadenza;
poi con il voto scelgono il Presidente federale (nell'anno 2020 Trump o Biden) a cui sono associati i corrispondenti grandi elettori che lo eleggeranno direttamente il 14 dicembre;
grandi elettori che sono in numero 538 corrispondente a quello dei deputati e dei senatori del Congresso, ma che però non sono i deputati e i senatori ma altri cittadini scelti in ogni distretto dal partito che ha espresso il candidato vincente ed eletto al congresso USA e una volta eletto il Presidente se ne tornano a casa.
I grandi elettori per Costituzione non hanno il vincolo di mandato e votano con voto segreto per cui potrebbero scegliere un Presidente diverso da quello a cui ognuno di loro è associato, ma questo non avviene quasi mai.
Se vi fosse il vincolo del mandato che renderebbe automatica l'elezione del Presidente a loro associato, non avrebbe senso e sarebbe inutile la loro esistenza e funzione.
Il fatto che il Presidente eletto abbia ricevuto meno voti del candidato non eletto dipende dal numero dei senatori (e relativi grandi elettori) che sono assegnati per legge in numero fisso di 2 per ogni stato a prescindere dal numero dei suoi abitanti e cittadini elettori, per cui può accadere che un partito con il suo candidato presidente pur avendo ricevuto più voti negli stati più popolosi, abbia ricevuto meno voti negli stati meno popolosi vinti dal partito conconcorrente e che perciò hanno espresso complessivamente un maggior numero di senatori che vengono attribuiti per stato in numero fisso e uguale per tutti e non per numero di abitanti e cittadini elettori.




I collegi o distretti elettorali per le elezioni federali e presidenziali negli USA
https://it.wikipedia.org/wiki/Collegio_ ... %27America

Il sistema che prevede il Collegio elettorale è da lungo tempo oggetto di un forte dibattito. I sostenitori di questo sistema ritengono che ciò sia rispondente ed essenziale al federalismo americano, dato che ciò costringe i candidati a concentrarsi non solo sulle grandi città e aumentando l'influenza degli Stati più piccoli, oltre che preservare il sistema bipartitico statunitense e dare una maggiore legittimità al suo risultato rispetto a delle normali elezioni popolari. I contrari a questo sistema sostengono invece che esso possa dare vita a differenze di risultato tra voto popolare e voto del Collegio elettorale (come il già citato caso delle elezioni del 2016) e che convinca i candidati a concentrare le proprie campagne elettorali su alcuni "swing states" (ovvero Stati-chiave per ottenere la vittoria), oltre che dare un peso troppo elevato a Stati poco popolati (come il Wyoming) che risultano avere un peso quattro volte superiore rispetto a quelli più popolosi (come la California).


Questi grandi elettori vengono eletti su base statale e il loro numero varia ed è pari alla somma dei deputati e dei senatori che ogni Stato ha all’interno delle Camere di Congresso.
https://www.unicusano.it/blog/didattica ... er-capire/
Il sistema elettorale indiretto.

Il sistema secondo il quale vengono eletti il Presidente degli stati Uniti e il suo Vicepresidente, che appartengono alla medesima lista, è un sistema elettorale indiretto.

Essi infatti non vengono eletti direttamente dai singoli cittadini ma da 538 Grandi Elettori, che si riuniscono a Washington il giorno delle elezioni nel così detto Collegio Elettorale degli Stati Uniti per esprimere il loro voto rispetto allo Stato che rappresentano.

Si tratta quindi di un voto diviso in due fasi e che può essere considerato un misto tra l’Elezione del Presidente del Consiglio e l’Elezione del Presidente della Repubblica in Italia: se il primo è infatti eletto direttamente dal popolo, il secondo è invece eletto dalle Camere, cioè dai rappresentati del popolo al Parlamento e al Senato.

Questi grandi elettori vengono eletti su base statale e il loro numero varia ed è pari alla somma dei deputati e dei senatori che ogni Stato ha all’interno delle Camere di Congresso.

I Grandi Elettori.

I Grandi Elettori vengono eletti dai cittadini del loro Stato secondo le modalità previste dallo Stato stesso e che possono variare tra loro, ma comunque prevedono delle modalità comuni e imprescindibili.

I cittadini dello Stato in questione esprimono la loro preferenza per un candidato, ma quello che viene eletto non è il singolo individuo, bensì il gruppo di grandi elettori ad esso associati. Per i voti dei cittadini non viene fatto un conteggio generale, bensì un conteggio singolo, cioè Stato per Stato, regolato dal sistema del “winnertakes all”, ossia una maggioranza secca. Nessun ballottaggio e requisito minimo di disparità di voti per designare un vincitore. Se anche solo di un voto in più rispetto ai propri avversari, il candidato in questione comunque è ritenuto il vincitore e a lui vengono assegnati tutti i grandi elettori di quello stato. Gli unici due stati a fare eccezione sono il Maine e il Nebraska, che invece eleggono i propri grandi elettori con un sistema proporzionale, suddividendosi in collegi elettorali.

Ogni Stato degli USA ha diritto ad almeno due “grandi elettori”, ma essi possono aumentar in base al numero dei deputati mandati alla Camera dei Rappresentati, che varia a seconda del numero della popolazione di uno Stato. Questo significa quindi che gli Stati più grandi dispongo di un maggior numero di Grandi Elettori.


Elezioni Usa 2020: come funziona, le regole e le schede elettorali
Tutto quel che serve sapere sulla sfida Trump-Biden del 3 novembre 2020: 150 milioni e forse più di voti attesi, 11 miliardi di spesa con in palio il futuro di Casa Bianca, Congresso e almeno 11 stati su 50
di Marco Valsania
27 ottobre 2020

https://www.ilsole24ore.com/art/elezion ... fresh_ce=1

Tutto quel che serve sapere sulla sfida Trump-Biden del 3 novembre 2020: 150 milioni e forse più di voti attesi, 11 miliardi di spesa con in palio il futuro di Casa Bianca, Congresso e almeno 11 stati su 50

13' di lettura

New York – Decine di milioni di voti in un Paese grande quanto un continente, ma quelli che contano possono essere poche migliaia in una manciata di stati. Chi vince, anche nettamente, la battaglia dei consensi popolari può ugualmente perdere la Casa Bianca. E' il risultato all'apparenza paradossale di un sistema elettorale, quello americano, che è in realtà un complesso labirinto. Con un istituto oscuro, il Collegio elettorale con i suoi Grandi Elettori senza volto e senza nome, che in realtà esprimono il Presidente. E urne nazionali ma che sono governate da disparate norme, su questioni cruciali quali diritto e accesso al voto e conteggio delle schede, decise a livello locale e soggette a battaglie legali oltre che politiche prima e dopo il voto.

Questo labirinto elettorale nel 2020 è più che mai sotto i riflettori. Usi o abusi del suo funzionamento da parte dei due candidati, il Presidente in carica Donald Trump e lo sfidante Joe Biden, e dei loro due partiti dominanti, repubblicano e democratico, potrebbero rivelarsi decisivi all'esito, ancor più nel clima di straordinaria difficoltà creato dalla pandemia. Gli americani quest'anno, oltre che recandosi alle urne il 3 novembre, depositano per settimane schede in numeri record in appositi seggi destinati al voto anticipato oppure via posta, due modalità che sono state molto rafforzate per contenere i rischi da coronavirus. Una combinazione che potrebbe garantire partecipazione con rari precedenti ma anche causare ritardi nel certificare i risultati definitivi, alimentando confusione e scontri sulla validità dei voti e del loro conteggio.

