Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 9:49 pm

Nell'Europa che favorisce l'auto-invasione islamica, la gente ha capito che dobbiamo difenderci da soli.
VITTORIO ZEDDA

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 54716986:0


L'attacco dei terroristi islamici al cuore dell'Europa, a Bruxelles, come a Parigi pochi mesi fa, dimostra chiaramente che i nostri governi non sanno difenderci, forse non possono o forse addirittura subiscono gli eventi per scopi certo non facilmente decifrabili. Il sospetto non è così campato in aria: anni di invasione agevolata, assistita e incentivata di finti profughi, di clandestini e di sedicenti rifugiati politici, mescolati a migliaia di autentici disperati, mentre il terrorismo islamista continua, anno dopo anno, a colpire ovunque e anche nei paesi "accoglienti"dell'Europa, ci fanno pensare o a sesquipedali incongruenze politiche, o forse a qualcosa di peggio.

Sembra quasi che i governi ci vogliano succubi di un incerto e pericolante progetto sovranazionale, cui sembrano asserviti, proni, forse venduti. Mentre la democrazia in Europa è ridotta ai minimi storici, i cittadini disorientati e avviliti non capiscono più dove i governi li vogliano condurre, e perché. Guardatevi attorno: non è mai stata così grande la distanza fra popoli e governi. La gente si sente insicura, minacciata nei beni, nel lavoro, nella convivenza sociale, nella salute, nella vita. Nessuno si sente più sicuro nemmeno in casa propria. E se va in piazza, al mercato o in metrò, spera in cuor suo di poter tornare a casa senza danni.

Una sola cosa comincia ad apparire chiara: la gente ha capito che si deve difendere da sola, da qualsiasi tipo di minaccia, anche se ancora non sa come. Come sempre, però, la necessità aguzza l'ingegno e fra non molto cominceremo ad accorgercene, credo. Si vive in una condizione di guerra diffusa, contro la delinquenza, contro una politica assurda e oppressiva, contro il terrorista "della porta accanto". Nessuno vorrebbe la guerra. Ma c'è. Anche la nostra Costituzione ammette che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Ma anche la legittima difesa della mia vecchia pellaccia consunta è un mio sacro dovere. La guerra ce la stanno facendo: o la subiamo da imbecilli o ci difendiamo. Sono certo che c'è gente d'ogni età, ovunque in Europa, che si sta organizzando, in proprio, non certo alla luce del sole, perché è evidente che non si può e non si può farlo sapere. Altri attendono, inerti, il destino.

Ma a molti non piace l'idea di veder le donne oggetto di molestie di massa o di essere fatti a pezzi dall'esplosione di un islamista kamikaze, o di essere decapitati, o sottomessi alla nuova barbarie che circola per l'Europa. Il governo minimizza. Dice: “Dobbiamo battere il terrorismo con la cultura”. Giusto: ma per portare avanti questa "battaglia" culturale dobbiamo essere vivi, meglio se sani e soprattutto liberi. Con la testa ben attaccata al resto del corpo. Far cultura da morti, o ridotti al rango di "sottomessi", penso sia disagevole, e di scarsissima efficacia.

Gli islamici non perdono tempo in chiacchiere e ammazzano. Non gli interessa morire: la loro è un'ideologia politico-religiosa di morte. Purtroppo si giovano della protezione e della connivenza delle comunità di appartenenza. Salah Adbelslam ha trovato per ben quattro mesi comodo rifugio nella grossa comunità magrebina di un popoloso sobborgo di Bruxelles, quasi una enclave islamica delle dimensione di una città.

Il mondo musulmano cosiddetto moderato è solo una speranza, con scarso fondamento. Se ci fosse si sarebbe fattivamente opposto, non a parole, al terrorismo stragista. Se ci fosse avrebbe "battuto un colpo" forte, chiaro, sincero ed efficace. Cionondimeno non voglio nemmeno escludere del tutto che da qualche parte esiste una pallida ed evanescente forma di islam moderato.

Ma stare ad aspettare che si materializzi ed agisca a nostra difesa, è perlomeno imprudente. Basta. Chi il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare. Ma chi ha cuore e intelletto, li usi. Soprattutto si ricordi che deve avere "la testa sulle spalle". E conservarla al suo posto. Aguzziamo l'ingegno. A buoni intenditori.




Il cancro del terrorismo islamico ce l’abbiamo in pancia, nel cuore, nel fegato, in ogni cellula del nostro corpo.
GRAZIA NONIS

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 3144720607

I suoi folli soldati sono penetrati ovunque, moltiplicandosi in tanti piccoli tumori che per troppo tempo abbiamo sottovalutato. Li si è curati con aspirina ed altre inefficaci cure omeopatiche, e fatto slittare, rimandandolo, l’intervento chirurgico indispensabile per poterli annientare. Siamo stati a guardare mentre crescevano, diventavano maligni, intoccabili. Abbiamo permesso loro di riunirsi in masse sempre più grandi senza ostacolarli, ed essi, al grido di “Allah Akbar”, hanno raggiunto tutti i punti vitali del nostro corpo. Zone in cui ora è pericoloso intervenire: le metastasi hanno eretto fortini inespugnabili.

I Professori accorsi al nostro capezzale ci invitano a sopportare il dolore, a non preoccuparci. Sordi alle nostre suppliche ed alle lacrime per i nostri morti, c’invitano ad essere forti. Stanno studiando una nuova cura, ma nel frattempo continuano imperterriti a propinarci la solita aspirina ed il solito placebo.
Non hanno capito che non ci si sottomette a questo tipo di cancro, non gli si concedono diritti, non lo si coccola, non lo si vizia. Non si scende a patti. Lo si combatte, lo si estirpa. Per poter continuare a vivere da uomini liberi.




Svegliamoci! Non diventano terroristi per disperazione, la radice del male è l’islam
GIANCARLO MATTA
https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 11418377:0

I musulmani (o islamici) non sono radicalizzati da povertà, ignoranza, ozio, discriminazione, razzismo (cosa c’entra il “razzismo” con l’islam?) o mancanza di integrazione. Come invece millantano i santoni / pagliacci del progressismo-multiculturalismo-relativismo autolesionista diffusi come le ortiche in tutti i Paesi dell’Occidente.
I musulmani (o islamici) sono radicalizzati dall’islam, niente altro. È nella loro natura.

E ribadisco: esistono soltanto DUE categorie di islamici:
gli “islamici-veri” = coloro che mettono in pratica le prescrizioni coraniche;
gli “islamici-falsi” = coloro che non mettono in pratica le prescrizioni coraniche.
Altre definizioni degli islamici sono solo manipolazione del linguaggio. Ricercare la verità dai fatti.

Ruhollah Mousavi-Khomeini era un insegnante e intellettuale-umanista di talento, formatosi sin da giovane età alla scuola coranica dei più dotti esegeti della corrente islamo-sciita iraniana;
Osama Bin Laden era un ricchissimo studente borghese, rampollo di una famiglia appartenente all’alta società ortodossa saudita, religiosamente devoto islamico;
Ayman al-Zawahiri è un medico e scrittore poliglotta, appartenente a nota famiglia dell’alta borghesia egiziana;
Abu Musab al-Zarqawi era di modesta famiglia giordana, lavorò nel commercio e fu un tenace autodidatta in letteratura islamica;
Abu Bakr al-Baghdadi è un laureato in legge islamica, specializzato in economia, nato in una famiglia irachena benestante.
[ Che ne dite? Hanno tutti quelli “frainteso” il Corano? E come si sono comportati? ]

Il che conferma la già dimostrata “eziologia” (origine) delle religioni / ideologie violente (o rivoluzionarie): esse nascono o per lo meno vengono accolte ed esaltate essenzialmente nella mente dei “borghesi” non già in quella dei “proletari”. Lo ripetiamo da tempo.
Lo conferma, tra gli altri, una ricerca di Marion van San, Senior Researcher presso RISBO, un istituto olandese indipendente di ricerca, attivo nel campo della formazione e della sociologia, affiliato alla Facoltà di Scienze Sociali presso l’Università Erasmus di Rotterdam e consulente, tra l’altro, della maledetta “u.e.” e di vari enti pubblici. E voi tromboni progressisti non potrete respingere quello che dice una esperta di Scienze Sociali pure consulente della “u.e.”, giusto?
Dal 2009, il suo gruppo ha condotto studi etnografici su famiglie di giovani immigrati. Secondo la ricerca, i giovani immigrati, di seconda e terza generazione, che lasciano i paesi europei per la Siria, non sono vittime di una società che non li accetta, e che non offre loro opportunità sufficienti.
Il contrario: più sono apparentemente “integrati” e concretamente benestanti, più diventano estremisti invasati. Andate a vedere cosa ha pubblicato RISBO sulla Rete Informatica.

L’islam-vero, e non sorprende, imita vagamente il percorso compiuto dal terrorismo “rosso” europeo del secolo scorso, ma con la variante (oltre ad essere esogeno, a differenza del comunismo, endogeno) che è più diffuso, più feroce, e colpisce alla cieca;
ma possiamo affrontarlo per eliminarlo anche con tre tattiche relativamente semplici:
- bloccando la ulteriore immigrazione di islamici;
- interdicendo la “islamizzazione” a casa nostra, cioè esigendo severamente dai musulmani già presenti (inclusi i “convertiti” nostrani, anzi, proprio loro sono particolarmente pericolosi siccome spesso animati dall’ulteriore mefitico “zelo del neofita”) il rispetto della nostra Legge, eliminando certi privilegi talvolta avventatamente già concessi loro, e tenendoli costantemente sotto controllo da parte delle Forze dell’Ordine;
- insegnando nelle scuole pubbliche le inconciliabili differenze tra la Società moderna e l’ “islam” (vero) pietrificato nella sua primitiva, oscena, aggressiva barbarie;

Pertanto, quelli che dicono “dobbiamo dargli la cittadinanza per non farli sentire esclusi, sennò si radicalizzano e ci sparano”, non solo sono eticamente turpi, sono anche praticamente idioti: questo, lungi dall’evitare che si “radicalizzino”, li incoraggerà e renderà loro ancora più facile colpirci.
Tra l’altro, ci sarà sempre più “Eurabia”, e sempre più dimostrazione dei danni sconvolgenti del folle istituto dello “Ius Soli”.
Recentemente, tra gli aspiranti terroristi bloccati in Turchia (e rispediti a “casa”) mentre stavano per raggiungere la Siria –per combattere con l’ISIS– anche un “britannico” studente di sociologia presso l’Università di Manchester, Waheed Ahmed, figlio ventiduenne di Shakil Ahmed, medico, assessore laburista intimo di Edward S. Miliband (un altro borghese, violinista, giornalista, e ovviamente “progressista”, alto esponente del partito laburista = partito notoriamente “de sinistra” alleato del PD in “u.e.”…guarda caso!) che rappresenta il Labour Party al Rochdale Borough Council.

Sono tra noi. Infiltrati nella società o, talvolta, da essa generati. E uno dei fatti assurdi è che invece di lasciarli partire (facendo sì che mai ritornino), li blocchino alle nostre frontiere: ma nella direzione di marcia sbagliata. Quando tornano, anziché respingerli revocando loro la cittadinanza causa “alto tradimento”, li accolgono. Dobbiamo caso mai interdire loro l’ingresso, o il ritorno. Non già l’uscita.

Sono proposte da “Stato di Polizia”? Può darsi. Tuttavia preferisco vivere in uno Stato con Forze dell’Ordine efficienti, severe, patriottiche, piuttosto che in uno Stato degenerato forse irreversibilmente nella barbarie islamica a-nazionale. E sarà meglio che in Italia i musulmani, comunque, mai vengano assunti tra i ranghi delle Forze dell’Ordine.
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 10:53 pm

L’ISIS e le centrali nucleari in Belgio
Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di un interessamento dello Stato Islamico verso il materiale nucleare in Belgio: ma al momento non sembrano esserci rischi concreti

http://www.ilpost.it/2016/03/26/central ... elgio-isis

Dopo gli attentati di Bruxelles, la stampa internazionale è tornata a parlare del pericolo che lo Stato Islamico possa colpire in qualche modo le centrali nucleari belghe e altri siti del Belgio che custodiscono materiale nucleare. Il tema non è nuovo e solo pochi giorni prima degli attentati era emersa una delle prime prove concrete di un interessamento dello Stato Islamico verso gli impianti nucleari belgi: il 18 marzo la polizia aveva detto di avere trovato nella casa di Mohammed Bakkali, arrestato nel corso delle indagini sugli attacchi di Parigi, un filmato girato di nascosto in cui era ripreso un funzionario belga del dipartimento che si occupa di energia nucleare. Oggi su diversi siti di news è stata ripresa la notizia dell’uccisione di una guardia di sicurezza che lavorava in un impianto nucleare, due giorni dopo gli attentati di Bruxelles: le autorità hanno comunque smentito che l’episodio sia legato al terrorismo e hanno smentito che all’uomo fosse stato rubato il badge, come scritto da alcuni giornali.

Secondo la polizia, il filmato è stato realizzato con una telecamera nascosta davanti all’abitazione del funzionario. La telecamera sarebbe stata sistemata e poi recuperata da Khalid e Ibrahim el Bakraoui, i due fratelli che si sono fatti esplodere negli attentati di Bruxelles (uno all’aeroporto e uno nella metropolitana). La loro intenzione sembra fosse quella di rapire il funzionario e costringerlo a portare fuori del materiale nucleare dal laboratorio nel quale lavorava. Si tratta di un piano che probabilmente sarebbe fallito, visto che non è facile portare all’esterno di un sito nucleare materiale radioattivo estremamente pericoloso che in molti casi è in grado di uccidere un essere umano in pochi secondi se non viene adeguatamente schermato.

Per queste ragioni gli esperti ritengono molto difficile che un gruppo terroristico entri in possesso del materiale e delle competenze necessarie a costruire una vera e propria bomba nucleare. Un’arma del genere richiede investimenti di milioni di euro e personale altamente specializzato. Un “bomba sporca”, cioè un ordigno convenzionale ricoperto di materiale radioattivo, è più semplice da costruire. Una bomba di questo tipo genera un’esplosione convenzionale, ma sparge materiale radioattivo in grado di contaminare un’area relativamente ampia. Le “bombe sporche” non sono necessariamente più letali di quelle convenzionali, ma comportano costi maggiori per effettuare le complesse procedure di decontaminazione e possono causare un effetto psicologico sulla popolazione molto significativo.

Un pericolo ancora più concreto è quello di un sabotaggio che colpisca una centrale nucleare. Il rischio non è tanto un incidente simile a quello di Chernobyl, ma piuttosto il rischio di causare un danno tale da costringere allo spegnimento della centrale. In Belgio le due centrali nucleari attive forniscono il 50 per cento del totale di energia utilizzato nel paese. Un incidente simile si è verificato nel 2014, quando un uomo non ancora identificato (probabilmente un dipendente) era entrato nella stanza del reattore numero 4 e, ruotando una valvola, aveva svuotato un serbatoio che conteneva olio lubrificante per le turbine. L’impianto si era surriscaldato costringendo i tecnici a spegnerlo immediatamente. La riparazione dei danni era durata cinque mesi. Secondo gli investigatori è probabile che il sabotaggio fosse stato compiuto da un dipendente scontento.

Ma c’è un dettaglio particolarmente inquietante che spinge la polizia a ipotizzare anche altre piste: nel 2012 due dei tecnici dell’impianto di Dol partirono per andare a combattere in Siria: dopo aver militato in alcune brigate jihadiste si arruolarono nello Stato Islamico. Uno è stato ucciso in combattimento, mentre un altro è tornato in Belgio dove è stato arrestato e rilasciato l’anno scorso. Nel passato ci sono stati altri incidenti meno gravi, come un attacco informatico nel 2015 e un furto nel laboratorio dove è ospitato il reattore per la ricerca di Mol (ma all’epoca non venne rubato materiale radioattivo).
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 11:28 pm

La verità su Molenbeek, città integralista costruita dai socialisti
EUROPA UE, NEWS domenica, 27, marzo, 2016
PHILIPPE-MOUREAUX
di Gerardo Antelmo

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8769484976

Il sindaco teneva comizi nelle moschee e consultava per la sua politica i capi islamici. Definiva nazista chiunque osava esprimere dubbi su quella politica. (come accade anche in Italia)
Venivano erogati sussidi alle associazioni musulmane, venivano forniti servizi alle scuole coraniche.
MOUREAUX di fatto "vietò" alle auto dei cristiani di circolare durante il ramadan.

In tanti pensano che Molenbeek sia una città che abbia subito la sfortunata casualità di essere scelto dagli immigrati con la vocazione al Jihadismo. POCHISSIMI sanno che invece quella città è stata costruita a tavolino in oltre 20 anni dal sindaco PHILIPPE MOUREAUX, figlio del ministro Moureaux. Egli 20 anni fa candidò nelle liste social comuniste esponenti musulmani in nome dell’integrazione perché interpreti del nuovo proletariato. L’obiettivo più nobile era la crescita del partito social comunista in città. Egli teneva i comizi nelle moschee e consultava per la sua politica i capi islamici. Egli con la sua politica dell’integrazione ha di fatto allevato i jihadisti e creato lo HUB europeo del fondamentalismo islamico. Egli definiva nazista chiunque osava esprimere dubbi su quella politica.

E oggi la quasi metà dei parlamentari socialisti del Belgio sono di origine straniera. Per questo probabilmente nessuno ha mai posto problemi per la concessione della cittadinanza agli immigrati; fu concesso loro il diritto di voto, venivano erogati sussidi alle associazioni musulmane, venivano forniti servizi alle scuole coraniche.

MOUREAUX di fatto “vietò” alle auto dei cristiani di circolare durante il ramadam. E di ristoranti aperti durante il ramadam neanche a parlarne….

La popolazione è cresciuta del 30% in 15 anni. E gli immigrati non sono più quelli di un tempo. Oggi le donne in buona parte indossano rigorosamente il velo. Un tempo erano immigrati in Belgio per lavoro….

DOPO PHILIPPE MOUREAUX MOLENBEEK È UNA CITTÀ INTEGRALISTA. COSTRUITA IN NOME DELL’INTEGRAZIONE.
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 8:28 pm

Il progetto di Abdeslam: far saltare in aria una chiesa

Angelo Scarano - Dom, 27/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pro ... 39830.html

Gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso e del 22 marzo a Bruxelles celavano i preparativi per "un grande botto" ad altissimo impatto mediatico.

Far saltare in aria una chiesa con i 15 chili di perossido di idrogeno (Tatp), l'esplosivo tanto pericolo quanto relativamente facile da produrre, ribattezzato "madre di satana", ritrovato nel covo dei terroristi di Zaventem. Un progetto allarmante. Tanto più che, a cinque giorni dagli attentati di Bruxelles,la polizia sta ancora cercando otto presunti complici della cellula jihadista. Sono tutti prevalentemente francesi e belgi. E sono a piede libero.

Secondo il francese Journal du Dimanche, che cita il legale di uno dei detenuti in Belgio per gli attacchi all'aeroporto di Zaventem e alla metro Maelbeck, la rete jihadista legata agli attacchi di Parigi e Bruxelles aveva pianificato di effettuare un attacco contro una chiesa. Un membro del commando avrebbe raccontato al legale che la cellula di Salah Abdeslam progettava "un grande colpo" contro "un tempio cristiano". C'è, quindi, da chiedersi se gli attacchi di martedì all'aeroporto internazionale "Zaventem" di Bruxelles e alla stazione della metro non siano "una versione alleggerita" dei piani della cellula di Salah, accelerati dall'arresto di quello che è ritenuto la mente logistica degli attacchi della capitale belga. Come ricorda anche il Journal du Dimanche, nell'appartamento dell'Argenteuil, sobborgo di Parigi, è stato trovato dell'esplosivo del tipo Tatp in quantità sufficiente da fabbricare diverse cinture esplosive. La casa apparteneva a un cittadino francese di 34 anni, Reda Kriket, condannato a Bruxelles l'anno scorso in contumacia a cinque anni di carcere dopo che era stato emesso un mandato d'arresto internazionale contro di lui nel 2014. "Kriker - spiega l'emittente i-Tele - era vicino alla presunta mente degli attacchi di Parigi, Abaaoud Abdelhamid, ucciso nel blitz di Saint Denis.

La polizia sta cercando i complici della cellula. Sarebbero in tutto otto, prevalentemente francesi e belgi. Complici che potrebbero essere già fuggiti in Siria, come si era detto di Salah Abdeslam ritrovato poi al 79 di rue de Qauttre Ventes nel cuore del suo quartiren natale di Molembeek a Bruxelles, o in Europa. Secondo la Welt am Sonntag, edizione domenicale del Die Welt, che cita fonti dei servizi di sicurezza tedeschi Bka, il terrorista ucciso per primo la scorso settimana nel quartiere Forest di Bruxelles, l'algerino Mohamed Belkaid, era la mente della cellula di Isis in Europa. Sarebbe stato quest'ultimo a dare l'ordine di agire a Najim Laachraoui, uno degli autori materiali delli"attentato di Bruxelles, quando del commando che ha agito il 13 novembre scorso a Parigi.
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » mar mar 29, 2016 4:40 am

Il divieto choc dei capi islamici: "Non pregate per vittime infedeli"
Il Consiglio esecutivo islamico vieta ai fedeli di pregare per le vittime delle stragi: "Gli infedeli non possono essere destinatari della preghiera del venerdì"
Sergio Rame - Lun, 28/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/div ... 39884.html

"Non pregate per i kafir (gli infedeli, ndr)". Nessuna pietà nemmeno se i kafir sono le vittime dei brutali attentati di Bruxelles.

I capi islamici del Belgio hanno intimato il niet a tutti i musulmani. E così venerdì scorso, a tre giorni dal barbaro massacro, nelle moschee non si è pregato per le anime innocenti che i jihadisti hanno spedito al creatore.

A parole i musulmani si schierano contro il fanatismo religioso, contro il terrorismo e contro il radicalismo. Poi, nei fatti, gli strizzano un occhio. Come racconta Avvenire, venerdì scorso il Consiglio esecutivo islamico di Bruxelles ha rifiutato di concedere agli imam "una preghiera congiunta per le vittime della strage" dal momento che le preghiere dei musulmani possono essere rivolte solo ai musulmani. "I kefir - hanno spiegato - non possono essere destinatari della preghiera del venerdì". "Non tutti i membri del Consiglio islamico di Bruxelles erano d'accordo - si legge su Avvenire - ma la maggioranza ha respinto la proposta". Respinto anche il minuto di silenzio da tenere in memoria delle vittime delle stragi.

L'episodio, però, non è isolato. Non a caso è saltata anche l'idea di leggere, durante la celebrazione della Giornata nazionale contro il terrorismo, una dichiarazione comune in tutte le moschee del Paese. Non solo. È stata pure rigettata la proposta di far recitare agli imam la sura Al Fatiha, il primo versetto del Corano che mostra pietà per il prossimo, per chi ha perso la vita negli attentati. Gli islamici sembrano, infatti, non sapere dove stia di casa la pietà.
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » mar mar 29, 2016 4:56 am

Ci odiano da un secolo e noi siamo rimasti a guardare
I jihadisti che stanno colpendo l'Europa non sono terroristi isolati, ma fanno parte di unico grande movimento islamico
Francesco Alberoni - Lun, 28/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 39708.html

Ancora qualcuno non ha capito che i jihadisti che stanno colpendo l'Europa non sono terroristi isolati, ma fanno parte di unico grande movimento islamico che va dalle Filippine all'Africa.Cent'anni fa gli europei erano padroni di quasi tutto il mondo, in particolare dell'ex impero ottomano, tagliuzzato in protettorati o occupato direttamente come in Libia e Algeria.

Parallelamente, per secoli i musulmani avevano dominato l'India, l'Indonesia, gran parte della Russia meridionale, tutto il Medio Oriente, un terzo dell'Africa e l'Europa fino a Vienna. La loro fede li aveva invitati a islamizzare l'Europa. Si sentivano invincibili, superiori ai cani infedeli e consideravano la loro sharia infinitamente superiore al diritto europeo. Per questo anche quando gli europei sono diventati i dominatori del mondo, loro non hanno mai accettato la civiltà occidentale: la subivano digrignando i denti.Poi un giorno si sono svegliati e, ricordando la loro gloria passata, è nato un movimento per tornare alle origini. Sono stati gli imam e gli intellettuali a mettere in moto il processo. L'integralista Arabia Saudita ha così riempito l' Europa di predicatori che hanno propagandato fra i giovani il compito di distruggere l'Occidente.

E poi hanno dato loro soldi e armi. Oggi costituiscono un vero e proprio esercito organizzato, del quale però gli europei e gli americani si sono accorti tardi, pensando in realtà di trovarsi di fronte a terroristi isolati. Ma quando Bin Laden ha fatto saltare le Torri gemelle, da tutto l'islam si è alzato un grido di esultanza, perché anche fra i musulmani moderati c'è ammirazione per i guerrieri di Allah. E quando gli americani, che non hanno mai capito cosa succedeva, hanno abbattuto i regimi laici, le bande jihadiste sono andate al potere con massacri paurosi. Poi si sono infiltrati dappertutto anche in Europa, protetti dalle nostre leggi liberali, mentre l'Ue imbelle non capiva e neppure creava un proprio esercito e un'unica polizia di frontiera.
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Re: Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa

Messaggioda Berto » mar apr 05, 2016 5:40 am

https://www.facebook.com/francesca.ughi.92?fref=nf

Solito articolino edulcorato che non evidenzia il perché solo gli appartenenti alla religione islamica sono inclini alla distruzione della società ospitante, se il loro numero glielo consente.

Molenbeek, nella tana dei terroristi - Panorama
Asmae Dachan
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 14/2016 di Panorama, in edicola giovedì 31 marzo 2016)

http://www.panorama.it/news/esteri/brux ... terroristi

Arrivo nella testa del serpente vestita alla mia maniera: foulard colorato intorno al capo, pantaloni neri e camicione. Ma qui piove e sono coperta da un impermeabile nero un po’ oversize.

Al collo ho sempre una cordicina su cui è attaccato il cellulare. Mi hanno insegnato a fare così, per non rischiare di restare senza.

Dove si è nascosto Salah
Quando parlo tutti capiscono che sono siriana: “Syria? Maskine”… poverina. E io capisco loro, sia che parlino arabo maghrebino o francese. Eccomi tra la gente di Molenbeek e di Schaerbeek, mentre in Italia si celebra la Pasqua, eccomi dove Salah Abdeslam e la cellula terroristica che a Bruxelles ha colpito aeroporto e metro si sono nascosti per mesi dopo la strage del Bataclan, a Parigi.

Orgogliosa del mio velo e del mio credo, sono qui per capire, ascoltare, parlare con la “mia gente”, che forse ha conosciuto gli attentatori, li ha cullati o sfiorati, e che oggi rischia di scontarne le colpe. Al primo tassista che incontro chiedo di portarmi a Molenbeek e lui, come se si sentisse coinvolto in un tragico tour dell’orrore, mi lascia in una strada anonima: “Ecco, quella è la casa dove si nascondeva Salah, il super ricercato” dice.

Scendo davanti a una saracinesca con scritte antiamericane: Ewled sharmuta, figli di…
Non vedo palazzoni squallidi dove, uno si immagina, si annida la criminalità, ma una casa dalla tipica architettura belga: piuttosto graziosa, tendine bianche alle finestre e nessun indizio che faccia pensare al covo di un terrorista.
Forse a spiazzare tutti è stata proprio la banalità di quel nascondiglio, nel quartiere dove è nato e vissuto e dove ancora vive la sua famiglia, che in tanti conoscono, ma di cui nessuno ha voglia di parlare. Di fronte alla scuola,a pochi passi da lì, guardo genitori che accompagnano i figli.

Piangere, il giorno degli attentati
Sono tutti di origine straniera. Fermo una mamma, Zahra, capelli lunghi legati in una coda che si bagnano sotto l’ombrello sgangherato.

Le chiedo qualche informazione sul quartiere. Mi dice che hanno ritmi arabi e che prima delle 10.30 quasi nessun negozio è aperto, specie di venerdì e domenica. Mi invita in una sala da caffè marocchina, ha voglia di parlare. Racconta che il giorno degli attentati si è barricata in casa con i figli e lì ha passato la giornata a piangere, scioccata dal fatto che i terroristi sono figli dello stesso quartiere dove lei sta allevando i suoi piccoli.

Dice di non conoscere la famiglia di Salah, ma un’amica che frequenta un centro antiviolenza le diceva che pochi giorni prima dell’arresto la madre di Abdeslam sarebbe andata a chiedere aiuto per sé e peri figli, giurando che loro non c’entravano con quei crimini, che erano solo vittime di una vendetta. Zahra non sa indicarmi con esattezza il centro, ma mi scrive su un fogliettoi nomi di due strutture che conosce, dove qualcuno potrebbe sapere.

La sua amica non è rintracciabile. Forse, mi dice, è volata in Marocco. Il proprietario del locale si mostra insofferente per quel lungo colloquio e a un certo punto ci chiede di uscire. Ha sentito i nostri discorsi e non vuole guai.

Prima di congedarsi, Zahra mi lascia un suo contatto e mi dà indicazioni su un paio di moschee dove poter ascoltare il sermone del venerdì, il primo dopo gli attentati.

Mi saluta confidandomi la sua paura: “Amo questo quartiere, ma sta diventando un ghetto e dopo quello che è successo chi abita qui viene guardato come un terrorista”. Quando la saluto, mi prega di non dare a nessuno il suo numero di telefono. “Rabbi aienek, che il Signore sia con te” si congeda.

Il centro antiviolenza
Mi dirigo verso il primo centro antiviolenza che mi ha indicato. Anche qui scritte in arabo e francese e ovunque adesivi con la scritta “I love Molenbeek”. Sono molto accoglienti, credono che abbia bisogno d’aiuto, ma quando comincio a fare domande sulla mamma di Salah si chiudono e mi dicono che la dirigente è malata. Dicono, comunque, di non conoscerla. Stessa musica anche nel secondo centro: pure qui la responsabile è in malattia.

Piove fitto. Entro da un fruttivendolo indaffarato a sistemare i pomodori freschi e le insalate che sta scaricando il suo aiutante.
È disponibile a parlare con me, mentre un cliente, appena nomino gli attentati, lascia la spesa e se ne va.
Ahmed è nato a Molenbeek e ci vive da cinquant’anni. Qui ha studiato, si è sposato e ha avuto un figlio. È un maestro e il venerdì mattina, il suo giorno di riposo, aiuta la famiglia nel negozio di suo padre che serve al dettaglio, ma anche all’ingrosso per ristoranti e piccoli supermercati gestiti da anziani belgi e fiamminghi.

Amo questo paese
“Quando andavo a scuola io, le classi erano miste e noi maghrebini eravamo pochi. Così ho avuto la possibilità di diventare belga facendo mia la cultura di questo Paese, imparando ad amarlo e ad amare la sua gente. Poi c’è stato il boom migratorio degli anni Ottanta e Novanta, quando servivano braccia e in Marocco c’era solo disoccupazione. È stato allora che quartieri come Molenbeek, all’epoca quasi disabitati nella parte bassa, sono stati rianimati proprio da noi immigrati. Però non c’è stato nessun processo di integrazione.
I figli dei migranti vanno sì nelle scuole belghe, ma in quelle per studenti di origine straniera. Insomma, hanno creato il ghetto. Così i ragazzi di oggi vivono sempre tra stranieri,a scuola e nei parchi parlano una lingua che è un ibrido tra arabo e francese e non hanno sviluppato il senso di appartenenza che avevano la mia generazione e quella di mio padre”.

Cittadini di Serie B
Ahmed pensa che in questo sentirsi cittadini di serie B bisognerebbe cercare la molla che spinge verso la criminalità.

“Non sono religiosi, non hanno mai pregato, per questo sparano e uccidono. Se non ci rendiamo conto che non è l’islam che li porta a delinquere, ma la droga e l’alcol in cui si buttano, non estirperemo mai le radici della loro violenza”.

Ahmed mi invita, con prudenza, a fare un giro di notte attorno alla stazione e alla metro per vedere gli spacciatori, tutti stranieri, che servono la clientela autoctona.

Mi suggerisce di entrare nei bar gestiti da immigrati dove si servono superalcolici e che sono frequentati da uomini tra i venti e i trent’anni, coetanei dei terroristi.

Chi non ha nulla da perdere
“Ascoltarli è sconvolgente, vai a sentire. C’è una generazione che crede di non avere nulla a che spartire con belgi o stranieri, che non ha nulla da perdere e per questo cede ai primi stimoli forti che incontra”. Poco prima di mezzogiorno arrivo alla moschea Al Khalil, dedicata al profeta Abramo. È un’ex fabbrica riconvertitaa luogo di preghiera, dignitosoe molto grande.

La moschea
Poche centinaia di metri più avanti, nella stessa via, c’è la casa dove è vissuto Salah.

Il custode mi chiede se voglio andare nel gineceo. Ma io sono lì per vedere l’imam. Alla spicciolata arrivano i colleghi dei grandi network internazionali. Su tutte le vetrate è affisso un duro comunicato che condanna il terrorismo e sconfessa gli autori degli attentati. Tutti, uomini e donne in spazi separati, pregano. Intanto l’imam Mohamed Tojgani legge versetti del Corano che promettono il castigo eterno a chi annienta vite innocenti. Esprime solidarietà alle vittime e annuncia che la comunità islamica sarà ai funerali e che dalla moschea partirà un corteo contro il terrorismo.

E Salah? Gli chiedo dopo. “Qui non si è mai presentato, né prima né dopo gli attentati. Se fosse venuto, wallah, giuro su Allah che lo avrei denunciato, perché questo ci insegna la fede, a denunciare chi commette crimini e punirlo per i suoi errori. Quel terrorista è stato descritto come uno che beve, che si droga. Che cosa ha a che spartire con la religione?
Dovrebbe cambiare nome: Salah significa “bene” e Abdessalam significa “adoratore di colui che è la pace” e lui non è nessuna delle due cose”.

E ancora: “I suoi complici, quelli che lo hanno armato e poi nascosto, devono pagare; non può pagare la comunità per loro. Le moschee educano al rispetto, alla legalità, alla fratellanza. L’islam è in Belgio dagli anni ’50, abbiamo ottimi rapporti con le autorità e la gente del posto. Non siamo predicatori di odio, ma seminatori di cultura. Però questi ragazzi non sono venuti dal nulla con la cultura dell’odio. Sono nati e vissuti qui, quindi bisogna indagare sulle ragioni del fallimento sociale e culturale che li ha fatti diventare terroristi”.

Forse noi musulmani non condanniamo abbastanza il terrorismo, dico. “Sono mujremin, criminali; noi siamo belgi, amiamo questo Paese che ci ha accolti e lo difendiamo con la vita. Siamo figli di una cultura della tolleranza e della convivenza che abbiamo ereditato dal Marocco, dove cristiani, ebrei e musulmani vivono in pace. Da religioso punto il dito contro chi sporca il nome di Allah e dell’islam per darsi una parvenza di credibilità”.

Una vittima, la maestra
In moschea, proprio in quegli attimi, arriva la conferma che una delle insegnanti della scuola del quartiere, Loubna Lafkiri, è stata identificata tra le vittime della metro. Lascia tre figli e centinaia di bambini della comunità a cui per anni ha insegnato ginnastica e nuoto. La descrivono come una donna solare, controcorrente, che aveva portato un vento di freschezza tra le donne islamiche.

Mariam, Maghnia, Jamila, alcune delle educatrici della moschea che stanno organizzando veglie per le vittime, sono sconvolte: “Se i terroristi fossero stati stranieri ci avrebbe fatto meno male. Questi sono figli che uccidono chi li ha accolti. Possibile che i genitori non si accorgano di nulla quando i loro ragazzi prendono brutte strade, che cosa pensano quando tornanoa casa pieni di soldio fanno viaggi sospetti?”.

Mi congedano in un delizioso francese: “Ci dispiace per il tuo popolo”.

Rispetto
Decido di infilarmi in uno dei bar di cui in tanti mi hanno parlato. È quasi il tramonto, nel quartiere vecchio che a quell’ora sembra un tradizionale suq in fermento.

Non è il Bronx che mi sarei aspettata, ma un’antica medina araba che araba però non è.

L’arabo e l’italiano
Morad e Yussef mi spiegano i linguaggi in codice che usano i veri uomini del quartiere. “Poche parole, gesti e sguardi bastano per avere rispetto”. I due ragazzi, 23 e 28 anni, sono un marocchino e un catanese. Ma Giuseppe, nel quartiere ormai arabizzato, per tutti è Yussef. “Negli anni dopo la guerra” racconta “a Molenbeek gli immigrati eravamo noi italiani, poi sono arrivati gli arabi.

La mentalità è simile. Siamo duri, con noi non bisogna discutere troppo”. Passo dall’arabo al francese all’italiano senza neanche accorgermene. Di cose da ascoltare in quel bar, dove non si può fumare, ma i giovani bevono come spugne, ce ne sono.

Dopo un’ora e mezza di chiacchierata loro stessi mi suggeriscono di uscire. Ovviamente nessuno dei due ha mai conosciuto i terroristi né ha nulla a che spartire con loro. Ma sanno di clienti che “frequentano i loro ambienti”e che non si fanno troppe remore a parlare pubblicamente di loro.

Hanno vissuto indisturbati qui vicino
“Hanno vissuto indisturbati a qualche decina di metri da qui” dice Morad “e anche se non fossero mai usciti di casa, qualcuno ha portato loro da mangiare, da bere, medicine e altro. È logico che abbiano una rete di coperture e che le famiglie sappiano”. Aggiunge Yussef: “Anche gli uomini di potere sanno, te lo dice un siciliano cresciuto in un quartiere governato dalla mafia. Questi sono protetti dalla politica e dai servizi segreti”.

Attorno al nostro tavolo si radunano diverse persone. Mi dicono di uscire tranquillamente e di non temere, perché garantiscono loro e nessuno toccherebbe una donna, specie se è “una sorella”. Sarà, ma l’aria si è fatta pesante ed è meglio mimetizzarsi tra la gente.

Poco più in là un macellaio, il primo civile “armato” che vedo, coi suoi coltelli ben affilati, mi dice che sono matta a fare domande sugli attentati e mi invita a lasciare subito il suo negozio.

Si ritira dietro al bancone, devo averlo spaventato. Davanti al negozio c’è un cliente che mi guarda in cagnesco e mi grida khaiba, cattiva.È meglio non restare troppo lì.

Il sarto
Non lontano c’è un sarto che ha la bottega vicino alla casa del fratello di Salah. Cuce abiti da cerimonia per donne marocchine. Il suo negozio, aperto negli anni 90, è un trionfo di colori, perline, pizzi e veli colorati con cui ha vestito spose maghrebin e, ma anche donne belghe innamorate dei colori del Nordafrica. Mi allunga uno sgabello: “ Tafaddali binti, accomodati figlia mia”.

Mi racconta che negli ultimi anni ha percepito un cambiamento radicale nel quartiere, dove si sono diffuse tra i giovanissimi violenza, droga e alcol.

Spesso è stato costretto a consegnare i suoi incassi a ragazzi armati di coltello. “Io sono un hajji, ho fatto il pellegrinaggio alla Mecca e anche se non ho studiato amo la mia religione. I criminali che vengono armatia derubarmi mi dicono, con l’alito che puzza di alcool, che così Allah mi proteggerà. Sono maledetti bugiardi, non devono pronunciare il nome di Allah per mascherare i loro crimini. Bruceranno al jahannam, all’inferno…”. Lui non conosce nessuno della famiglia di Salah, ma dice che trai ventenni e quarantenni della zona molti li conoscono.

I giovani verso la Siria e l’Iraq
Da Molenbeek e da altri quartieri, racconta Abu Ilyas, un anziano maghrebino che trovo seduto mentre dà da mangiare ai piccioni, negli ultimi tre anni sono partiti tanti giovani per la Siria e l’Iraq.

“Non sanno nulla di quei Paesi, di che cosa stia davvero accadendo, ma arruolarsi li fa sentire parte di un progetto di lotta per valori comuni. Così si lasciano stregare e si vendono. Sì, perché quelli che li adescano li pagano e loro sono nell’età più vulnerabile”.

Tira fuori un fazzoletto dalla tasca e si asciuga le lacrime. A testa bassa mi racconta che due dei suoi nipoti sono partiti. Uno, 18 anni, è morto in Siria; dell’altro, 29, non ha più notizie.

“Noi li abbiamo cresciuti in famiglie modeste, ma timorate di Dio. Quando siamo andati via dall’Algeria ci siamo lasciati alle spalle decenni di morte e violenza. Volevamo per loro la pace e un futuro felice. E invece… Sono decine i ragazzi partiti e per le loro famiglie sarebbe meglio se fossero morti”.

I terroristi nascosti
A Schaerbeek l’autista mi lascia davanti alla casa dove si sono nascosti per lungo tempo i due kamikaze, i fratelli Khalid e Ibrahim El Bakroaoui. Anche questa sembra una palazzina insospettabile, elegante, in un quartiere residenziale.

C’è una signora piuttosto attempata che pulisce i vetri in uno degli appartamenti al piano terra. