Russia, Europa, USA e Cina

Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer mar 13, 2019 8:49 am

Via della Seta: Ue vara strategia con la Cina, serve piena unità Stati
2019/03/12

http://www.ansa.it/europa/notizie/rubri ... 407f7.html

STRASBURGO
Il collegio dei commissari Ue riunito a Strasburgo ha varato la sua comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sulla nuova 'visione strategica' nei rapporti Ue-Cina. Il testo presenta dieci raccomandazioni agli Stati e sottolinea che se da un lato l'Ue deve "approfondire il suo impegno con la Cina per promuovere interessi comuni", è dall'altro necessario che gli Stati europei si muovano in "piena unità".

Tra le dieci raccomandazioni che il testo della Commissione rivolge agli Stati membri, si invita ad "assicurare la piena implementazione del regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti". In particolare per quanto riguarda il 5G si sottolinea che "è necessario un approccio comune" e per questo la Commissione intende presentare una raccomandazione a riguardo dopo il prossimo vertice europeo. Nel testo non si fa menzione diretta del progetto cinese della Via della Seta, né dell'iniziativa italiana di firmare un memorandum d'intesa, ma si sottolinea che la strategia Ue per connettere Europa e Asia "fornisce un quadro chiaro per un impegno sicuro" con i partner e "consente di trovare sinergie con i Paesi terzi, Cina inclusa", per quanto riguarda trasporti, energia e connettività digitale.

Il protocollo d'intesa tra Italia e Cina sulla Via della Seta "lo valutiamo come valutiamo tutti gli altri protocolli firmati dagli altri stati Ue", ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Jyrki Katainen, ricordando che 13 Stati Ue hanno già firmato simili memorandum. "Tutti gli Stati membri che si stanno impegnando in tal senso - ha aggiunto - devono ricordarsi che abbiamo le nostre regole sulla trasparenza e la concorrenza, quindi gli appalti pubblici devono essere aperti a tutti".

I Paesi che hanno già sottoscritto un memorandum sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Lussemburgo è invece in trattativa.

PARLAMENTO UE, PROFONDA PREOCCUPAZIONE PR 5G CINESE
Il Parlamento europeo "esprime profonda preoccupazione" sui rischi per la sicurezza informatica derivanti dalle reti 5G sviluppate da società cinesi e lancia un monito agli Stati membri affinché ci sia "una risposta coordinata dell'Ue". E' la posizione espressa con una risoluzione presentata dai gruppi Alde, S&D, Ppe e Verdi e approvata per alzata di mano dalla plenaria. Gli eurodeputati invitano gli Stati membri perché si "astengano dall'introdurre misure unilaterali sproporzionate che frammenterebbero il mercato unico".

In una votazione separata, il Parlamento europeo ha adottato una certificazione di sicurezza informatica a livello Ue per prodotti, processi e servizi, che tra le varie cose attribuisce maggiori poteri all'agenzia di sicurezza informatica europea. La legge crea il primo schema di certificazione a livello europeo per garantire che i prodotti, i processi e i servizi venduti nell'Ue soddisfino gli standard di sicurezza informatica. Il 'Cybersecurity Act', già concordato informalmente con i ministri europei, prevede la certificazione delle infrastrutture critiche, comprese le reti energetiche, l'acqua e i sistemi bancari. Entro il 2023 la Commissione valuterà se tali nuovi sistemi volontari debbano essere resi obbligatori. Il Consiglio deve ora approvare formalmente la legge sulla sicurezza informatica. Il regolamento entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione.

"Oggi il Parlamento europeo si esprime in maniera molto chiara sulle relazioni con la Cina, anche la Commissione Ue sta per approvare un documento, noi siamo stati molto chiari: attenzione, non possiamo diventare una nuova colonia dell'impero cinese, abbiamo il dovere di reagire e di difendere i nostri interessi, politici, economici ed industriali". Così il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani. "Non possiamo stare sotto controllo dell'industria e forse anche dell'intelligence cinesi, dobbiamo difendere la nostra libertà, non possiamo diventare sudditi".

"Io credo che si debba valutare con grande attenzione ciò che sta facendo la Cina. C'è un incremento delle spese militari, c'è un'offensiva commerciale a livello globale, noi non possiamo assistere passivi alle iniziative di un Paese non europeo", afferma il presidente del Parlamento Ue. "Non possiamo accettare il dumping commerciale, e di svendere le nostre infrastrutture ai cinesi, non possiamo accettare di trasformare i nostri porti in porti cinesi", ha aggiunto. "Un conto sono gli investimenti per favorire la crescita e su questo io sono favorevole, un conto sono gli investimenti per poi poter portare via il nostro saper fare", ha precisato Tajani. "Ho molti sospetti su cosa sta facendo la Cina, non sono favorevole ed il Parlamento europeo da questo punto di vista su molte questioni, per esempio alla cessione di molti porti, alla cessione di tutto ciò che riguarda il 5G a mani cinesi, non sono favorevole ad accettare passivamente tutte le iniziative di questo Paese in Europa ma anche fuori Europa, come Africa e America Latina".

Il presidente dell'Eurocamera è intervenuto anche sui rapporti tra Cina e Italia. "Io difendo la sovranità dell'Italia e dell'Europa, non possiamo accettare di svendere il nostro debito pubblico ad una potenza straniera e mi fa specie che un governo come quello italiano che dice di essere sovranista e di mettere gli italiani innanzitutto sia pronto ad alzare le mani di fronte ad un'offensiva cinese", ha affermato Tajani conversando con i giornalisti a Strasburgo.

"Si sta facendo credo una gran confusione su questo accordo, che non è un accordo, è un Memorandum of understanding", "si ribadiscono i principi di cooperazione economico e commerciali presenti in tutti i documenti europei, nessuna regola commerciale ed economica viene cambiata": così il ministro dell'economia Giovanni Tria rispodendo ad alcune domande sulla nuova via della seta della Cina. Cambiare le regole commerciali "non sarebbe nelle possibilità italiane visto che è una competenza europea, credo che si stia facendo un po' una tempesta in un bicchier d'acqua". "Detto questo - ha aggiunto - credo che bisogna tranquillizzare e tenere conto di alcune preoccupazioni ma credo si sia creata un po' di confusione su questa cosa".

"Via della seta con la Cina? Non abbiamo pregiudizi, ma molta prudenza". Lo ha detto all'ANSA il leader della Lega, Matteo Salvini, a margine del tour elettorale per le Regionali in Basilicata. "Non abbiamo pregiudizi - ha aggiunto - siamo favorevoli al sostegno e all'apertura dei mercati per le nostre imprese. Altre però sono le valutazioni, sempre attente, che occorre fare in settori strategici per il nostro Paese come telecomunicazioni e infrastrutture".



Quali Paesi Ue hanno siglato un memorandum d'intesa con la Cina
2019/03/12

https://www.lettera43.it/it/articoli/po ... opa/230011

Sono già 13 i Paesi dell'Unione europea che hanno siglato un memorandum di intesa con la Cina, mentre un altro, oltre all'Italia, lo sta negoziando. È quanto si apprende da fonti europee in relazione al progetto cinese di una Nuova via della Seta, o Belt and Road Iniatiative (Bri). I Paesi che hanno già sottoscritto un memorandum sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Lussemburgo è invece in trattativa.

In principio, viene spiegato, non ci sono controindicazioni alla firma di tali documenti, dipende tutto dalla loro sostanza. L'Ue non ha firmato un memorandum poiché, spiegano gli addetti ai lavori, ci sono già due piattaforme che guidano le sue relazioni con la Cina: la strategia Ue-Cina e quella sulla connettività.

LE CRITICHE DI TAJANI AL GOVERNO

Da giorni, l'Italia è nel mirino degli Stati Uniti - che guardano con preoccupazione all'estensione dell'influenza di Pechino sull'Europa - per il memorandum di intesa con la Cina, che potrebbe essere firmato il 22 marzo, in occasione della visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma. Anche il presidente del parlamento europeo (e vice presidente di Forza Italia), Antonio Tajani, ha commentato con toni critici: «Io difendo la sovranità dell'Italia e dell'Europa, non possiamo accettare di svendere il nostro debito pubblico a una potenza straniera e mi fa specie che un governo come quello italiano che dice di essere sovranista e di mettere gli italiani innanzitutto sia pronto ad alzare le mani di fronte ad un'offensiva cinese».

LA SPACCATURA TRA LEGA E M5S

Il tema, all'interno del governo gialloverde, è spinoso. Dalla Lega emerga più di un dubbio. Matteo Salvini ha spiegato: «Se si tratta di colonizzare l'Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, allora no». Anche il sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha espresso perplessità sulla tenuta della difesa degli interessi nazionali, a cominciare da quelli della cibernetica. E lo scontro con il Movimento 5 stelle emerge in tutta la sua forza "elettorale". «Sorprende la spaccatura della Lega sulla via della Seta», hanno sottolineato dal Movimento ricordando come tra i primi promotori dell'adesione alla Bri ci sia proprio Michele Geraci, sottosegretario al Mise in quota Lega.



Italia-Cina, Ue: ’Valutiamo il memorandum come quelli firmati da 13 Stati'
12 marzo 2019

https://www.key4biz.it/italia-cina-ue-v ... ino/248175

Il collegio dei commissari Ue riunito a Strasburgo ha varato la sua comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sulla nuova ‘visione strategica’ nei rapporti Ue-Cina. Il testo presenta dieci raccomandazioni agli Stati e sottolinea che se da un lato l’Ue deve “approfondire il suo impegno con la Cina per promuovere interessi comuni”, è dall’altro necessario che gli Stati europei si muovano in “piena unità”.

Il protocollo d’intesa tra Italia e Cina sulla Via della Seta “lo valutiamo come valutiamo tutti gli altri protocolli firmati dagli altri stati Ue”, ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Jyrki Katainen, ricordando che 13 Stati Ue hanno già firmato simili memorandum. “Tutti gli Stati membri che si stanno impegnando in tal senso – ha aggiunto – devono ricordarsi che abbiamo le nostre regole sulla trasparenza e la concorrenza, quindi gli appalti pubblici devono essere aperti a tutti”.

13 Paesi già firmato memorandum con Cina

I Paesi che hanno già sottoscritto un memorandum sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Lussemburgo è invece in trattativa.
Tra: ‘Non un accordo, solo Memorandum of understanding’

“Si sta facendo credo una gran confusione su questo accordo, che non è un accordo, è un Memorandum of understanding”, ha detto il ministro dell’economia Giovanni Tria. ”Si ribadiscono i principi di cooperazione economico e commerciali presenti in tutti i documenti europei, nessuna regola commerciale ed economica viene cambiata”, ha aggiunto. Cambiare le regole commerciali “non sarebbe nelle possibilità italiane visto che è una competenza europea, credo che si stia facendo un po’ una tempesta in un bicchier d’acqua”.


Il Cybersecurity Act approvato dal Parlamento Ue

In una votazione separata, il Parlamento europeo ha adottato una certificazione di sicurezza informatica a livello Ue per prodotti, processi e servizi, che tra le varie cose attribuisce maggiori poteri all’agenzia di sicurezza informatica europea.

La legge crea il primo schema di certificazione a livello europeo per garantire che i prodotti, i processi e i servizi venduti nell’Ue soddisfino gli standard di sicurezza informatica.

Il ‘Cybersecurity Act‘, già concordato informalmente con i ministri europei, prevede la certificazione delle infrastrutture critiche, comprese le reti energetiche, l’acqua e i sistemi bancari. Entro il 2023 la Commissione valuterà se tali nuovi sistemi volontari debbano essere resi obbligatori.

Il Consiglio deve ora approvare formalmente la legge sulla sicurezza informatica. Il regolamento entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer mar 13, 2019 8:56 am

I rapporti con la Cina

I rapporti con la Cina sono condizionati per forza di cose dal fatto che la Cina non è democratica, che viola parte dei diritti umani (libertà religiosa, di pensiero, di parola e altre libertà civili e politiche) e le regole delle libertà economiche con il suo sistema economico ancora influenzato e determinato dal comunismo, tutto incentrato sul capitalismo di stato.



Commercio e diritti umani. I nodi irrisolti della Cina
L'Europa cerca il dialogo sulle regole, ma il boia non si fermerà neanche durante i Giochi.
anno 2008

http://www.criticasociale.net/index.php ... Iigy7h7mhM

Il commissario europeo per il Commercio, Peter Mandelson, si aggiunge a coloro secondo i quali imbarazzare pubblicamente la Cina in questa delicata fase di preparazione ai Giochi Olimpici potrebbe rivelarsi non solo inutile per la tutela dei diritti umani nel mondo ma anche dannoso per gli interessi commerciali del Vecchio Continente. "Dire ai cinesi che ci auguriamo che le loro Olimpiadi falliscano miseramente equivale a precludersi ogni forma di dialogo costruttivo con Pechino", ha ribadito Mandelson in una conferenza stampa tenutasi a Londra.

"Quale dovrebbe essere il nostro obbiettivo?" si è domandato in modo retorico Mandelson, "boicottare un Paese che ha un ruolo centrale negli affari globali? Contrarre i commerci con Pechino quando ormai le nostre economie sono legate a filo doppio con la Cina?...L'Europa deve convincere con il dialogo le autorità cinesi che rispettare i diritti dei tibetani è in primo luogo nel loro interesse." La libertà religiosa è una conquista di civiltà, che non può essere imposta unilateralmente dall'esterno. Alla lunga, quegli Stati che si ostineranno a negare la libertà d'espressione ai propri cittadini si condanneranno irrimediabilmente all'isolamento. Questo il ragionamento del commissario.

Forse Mandelson vuole calmare le acque in previsione del viaggio in Cina che il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, intraprenderà la prossima settimana. La visita in Cina di Barroso inaugurerà un nuovo organismo euro-cinese inteso a facilitare le reciproche relazioni commerciali, l'EU-China High Level Mechanism. Precondizione del buon esito dell'iniziativa sarà la più o meno ampia disponibilità delle autorità cinesi ad abbassare la proprie barriere doganali interne, ad intervenire con misure appropriate sul valore dello Yuan, a migliorare il sistema di tutela della proprietà intellettuale e a sviluppare concrete politche ambientali.

Mentre l'e istituzioni di Bruxelles cercano di trovare un linguaggio comune con Pechino almeno sul terreno commerciale, un altro fronte rovente rischia di aprirsi nella controversia pre-olimpica tra Pechino e quei governi e quei settori dell'opinione pubblica mondiale più attenti alle tematiche concernenti il rispetto dei diritti umani. Secondo i dati di Amnesty International, ripresi dal Guardian, mentre gli atleti di tutto il mondo si sfideranno per la gloria imperitura, i record e le medaglie, in Cina verranno eseguite 374 condanne a morte. Tutto questo solo nelle due settimane centrali del mese di agosto.

Tuttavia, secondo alcuni membri della notissima organizzazione non governativa, le condanne capitali in Cina, leader mondiale nel settore, ammonterebbero addirittura ad ottomila all'anno contro le poche centinaia rese note ufficialmente. Il dato è agghiacciante, così come l'idea che il governo di Pechino non prenda in considerazione l'ipotesi di sospendere le esecuzioni nemmeno durante una manifestazione unica ed ecumenica come le Olimpiadi dovrebbero essere.



Diritti umani: Liú, ombre cinesi sulle libertà fondamentali
22 Lug 2018 - Michele Valente

https://www.china-files.com/diritti-uma ... ia-la-cina

Tra le motivazioni sostenute dal Nobelkomité norvegese nell’assegnare il riconoscimento per la pace all’attivista cinese Liú Xiǎobō (2010), c’è l’impegno come “forte portavoce della battaglia per la diffusione dei diritti umani“, questione insoluta e drammatica in Cina. A un anno dalla scomparsa, lo scrittore Yedu ha ricordato su amnesty.org che ”con il suo intelletto e il suo fascino era un ponte tra intellettuali e attivisti di base”. Attivo nelle proteste di Piazza Tienanmen (1989), la vita di Liú è stata segnata dalla repressione delle autorità cinesi che, nel 1996, lo condannarono a una pena di tre anni da scontare in laogai, il sistema dei campi di lavoro forzato denunciati dal Congresso statunitense (mozione 294/2005) ed in seguito dal Parlamento europeo e dal Bundestag tedesco, fino all’avvenuta abolizione nel 2013.

Liú fu l’iniziatore di Charta 08 (2008), manifesto sottoscritto da 303 attivisti e intellettuali cinesi in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, per promuovere il rispetto dei diritti umani e la democratizzazione nel Paese. Dopo il silenzio della comunità internazionale, negli scorsi giorni, a latere dall’incontro tra il premier cinese Lǐ Kèqiáng e la cancelliera tedesca Angela Merkel, è stata accolta in Germania la poetessa Liú Xia, moglie di Liú Xiǎobō, che da otto anni si trovava agli arresti domiciliari in Cina. La partnership sino-tedesca produrrà progressi sul fronte della salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali della persona? Finora nelle strategie economico-commerciali del governo cinese, in cerca di alleati in Europa per contrastare i dazi statunitensi e sostenere la One Belt One Road Initiative (Obor), l’osservanza di condizioni fondanti la stessa cooperazione internazionale, in primis il rispetto dei diritti, è stata largamente elusa.

La ragnatela della repressione cinese
La stessa inviolabilità delle libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione cinese – di stampa e parola (art.35), credo religioso (36), dignità personale (38) e critica alle autorità (41) – è stata sovente oggetto di deroghe, come dimostra l’arresto nel 2015 dell’attivista Quin Yongmin, riformista e promotore della democrazia liberale, alla guida di Human Rights Watch China, incarcerato per “sovversione dell’ordine statale” e di recente condannato a 13 anni di reclusione.

L’impianto legislativo cinese, sotto la presidenza di Xi Jinping, ha potenziato il controllo nell’apparato istituzionale e nella società civile: colpendo “mosche e tigri”, ossia funzionari e vertici burocratici, secondo lo slogan di una campagna anti-corruzione (2014), il governo mira a riformare la governance della giustizia cinese, adottando il principio dello yifa zhiguo (“amministrare attraverso la legge”), orientato ad una maggiore trasparenza. Tuttavia, la dipendenza del sistema giudiziario dal potere esecutivo e l’inasprimento delle leggi sulla sicurezza nazionale, mirano “ad evitare che sorga qualsiasi problema suscettibile di minacciare il regime”, spiega a Le Figaro Samantha Hoffman, ricercatrice del Mercator Institute for China Studies, aggiungendo che “oggi le tecnologie forniscono mezzi più efficaci”.

Le attività di watchdog da parte di cittadini e Ong sono sotto il pervasivo ‘occhio’ delle autorità: oltre alla frequente censura di blog e social network, gli oltre 900 milioni di utenti WeChat, principale applicazione di messaggistica cinese, dovranno sottostare a nuove condizioni sul trattamento dei dati personali (settembre 2017), mentre le indagini condotte dall’intelligence stanno portando all’arresto di intellettuali e attivisti impegnati sul web nella difesa dei diritti umani e civili, come Huang Qi (64tianwang.com), Liu Feiyue (Minsheng Guancha) e Zhen Jianghua (Network of Chinese Human Rights Defenders).

Lo scorso maggio, in occasione della sua visita a Pechino, Angela Merkel ha incontrato le consorti di Wang Quanzhang, avvocato ed esponente del Chinese New Citizens’ Movement, spesosi a tutela dei perseguitati seguaci del Falun Gong (disciplina spirituale considerata, nel regolamento approvato quest’anno dal Consiglio di Stato, “un culto malvagio per indebolire il rispetto della legge”) e del suo difensore Yu Wensheng, detenuto anch’egli in attesa di giudizio. “L’escalation della repressione nella Cina di oggi suscita serie preoccupazioni per il suo benessere“, ha denunciato al Guardian l’attivista Michael Caster. Una realtà ignota a larga parte dell’opinione pubblica occidentale.

Diritti negati, un puzzle geopolitico
In chiusura della 38° sessione del Consiglio Onu per i Diritti umani, l’Alto Commissario Zeid Ra’ad al-Hussein ha criticato la Cina per aver negato l’acceso ai rappresentanti del suo Ufficio nelle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang, “territori nei quali la situazione dei diritti umani è in costante e rapido peggioramento”. Secondo le Nazione Unite, molti episodi di autoimmolazione (sei lo scorso anno, 152 nell’ultimo decennio), sono conseguenza dei reiterati soprusi subiti dall’etnia tibetana “anche a causa di tassi significativamente più alti di povertà, discriminazione etnica e ricollocazioni forzate”.

Nei “campi di rieducazione politica” dello Xinjiang, la minoranza turcofona e islamica degli Uiguri, accusata di radicalismo religioso, è minacciata da rimpatri forzati e rigidi “regolamenti anti-estremismo”, lesivi delle libertà fondamentali.

L’atteggiamento cinese si perpetua anche nelle sedi istituzionali internazionali. Nelle scorse settimane, il New York Times ha stigmatizzato la posizione assunta dai diplomatici cinesi e russi, che propongono di ridurre il numero di operatori impegnati nella salvaguardia dei diritti umani, nella prevenzione degli abusi sessuali e degli gender affairs nelle missioni Onu di peacekeeping.

Le preoccupazione intorno ad un possibile asse Mosca-Pechino, autoritario e liberticida, è suffragata da posizioni comuni assunte in Consiglio di Sicurezza, come il veto sulle sanzioni da comminare alla Siria per l’uso di armi chimiche e la condanna dei crimini contro l’umanità commessi dal governo birmano ai danni della minoranza islamica dei Rohingya . ”Mentre alti funzionari delle Nazioni Unite descrivevano la campagna militare come “pulizia etnica”, i media di Stato cinesi – denuncia Human Rights Watch -, la sostenevano come una ferma risposta ai “terroristi islamici””.


Alberto Pento
Riconosco però che nei riguardi dell'Islam la Cina ha delle buonissime ragioni perché l'Islam ha a suo fondamento il nazismo maomettano assolutista, violento, totalitario, disumano che da sempre crea problemi al Mondo e all'Umanità intera.




Cina: tra comunismo e capitalismo
Emanuele Cuda
5 Aprile 2017
https://www.lindro.it/cina-comunismo-capitalismo


Nei primi anni 2000, con l’ ingresso nel WTO (World Trade Organization), la Cina è diventata un player economico mondiale. È uscita dall’ isolazionismo che l’ aveva contraddistinta fino a quel momento, è divenuta una delle BRICS (economie emergenti), attuando una rivoluzione straordinaria: infatti la Cina, che pur si configura, ancora oggi, come una nazione comunista, in cui a giocare un ruolo fondamentale è il partito centrale, si muove in modo del tutto simile alla prima potenza capitalistica occidentale, gli Stati Uniti.

Con l’ elezione di Donald Trump, sembra di esser giunti ad un paradosso: gli Stati Uniti, primi fautori della globalizzazione, annunciano un ripiegamento protezionistico e politiche economiche atte a garantire la produzione americana rispetto ai suoi competitor mentre la Cina, mediante le parole del suo Presidente Xi Jinping, proclama, al forum di Davos, che «dobbiamo dire no al protezionismo. Perseguire il protezionismo è come chiudersi in una stanza buia. Vento e pioggia possono restare fuori, ma restano fuori anche luce ed aria».

Guardando ai numeri, occorre mettere in fila alcuni dati economici, fondamentali per capire la situazione: il 2016 si è concluso, secondo le stime dell’ Economist Intelligence Unit, facendo registrare: agli USA una crescita del PIL reale del 2.0%, con un rallentamento rispetto al 2015; mentre al Dragone una crescita del PIL reale del 6,5 %, con una leggera flessione negli ultimi quattro anni, ma con un contemporaneo abbassamento del debito pubblico.

Secondo le ultime statistiche di Euromonitor International, tra il 2005 e il 2016 i salari orari per i lavoratori della manifattura cinese si sono triplicati toccando i 3,60 dollari all’ora in media. Nel medesimo periodo preso in analisi, la paga oraria dei brasiliani è scesa da 2,90 dollari a 2,70; da 2,20 a 2,10 in Messico. La paga oraria media offerta dalle catene di montaggio in Cina equivale, dunque, ormai al 70 per cento di quella in Portogallo e in Grecia, portandosi molto vicina agli standard occidentali. La popolazione urbana è cresciuta dal 31% del 1980 al 52% del 2013. L’ intenzione di Donald Trump, che come primo atto ha abbandonato il TPP (Trans-Pacific Partnership), dovrà dunque scontrarsi con la realtà, considerando, come ha detto il Presidente cinese, che «è vero che la globalizzazione ha creato nuovi problemi, ma questa non è una giustificazione per cancellarla, quanto piuttosto per adattarla. (…)Piaccia o no, l’economia globale è l’enorme oceano dal quale nessuno può tirarsi fuori completamente».

Questa è una chiara presa di posizione che è in diretto collegamento con l’attività di investimento che una delle più grandi nazioni asiatiche sta effettuando in tutto il mondo, puntando su alcuni settori strategici come ad esempio sulle infrastrutture, nelle cosiddette ‘nuove via della seta’ oppure negli attracchi marittimi come quello del Pireo o sulla tecnologia, dato il forte scarto che divide la Cina dall’ Occidente in questo ambito.
Il colmo, però, è stato raggiunto quando è stata annunciata, qualche giorno fa, l’ intenzione di Chen Feng, proprietario di Hna, holding da 100 miliardi di assets, che detiene il controllo di Hainan Airlines, ma anche di un quarto della catena alberghiera Hilton, di acquisire la rivista americana del capitalismo mondiale, Forbes, nota al pubblico mondiale per le sue classifiche dei miliardari.

L’espansione cinese è stata sostenuta e si è svolta in tutto il mercato occidentale. Secondo il rapporto del gennaio 2017 del MERICS (Mercator Institute for China Studies), l’ investimento cinese in Europa sta vivendo una stagione di crescita, ma questa tendenza non è uguale a tutte le latitudini del Vecchio Continente.

In quest’ occasione, analizzeremo l’attuale ‘contraddizione’ in cui versa la Cina, considerata nei suoi rapporti con l’ Occidente (Europa e Stati Uniti) avvalendoci dell’ esperienza di Michele De Gasperis, Presidente dell’Ufficio per l’Italia dell’ OIUC (Overseas Investment Union of The Investment Association of China), «un network» – come tende a sottolineare il Presidente – «che raccoglie opportunità di collaborazione in tutto il pianeta e le presenta proprio dove vengono discusse le strategie di investimento con un approccio esclusivamente business, in linea con la politica ma non per questo politico» e di quella di due avvocati, Alessandro Bravin e Marco Vinciguerra, i quali lavorano rispettivamente per DeHeng Law Offices di Beijing e per DeHeng Shanghai Law Office di Shangai, studi legali locali che si relazionano quotidianamente con la realtà imprenditoriale cinese.

Iniziamo questa riflessione facendo una considerazione su quanto è cambiata in questi ultimi anni la Cina. Questa trasformazione, come ci dice Bravin, è anche socio-culturale: “Sembra di essere in America. C’è quella visione occidentale, però, senza limiti etici. Forse l’ Occidente ha più etica”. Di fondo, tuttavia, il rovesciamento della chiusura protezionistica messo in atto in questi anni, rimanda ad un altro elemento e cioè che «investire all’ estero» – dice Vinciguerra – “è diventata per i cinesi una necessità perché devono colmare un gap tecnologico con i paesi più avanzati e l’ unico modo per farlo è investire all’ estero. Visto che hanno molte risorse valutarie da utilizzare per questo e provano a fare affari in paesi come l’ Italia dove vi sono aziende che non riescono ad espandersi o che hanno bisogno di un’ iniezione di liquidità e che sono tecnologicamente appetibili per loro. Questo è un fenomeno che è andato rafforzandosi in questi ultimi anni, ma che era già in atto prima, quando non si manifestava in Italia, ma in altri paesi. Questo cambio credo che fosse prevedibile ed anche, se vogliamo, abbastanza previsto”.

Della prevedibilità del fenomeno è convinto anche Michele De Gasperis che ci ricorda che “ in realtà i preludi all’attuale nuovo corso ‘globalizzato’ della storia economica cinese erano già presenti nel 1978, quando l’allora leader Deng Xiaoping iniziò a promuovere politiche basate sull’apertura agli investimenti stranieri, sul commercio con l’estero e sulla valorizzazione dell’iniziativa privata. Il riformismo di Xiaoping nella storia cinese è stato pertanto cruciale e grazie a esso, e con l’adozione di strumenti economici neutrali in precedenza ritenuti esclusivi delle economie capitalistiche, il paese è riuscito a superare la contraddizione apparente tra socialismo e libero mercato. In quest’ottica, quello che stiamo vivendo oggi è senz’altro uno dei maggiori cambiamenti – se non il maggiore – mai registrato sulla scena economica internazionale dal dopoguerra, ma è anche il risultato ormai consolidato di politiche avviate e portate avanti tenacemente per quasi quarant’anni. Tra queste politiche rientra senz’altro la creazione della IAC – Investment Association of China e del suo organismo dedicato agli investimenti all’estero, l’ OIUC – Overseas Investment Union of The Investment Association of China, entrambi appartenenti alla National Development and Reform Commission cinese (NDRC), di cui noi siamo rappresentanti della sede italiana dall’agosto 2016 e – elemento di novità nell’organizzazione – primi, e per ora unici, non cinesi a far parte del team. A testimoniare l’importanza che rivestono oggi gli investimenti esteri per la Cina, la presenza della nostra organizzazione in 120 paesi”.

“Nel momento in cui la Cina ha fatto questi passi da gigante non poteva poi rimanere un paese ininfluente e inascoltato come era in passato. Adesso, invece, se batte il pugno sul tavolo sono costretti ad ascoltarla” dice Vinciguerra. Il tavolo dell’ economia globale è stato scosso anche dalle dichiarazioni di Donald Trump, il quale non nasconde la sua insofferenza per una Cina sempre più protagonista, che si configura come “un’ economia globale” – dice De Gasperis – “con le maggiori riserve finanziarie del pianeta, diventata una delle più importanti basi manifatturiere e tra le prime potenze commerciali al mondo, il paese che attira il maggior numero di investimenti esteri dopo gli Stati Uniti. Gli investimenti e il decentramento dei siti produttivi americani in Cina hanno raggiunto oggi un tale livello che mi sembra inverosimile immaginare che non venga trovato un compromesso tra il corso globalizzato dell’economia cinese e il protezionismo di Trump. Quando ci occupiamo dei rapporti economici tra USA e Cina parliamo di due mercati con un interscambio che supera i cinquecento miliardi di dollari all’anno e cresciuto di oltre duecento volte in meno di quaranta anni. Inoltre, secondo i dati della Us-China Chambers of Commerce, nel 2015 il commercio e gli investimenti bilaterali hanno prodotto 2,6 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti permettendo alle famiglie statunitensi, in media, di risparmiare circa 850 dollari all’anno. L’auspicio mio e delle business community cinesi, pertanto, è che i rapporti tra i due paesi tornino a essere cordiali, e siamo anzi sicuri che ormai, terminati gli strascichi della campagna elettorale americana, le relazioni stiano andando rasserenandosi”. Secondo lo studio del US-China Council, la Cina è diventata il terzo più grande acquirente di prodotti e di servizi made in Usa per una spesa di 165 miliardi di dollari nel solo 2015. E’ previsto che in soli 10 anni la cifra aumenti fino a toccare i 370 miliardi di dollari, prevedendo che nel 2025 l’ espandersi della classe media cinese, ossia delle famiglie con un reddito sopra i $35,000 abbia toccato quota 160 milioni.

Fonte: Oxford economics US-China

Perciò ricordiamo che proprio domani, 6 aprile, e dopodomani, in Florida, avverrà l’ incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, atteso per l’ importanza dei temi che sono sul tavolo: oltre la questione della crisi diplomatico-militare in cui l’ Asia è coinvolta a causa della Corea del Nord e soprattutto dopo l’ annuncio da parte del Presidente americano di un possibile intervento unilaterale a stelle e strisce qualora la Cina non faccia la sua parte, anche il tema economico sarà centrale.

“Un ambiente amichevole sull’asse sino-americano” – prosegue De Gasperis – “ le due economie più forti del pianeta, è senza dubbio un requisito imprescindibile per qualsiasi uomo d’affari che abbia a che fare con uno dei due paesi. E’ anche vero, però, che l’Europa, e in particolare l’Italia, sono da anni amici della Repubblica Popolare Cinese, e un raffreddamento delle relazioni tra Cina e USA potrebbe senz’altro avvantaggiare i rapporti già in essere e valorizzare quei programmi – primo fra tutti One Belt, One Road – da cui dipendono la crescita degli scambi commerciali tra il continente europeo e quello asiatico”.

Nuova via della seta, One Belt One Road
Fonte: MERICS

Alla nostra sollecitazione sulle ‘Nuove Vie della Seta’, De Gasperis tende a chiarire che “il piano strategico One Belt One Road (o Nuova Via della Seta) è centrale nello sviluppo dell’interscambio futuro tra Cina e Europa, e contempla investimenti e cifre tra le più importanti mai programmate per un’opera infrastrutturale di questa portata. In quest’ottica, l’Italia deve assolutamente impegnarsi per essere inclusa il più possibile in questo progetto. E ha tutte le carte in regola per farlo: grazie alla sua posizione geografica l’Italia può rappresentare l’ideale termine portuale per le merci giunte dall’Asia, o la piattaforma di partenza delle merci dall’Europa centrale e dal Mediterraneo. Lo stesso sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega al commercio internazionale Ivan Scalfarotto ha ricordato in un’intervista, a seguito dell’acquisizione cinese del porto del Pireo, come «i porti di Genova, Venezia e Trieste arrivino al centro dell’Europa più del Pireo». Diversi nostri associati stanno già facendo forti investimenti in OBOR (One Belt One Road), specialmente nella sua tratta passante per l’Iran. I nostri porti sono molto diversificati per caratteristiche, merci, dimensione e posizione geografica, e pertanto le imprese italiane hanno grande interesse affinché le infrastrutture portuali nazionali siano incluse nel piano strategico e diventino la porta di approdo marittimo di merci da e verso la Cina. Noi come Ufficio Italiano di OIUC stiamo lavorando anche in questa direzione”. Commentando la richiesta di chiarimenti tecnici da parte della Commissione Europea all’ Ungheria circa il grande progetto ferroviario, De Gasperis ribadisce che “occorre reinterpretare correttamente l’asse Cina-Europa, e pertanto auspico che la situazione possa sbloccarsi nel più breve tempo possibile e che con il benestare dell’UE il piano One Belt One Road possa vedere la luce anche in questa sua imprescindibile tratta”.

Aree Europee di investimento cinese Fonte: MERICS

Bravi precisa, confermando, peraltro, quanto registrato dall’ istogramma nel rapporto MERICS, che “se un’ impresa guarda all’ Unione Europea, diciamo che l’ Italia è un obiettivo di secondo o terzo livello perché prima viene l’ Inghilterra oppure la Francia o la Germania. Quando decide di investire in Italia, è perché, probabilmente, in quel settore, l’ Italia è più competitiva e più all’ avanguardia”.


Gran parte dell’ investimento cinese in Europa è destinata al settore dell’ innovazione. Questo ci viene confermato da Vinciguerra il quale precisa che «c’è una grande fame di tecnologia. I cinesi vanno alla ricerca in Italia, ma anche in Europa di aziende che possono saltare quel fosso che altrimenti per loro , gli costerebbe un ritardo di 10-15 anni. Per far questo decidono di investire in aziende che ad esempio hanno dei macchinari il cui know-how è decisivo». «Ma se devono acquistare fabbriche – specifica ancor di più Bravi – si tratta di aziende che si trovano al centro-nord. Diciamo di aziende medio-grandi, con dei fatturati che vanno dai 50 ai 100 milioni di euro».

Circa la preoccupazione cresciuta ultimamente, soprattutto in Germania e Francia, di acquisizioni ‘corsare’ da parte di investitori cinesi, Vinciguerra sostiene che « c’è sicuramente questo elemento di timore che può far alzare delle voci protezionistiche, ma, secondo me, le voci protezionistiche hanno più una valenza politica interna che non globale, commerciale ed industriale perché da sempre questi fenomeni di acquisizione transfrontaliera ci sono e ci saranno sempre. Quindi ora che c’è questo nuovo player che è la Cina, bisognerà abituarsi a fare i conti con questo nuovo elemento, che usa le sue risorse per fare i propri interessi». In questo senso, Bravi concorda e aggiunge che « i cinesi comprano per avere accesso a quei brevetti, a quei marchi, a quelle licenze, proprio per aggirare anni di ricerca o la normativa europea. Mentre in Germania ci sono delle norme precise su quali sono i limiti inderogabili per l’acquisizione da parte di investitori stranieri, tenendo conto anche della strategicità di alcune aziende, in Italia, è vero che ci sia questa paura che stranieri comprino aziende di interesse nazionale, ma che poi siano abbastanza fumosi i contorni delle aziende di interesse strategico. Basterebbe porre delle regole precise. Tenga presente che gli americani individuano la strategicità solo in quelle imprese, in quei brevetti di carattere militare. I tedeschi, da questo punto di vista, sono più rigorosi, per esempio, per quanto riguarda le aziende di telecomunicazioni. Anche se non vedo la corsa all’ Italia, bisogna darci queste regole».

L’ apparente contraddizione che vive in questi anni la Cina è un chiaro riflesso, come ci hanno confermato i nostri interlocutori, della trasformazione in corso. «La Cina» – ha dichiarato Xi Jinping – «ha fatto passi coraggiosi per abbracciare il mercato globale. Abbiamo affrontato le onde più alte, ma abbiamo imparato a nuotare». L’ Occidente deve ancora imparare?
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio mar 14, 2019 10:34 am

???

Via della Seta, il futuro dell'Italia è euroasiatico. Basta imperialismo Usa
Lampi del pensiero di Diego Fusaro/ Bene l’apertura alla Cina: specialmente se serve ad allentare il rapporto asfissiante che ci lega al Leviatano del dollaro
di Diego Fusaro
Mercoledì, 13 marzo 2019

http://www.affaritaliani.it/blog/lampi- ... 93252.html

Si discute animatamente sull’affaire legato alla “via della seta”. Con prospettive e soluzioni, come sempre, diversificate. In un mondo perfetto – nella “kallipolis” di Platone, per intenderci – l’Italia, come ogni altra nazione, dovrebbe tenersi a distanza di sicurezza dai potentati egemonici, siano essi gli USA, la Cina o la Russia. Ma nel quadro del rapporto di forza realmente esistente, credo che sia un bene l’apertura alla Cina: specialmente se serve ad allentare il rapporto asfissiante e da colonia che ci lega al Leviatano del dollaro. Allentare, non cancellare: per cancellarlo occorrerebbe dismettere le più di 100 basi militari USA che occupano sciaguratamente il nostro territorio nazionale. Non di meno, guardo con fiducia a ogni sguardo eurasiatista, rivolto principalmente alla Russia e alla Cina: ossia a due potenze odiate da Washington e dalla sua orrenda “special mission” imperialistica. Il fatto che la stessa Washington, con il fare del colonizzatore nato per dominare, ora storca il naso rispetto all’apertura italiana alla Cina è significativo: è la prova che tale apertura è giusta e buona, perché lesiva dell’interesse USA e del rapporto tra il nostro Paese e la monarchia a stelle e strisce. Come si diceva un tempo, la Cina è vicina. E può, al pari della Russia, tenere a freno il delirio di onnipotenza imperialistica made in USA.

Diego Fusaro (Torino 1983) insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici) ed è fondatore dell'associazione Interesse Nazionale (http://www.interessenazionale.net). Tra i suoi libri più fortunati, "Bentornato Marx!" (Bompiani 2009), "Il futuro è nostro" (Bompiani 2009), "Pensare altrimenti" (Einaudi 2017).



"Da analfabeti pensare di avere vantaggi"
Paolo Bracalini - Gio, 14/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 62109.html

Il politologo Edward Luttwak: "Pagherete il patto: sarete invasi dalle loro merci senza esportare"

«Non credo che il vostro governo se ne renda conto, ma questa decisione rischia di far pagare all'Italia un prezzo molto alto».

Dal suo ufficio di Washington Edward Luttwak, analista politico attento alle vicende italiane, guarda con stupore alle mosse dell'esecutivo M5s-Lega, da lui bollato senza mezzi termini come «una banda di ignoranti».

Ma il premier Conte assicura che il memorandum con la Cina «offre preziose opportunità per le nostre imprese».

«Falso. I paesi che fanno accordi di questo tipo con la Cina finiscono per importare più prodotti cinesi, non per esportare di più. Se lo scopo era di vendere, sacrificare l'alleanza strategica dell'Italia per scopi commerciali, allora è una decisione da analfabeti. Non capiscono che nell'economia cinese la gente non compra prodotti stranieri per riconoscenza, hanno firmato l'intesa quindi ora compriamo la loro merce. Assolutamente non funziona così con Pechino. I cinesi non importano dall'estero quello che possono fare in casa loro. Quindi se lo scopo era il solito sgambetto all'italiana per avere vantaggi dal nemico comune, è una mossa analfabeta».

Con la Via della Seta saremo invasi da prodotti made in China senza avere vantaggi nell'export.

«Naturalmente, bastava vedere quello che è successo ai paesi che lo hanno fatto già. Impatto zero sulle esportazioni. Al governo avete gente ignorante che non sa cosa sta succedendo a livello internazionale. Questa gente al massimo è informata su cosa accade a Cosenza o a Voghera. Chi segue la politica internazionale sa benissimo che per l'Italia allearsi coi cinesi non è una cosa seria. E che i cinesi non sono riconoscenti».

Il governo però si aspetta investimenti sulle infrastrutture.

«Hanno confuso Xi Jinping, il dittatore cinese, con Babbo Natale. Sono tutte idee bizzarre. I cinesi vanno a fare infrastrutture nei paesi sottosviluppati, dove possono costruire fregandosene delle regole ambientali, delle norme, facendo quello che gli pare. Non in Italia. Sperare in una mancia da Pechino è segno di grande debolezza, è la solita tentazione italiana di sgambettare gli Stati Uniti e gli alleati. Anche Andreotti lo fece in Medio Oriente collaborando con i terroristi arabi».

Che conseguenze politiche avrà questa scelta del governo italiano?

«Ridurre ulteriormente il rispetto internazionale per l'Italia. Perché dimostra una totale incapacità di capire che c'è un conflitto in atto tra Cina e dall'alta un'alleanza marittima che comprende Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, India, Vietnam, che chiedono a Pechino di tornare al peaceful rise, alla politica pacifica del passato. Se non farà questo ci sarà la guerra fredda e Xi pagherà il suo errore strategico perché le potenze marittime hanno più tecnologia, più potenza militare e più soldi».

Quindi ad un passo da una guerra fredda con la Cina, l'Italia si schiera non con i suoi alleati ma con Pechino.

«Ripeto, avete governanti paurosamente ignoranti».

È questo il giudizio degl Usa verso l'esecutivo italiano?

«Da una parte c'è Salvini che dice voglio difendere le frontiere del mio paese. Questo lo capiscono e lo rispettano. Quello che non possono accettare sono idee strane come il reddito di cittadinanza, un atto disperato, e poi il no alla Tav. In un paese di disoccupazione come l'Italia essere contro i progetti infrastrutturali è inconcepibile. Poi dare dei soldi a gente che sta a casa e mangiare la minestra della madre è assurdo e controproducente».

Assumeranno 3mila persone («navigator») per trovare lavoro ai disoccupati con reddito di cittadinanza.

«Altra assurdità. In Connecticut, dove non c'è lavoro, la gente va via per andare in Texas, dove trova lavoro. In una teoria normale sono i disoccupati che si spostano verso il lavoro, non è lo Stato che assume qualcuno per trovarglielo sotto casa. L'unica ricetta che serve all'Italia è meno tasse, regole più semplici sul lavoro, finanza privata per opere pubbliche».



Quei corridoi per conquistare l'Europa
Antonio Signorini - Mer, 13/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 61381.html

Ecco il piano cinese che irrita Ue e Usa. E l'Italia è l'anello debole

Roma Un piano di infrastrutture e investimenti che rischia di limitare la sovranità degli Stati che aderiscono.

L'Italia è il primo paese del G7 intenzionato ad entrare in quella che viene chiamata la Nuova via della Seta. La proiezione verso l'esterno del «Sogno cinese» del presidente Xi Jinping si chiama Belt and road initiative. Un piano di investimenti che coinvolge 152 paesi e punta creare una globalizzazione alternativa a quella fino ad oggi conosciuta, attraverso due direttrici sviluppate su più corridoi che partono dalla Cina e attraversano metà pianeta. Una via terra e l'altra via mare.

La prima parte da Pechino, attraversa l'Asia fino a Istanbul, risale verso Mosca e poi approda in Europa. Quella via mare attraversa il Sud est asiatico, passa per l'India, tocca l'Africa e poi risale il Mar Rosso, attraversa il Canale Di Suez. Poi il Mediterraneo con tappa ad Atene, Trieste e Venezia. Infine il collegamento via terra con il Nord Europa e quindi con l'altro pezzo della nuova strada della Seta.

Una cintura appunto, per favorire gli scambi tra la Cina e il resto del mondo, esclusa l'Australia e il continente americano. L'Italia in occasione della visita di Xi Jinping il 23 marzo oppure poco dopo, dovrebbe firmare un memorandum che apre la strada all'adesione al piano che comprenderebbe la realizzazione di varie infrastrutture. Non solo strade e porti, ma anche energia e telecomunicazioni. Quest'ultimo settore è tra i più delicati visto che in Italia si trovano basi militari Usa e Nato. Da qui l'irritazione degli Stati Uniti verso l'Italia e la prudenza dell'Europa, nonostante la Germania abbia un forte interesse a coltivare i rapporti con la Cina.

Tra i problemi posti dall'adesione italiana alla nuova via della seta, il fatto che un accordo internazionale affidi la realizzazione di infrastrutture a un paese extra Ue. Le regole europee prevedono che le gare siano «aperte a tutti gli operatori economici su base di parità», ha ricordato ieri il vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen.

Poi ci sono i dubbi di chi teme che l'adesione al piano o anche solo la firma del memorandum, sia una minaccia alla sovranità dell'Italia. Il piano «una cintura, una strada» è l'evoluzione di progetti in corso da anni e non è un mistero che la Cina punti sui paesi più deboli dell'occidente per penetrare nel Vecchio Continente. Principali obiettivi, i paesi dell'Est, attratti dalla possibilità di fare infrastrutture a costo zero.

Ora anche l'Italia dovrebbe entrare nel piano di investimenti cinesi e cresce il sospetto che l'Italia chieda alla Cina di finanziare, oltre alle infrastrutture, anche il debito pubblico. Un'ulteriore perdita di sovranità. Questa volta in buona compagnia di altri Stati che hanno venduto obbligazioni pubbliche a Pechino. Usa in testa.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio mar 14, 2019 10:40 pm

Berlusconi e il pericolo Cina: "La nostra libertà è a rischio"
Roberto Scafuri - Gio, 14/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 62111.html

Il Cavaliere preoccupato: "Pechino vuole l'egemonia". Salvini minimizza: "Non saremo colonia di nessuno"

Roma - Grande la confusione sotto il cielo sovranista. Ma non «tutto va bene»: Mao Tze Dong in persona avrebbe messo in guardia dal rischio di una faciloneria che si compiace della (più formale che altro) amicizia personale con l'americano Trump, però guarda al russo Putin in funzione anti-Ue, di cui pure si fa parte e, quando arrivano i cinesi a fare shopping, già stende tappeti rossi.

«La Cina è vicina...», sbocconcella garrulo il premier Conte, che continua a perorare le cause di governo come se fosse in tribunale (non del popolo). E se i sottosegretari fedeli alla consegna continuano per tutta la giornata a minimizzare, sopire, ridurre il tutto «alla firma di un memorandum», la prospettiva della nuova «via della seta» di Xi Jinping pare tutt'altro che orizzonte roseo. A vederlo nero, invece, è il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che di buon mattino dagli studi di Canale 5 dà la sveglia agli italiani.

Il memorandum con la Cina è «certamente una opportunità - spiega Berlusconi -, ma in questo momento per come è la situazione prevalgono i rischi... Ieri per la prima volta si è registrata qualcosa di positivo nel Parlamento Ue che ha approvato un documento che dice attenzione ai rapporti con la Cina... perché è in atto un'offensiva della Cina sul piano commerciale ed economico che fa intravedere con chiarezza una sfida sul piano politico e forse anche militare. Si confrontano due vie opposte: la nostra via occidentale, liberale, e una via totalitaria». Il rischio è totale, continua Berlusconi, perché «siamo in un'epoca di intelligenza artificiale, un'epoca 5G. Chi arriverà ad essere il numero uno nell'intelligenza artificiale arriverà ad essere il numero uno, qualcuno dice il padrone, del mondo. Io sono molto preoccupato, anche per il futuro dei miei figli». Il quartier generale di Forza Italia è unanime. «Il rischio è oggettivo», conferma il presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani. Si fa vivo per l'occasione anche l'ex presidente europeo Romano Prodi, per precisare come certe competenze spettino alla Ue, «non all'Italia», che invece potrebbe nel frattempo efficacemente «modernizzare i porti». Anche l'ex leader pd Bersani avverte: «La Cina non è la Tav, va maneggiata con cura». Ma dai 5S c'è solo supponenza e irrisione: «Polemiche sul nulla, l'opposizione vuole solo bloccare la crescita» (sic!). Con le ossa rotte esce il premier Conte, invitato dall'opposizione (Fi, Pd e Leu) a riferire alle Camere; lo farà martedì, nel corso di un'informativa più generale. Tensione non certo smorzata dall'intervento del vicepremier leghista, Matteo Salvini, che già in mattinata aveva detto di considerare «l'interesse nazionale prima di tutto» e assicurato di non volere che «l'Italia sia colonia di nessuno». Ergo, come sempre, «ne stiamo parlando: studiamo, valutiamo, approfondiamo». Peccato però che il 22 marzo, alla firma del memorandum, «purtroppo io non ci sarò», dice Salvini. Sarà solo un caso?
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » dom mar 17, 2019 8:31 pm

L'allarme dei servizi segreti dell'Estonia: "La Russia prepara la guerra contro la Nato"
Paolo Mauri
15 marzo 2019

http://www.occhidellaguerra.it/lallarme ... rRlHe0YSCs


Il rapporto per l’anno 2019 dei servizi segreti estoni è oltremodo chiaro: la Russia si sta preparando per uno scontro armato con la Nato.

Nel documento redatto dal Fis (Foreign Intelligence Service) di Tallinn, che annualmente analizza le minacce per la sicurezza dell’Estonia, la Russia risulta essere il Paese che più minaccia la sicurezza del piccolo Stato che si affaccia sul Baltico.

“L’unica minaccia seria alla sicurezza regionale, inclusa l’esistenza e la sovranità dell’Estonia e delle altre repubbliche baltiche, proviene dalla Russia. Riguarda non solo l’attività di sovversione asimmetrica, politica e clandestina, ma anche il suo potenziale militare”. Così recita l’incipit del rapporto di 72 pagine di cui ben 55 sono dedicate alla Russia.

Il documento prende in esame un vasto spettro di tematiche riguardanti Mosca e la sua politica: situazione interna, situazione economica, situazione energetica, la politica estera (Ucraina, Bielorussia, Crimea e repubbliche transcaucasiche), l’attività cyber, quella di intelligence ed i rapporti con la Cina.

La parte che preoccupa più Tallinn, però, tanto da averle dedicato non solo la parte iniziale del rapporto ma anche quella più corposa, riguarda la situazione militare ai suoi confini con la Russia.


La Russia si prepara a un conflitto convenzionale con la Nato

Come vi abbiamo già detto non vengono usati mezzi termini da parte dei Servizi estoni: si legge chiaramente che “non c’è alcun dubbio che il regime di Vladimir Putin è preparato ad usare la forza militare contro altri Paesi”. Questa convinzione, che per l’Estonia è più di una sensazione come vedremo, è rafforzata dal fatto che nel corso degli ultimi 10 anni la Russia è stato l’unico Paese nell’era post Guerra Fredda a lanciare un attacco militare in Europa contro uno Stato sovrano: lo ha fatto due volte contro la Georgia e contro l’Ucraina che risultano ancora parzialmente occupate da Mosca.

Secondariamente la Russia ha rafforzato il suo confine occidentale, ed in particolar modo quello con i Paesi Baltici, con un dispiegamento di mezzi e uomini tale da lasciar pensare che stia paventando un attacco verso il fianco nord-est della Nato.

Nel rapporto si legge, infatti, che a ridosso del suo confine occidentale la Russia ha formato sette nuovi reggimenti di manovra inclusi quattro di carri armati, la maggior parte dei quali sono stati posizionati a ridosso dell’Ucraina e della Bielorussia, ma a non meno di 50 chilometri dalla frontiera estone la Divisione d’Assalto Aereo Pskov è stata la prima a venire rinforzata con un ulteriore reggimento.

Questo, secondo i Servizi Segreti di Tallinn, dimostra come la priorità di Mosca sia rivolta verso ovest e in particolare come si stia preparando per una possibile guerra lungo il suo confine occidentale.

I quattro punti che indicano la minaccia

Analizzando le esercitazioni militari russe tenutesi negli ultimi 10 anni gli analisti dei Servizi estoni sono giunti a stabilire che la Russia rappresenti la minaccia principale per quattro motivi distinti:

Le Forze armate russe nel corso degli ultimi 10 anni hanno continuato ad esercitarsi avendo come nemico la Nato nonostante i teatri di crisi internazionale a cui ha partecipato (Siria, Ucraina, Georgia) esulino da questo tipo di scenario strategico.
Mosca ritiene un conflitto con la Nato come possibile se innescato da una “rivoluzione colorata” (come in Ucraina n.d.a.) in uno dei suoi Paesi satelliti (ad esempio la Bielorussia). Fattore altamente probabile per la Russia a causa della percezione di ogni movimento di opposizione al regime come una minaccia esistenziale per Mosca.
L’Estonia, ed i Paesi Baltici, sono facilmente attaccabili da Mosca sia per la loro vicinanza sia per la posizione strategica che hanno sul Mar Baltico, in quanto rappresentano un cuneo che si inserisce tra l’enclave di Kaliningrad e S. Pietroburgo. Invaderli ribalterebbe i rapporti di forza tra Nato e Russia in quello scacchiere.
Un conflitto tra Nato e Russia non si risolverebbe solamente in uno scontro lungo il fronte est dell’Alleanza in quanto Mosca utilizzerebbe le proprie armi a raggio intermedio (come il missile Kalibr) per colpire obiettivi vitali in Europa Occidentale.

Solamente russofobia?

Sicuramente Tallinn, così come le altre capitali dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, è animata da un sentimento russofobo memore della passata occupazione a seguito della divisione in blocchi contrapposti susseguente la fine della Seconda Guerra Mondiale.

L’ingresso di questi Paesi nella Nato e soprattutto la richiesta di alcuni, come la Polonia, di maggiore presenza americana sul proprio territorio si spiega proprio con questa sensazione che è stata causata proprio dal colpo di mano russo in Ucraina che ha portato all’annessione unilaterale della Crimea e alla guerra civile nel Donbass.

L’Estonia, in particolare, sembra avere ben chiara quale sia la politica di Mosca nei confronti di quegli Stati che intendono avvicinarsi al sistema occidentale e alla Nato facendo parte della sfera di influenza russa: la Georgia, del resto, viene citata spesso nel rapporto dei Servizi.

Anche i timori per la presenza militare russa lungo i propri (e non) confini orientali, a ben vedere, non sono infondati.

Proprio lo scorso 28 febbraio il Ministro della Difesa russo Shoigu ha rilasciato una dichiarazione dicendo che la Russia continuerà ad incrementare e rafforzare la sua presenza militare nel Distretto Militare Occidentale a ridosso dei confini con i Paesi Nato.

In particolare il Ministro Shoigu ha detto che quattro nuovi reggimenti saranno formati nel corso del 2019 di cui uno è rappresentato da un reggimento missilistico antiaereo col compito di incrementare l’efficacia dello scudo protettivo per i propri asset nel Baltico, due sono reggimento del 20esimo Corpo delle Guardie ed uno è rappresentato da un reggimento corazzato che andrà a sostegno della Flotta del Baltico.

Inoltre la Russia, sempre per voce del Ministro della Difesa, ha stabilito che rafforzerà la sua presenza sul Baltico creando un distretto missilistico autonomo, una divisione di missili costieri (antinave) e completerà la costruzione della nuova caserma che ospiterà le neoformate Terza e 144esima divisione di fucilieri motorizzati facenti parte del 20esimo Corpo d’Armata.

Attualmente, come riporta Shoigu nel suo comunicato, il Distretto Militare Occidentale ha già 23 battaglioni tattici operativi a cui andranno, nel corso dell’anno, 1272 pezzi di equipaggiamento di ogni tipo.

Risulta quindi motivato il timore dell’Estonia ma bisogna pur sempre ricordare che questa che sembra una vera a propria escalation è stata innescata dall’allargamento ad est della Nato in un periodo storico in cui Mosca era particolarmente debole economicamente e militarmente. Ad esso si deve aggiungere la presenza in Romania ed in Polonia di sistemi strategici americani come l’Aegis Ashore, il sistema antimissili balistici, e soprattutto lo spostamento verso est di asset militari che un tempo erano schierati in Europa Centrale.

Chiaramente una volta che nel “club” Nato entrano nuovi membri, è loro diritto richiedere assistenza ed è dovere dell’Alleanza fornirla, questo è un principio cardine e inderogabile, però ci risulta difficile leggere le preoccupazioni di Tallinn come dovute esclusivamente all’aggressività russa, che pure è stata dimostrata in almeno due casi – Georgia e Ucraina. Sarebbe più corretto guardare all’attuale situazione come ad una serie di eventi concatenati che hanno avuto origine proprio da quello sbilanciamento di forze venutosi a creare negli anni ’90 immediatamente dopo la Guerra Fredda, quando le stesse politiche russe di avvicinamento all’occidente ed agli Stati Uniti in particolare, hanno determinato una crescente diffidenza reciproca in un’Europa che, sebbene non fosse più separata, ancora non aveva dimenticato quarantanni di Guerra Fredda.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mar mar 19, 2019 5:22 am

Piccolo riassunto senza giri di parole su USA e Cina
Fabio Bozzo Lega
14 marzo 2019


1) Gli USA sono nostri alleati e la Cina no;

2) nessuno è perfetto, ma gli USA sono una democrazia come noi e la Cina è una dittatura;

3) l'import-export tra Italia e Cina corre per lo più su nave e non via treno, per ragioni prettamente tecniche (il trasporto navale carica cento volte di più e costa meno);

4) visto il punto 3 bisogna sviluppare le nostre infrastrutture portuali e di retroporto, quindi occorre il terzo valico ed occorre la TAV, altrimenti le merci o le fanno sbarcare a Rotterdam oppure non ha senso portarle in Italia;

5) per altri 50 anni, poi si vedrà, la prima potenza mondiale resteranno gli USA. Può piacere o no, ma questa è la realtà;

6) l'Italia esporta in Cina merci per circa 16,4 miliardi di euro e negli USA per circa 45 miliardi. Quale mercato è più importante? Esatto...

7) l'Italia importa dalla Cina per 31,8 miliardi ed esporta per 16,4. Questo significa che i cinesi ci stanno inondando di merci che mandano in fallimento i nostri produttori e contemporaneamente ci stanno prosciugando il portafoglio;

8) l'Italia importa dagli USA per 16,6 miliardi ed esporta per 45 miliardi, quindi la partnership con gli americani vale più oro di quel che pesa;

9) non fatevi fare lezioni di geopolitica da chi appoggia il dittatore comunista del Venezuela per antiamericanismo ideologico e preconcetto, meglio dare retta a chi sostiene l'opposizione democratica.


Dati esportazioni/importazioni
https://atlas.media.mit.edu/it/profile/ ... Zm8Nb4iJCU
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer mar 27, 2019 12:33 am

Il governo accetta il bullismo diplomatico dell’ambasciata cinese
Claudio Cerasa
2019/03/26

https://www.ilfoglio.it/politica/2019/0 ... jWQ9IfuJy4

Al direttore - Per alcuni decenni, la Cina attirò l’interesse dell’Europa, positivo o negativo che fosse, per il comunismo, il pensiero di Mao, la rivoluzione culturale.
In una seconda fase l’attenzione si spostò pian piano su Deng e il dopo Mao, le riforme, il progressivo affermarsi di uno strano “comunismo di mercato”, miscuglio di autoritarismo, nazionalismo, confucianesimo e altro. Affiancato però fortunatamente da un altro tema, che occupò scrittori, associazioni e istituzioni, anche politici (e di alto livello) per qualche decennio: il tema dei diritti umani e civili, della democrazia, dei dissidenti e della loro repressione.
Oggi ci troviamo in una terza fase, che l’avvento della dinastia Xi ha fortemente accentuato, le cui parole chiave sono ricchezza, investimenti, successi economici, via della seta, espansione anche militare, imperialismo (anche se pochi, stranamente, osano adoperare questo termine), tecnologie avanzate e così via. Del tutto dimenticati sono invece diritti e dissenso; rarissimo che si ricordi che il regime cinese non ci ha ancora detto la verità sulla Primavera dell’89, che ha lasciato morire in carcere un grande premio Nobel, che sta “rieducando” circa un milione di Uiguri dello Xinjiang. Se non ci avesse pensato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cui dobbiamo molta gratitudine, Xi Jinping non sarebbe stato disturbato su questi temi, nel suo trionfate “passaggio in Italia”, neanche per un momento. Si spera che l’episodio che ha riguardato la brava giornalista del Foglio abbia indotto molti a guardare anche il rovescio della medaglia.

Gianni Sofri

La Farnesina ci ha fatto sapere di aver correttamente convocato per spiegazioni ieri l’uomo dell’ambasciata cinese che ha aggredito verbalmente la nostra Giulia Pompili venerdì scorso al Quirinale, intimandoci di non scrivere più male della Cina. La Farnesina ha scelto di ascoltare le spiegazioni dell’uomo dell’ambasciata, che ha sostenuto sia stato frainteso nel tono, e non ha ritenuto di intervenire per condannare quanto accaduto – come se sia possibile avere un tono equivocabile quando un funzionario dell’ambasciata ti intima di non scrivere più articoli di critica sulla Cina. Il fatto che a quattro giorni di distanza dall’aggressione verbale al Quirinale nessun esponente della maggioranza e del governo si sia sentito in dovere di condannare l’episodio di bullismo diplomatico e di ristabilire i giusti paletti con il nuovo alleato ci porta a credere che il nostro paese abbia scelto di infilare la sua testa nella bocca del Dragone più di quanto si potesse credere.


https://www.facebook.com/marco.dicori/p ... 9388748851
Emanuele Filiberto Col
Non capisco questa attenzione del Foglio per gli Uiguri. Non solo praticano attacchi terroristici con uso di auto come i palestinesi, ma si sono anche distinti in Siria con l'Isis. Bene fanno a "rieducarli".

Gino Quarelo
Giustissimo i nazi maomettani Uiguri sono una mostruosità che i cinesi fanno bene a rieducare; forse quelli del Foglio preferiscono che siano i nazi maomettani a rieducare i cinesi islamizzandoli, come vorrebbero fare anche in Europa e ovunque.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » gio apr 04, 2019 10:11 pm

70 anni di Nato, 70 anni di pace: oggi le maggiori sfide e incognite per l'Alleanza sono interne. E Trump è l'ultimo dei problemi
4 aprile 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... lXTx84NlK0

Il 4 aprile di 70 anni fa nasceva la Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, e i ministri degli esteri degli stati membri dell’Alleanza sono riuniti in queste ore a Washington, insieme al segretario generale Stoltenberg, per celebrare l’anniversario della firma del Trattato.

La Nato è probabilmente l’alleanza militare di maggior successo nella storia. Fino ad oggi ha compiuto la missione, difendendo i suoi membri da minacce esterne, come l’Unione Sovietica, con la sola forza della dissuasione, senza sparare un colpo, e impedendo il ripetersi di un conflitto tra grandi potenze come la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. La clausola di solidarietà difensiva prevista dall’articolo 5 del Trattato è scattata una sola volta, nei confronti dell’Afghanistan governato dai Talebani dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.
Più che all’Unione europea, e alla CEE prima, come viene spesso ripetuto dagli eurofili e gli eurolirici, si deve alla Nato, alla sua supremazia militare e all’ombrello di difesa garantito e pagato dai contribuenti americani, se l’Europa ha potuto vivere settant’anni di pace e prosperità.

Se dunque si può affermare che la Nato abbia ampiamente adempiuto alla sua missione originaria, con altrettanta nettezza bisogna riconoscere la crisi che da molti anni la sta affliggendo, indebolendola.

Anche oggi le minacce esterne non mancano: dal terrorismo islamico alle cyberwar. E pur non costituendo una minaccia nemmeno lontanamente paragonabile a quella sovietica, l’assertività politica e militare della Russia di Putin ai confini orientali dell’Europa e in Medio Oriente dev’essere certamente monitorata e confrontata con la massima attenzione. A preoccupare però, più delle minacce esterne, è l’atteggiamento degli alleati verso tali minacce, che oscilla tra l’indifferenza, la negazione, la sottovalutazione e l’appeasement.

Oggi le vere sfide e le incognite per l’Alleanza provengono dal suo interno. A quasi trent’anni dalla fine della Guerra Fredda sembra che gli alleati Nato abbiano smarrito le ragioni profonde, strategiche, del loro stare insieme, o che esse ai loro occhi stiano perlomeno sbiadendo. Il processo di riorientamento strategico, invocato da lustri come urgente, avanza lentamente e con passo incerto, e non può certo dirsi sulla via della conclusione. La supremazia militare e tecnologica, le riforme della struttura di comando, il numero dei contingenti e degli alleati (salito a 29 con l’ingresso del Montenegro), la spesa militare – che nonostante la riluttanza di molti stati membri a rispettare gli impegni e il boom di quella cinese, è ancora diverse volte superiore a quella di Pechino, per non parlare della Russia – sono fattori importanti, ma non dimostrano di per sé la vitalità e l’efficacia di un’alleanza. Sono le braccia e le gambe, ma non la mente. Puoi avere una potenza schiacciante, ma se non hai la volontà di usarla, se gli alleati sono divisi e litigiosi, se non condividono almeno a grandi linee una visione strategica, se non concordano sulle principali minacce e se, di fondo, una parte di essi è convinta di abitare un mondo ormai senza più nemici, senza più confini, inevitabilmente avviato vero la “fine della storia”, dove non resta che concentrarsi sugli scambi commerciali e culturali, allora il rischio è di ritrovarsi con una tigre di carta. Oggi la Nato è, sulla carta, senza rivali. Ma la sensazione è che i suoi rivali possano approfittare della sua incertezza e indeterminatezza strategica.

Non è un mistero, per esempio, che l’amministrazione Trump stia spingendo perché la Nato rivolga le sue attenzioni verso la Cina, in particolare per contrastare le minacce alla sicurezza derivanti dal potere commerciale e cyber, tecnologico, di Pechino. Ed è uno dei temi al centro anche dei colloqui di questi due giorni tra i ministri degli esteri riuniti a Washington per il 70esimo anniversario. Come risponderanno alleati che hanno atteggiamenti contrastanti verso Pechino, alcuni dei quali fino ad oggi hanno visto nella Cina al massimo un rivale, oltre che un partner, dal punto di vista economico e commerciale? I Paesi che aderiscono al progetto infrastrutturale della nuova Via della Seta, precursore e fondamento di un nuovo ordine economico e politico globale guidato da Pechino, ma anche quelli che, pur in assenza di adesione formale, attraverso gli investimenti accrescono la loro dipendenza, adottano tecnologie cinesi nelle loro telecomunicazioni, come la rete 5G, mettono a rischio la condivisione delle informazioni di intelligence e sicurezza tra alleati, con serie conseguenze sull’interoperabilità della Nato, come avverte Washington.

C’è il tema della Turchia di Erdogan, che con la sua strategia neo-ottomana ormai da tempo sembra guardare più a Oriente, voler giocare una partita in totale autonomia per l’egemonia nel mondo sunnita e turcofono, e interloquire con potenze ostili, come Russia e Iran, così come con gli Usa. Basti pensare alla delicata questione dell’acquisto del sistema antiaereo russo S400. E stiamo parlando del secondo Paese dell’Alleanza atlantica per numero di truppe permanenti.

C’è il tema del rilancio, dopo la decisione britannica di uscire dall’Ue, guarda caso, dell’esercito comune europeo, che ha preoccupanti tratti di ambiguità: complementare, duplicazione o, in prospettiva, alternativo e sostitutivo della Nato? Soprattutto alla luce dei discorsi dei leader europei sull’Europa che “deve fare da sola”, che non può più contare su Stati Uniti e Regno Unito come “alleati affidabili”, che evocano la pericolosa illusione di una autonomia strategica da Washington. Abbiamo il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire, per esempio, che nel suo libro “The New Empire: Europe in the 21st Century”, farnetica di fare dell’Ue un “nuovo impero”, per contrapporci alla due superpotenze “rivali”, riferendosi, oltre che alla Cina, anche agli Stati Uniti, da 70 anni nostri alleati e principali garanti della difesa dell’Europa.

Ci sono poi le ambiguità e la riluttanza della Germania, gigante commerciale e leader politico ed economico dell’Ue, che rende se stessa e l’Europa più dipendenti dal gas della Russia, da cui si suppone che la Nato e gli Stati Uniti dovrebbero difenderci; che flirta con la Cina e rispedisce al mittente le preoccupazioni di Washington sulla rete 5G; che si rifiuta, pur essendo l’economia europea più ricca e meno indebitata, di rispettare gli impegni di spesa militare assunti in sede Nato.

Non è molto ottimista Walter Russell Mead, che nella sua column sul Wall Street Journal avverte che “la Nato sta morendo”. Ma “non incolpate Trump”, aggiunge. “L’idea una volta impensabile è diventata inevitabile”, dopo la decisione del governo tedesco di mantenere praticamente stabile nei prossimi cinque anni la sua spesa per la difesa, aumentandola impercettibilmente dall’1,2 all’1,25 per cento del Pil, livello molto lontano dall’impegno del 2 per cento entro il 2024 assunto con gli alleati Nato cinque anni fa. La decisione non è dettata da alcuna emergenza fiscale, il bilancio tedesco è in equilibrio dopo il surplus di 11 miliardi dello scorso anno, il quinto di fila.

Quindi per WRM la decisione di Berlino ha un chiaro significato: la Nato e gli Stati Uniti non sono così importanti per la Germania come in passato. Ma avverte che “qualcosa di più profondo” è in azione che non la semplice “irritazione” e il “disprezzo” per il presidente Trump. Sia presidenti democratici come Obama, che esponenti repubblicani ben lontani da Trump, come John McCain, hanno a lungo richiamato la Germania a dimostrare il suo impegno per la Nato investendo il 2 per cento del Pil nella difesa. E non stiamo parlando di un Paese in crisi o indebitato, ma della prima economia europea. Ora, conclude WRM, “rifiutandosi persino di avvicinarsi al target, Berlino si fa beffe non solo di Trump ma degli Stati Uniti”.

Quello del burden-sharing, del giusto contributo alla Nato da parte degli alleati, è un tema affrontato, sebbene con toni e accenti diversi, da praticamente tutti i presidenti Usa del Dopoguerra, da Eisenhower a Obama, passando per Kennedy e G.W. Bush. A differenza dei suoi predecessori, presi in giro per anni, l’approccio di Trump è stato particolarmente duro, anche sprezzante. Ma se i suoi attacchi in campagna elettorale e nei primi giorni di presidenza – sull’inutilità dell’Alleanza, fino a minacciare di non difendere chi non fosse in regola con la spesa e ad evocare la possibilità di un ritiro Usa – potevano trarre in inganno, oggi vorrebbe dire perseverare nell’errore scambiarli per una volontà di disimpegno. Ha più volte di persona, e tramite il vice presidente Pence e il segretario di Stato Pompeo, riaffermato l’impegno Usa verso l’articolo 5 sulla mutua difesa: “We’re going to be with Nato 100 percent”, ha assicurato. Con Trump il budget per la European Reassurance Initiative (ERI), il piano di impegni aggiuntivi Usa in difesa del fronte orientale Nato dopo l’aggressione russa in Ucraina, è salito nel 2018 fino a 4,8 miliardi di dollari dai 3,4 richiesti per il 2017 da Obama, con il quale era sceso nel 2016 sotto gli 800 milioni. Nella strategia di sicurezza nazionale si dichiara che “la Nato diventerà più forte quando tutti i membri si assumeranno maggiori responsabilità e pagheranno la loro giusta quota per proteggere i nostri comuni interessi, sovranità e valori”, e si ribadisce che Washington si aspetta dagli alleati europei il rispetto dell’impegno a spendere il 2 per cento del Pil in difesa entro il 2024.

Le dure critiche del presidente Trump agli alleati sulla spesa militare “hanno avuto un impatto e reso l’Alleanza più forte”, ha detto ieri il segretario Stoltenberg intervenendo al Congresso Usa: “Gli alleati devono spendere di più nella difesa. Questo è stato il chiaro messaggio del presidente Trump. E questo messaggio sta avendo un impatto reale”. Dopo anni di riduzione della spesa militare, “tutti gli alleati hanno fermato i tagli e la stanno aumentando. Prima tagliavano miliardi, ora li stanno aggiungendo”. Gli alleati europei e il Canada hanno speso 41 miliardi in più negli ultimi due anni ed entro la fine del 2020 saranno 100. Tranne che con Berlino, dunque, la linea dura pare stia funzionando: i Paesi membri che rispettano l’impegno sono passati da tre a sette nel 2018 (Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Grecia, Estonia, Lettonia e Lituania) e la Francia è molto vicina (1,82 per cento del Pil).

Ma, come abbiamo detto, la supremazia nei numeri non è tutto. Non è solo su questi che si può giudicare la salute della Nato nel giorno del suo 70esimo compleanno.
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer apr 10, 2019 9:37 pm

???

D'improvviso, si parla di una guerra in Europa

https://it.sputniknews.com/punti_di_vis ... yaTFlSzomk

Non finiamo di distruggere le nostre forze armate perché potrebbero servirci”, titola su Limes il generale Carlo Jean. “La crisi dell’Occidente rischia di produrre conflitti in Europa. La Nato non è eterna e ‘Mamma America’ non ci proteggerà per sempre”.

Data la dimensione del personaggio, eminenza grigia profondamente inserita in quello che chiama “l’Occidente”, bisognerà cogliere nel suo consiglio una profezia.

Il Pentagono

Di colpo, voci si levano a dire che l’Europa è vicina alla guerra. “La fine della NATO e perchè la guerra sta arrivando in Europa”, titola un certo “Chris” su Zero Hedge, che ha cominciato a suonare questa tromba. “Le scarpe-a-punta di Bruxelles stanno facendo sì che le tensioni tra gli stati membri aumentino”, spiega Chris, e cita alla rinfusa l’invasione dei clandestini che vogliono una fetta del “gigantesco stato sociale che è l’Europa: assistenza sanitaria gratuita, istruzione scolastica, trasporti sovvenzionati e così via”; il fatto che “gli ex membri dell’Europa orientale ora della NATO si sono già allontanati dalle loro controparti occidentali”; la frammentazione dell’Unione, la sfiducia crescente nella Germania, “che negli ultimi 100 anni ha minacciato due volte i suoi vicini”, sicché “quando la Germania comincerà a costruire il suo esercito, i vicini ne seguiranno rapidamente l’esempio”, insomma “La prospettiva di una guerra in arrivo in Europa è molto più alta di quanto si pensi attualmente. I segnali sono tutti lì, rossi lampeggianti”.

E pazienza se lo dicesse questo “Chris”, anche se sembra proprio che parli con conoscenza di causa sulle cose che stanno per avvenire in “Occidente”, riecheggiando valutazioni che (come vedremo più sotto) vengono espresse in altissimi ambienti. Ma lo dicono, improvvisamente allarmati, Pat Buchanan, il paleo conservatore, e Tulsi Gabbard, la democratica più ragionevole, intelligente e ex colonnello.

“Trump deve chiudere la lista dei nuovi membri della NATO”, esorta Buchanan: “Quando incontra il segretario generale della, NATO Jens Stoltenberg, il presidente dovrebbe dargli un messaggio diretto: L’elenco dei membri della NATO è chiuso. Per sempre. Gli Stati Uniti non forniranno più garanzie di guerra per combattere la Russia per proteggere i confini avanzati nell’Europa orientale, quando il nostro confine meridionale sta sanguinando copiosamente. Nessuno ne ha più bisogno di Stoltenberg, che a Tbilisi in Georgia, il 25 marzo, ha dichiarato al mondo: “I 29 alleati hanno chiaramente affermato che la Georgia diventerà un membro della NATO”. […]

“Non siamo infognati già in abbastanza liti che potrebbero portare a nuove guerre – con l’Iran nel Golfo, la Cina nel Mar Cinese Meridionale, la Corea del Nord, la Russia nel Mar Baltico e il Mar Nero, il Venezuela nel nostro emisfero – oltre all’Iraq, Siria, Yemen, Afghanistan e Somalia dove stiamo già combattendo? […] e portare l’Ucraina nella NATO sarebbe una manifestazione di pazzia ancora più grande che portarci la Georgia”.

Caccia F-35 Lightning II

Quanto a Tulsi Gabbard, “ha accusato Fareed Zakaria di pungolare il presidente alla guerra contro la Russia”. Questo Zakarias, che ora è un columnist della CNN, nel 2001 era uno dei membri del gruppo segreto che formò Paul Wolfowitz (allora vice-ministro al Pentagono) e che doveva preparare la strategia – da presentare al presidente Bush jr. – per giustificare la guerra all’Irak dopo l’11 Settembre, e la guerra di civiltà contro l’Islam. Ora, lo stesso personaggio si chiede, a proposito della presenza russa in Venezuela: Trump “permetterà a Mosca di prendersi gioco di un’altra linea rossa americana. Come per la Siria, c’è il pericolo che se Washington non sosterrà le sue parole con i fatti, tra un anno osserveremo il consolidamento del regime di Maduro supportato da armi e denaro russi“… Trump, non ha praticamente mai criticato Vladimir Putin e spesso si è schierato dalla parte della Russia su questioni grandi e piccole“.

Ancora più esplicito è Robert Kagan: stella di prima grandezza dei neocon j che ha spinto l’America alle guerre per Sion, fondatore del Project for a New American Century (il gruppo che previde la necessità di “una nuova Pearl Harbor” un anno prima dell’11 Settembre), il marito di Victoria Nuland (la finanziatrice del golpe di Kiev). Ora, su Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations, Kagan dedica un lungo articolo alla possibilità di una guerra europea.

“Torna la Questione Tedesca”

Lo sfilacciamento della UE, la crisi e la divisioni, l’allontanamento strategico dagli USA, dice, fa risorgere “La Questione Tedesca”. Ossia – secondo i canoni del balance of power britannico, “la nascita nel cuore dell’Europa di una nazione troppo grande, troppo popolosa, troppo ricca e troppo potente per essere efficacemente bilanciata dalle altre potenze europee, incluso il Regno Unito”. La Questione Tedesca ha prodotto le due guerre mondiali; gli americani, vincitori, hanno creato la NATO “per tenere l’Unione Sovietica fuori dall’Europa, gli americani dentro, e i tedeschi sotto”, come riconosceva lord Ismay, primo segretario dell’Alleanza. Anche la Comunità europea, spiega, è stata voluta dagli Usa per lo stesso motivo: “come diceva l’ambasciatore George Kennan, una qualche forma di unificazione europea era “l’unica soluzione concepibile per il problema della relazione della Germania con il resto dell’Europa”, e quell’unificazione poteva avvenire solo sotto l’ombrello di un impegno di sicurezza degli Stati Uniti”.

“La Germania democratica e amante della pace che tutti conoscono e amano, è cresciuta nelle particolari circostanze dell’ordine internazionale liberale dominato dagli Stati Uniti”, continua Kagan: ordine basato su quattro pilastri. “la garanzia di sicurezza degli Stati Uniti ai paesi europei”, che ha consentito il loro disarmo; “il regime internazionale di libero scambio”, “la ascesa democratica”, e “la soppressione di ogni nazionalismo”.

Oggi, la Germania è diventata “ancora una volta la forza dominante in Europa”, in senso economico. “L’Europa centrale è diventata la catena di sub-fornitura della Germania ed effettivamente parte della “economia tedesca dei vasti spazi”, una versione ventunesimo secolo della Mitteleuropa. Il resto dell’Europa è diventato il mercato di esportazione della Germania”.


Heiko Maas, ministro degli Esteri della Germania


Ma lo è ridiventata in una Europa, secondo Kagan, dove dalla Polonia all’Italia stanno dominando “nazionalisti e populisti” che scendono verso “l’illiberismo e l’autoritarismo”. La Francia europeista è indebolita all’interno. Poi c’è l’uscita della Gran Bretagna. “Nei prossimi anni, i tedeschi potrebbero ritrovarsi a vivere in un’Europa ampiamente rinazionalizzata, con partiti “sangue-e-suolo” a capo di tutte le maggiori potenze. Potrebbero i tedeschi in quelle circostanze resistere al ritorno a un nazionalismo proprio?”

Peggio ancora, Donald Trump incita gli europei a spendere di più per la loro difesa, lasciando intendere che “mamma America” è stufa di garantire la loro sicurezza; “Estremamente ostile all’UE, l’amministrazione Trump incoraggia la rinazionalizzazione dell’Europa, […] abbraccia Viktor Orban in Ungheria, Marine Le Pen in Francia a Matteo Salvini in Italia, Jaroslaw Kaczynski in Polonia”. E non basta:

“Oltre a incoraggiare il nazionalismo di destra e la dissoluzione delle istituzioni paneuropee, l’amministrazione Trump si è rivoltata contro il regime globale di libero scambio che sottende la stabilità politica europea e tedesca”. Insomma sta distruggendo i pilastri che tengono buona, democratica e pacifista la Germania.

“Immaginate quali gli effetti di una pressione e di un confronto ancora più grandi: una contrazione dell’economia tedesca e, con essa, il ritorno del nazionalismo risentito e dell’instabilità politica. Ora immaginate che la Grecia, l’Italia e altre deboli economie europee stiano vacillando e necessitino di ulteriori (sic) salvataggi tedeschi che potrebbero non essere dati. Il risultato sarebbe il riemergere del nazionalismo economico e delle aspre divisioni del passato”.

Insomma: “La Germania nella sua forma attuale è un prodotto dell’ordine mondiale liberale; è tempo di pensare a cosa potrebbe accadere quando quest’ordine sarà sgretolato”.

Così Kagan, mettendo insieme tutti gli incubi che hanno ossessionato l’ebraismo politico per due secoli, e rivelando i veri terrori storici di quel particolare establishment, che notoriamente soffre di “Stress Pre-Traumatico”, e che vede l’ordine che ha costruito in gran parte per neutralizzare la Germania, sta cadendo in pezzi.

Non importa commentare quanto sia errata la sua analisi; importa capire che questa è la loro percezione della deriva europea. La presenza accanto a Trump di personaggi come John Bolton e Armiage assicura che l’asse neocon è in grado di influenzare il presidente.

Bandiere di Germania, Russia e UE

Anche il balcone da cui Kagan parla ha un significato storico: il Council on Foreign Relations (dei Rockefeller) è il think-tank che convinse Roosevelt a far entrare gli Usa nella seconda guerra mondiale, altrimenti l’unione della potenza industriale tedesca con le risorse materiali ed umane di una Russia liberata dal sovietismo avrebbero creato un grande blocco autosufficiente, a cui le multinazionali Usa non avrebbero potuto più vendere nulla.

Questo Establishment sta elaborando progetti per riportare “sotto” la Germania. Magari – sta pensando – una guerra “atlantica” in Europa contro la Russia può servire allo scopo? Le provocazioni di Stoltenberg e della NATO che vuole l’Ucraina fra i suoi membri, servono a quello? Come le particolari alleanze coi paesi dell’ex Patto di Varsavia, che hanno conti storici da regolare con Mosca e sperano – contano – sul sostegno bellico americano per regolarli?

Istruttivo apprendere che hanno anche fatto un sondaggio molto vasto tra le popolazioni della NATO:

“In caso di attacco della Russia, quale paese della NATO non sareste disposti a difendere?”. Il risultato non piace affatto al capo della redazione europea di “Politico”.

Traduzione: "Scioccante. Dopo 70 anni sotto l’ombrello di sicurezza americano, la maggioranza dei tedeschi non avrebbe sostenuto la difesa degli Stati Uniti contro un attacco russo, secondo il sondaggio YouGov. Gli americani ancora pronti a proteggere la Germania, tuttavia".

Insomma i tedeschi non ne vogliono sapere di difendere gli Stati Uniti “aggrediti dalla Russia”. Con gran dispetto di costui. E nemmeno altri aggrediti, a quanto pare.

Allora si capisce meglio anche la strana profezia di Carlo Jean.

Di Maurizio Blondet
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Re: Russia, Europa, USA e Cina

Messaggioda Berto » mer apr 10, 2019 9:37 pm

???
La fine dell'Occidente: come l'immigrazione di massa uccide culture e identità
2018/07/30

https://oltrelalinea.news/2018/07/30/la ... VV2jB7jWPs

È stata dura, per me, lasciare il Partito Repubblicano, ma volevo tentare di costruire un partito che rappresentasse le mie vedute e i miei valori, perché sentivo che il Partito Repubblicano li rappresentava sempre meno. Tuttavia, alla fine della campagna elettorale del 2000, capii che il mio progetto non avrebbe avuto successo. Mentre la campagna elettorale andava avanti pensavo “non andrò granché, ma almeno raccoglierò qualche voto”. Temevo che sulla mia tomba avrebbero scritto: “Qui giace Pat Buchanan. Ha fatto eleggere Al Gore”.

Così ho iniziato a pregare: “Signore, non lasciare che scrivano questa cosa sulla mia tomba”. E sapete cosa accadde? Una voce uscì dalle nuvole e mi disse: “Patrick, dal momento che hai condotto una vita relativamente buona, ti farò un favore, solo per questa volta. Ti aiuterò a sconfiggere Al Gore e ad eleggere George W. Bush… sai quegli ebrei di Palm Beach County che ami così tanto? Tutti i sondaggi dicono che voteranno per Al Gore, ma in realtà voteranno te, e di conseguenza George Bush verrà eletto presidente”. Poi aggiunse: “Ma Patrick, se provi ancora a fare una cosa del genere, non ti aiuterò più”. E così, nel 2000, la mia avventura politica si è conclusa.

A quel punto, ho deciso che era giunto il tempo di dire tutta la verità sulla condizione del nostro paese e della civiltà occidentale. La tesi di “La morte dell’occidente” è semplicemente questa: l’occidente sta morendo. Non c’è un solo paese occidentale, un solo paese europeo, eccetto l’Albania musulmana, dove il tasso di nascite sia sufficiente per tenere il paese in vita. Entro la metà di questo secolo, la popolazione europea declinerà al punto che sarà come se tutti gli abitanti di Belgio, Olanda, Svezia, Danimarca, Norvegia e Germania messi insieme sparissero completamente. La popolazione europea crollerà di 128 milioni di abitanti.

L’età media, nell’Europa del 2050, sarà di 50 anni. Un decimo degli europei avrà più di ottant’anni. Mentre la popolazione invecchia e muore, il posto vuoto lasciato dai loro figli è riempito dall’immigrazione di massa proveniente dal nord Africa, dal Medio Oriente e dal sud dell’Africa. Perché l’Europa mantenga, nei prossimi cinquant’anni, lo stesso rapporto lavoratori-pensionati (5 a 1), è necessario che importi oltre un miliardo di immigrati – quanto la popolazione della Cina.


RUSSIA E TEXAS
La Russia aveva, due anni fa, 147 milioni di abitanti; ora ne ha 145 milioni. Entro metà secolo, ne avrà 114. Ho ottenuto le statistiche da Joe Chamie delle Nazioni Unite. Gli ho detto di calcolare la popolazione alla fine del secolo tenendo in considerazione l’attuale tasso di nascite. Secondo lui, la Russia nel 2100 avrà 80 milioni di abitanti. La Russia asiatica è grande quanto gli Stati Uniti, ma ha una popolazione di soli 10 milioni di abitanti. Stanno invecchiando e morendo. Quelle terre sono state sottratte alla Cina quando la Cina era debole. Quando io ero alla Casa Bianca sotto Nixon, nel 1969, c’erano scontri tra le truppe russe e cinesi lungo i fiumi Ussuri e Amur. L’area dove ora si trova Vladivostok fu presa alla Cina nel 1860. Quei russi stanno ormai invecchiando, e i cinesi si riprenderanno tutto. Come lo faranno? Non per forza militarmente. Lo faranno nello stesso modo in cui noi abbiamo preso il Texas.

Nel 1821, il governo messicano si è detto: “Abbiamo questa terra vuota su a nord, invitiamo gli americani”. Questi dovevano solo fare due cose: convertirsi al cattolicesimo e giurare fedeltà al Messico. Nel 1835 c’erano 3.000 messicani e 30.000 americani nel Texas. Così, quando il Generale Santa Anna prese il potere a Mexico City, gli americani hanno cacciato l’esercito messicano e dichiarato l’indipendenza. Ecco come abbiamo vinto contro il Messico. Ed è così che la Cina riprenderà la Russia orientale. A metà di questo secolo, gli abitanti dell’Alaska guarderanno oltre lo stretto di Bering e non vedranno dei vecchietti russi, ma dei giovani e prestanti pionieri cinesi.

Abbiamo 35 milioni di ispanici negli USA – il 13% di una popolazione enorme. Tra il 1950 e il 1960 erano l’uno per cento di una popolazione che era la metà di quella attuale. Quali sono le differenze tra l’attuale immigrazione negli Stati Uniti e quella presente al tempo dei nostri genitori? Primo: quasi tutti i nostri predecessori sono venuti qui legalmente. Mezzo milione di messicani entra negli Stati Uniti illegalmente ogni anno. Secondo: quando i nostri nonni sono arrivati, volevano essere americani, imparare la lingua, conoscere la storia, adottare gli eroi. I messicani che arrivano oggi sono persone che lavorano duro, ma sono fieramente messicani.

Non vogliono diventare americani. Mantengono la lingua spagnola, guardano la televisione in spagnolo, ascoltano la radio in spagnolo, fanno avanti e indietro tra gli USA e il Messico. Vogliono la doppia cittadinanza. Culturalmente e socialmente vogliono essere messicani, ed economicamente vogliono essere americani, per i nostri alti standard di vita. E’ così che nasce la balcanizzazione. Due culture, due lingue, come succede tra gli israeliani e i palestinesi. I nuovi immigrati provengono da paesi dove il multiculturalismo viene esaltato, vogliono mantenere la propria identità e le proprie preferenze etniche separate.

Una popolazione in crescita ed in espansione è il segno che una specie è in salute, proprio come una popolazione in calo e morente è il segno che una specie è in pericolo. Le persone di discendenza europea sono passate dal 25 al 16 per cento della popolazione mondiale, ed in ogni paese occidentale la popolazione autoctona sta morendo. Il trend è iniziato a metà degli anni ’60, quando il baby boom che era durato dal 1946 al 1964 stava ormai esaurendosi.

LA CONTROCULTURA E’ LA COLPEVOLE
Cos’è avvenuto negli anni sessanta? La controcultura. Una generazione si è ritrovata nei campus universitari nel 1964. Era l’anno di Mario Savio. Era l’inizio di una controcultura antiamericana, anticristiana e antioccidentale. Nel 1967, la celebre intellettuale Susan Sontag disse che “la razza bianca” era “il cancro della storia umana”. L’idea era che l’occidente non fosse solo una civiltà condannata, ma anche responsabile della schiavitù, dell’imperialismo, del colonialismo e del patriarcato – tutti i mali del mondo, con la benedizione della chiesa cristiana. Una controcultura tremendamente ostile sorse in antitesi alla cultura e alla civiltà occidentale. Affascinò gli intellettuali, ma non ottenne successo in politica.

Politicamente, ebbe successo il movimento conservatore. Dopo il 1964, Richard Nixon vinse le elezioni, e quel successo elettorale coinvolse 49 stati nel 1972. Dopo che questo movimento è caduto a pezzi, nel 1980 è arrivato Ronald Reagan, vincendo in 44 stati. Con la vittoria di Reagan, avevamo sconfitto il comunismo in Unione Sovietica. Ma anche se stavamo vincendo la Guerra Fredda, stavamo perdendo la guerra culturale in patria. Quello che era rappresentato da George McGovern (droga libera, amnistia, aborto) stava prevalendo tra i giovani. Questa controcultura è oggi dominante tra i media americani, Hollywood e televisione. Abbiamo tutta questa arte blasfema. Nelle scuole superiori danno i preservativi ai ragazzini. Se qualcosa del genere fosse successo negli anni ’50, sarebbero stati linciati, o messi in prigione.

Questa rivoluzione culturale, che ha mosso guerra contro la cultura tradizionale in America, ha trionfato tra le elite. Nè Reagan né Nixon potrebbero vincere in 49 stati oggi. Con questa cancerogena controcultura, la nazione e il popolo iniziano a morire. T.S. Eliot diceva che, quando la religione muore, la gente scopre che non c’è alcun motivo per vivere. Hilaire Belloc ha scritte “L’Europa è la Fede, e la Fede è l’Europa”. Il cristianesimo, fondamentalmente la religione dell’occidente, sta morendo in Europa. Negli USA ci sono diverse confessioni religiose: ebraismo ortodosso, mormonismo, battisti, evangelici, cattolici tradizionalisti. Ma, nel complesso, la fede è morta in un grande segmento della popolazione, ed è la stessa parte di popolazione che sta morendo.

Come risultato di ciò, sempre più donne hanno zero, uno, o al massimo due bambini. In molti paesi europei il tasso di nascite è di 1.1 bambini per donna. È solo la metà del tasso di nascita che servirebbe per tenere questi paesi in vita. Per la salvezza dell’occidente, per preservare la civiltà occidentale, serve un enorme cambiamento che va ben oltre la politica.

LA DIFESA DEI CONFINI
Nei prossimi cinquant’anni, il Terzo Mondo crescerà per l’equivalente di 30 o 40 Messico. Alla fine del secolo, i bianchi e gli europei saranno circa il tre per cento della popolazione mondiale. Questa è ciò che io chiamo la morte dell’occidente. Vedo nazioni morire. Vedo i popoli morire. Vedo la civiltà morire. È sotto attacco nei nostri stessi paesi, da parte del nostro stesso popolo. I discendenti di Mario Savio la stanno attaccando, e anche la gente che arriva dalla Cina e dal Messico. Cosa significa per loro “la migliore generazione”? Iwo Jima, Valley Forge, il discorso di Gettysburg, cosa significano per loro? Nei nostri college non si insegna la storia americana. In uno studio hanno fatto un test di storia a 550 tra i migliori laureati d’America.

Solo un quarto di loro sapeva che era il generale americano a Yorktown. Solo un terzo sapeva che la frase “of the people, by the people, for the people” proveniva dal discorso di Gettysburg. Tuttavia, il 99% era in grado di identificare Beavis and Butthead, e il 98% Snoop Dogg. Nessuno ha ancora sfatato questi numeri che ho fornito, in tutte le interviste che ho fatto. Non li ho inventati io. Il novanta per cento di questi provengono dalle Nazioni Unite, l’altro dieci per cento dal New York Times, che di certo non è un giornale pro-Buchanan.

Se necessario, bisogna dichiarare una moratoria su tutta l’immigrazione proveniente negli Stati Uniti. Si dovrà, se necessario, mettere le truppe americane ai confini per difenderli. Perché facciamo di tutto per difendere i confini di Kosovo, Kuwait e Corea del Sud, quando i confini degli Stati Uniti sono indifesi? La storia dovrebbe essere insegnata ai bambini fin dal primo giorno, dall’asilo all’università. Queste idee sono necessarie se vogliamo mantenere il nostro paese come lo conosciamo. Solzhenistsyn ha detto che Dio ha creato ogni nazione con un volto unico. Una nazione deve essere conservata. La grande battaglia che dobbiamo combattere è quella di preservare il carattere, l’identità, l’indipendenza e la sovranità degli Stati Uniti d’America.

(Pat Buchanan nel 2002 – Traduzione di Federico Bezzi)
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