Due strategie a confronto

La formula per un successo da parte di Trump appare chiara agli analisti e alimenta lo spettro di conflitti sulla vasta “macchina” elettorale: conta su una mobilitazione senza precedenti della base su cui ha fatto presa, l'elettorato bianco e meno istruito minoritario. Assieme a restrizioni nelle procedure e nei controlli del voto che oggettivamente scoraggiano e danneggiano potenziali sostenitori dei rivali democratici, in particolare le minoranze etniche. I democratici puntano al contrario sulla facilitazione massima del voto, per assicurare la più ampia partecipazione possibile di fasce spesso meno propense e che considerano a loro favorevoli, dalle minoranze etniche ai giovani. Esaminare funzionamento e dati delle elezioni americane apre dunque una finestra essenziale per comprendere quello che sarà l'esito di una battaglia combattuta sui meccanismi del voto quanto sulle idee a confronto.

Un voto da 11 miliardi

Una prima cifra, il costo delle elezioni rivela l'elevatissima posta in gioco per entrambi i partiti. Stando al Center for Responsive Politics ha ormai tagliato il traguardo degli undici miliardi di dollari, sommando le spese di centinaia di corse congressuali e la campagna presidenziale. Un incremento superiore al 50% rispetto alle elezioni del 2016, tenuto conto dell'inflazione. Metà del costo è legato al duello per la Casa Bianca, 5,2 miliardi, più del doppio rispetto a quattro anni or sono.

La Casa Bianca a elezione indiretta

Il voto per il Presidente negli stati Uniti è in realtà indiretto. Gli elettori esprimo il cosiddetto Collegio elettorale, Electoral College, formato da 538 Grandi Elettori ed è una maggioranza di questi che decide poi ufficialmente il Presidente. Questi Grandi elettori sono ripartiti per stato e il loro numero rispecchia, per ciascuno stato, la somma di seggi alla Camera federale, al Senato più tre rappresentanti cui avrebbe diritto il District of Columbia, quello della capitale Washington Dc, se fosse considerato uno stato. I grandi elettori sono quasi sempre assegnati in blocco, l'intero pacchetto a chi vince il voto popolare nello stato – vale a dire winner takes all. Uniche eccezioni sono il Nebraska e il Maine, dove vige un metodo più proporzionale: due grandi elettori assegnati a chi vince il voto popolare mentre i restanti, due in Maine e tre in Nebraska, ai vincitori di ciascuna delle circoscrizioni elettorali nello stato. Questa formula può comportare una spartizione dei grandi elettori tra democratici e repubblicani.

Collegio elettorale, decisivo e controverso

In generale, tuttavia, l'assegnazione in blocco dei Grandi elettori comporta il potenziale contrasto tra esito del voto popolare e successo nella corsa alla Casa Bianca, ripetutamente avvenuto negli ultimi cicli elettorali. Compreso il 2016, quando la democratica Hillary Clinton ottenne quasi tre milioni di voti in più su scala nazionale ma perse contro Trump nella matematica del collegio elettorale, che richiede di accumulare almeno 270 grandi elettori grazie a successi anche di stretta misura nei singoli stati. E' questa realtà a trasformare in ago della bilancia alcuni stati cosiddetti “swing”, cioè incerti, in particolare quest'anno Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, North Carolina e Florida. La scadenza federale ultima per certificare le elezioni sulla base del Collegio elettorale, e per la soluzione di eventuali dispute, è l'8 dicembre. I nomi dei Grandi elettori sono indicati dai due partiti, tradizionalmente scelti tra fedeli funzionari o militanti locali.

Cosa dice la Costituzione e cosa no

Il controverso ruolo del Collegio elettorale – che i critici vorrebbero abolire o trasformare in una assegnazione proporzionale - ha radici nella Costituzione. Le formule per stabilire i grandi elettori sono infatti affidate ai singoli stati. La Costituzione sancisce insomma la nomina statale della delegazione per il Collegio elettorale, ma non le modalità, non richiede che rifletta il voto popolare. Il Collegio è nato vale a dire quale strumento di filtro e garanzia, che rifletteva una certa sfiducia elitaria verso i rischi di “errori” da parte della volontà popolare. A lungo ridotto a una semplice formalità, la polarizzazione del Paese lo ha riportato alla ribalta, perché gran parte degli stati vengono conquistati a man bassa da uno dei due partiti, senza che questo si traduca in un maggior numero di Grandi elettori e lasciando l'equilibrio in mano a pochi. Non basta, quando si tratta di possibili drammi.

Numerosi stati, 17 su 50, ad oggi non obbligano neppure per legge i loro grandi elettori a votare per il candidato vittorioso. Un fenomeno battezzato Faithless electors. E una legislatura statale, con la copertura della Costituzione, potrebbe decidere di ascrivere a sè la nomina della delegazione per il Collegio, ad esempio dichiarando il voto viziato da irregolarità. Un simile scenario era affiorato nelle contese elezioni presidenziali del Duemila in Florida, lo stato decisivo: il parlamento locale controllato dai repubblicani aveva pronta la scelta d'autorità di delegati mentre ancora era in corso una verifica del conteggio dei voti. Quest'anno un simile dramma è stato immaginato in Pennsylvania, dove a sua volta il Parlamento locale è controllato dai repubblicani che hanno già polemizzato sui pericoli di frodi elettorali.

La Camera dei 435

La Casa Bianca non è il solo “premio” in palio alle urne. La Camera, che detiene il maggior potere legislativo, mette in gioco tutti i 435 seggi ogni due anni, quindi anche in occasione delle quadriennali elezioni presidenziali. Il numero di seggi per stato è legato alla loro popolazione, ricalibrato sulla base del periodico censimento federale e quindi di variazioni demografiche. È la più volatile delle elezioni: spesso le maggioranze vengono ribaltate anche ogni biennio, costringendo i deputati a costanti campagne elettorali. Nel 2018 la maggioranza passò ai democratici, con un vantaggio di 36 seggi – 235 a 199 - in un parziale ripudio del dominio repubblicano dell'intero Congresso e della Casa Bianca emerso delle urne del 2016. L'attesa è che rimanga in mano ai democratici nel 2020, con una maggioranza forse rafforzata di dieci o venti seggi.

Un terzo del Senato si rinnova

Il Senato mette in gioco un terzo dei cento senatori ogni due anni. Il suo ruolo è men che secondario. Ha potere legislativo quasi alla pari della Camera. L'eccezione è la proposta di legislazioni di bilancio, che incidono su entrate e stanziamenti. Il Senato ha tuttavia un cruciale ruolo di vaglio e approvazione delle nomine proposte dalla Casa Bianca, di ministri e alti esponenti dell'amministrazione come di governatori della Fed, alti magistrati della Corte Suprema e giudici federali. Non a caso i repubblicani hanno focalizzato l'attività del Senato proprio sulla conferma di magistrati federali, la cui influenza nell'intrepretare le leggi, e il conseguente impatto sociale e politico, sono profondi negli Stati Uniti. Il mandato dei senatori è più lungo rispetto ai deputati, sei anni, con un rinnovo parziale, come detto, di un terzo dei seggi ogni biennio. Sufficiente a ribaltare maggioranze, anche se con meno frequenza. Quest'anno sono in gioco 33 seggi. La composizione della Camera Alta, con due senatori per ciascuno dei 50 stati. Nell'idea degli autori della Costituzione era il modo per garantire un equilibrio geografico e non solo demografico al sistema politico americano, evitando che regioni rurali e poco popolate fossero emarginate.

La crescente urbanizzazione e concentrazione della popolazione in alcuni stati ha tuttavia sollevato oggi dibattiti opposti alle preoccupazioni dei padri fondatori, su un potere eccessivo di regioni poco influenti. Nell'attuale legislatura, la maggioranza è repubblicana con un vantaggio di 53 seggi contro 47 democratici. Ma la sfida per il futuro controllo, nelle urne del 3 novembre, appare sul filo del rasoio. Una dozzina di duelli sono incerti e i democratici ambiscono a conquistarne tra quattro e sei e ribaltare l'attuale maggioranza repubblicana. Simbolo della tensione: in South Carolina la sfida tra il senatore in carica, il repubblicano Lindsey Graham gran sostenitore di Trump, e il democratico Jaime Harrison ha battuto ogni record di spesa, con Harrison ha raccolto e investito oltre centro milioni di dollari.

La partita dei governatori

Le elezioni mettono in palio anche numerose e influenti poltrone di governatori statali e parlamenti locali. Undici i governatori in gioco, sette al momento repubblicani e cinque democratici, dal North Dakota al North Carolina. Oltre cinquemila seggi di deputati e senatori locali verranno inoltre sottoposti al giudizio degli elettori da una costa all'altra del Paese. Complessivamente, 26 stati americani hanno governatori repubblicani e 24 democratici. Ventuno stati hanno governi interamente repubblicani e 15 interamente democratici. E' possibile che a livello locale gli spostamenti siano scarsi in questa tornata elettorale, relativamente limitata, ma i democratici sperano di avanzare, anche di poco. È un voto facile da sottovalutare ma dalle significative implicazioni di lungo periodo: i governi locali, come detto, hanno ampio controllo sul processo elettorale nazionale. Norme che restringono o ampliano l'accesso alle urne sono loro prerogativa.

Alcuni conseguenze sono durature: la capacità di ridisegnare ad arte le stesse circoscrizioni elettorali per favorire i propri candidati – il cosiddetto “gerrymandering” dal nome del governatore che ne fu il pioniere. E' stata una strategia utilizzata con successo soprattutto dai repubblicani nel sud e nell'interno del Paese, seguita per anni e battezzata Redmap, dal tradizionale colore rosso del partito.

Procedure alla prova di 300 battaglie legali

L'alta tensione fra repubblicani e democratici ha fatto sì che mai come oggi l'organizzazione stessa del voto sia sotto i riflettori in molti stati cruciali, in particolare nel Sud con un lungo retaggio di razzismo e governato da repubblicani. A oggi sono già scattati oltre 300 ricorsi in una quarantina di stati, sulle opzioni di voto come sulla raccolta e conteggio delle schede, con i repubblicani che chiedono restrizioni citando possibili irregolarità e i democratici che denunciano manovre di soppressione del diritto di voto. Questi riscorsi sono anche il potenziale preavviso di duelli in tribunale e fino alla Corte Suprema sul conteggio e la validità delle schede, che potrebbero decollare dopo la chiusura delle urne sul risultato. Le casseforti dei due partiti hanno raccolto almeno 67 milioni di dollari soltanto per lanciare e gestire denunce. Alcuni esempi saliti alla ribalta chiariscono la portata dei casi.

La Florida e il “balzello” sugli ex detenuti

Lo stato, con una legislatura e un governatore repubblicano, ha limitato i diritti degli ex carcerati. Un referendum aveva sancito il ripristino del diritto di voto per chi ha scontato pene anche per reati significativi, purchè non violenti. Ma una successiva legge ha imposto quale condizione obblighi per gli ex detenuti di pagare anche tutte le eventuali multe e costi legali pendenti, un provvedimento che penalizza le minoranze etniche e afroamericane in particolare. Giudicata inizialmente incostituzionale, paragonata all'imposta per il voto dell'era della segregazione, una corte d'Appello dominata da magistrati repubblicani l'ha riconfermata. In Florida ci sono 1,5 milioni di ex detenuti che potrebbe recarsi a votare, ma più di tre quarti ha multe non pagate. Il problema è inoltre nazionale: almeno 5,1 milioni di elettori sono oggi privati del diritto di voto per simili ostacoli.

Le poche urne del Texas

Il governatore repubblicano dello stato, quest'anno particolarmente competitivo nonostante la tradizione conservatrice, ha ridotto a solo una per contea le urne destinate a raccogliere i voti anticipati. Greg Abbott ha citato spettri di truffe, penalizzando però anzitutto vaste e affollate contee democratiche quali quella di Houston, Harris County con 4,7 milioni di residenti, 2,7 milioni di elettori e appunto una sola sede per consegnare il proprio voto in anticipo. Un tentativo del partito democratico di ribaltare la decisione è fallito in tribunale.

L'Alabama vieta il voto pandemico

Qui è stato vietato il cosiddetto “curbside voting”, il voto assistito appena fuori dal seggio con uno membro dello staff del seggio, volto ad aiutare disabili e elettori a maggior rischio di Covid. Una simile pratica era stata in realtà utilizzata in passato senza problemi, ma questa volta i repubblicani l'hanno messa al bando sbandierando il pericolo di frodi. Il divieto è stato confermato dalla Corte Suprema a maggioranza conservatrice.Midwest e Pennsylvania, duello sui tempi Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, gli stati forse più contesi e decisivi, hanno visto corti d'Appello decidere, salvo interventi in extremis della Corte Suprema federale, di consentire un conteggio dei voti via posta anche quando le schede via posta arriveranno nei giorni immediatamente successivi alla chiusura delle urne, purchè spedite prima.

Ma i tempi variano, rischiando tenere in forse l'esito. In Pennsylvania possono arrivare entro tre giorni (e devono essere in doppia busta di sicurezza), in Michigan entro 14 giorni, in Wisconsin entro sei giorni. L'estensione del conteggio è considerato un successo democratico ma i repubblicani non si arrendono. In Pennsylvania il partito di Trump ha presentato altri ricorsi, ad esempio per impedire che un elettore possa imbucare più di una scheda, la propria, negli appositi punti di raccolta del voto anticipato, pratica invece in passato consentita almeno per aiutare familiari in pracarie condizioni di salute.

Purghe, code e notai

Un'altra pesante variabile sul voto è introdotta dalla mancata uniformità nei criteri per esercitarne. Cosiddette “purghe” degli elenchi degli aventi diritto sono condotte a livello locale: periodicamente, e sistematicamente da parte dei repubblicani negli ultimi anni, decine e migliaia di elettori sono stati cancellati mettendo in dubbio la loro residenza. Viene inviata loro una lettera per confermare l'indirizzo e se non c'è risposta entro alcune settimane l'elettore viene cancellato d'autorità. Questo costringe a una nuova registrazione per poter votare, ma spesso l'elettore in questione, in massima parte minoranze etniche peggio servite dalle poste e in condizioni abitative più precarie, lo scopre tardi, quando arriva al seggio.

La quantità e presenza di seggi nei quartieri è a sua volta a discrezione locale: studi dell'MIT hanno mostrato che quattro anni fa un elettore di colore ha dovuto attendere in coda in media 16 minuti contro i 10 minuti di un bianco, oltre a doversi recare spesso più lontano, con impatto anzitutto per lavoratori meno abbienti e pagati a ore, che non ricevono paga per il tempo speso a votare, oppure privi di facile accesso a mezzi di trasporto. Casi in Georgia e Texas nel voto di persona anticipato quest'anno hanno già visto attese anche di otto o dieci ore. Ancora: i criteri per il voto postale sono stati allentanti in numerosi stati in risposta all'emergenza coronavirus ma non in tutti: alcuni richiedono tuttora motivazioni specifiche (non solo il virus) e schede controfirmate da testimoni e autenticate da notai.

Carte d'identità

In 35 stati occorre inoltre, nel voto di persona, esibire alle urne una forma accettata dal singolo stato di documento di identità. Tra questi stati ci sono Wisconsin, Texas, Kansas, Indiana, Tennessee, Missouri e Georgia. In Texas ad esempio è valida la tessera per il porto d'armi ma non quella studentesca. A volte, ma non sempre, è possibile produrre altra documentazione originale che dimostra la residenza e a volte esprimere un voto provvisorio. Senza contare le polemiche su una intimidazione informale degli elettori oggi emerse: Trump ha promesso una “armata” di osservatori davanti alle urne, oltre 50.000, condannata come forma di indebita pressione per scoraggiare il voto dai democratici. In Pennsylvania funzionari repubblicani hanno filmato elettori che si recano alle urne anticipate ricevendo una diffida della procura statale.

Lo spettro di frodi elettorali

L'ipotesi di schede false e finti elettori viene denunciata spesso dai repubblicani ma, al contrario del pericolo di interferenze nelle campagne elettorali di potenze straniere come la Russia, mancano prove che abbia un impatto. Tutti gli studi credibili mostrano rarissimi casi di voti irregolari e quasi sempre involontari. Una commissione anti-truffa creata da Trump dopo le elezioni del 2016 – quando sostenne che i democratici avevano ricevuto milioni di voti fraudolenti di immigrati illegali - si è sciolta senza neppure pubblicare un rapporto conclusivo e senza aver trovato nulla. Il think tank Brennan Center ha concluso che sia più probabile che “un americano venga colpito da un fulmine piuttosto che cerchi di impersonare un altro elettore alle urne”.

Anche recenti studi del voto via posta, già diffuso in passato in stati occidentali, hanno mostrato pochissimi casi di irregolarità, nel giro di dieci o vent'anni 14 schede in Colorado, 15 in Oregon e 12 a Washington State. Studi oltretutto condotti da un istituto conservatore quale la Heritage Foundation. La Heritage afferma di aver tabulato in tutto 1.285 irregolarità, una cifra men che allarmante e che non tiene conto del fatto che molto raramente questi casi hanno fatto scattare indagini o incriminazioni. Uno studio della Arizona state University ha trovato solo dieci casi provati per 150 milioni di aventi diritto. L'Fbi ha a sua volta smentito che esistano coordinate operazioni di truffa elettorale nel Paese.

Un'eredità di soppressione del voto

Gli sforzi per limitare e ostacolare il voto sollevano dibattito anche perché sullo sfondo è viva la memoria di una lunga discriminazione a sfondo razziale. La Guerra Civile non la eliminò: dopo il breve periodo della Ricostruzione che vide gli afroamericani liberati dalla schiavitù svolgere un ruolo centrale in politica, compromessi portarono il nord a cedere nei fatti il sud del Paese alle forze del razzismo, con decenni di dominio del Ku Klux Klan e delle cosiddette legislazioni Jim Crow. I neri vennero nei fatti esclusi dal voto, oltre che con la violenza, con strumenti quali test di alfabetizzazione e tasse per il voto. Bisogna attendere le leggi sui diritti civili del 1965 per una vera svolta, che impose maggiori controlli federali sugli stati meridionali.

Questi controlli sono stati in gran parte eliminati tuttavia nel 2013 da una sentenza della Corte Suprema: ha tolto la supervisione federale, giudicandola obsoleta, di nove stati concentrati nel sud quando si tratta di modificare legislazioni elettorali, da spostamenti o chiusure di seggi a riconfigurazioni di circoscrizioni. Tra questi stati Alabama, Georgia, Mississippi, South Carolina, Texas e Louisiana, con una lunga storia di negazione del voto delle minoranze.

L'inedito ruolo del voto postale

Se discriminazione e ostacoli al voto sono vecchi spettri, il voto postale nel 2020 avrà un impatto particolarmente significativo a causa della pandemia, ponendo inedite sfide allo scrutinio. E' ancora in dubbio quale percentuale rappresenterà a conti fatti, ma sarà significativa e forse decisiva: inizialmente stimato tra il 50% e il 70% del totale, più di recente le previsioni (un sondaggio Marist/Npr) si sono ridimensionate a circa il 35%, in ogni caso superiore al 25% del 2016. Il voto postale dovrebbe avvantaggiare i democratici che l'hanno attivamente promosso mentre i repubblicani l'hanno attaccato come presunto nido di truffe, con i sondaggi che mostrano i voti spediti finora appannaggio per il 52% di democratici e per il 26% dei repubblicani. Sono però attese dure polemiche su schede valide e nulle nei voti postali. Se sarà alla fine inferiore alle attese, potrebbe oltretutto creare altri problemi: sovraffollamenti delle urne fisiche nel giorno formale del voto, il 3 novembre, che creino ingestibili code e mettano in difficoltà lo staff elettorale.

Una partecipazione record?

Sono 240 milioni gli americani aventi diritto al voto. E nonostante le difficoltà 50 milioni di loro hanno già votato, un record nelle schede depositate in anticipo o via posta. Entro il 3 novembre, secondo alcuni esperti, potrebbero aver già votato di persona o via posta 85 milioni di americani. Il totale finale dei votanti potrebbe superare i 150 milioni, pari a una partecipazione complessiva almeno del 62 per cento. Potrebbe cioè essere la più elevata dal 1908, quando raggiunse il 65,7% in un elettorato assai più ristretto, senza allora il voto alle donne e di gran parte degli afroamericani apertamente discriminati al sud. Negli ultimi vent'anni il tasso dei votanti è stato attorno al 60 per cento. La fotografia dei bacini elettorali vede oggi i bianchi senza laurea al 39% del totale, i bianchi con laurea al 34% e le minoranze etniche al 27 per cento. In stati incerti quali Michigan e Wisconsin i bianchi senza laurea sono il 50% e il 53 per cento. La relativa mobilitazione di queste diverse fasce di potenziali elettori, in un'atmosfera polarizzata come l'attuale, probabilmente deciderà il prossimo presidente americano.



I collegi elettorali americani più assurdi
Da due secoli vengono divisi in forme assurde e arzigogolate, per precisi fini politici: una pratica che si chiama "gerrymandering"
https://www.ilpost.it/2016/06/26/i-coll ... u-assurdi/

Il gerrymandering è una famosa e controversa pratica politica diffusa da due secoli negli Stati Uniti: consiste nel disegnare strumentalmente i confini dei collegi elettorali in modo da influenzare il risultato elettorale. Intuitivamente verrebbe da pensare che in un’elezione per rinnovare il Parlamento di uno stato il partito che ottiene numericamente più voti, ottiene di conseguenza anche più seggi. Questo non avviene nella maggior parte dei sistemi elettorali, perché non è stato ancora trovato un sistema considerato unanimemente il migliore per trasformare i voti in seggi. I 50 stati degli Stati Uniti sono divisi in 435 collegi elettorali (più propriamente chiamati Distretti congressuali), che eleggono con un sistema uninominale i 435 membri della Camera dei Rappresentanti. Gli stati non hanno tutti lo stesso numero di collegi, ma il numero dipende dalla popolazione: in California per esempio ce ne sono 53, in stati poco abitati come l’Alaska o il Delaware solo uno. Ogni stato invece elegge due senatori, a prescindere da popolazione e dimensioni.

Il gerrymandering è una famosa e controversa pratica politica diffusa da due secoli negli Stati Uniti: consiste nel disegnare strumentalmente i confini dei collegi elettorali in modo da influenzare il risultato elettorale. Intuitivamente verrebbe da pensare che in un’elezione per rinnovare il Parlamento di uno stato il partito che ottiene numericamente più voti, ottiene di conseguenza anche più seggi. Questo non avviene nella maggior parte dei sistemi elettorali, perché non è stato ancora trovato un sistema considerato unanimemente il migliore per trasformare i voti in seggi. I 50 stati degli Stati Uniti sono divisi in 435 collegi elettorali (più propriamente chiamati Distretti congressuali), che eleggono con un sistema uninominale i 435 membri della Camera dei Rappresentanti. Gli stati non hanno tutti lo stesso numero di collegi, ma il numero dipende dalla popolazione: in California per esempio ce ne sono 53, in stati poco abitati come l’Alaska o il Delaware solo uno. Ogni stato invece elegge due senatori, a prescindere da popolazione e dimensioni.

Il ridisegno dei confini dei collegi avviene solitamente una volta ogni dieci anni, spesso dopo un censimento: nella maggior parte degli stati americani i confini dei collegi sono decisi dalla maggioranza al Parlamento dello stato, ma in alcuni stati vengono disegnati da organi indipendenti. Spesso il ridisegno dei confini, che nella maggior parte degli stati viene approvato come una normale legge al Parlamento statale, è oggetto di dure battaglie politiche, soprattutto quando il governatore di uno stato è di un partito diverso da quello che ha la maggioranza al Parlamento.

L’inventore della pratica fu il governatore dello stato del Massachusetts Elbridge Gerry nel 1812: dal suo cognome, unito alla parola salamander (l’animale che fu usato per rappresentare il distretto di Gerry in una famosa caricatura dell’epoca), il Boston Centinel creò il nome gerrymander; e da lì quindi il verbo, “gerrymandering”. Una storia più approfondita del gerrymandering, delle sue trasformazioni nel tempo e del suo funzionamento è qui: https://www.ilpost.it/2015/03/17/gerrymandering/

In un recente articolo, il New Yorker ha raccontato alcune storie sul gerrymandering: tra queste c’è quella del 14esimo collegio del Michigan, disegnato dai Repubblicani, che infatti ne controllano il seggio. Il seggio si sviluppa a partire dal centro di Detroit fino ad arrivare ai quartieri a est della città, per poi salire a nord: qualcuno ha notato che la sua forma ricorda Bart Simpson con una canna da pesca in mano. Ma gli esempi di collegi con forme arzigogolate e assurde sono molti: il terzo collegio del Maryland, per esempio, è soprannominato “la girandola della morte”. Il decimo dello stato di New York invece parte dall’Upper West Side, scende per Hell’s Kitchen e il Greenwich Village e sconfina a Brooklyn. Abbiamo raccolto alcuni dei collegi americani più strani e inspiegabili, per capire di cosa si parla.


Con il termine di grandi elettori si è indicato, nel tempo, un gruppo selezionato e limitato di persone che hanno il potere di eleggere qualcuno a una carica politica o di potere.

https://it.wikipedia.org/wiki/Grandi_elettori

Nel Medioevo si chiamavano Grandi Elettori (Kurfürsten) i principi, il cui numero nei secoli è variato, che eleggevano il Re dei Romani. Il loro numero. Le loro figure furono istituzionalizzate dalla Bolla d'oro nel 1356 e dal 1508, con l'assunzione del titolo d'imperatore eletto da parte di Massimiliano I d'Asburgo, i grandi elettori acquisirono, di fatto, il diritto a eleggere l'imperatore. Dal 1644 fu riconosciuto loro il trattamento regio e il diritto di precedenza su tutti gli altri principi dell'impero.

Nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America, sono chiamati grandi elettori (electors in lingua inglese) i delegati che compongono il collegio elettorale, il quale elegge Presidente e Vicepresidente. Essi sono eletti su base statale e il loro numero è 538, pari alla somma dei senatori (100, due per ogni Stato), dei deputati (435, assegnati proporzionalmente al numero di abitanti residenti in ciascuno Stato) e dei tre rappresentanti del Distretto di Columbia in cui si trova la capitale Washington (il XXIII emendamento prevede che il loro numero sia uguale a quello che spetterebbe se fosse uno Stato, ma comunque non superiore a quello degli elettori designati dallo Stato meno popoloso). Il Distretto di Columbia infatti non fa parte di nessuno Stato poiché i padri fondatori vollero evitare che uno qualunque dei tredici Stati che si federarono potesse essere in un qualche modo avvantaggiato per il fatto di avere sul proprio territorio la capitale federale (per questo motivo i residenti in questo territorio non eleggono alcun rappresentante al Senato e alla Camera dei rappresentanti). Per diventare presidente serve ottenere la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori, ossia 270, ma questa non è condizione sufficiente.

L'elezione del presidente è quindi, tecnicamente, una elezione di secondo grado. Va rilevato che all'effetto distorsivo dovuto alla sottorappresentazione degli elettori del Distretto di Columbia, e alla sovrarappresentazione di alcuni Stati scarsamente popolati, se ne aggiunge un altro ben più rilevante che può portare a esiti divergenti da quelli espressi dal voto popolare; dal momento che i singoli Stati possono legiferare con larga autonomia sul sistema elettorale locale. In tutti gli Stati tranne Maine e Nebraska i grandi elettori vengono assegnati in blocco al partito che ottiene più consensi in quello Stato, senza criteri di proporzionalità.

Ciò significa che il presidente che poi verrà eletto potrebbe non essere quello a favore del quale si è espressa la maggioranza dei cittadini, eventualità storicamente realizzatasi in cinque occasioni, tra le quali:

le elezioni presidenziali del 2000, nelle quali il candidato democratico Al Gore ottenne circa mezzo milione di voti in più rispetto al candidato repubblicano George W. Bush, ma poiché tali consensi erano distribuiti in modo più uniforme sul territorio ne risultò che il numero di grandi elettori democratici fu inferiore a quello ottenuto dai repubblicani;
le elezioni presidenziali del 2016, nelle quali il candidato repubblicano Donald Trump, pur ottenendo circa 3.000.000 di consensi in meno nel voto popolare su base nazionale rispetto alla democratica Hillary Clinton, conquistò la Casa Bianca in virtù della vittoria nei principali swing states.

I grandi elettori di ogni Stato, inoltre, benché si impegnino sulla parola a votare per il candidato vincitore, teoricamente potrebbero poi rifiutarsi di farlo, preferendogliene un altro: l'obbligo giuridico del vincolo di mandato esiste infatti solo in alcuni Stati, in cui l'eventuale infedeltà è vietata e punita penalmente, ma anche ove questa avesse luogo, il voto non verrebbe invalidato. Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori, come accaduto nel 1824, la scelta spetta al Congresso.



Elezioni Usa 2020: come funziona, le regole e le schede elettorali
Tutto quel che serve sapere sulla sfida Trump-Biden del 3 novembre 2020: 150 milioni e forse più di voti attesi, 11 miliardi di spesa con in palio il futuro di Casa Bianca, Congresso e almeno 11 stati su 50
di Marco Valsania
27 ottobre 2020

https://www.ilsole24ore.com/art/elezion ... fresh_ce=1

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Collegio elettorale, decisivo e controverso

In generale, tuttavia, l'assegnazione in blocco dei Grandi elettori comporta il potenziale contrasto tra esito del voto popolare e successo nella corsa alla Casa Bianca, ripetutamente avvenuto negli ultimi cicli elettorali. Compreso il 2016, quando la democratica Hillary Clinton ottenne quasi tre milioni di voti in più su scala nazionale ma perse contro Trump nella matematica del collegio elettorale, che richiede di accumulare almeno 270 grandi elettori grazie a successi anche di stretta misura nei singoli stati. E' questa realtà a trasformare in ago della bilancia alcuni stati cosiddetti “swing”, cioè incerti, in particolare quest'anno Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, North Carolina e Florida. La scadenza federale ultima per certificare le elezioni sulla base del Collegio elettorale, e per la soluzione di eventuali dispute, è l'8 dicembre. I nomi dei Grandi elettori sono indicati dai due partiti, tradizionalmente scelti tra fedeli funzionari o militanti locali.

Cosa dice la Costituzione e cosa no

Il controverso ruolo del Collegio elettorale – che i critici vorrebbero abolire o trasformare in una assegnazione proporzionale - ha radici nella Costituzione. Le formule per stabilire i grandi elettori sono infatti affidate ai singoli stati. La Costituzione sancisce insomma la nomina statale della delegazione per il Collegio elettorale, ma non le modalità, non richiede che rifletta il voto popolare. Il Collegio è nato vale a dire quale strumento di filtro e garanzia, che rifletteva una certa sfiducia elitaria verso i rischi di “errori” da parte della volontà popolare. A lungo ridotto a una semplice formalità, la polarizzazione del Paese lo ha riportato alla ribalta, perché gran parte degli stati vengono conquistati a man bassa da uno dei due partiti, senza che questo si traduca in un maggior numero di Grandi elettori e lasciando l'equilibrio in mano a pochi. Non basta, quando si tratta di possibili drammi.

Numerosi stati, 17 su 50, ad oggi non obbligano neppure per legge i loro grandi elettori a votare per il candidato vittorioso. Un fenomeno battezzato Faithless electors. E una legislatura statale, con la copertura della Costituzione, potrebbe decidere di ascrivere a sè la nomina della delegazione per il Collegio, ad esempio dichiarando il voto viziato da irregolarità. Un simile scenario era affiorato nelle contese elezioni presidenziali del Duemila in Florida, lo stato decisivo: il parlamento locale controllato dai repubblicani aveva pronta la scelta d'autorità di delegati mentre ancora era in corso una verifica del conteggio dei voti. Quest'anno un simile dramma è stato immaginato in Pennsylvania, dove a sua volta il Parlamento locale è controllato dai repubblicani che hanno già polemizzato sui pericoli di frodi elettorali.

La Camera dei 435

La Casa Bianca non è il solo “premio” in palio alle urne. La Camera, che detiene il maggior potere legislativo, mette in gioco tutti i 435 seggi ogni due anni, quindi anche in occasione delle quadriennali elezioni presidenziali. Il numero di seggi per stato è legato alla loro popolazione, ricalibrato sulla base del periodico censimento federale e quindi di variazioni demografiche. È la più volatile delle elezioni: spesso le maggioranze vengono ribaltate anche ogni biennio, costringendo i deputati a costanti campagne elettorali. Nel 2018 la maggioranza passò ai democratici, con un vantaggio di 36 seggi – 235 a 199 - in un parziale ripudio del dominio repubblicano dell'intero Congresso e della Casa Bianca emerso delle urne del 2016. L'attesa è che rimanga in mano ai democratici nel 2020, con una maggioranza forse rafforzata di dieci o venti seggi.

Un terzo del Senato si rinnova

Il Senato mette in gioco un terzo dei cento senatori ogni due anni. Il suo ruolo è men che secondario. Ha potere legislativo quasi alla pari della Camera. L'eccezione è la proposta di legislazioni di bilancio, che incidono su entrate e stanziamenti. Il Senato ha tuttavia un cruciale ruolo di vaglio e approvazione delle nomine proposte dalla Casa Bianca, di ministri e alti esponenti dell'amministrazione come di governatori della Fed, alti magistrati della Corte Suprema e giudici federali. Non a caso i repubblicani hanno focalizzato l'attività del Senato proprio sulla conferma di magistrati federali, la cui influenza nell'intrepretare le leggi, e il conseguente impatto sociale e politico, sono profondi negli Stati Uniti. Il mandato dei senatori è più lungo rispetto ai deputati, sei anni, con un rinnovo parziale, come detto, di un terzo dei seggi ogni biennio. Sufficiente a ribaltare maggioranze, anche se con meno frequenza. Quest'anno sono in gioco 33 seggi. La composizione della Camera Alta, con due senatori per ciascuno dei 50 stati. Nell'idea degli autori della Costituzione era il modo per garantire un equilibrio geografico e non solo demografico al sistema politico americano, evitando che regioni rurali e poco popolate fossero emarginate.

La crescente urbanizzazione e concentrazione della popolazione in alcuni stati ha tuttavia sollevato oggi dibattiti opposti alle preoccupazioni dei padri fondatori, su un potere eccessivo di regioni poco influenti. Nell'attuale legislatura, la maggioranza è repubblicana con un vantaggio di 53 seggi contro 47 democratici. Ma la sfida per il futuro controllo, nelle urne del 3 novembre, appare sul filo del rasoio. Una dozzina di duelli sono incerti e i democratici ambiscono a conquistarne tra quattro e sei e ribaltare l'attuale maggioranza repubblicana. Simbolo della tensione: in South Carolina la sfida tra il senatore in carica, il repubblicano Lindsey Graham gran sostenitore di Trump, e il democratico Jaime Harrison ha battuto ogni record di spesa, con Harrison ha raccolto e investito oltre centro milioni di dollari.

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Swing State
https://it.wikipedia.org/wiki/Swing_state

Nel sistema politico degli Stati Uniti d'America, uno swing state (Stato in bilico, o altalenante), anche detto battleground state (Stato in disputa, o conteso), purple state (Stato viola), o anche Stato chiave e Stato indeciso, è uno Stato federato nel quale nessun candidato o partito ha un sostegno storico tale da assicurare i punti dello Stato stesso nel collegio elettorale. Tali Stati sono oggetto di attenzione di entrambi i principali partiti delle elezioni, dato che vincere in questi Stati è la migliore opportunità per un partito di ottenere i voti del collegio. I non-swing states, gli Stati non in bilico, sono talvolta chiamati safe states, Stati sicuri, dato che un candidato gode di un supporto sufficiente tale da poterlo considerare già vincitore nello Stato.

I Grandi Elettori
Ecco come funzionano le elezioni americane

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/1 ... l/5981513/

Il numero su cui si gioca la sfida fra Donald Trump e Joe Biden è 270. È questa la soglia dei grandi elettori (538 in tutto) che uno dei due candidati dovrà superare nell’Election day del 3 novembre per conquistare la Casa Bianca, in un’elezione sulla quale quest’anno come non mai pesano le incognite del voto per posta, al quale hanno fatto ricorso decine di milioni di elettori. E non è detto che il candidato che vince il voto popolare, raccogliendo più suffragi a livello nazionale, sia poi quello che ottiene il maggior numero di grandi elettori, l’unico che davvero conta per conquistare la Casa Bianca. Come accaduto nel 2016 ad Hillary Clinton che ha conquistato quasi 3 milioni di voti in più, ma non è arrivata alla soglia dei 270 grandi elettori. Ecco quello che c’è da sapere per capire come funzionano le elezioni negli Stati Uniti: dai requisiti per diventare presidente alla logica del “winner takes all”.

Cosa si vota nell’Election Day – L’elezione del presidente è indiretta. In palio alle urne ci sono i cosiddetti ‘electoral votes’. Gli americani quindi il 3 novembre voteranno per decidere quanti ‘grandi elettori’ andranno a Donald Trump e quanti a Joe Biden. Proprio i grandi elettori, riuniti nel Collegio Elettorale, il 14 dicembre saranno chiamati all’elezione vera e propria del presidente e del vicepresidente. Nel giorno dell’election day si rinnova inoltre la Camera (House of representatives, 435 seggi) e un terzo del Senato (che si rinnova per 35 membri su 100). Si eleggono inoltre 13 governatori e molte assemblee legislative statali. Il giuramento del nuovo presidente è previsto per il 20 gennaio 2021.

Perché si vota il 3 novembre – Il Congresso ha stabilito nel 1845 che si votasse sempre il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Una scelta del mese legata alle radici fortemente agricole del paese – a novembre si era concluso il raccolto e le strade non erano ancora bloccate dalla neve – e una scelta del giorno legata al fatto che, calcolando che la domenica era dedicata alla chiesa, molti degli elettori che vivevano nelle zone più remote non sarebbero riusciti a raggiungere i centri dove si votava in tempo il lunedì. Secondo la Costituzione i requisiti per diventare presidente sono tre: un’età superiore ai 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.

I grandi elettori – Sono 538 e dopo il voto andranno a formare lo United States Electoral College. Ogni Stato Usa ne assegna un certo numero (sotto quanti vengono assegnati a ciascuno Stato). Per conquistare la Casa Bianca c’è bisogno di almeno 270 grandi elettori, vale a dire la metà più uno. Il numero dei 538 grandi elettori è fissato facendo la somma tra il numero dei senatori (100, due per ogni Stato) e dei deputati (435, assegnati proporzionalmente alla popolazione di ogni singolo Stato). A questi vanno aggiunti i tre delegati che spettano al District of Columbia, dove si trova la capitale federale Washington.

Inserito nella Costituzione americana dai ‘Founding fathers’ come un elemento teso a tenere lontana dalle elezioni “le passioni popolari”, il sistema del Collegio elettorale si basa sull’idea che l’elettore esprimendo il proprio voto in realtà non vota il candidato ma una serie di grandi elettori, a lui collegati, che eleggeranno effettivamente il presidente in un secondo momento. Eletti nei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione, i grandi elettori corrispondono alla somma dei deputati e senatori che rappresentano lo stato al Congresso.

La regola del “winner takes all” – I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascuno stato con un sistema maggioritario secco (‘winner takes all’): il candidato che vince in uno Stato ottiene la totalità dei grandi elettori di quello Stato e sceglie delle persone di fiducia che potranno confermare la sua elezione. I grandi elettori, infatti, votano in segreto e in teoria possono assegnare il proprio voto a chiunque. Tuttavia, salvo rare eccezioni, ognuno di loro vota il candidato che li ha designati, e le loro preferenze vengono confermate dal Congresso agli inizi di gennaio. Fanno eccezione Nebraska e Maine, gli unici due stati che hanno scelto di assegnare i loro voti elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri stati il vincitore prende quindi tutto anche se per uno scarto minimo di voti.

L’ipotesi – In caso di parità fra i ‘grandi elettori’ (come accaduto nel 1800 e nel 1824) a decidere è il Congresso degli Stati Uniti. La decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti che sceglie il presidente fra i tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti elettorali. La delegazione di ciascuno stato alla Camera deve esprimere un solo voto, e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli Stati, che è 26. Le elezioni presidenziali sono state decise due volte dalla Camera: nel 1800, quando Thomas Jefferson e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti del Collegio Elettorale e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio. E nel 1824 Andrew Jackson ottenne 99 voti elettorali, John Quincy Adams (che aveva in effetti avuto più voti popolari) 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37, dal momento che nessuno aveva raggiunto la maggioranza, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio.

I tradimenti dei grandi elettori – Tra gli scenari un possibile tradimento del suo candidato da parte di un grande elettore al momento della riunione del Collegio elettorale, che avviene, secondo la legge, il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre. Quest’anno il 14 dicembre. Nella storia americana, anche più recente, non sono mancati questi ”tradimenti”. Nel 1988, per esempio, Margaret Leach, elettrice del candidato democratico Michael Dukakis – che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan – votò invece per il candidato alla vice presidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Mentre nel 1976 fu un grande elettore repubblicano dello stato di Washington che invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Anche nel 2000 ci fu una sorpresa, ininfluente ai fini dei risultati: in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca.

Stato per Stato – Il numero degli elettori in ogni Stato è uguale a quello dei membri del Congresso che rappresentano ciascuno Stato.
Ecco il numero dei grandi elettori di tutti e 50 gli Stati più il distretto di Columbia:
– California 55
– Texas 38
– Florida e New York 29
– Illinois e Pennsylvania 20
– Ohio 18
– Georgia e Michigan 16
– North Carolina 15
– New Jersey 14
– Virginia 13
– Washington 12
– Arizona, Indiana, Massachusetts e Tennessee 11
– Maryland, Minnesota, Missouri e Wisconsin 10
– Alabama, Colorado e South Carolina 9
– Kentucky e Louisiana 8
– Connecticut, Oklahoma e Oregon 7
– Arkansas, Iowa, Kansas, Mississippi, Nevada e Utah 6
– Nebraska, New Mexico e West Virginia 5
– Hawaii, Idaho, Maine, New Hampshire e Rhode Island 4
– Alaska, Delaware, District of Columbia, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont e Wyoming 3.





Chi sono i “grandi elettori” americani?

https://www.lastampa.it/esteri/2016/11/ ... 1.36600955

Ma chi sono i “grandi elettori”?

Ogni Stato ha un suo metodo per nominare i grandi elettori. Secondo la consuetudine, sono selezionati come ringraziamento per il lavoro svolto durante la campagna elettorale per il partito o il candidato. Come riporta il sito d’informazione Politico, durante questa campagna elettorale del 2016 i partiti hanno scelto persone molto diverse. Il Partito repubblicano in Missouri ha nominato Tim Dreste, un militante antiabortista già condannato per istigazione alla violenza negli anni Novanta. Ci sono poi dei personaggi celebri, come Donald Trump Jr per lo stato di New York e Wilbur Christie, il padre del governatore del New Jersey Chris Christie. C’è Leonard Hubert, avvocato afro-americano originario dell’Alabama e a capo della Commissione per i Diritti civili dell’Ohio e Jim Rhoades, un rappresentante della lobby dei motociclisti, nel partito dagli anni Ottanta.

Per il Partito democratico invece potranno essere chiamati a votare Roy Cockrum, che nel 2014 vinse 260mlioni di dollari al Powerball; Paul Catha, uno studente di 21 anni sostenitore di Bernie Sanders. In Pennsylvania tra gli altri c’è Sybrina Fulton, la madre di Trayvon Martin, giovane afroamericano ucciso nel 2012, e il suo avvocato Benjamin Crump.


E se i grandi elettori cambiano idea?

Solo ventiquattro stati hanno una legge che obbliga i i grandi elettori a seguire il voto popolare e a votare per il candidato per cui sono stati scelti Nella maggioranza dei casi sono leali al candidato e al partito, e i casi di tradimento sono molto rari: in occasione delle elezioni del 2000, per protestare contro la debole rappresentanza del District of Columbia nel collegio elettorale, Barbara Lett-Simmons scelse di non votare piuttosto che votare per Al Gore. Il suo rifiuto non ha modificato il risultato elettorale, poiché George W. Bush è stato eletto con 271 voti. Nel 2004, un grande elettore del Minnesota che avrebbe dovuto votare per John Kerry votò per errore per John Edwards, il candidato alla vicepresidenza scelto da… John Kerry.



Elezioni Usa: riecco la balla del voto popolare
22 novembre 2020

https://www.nicolaporro.it/elezioni-usa ... -popolare/

Continuano gli ignoranti (o si tratta di faziosi?) a ripetere a sostegno della mai ufficialmente certificata vittoria di Joe Biden (che probabilmente verrà e verrà) l’argomento del voto popolare nazionale a lui largamente favorevole. “Sei milioni di voti in più!”, si sente ripetere ad ogni piè sospinto da questi ‘esperti’ (Frank Lloyd Wright giustamente scrisse che “l’esperto è una persona che ha smesso di ragionare”).

Che noia doverlo rammentare in continuazione (per di più consci del fatto che le cose non cambieranno), ma la Costituzione Americana da subito, successivamente gli Emendamenti, ancora le Leggi Federali e quelle locali hanno affermato e affermano che il voto popolare conta Stato per Stato e mai (mai!) a livello nazionale. Il Paese è una Repubblica Federale e il sistema elettorale scelto è conseguentemente inteso a difendere e valorizzare gli Stati e non la Nazione. Non per nulla le cosiddette Presidenziali non sono assolutamente tali visto che nella circostanza ciascuno Stato sceglie i propri Grandi Elettori che poi, riuniti formalmente nel Collegio che li ricomprende, nominano il Presidente, peraltro dipoi tale atto essendo obbligatoriamente soggetto a ratifica da parte del nuovo Congresso agli inizi del seguente anno.

Il popolo dei votanti nazionali tanto invocato non ha assolutamente voce in capitolo come dimostrano le non poche occasioni (1876, 1888, 2000 e 2016) nelle quali il risultato al Collegio ha visto del tutto costituzionalmente prevalere il cosiddetto “battuto”.

Che infine i singoli (singoli!) membri degli Usa contino a questa specifica maniera (ovviamente, non solo) in modo definitivo è dimostrato dalla disposizione (applicata nel 1824, ma ne hanno contezza?) che prevede che se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori la competenza passi alla Camera dei Rappresentanti neo eletta (lo stesso giorno novembrino) che si esprimerà “per Delegazioni statali”, non avendo qui più peso alcuno il numero degli abitanti, quello conseguente degli spettanti Congressisti e soprattutto quello dei Grandi Elettori, a questo punto usciti di scena.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Se Trump non sarà più presidente degli USA, la vedo brutta!

Messaggioda Berto » mar nov 17, 2020 7:20 am

Il Collegio Elettorale consegna la Casa Bianca a Biden.
L'Osservatore Repubblicano
14 dicembre 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 5241448561

Il collegio elettorale oggi 14 dicembre si è riunito per confermare Joe Biden come presidente eletto.
Nonostante le cause legali del presidente Trump che contestano i risultati delle elezioni del 3 novembre contro Biden, 538 elettori di tutti i 50 stati e Washington, DC, si sono riuniti lunedì dando a Biden i 270 voti di cui aveva bisogno per rivendicare la Casa Bianca.
Biden dovrebbe concludere la votazione dei grandi elettori con 306 voti contro i 232 di Trump, riflettendo i voti popolari di ciascuna giurisdizione (al momento della pubblicazione del post Biden ha 302 voti contro 232 di Trump).
Il voto dei grandi elettori ha attirato molta più attenzione quest'anno dopo che i leader repubblicani, come il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell, aveva dato come termine ultimo per riconoscere Biden come presidente eletto, il voto del 14 dicembre.
"Il collegio elettorale determinerà il vincitore", ha detto McConnell.
Al di fuori delle sfide legali, c'è ancora un meccanismo che gli alleati di Trump possono utilizzare per contrastare temporaneamente Biden: un parlamentare della Camera e un senatore possono mettere in discussione i risultati delle elezioni durante la sessione congiunta del Congresso il 6 gennaio .
Il rappresentante repubblicano dell'Alabama Mo Brooks ha già indicato che probabilmente metterà in dubbio i risultati. La strategia, tuttavia, richiede il sostegno della Camera, controllata dai Democratici, anche se con un margine ristretto.
Alle 17 non c'erano stati elettori infedeli, né un gruppo di elettori alternativi pro-Trump a cui il consigliere della Casa Bianca, Stephen Miller alludeva lunedì mattina.
Miller ha detto a Fox and Friends che Trump avrebbe probabilmente contestato le elezioni in tribunale fino all'inaugurazione di Biden il 20 gennaio.
"Abbiamo tempo più che sufficiente per correggere il torto di questo risultato elettorale fraudolento e certificare Donald Trump come il vincitore delle elezioni", ha detto . "Mentre parliamo oggi, una lista alternativa di elettori negli stati contestati andrà a votare, e invieremo quei risultati al Congresso".
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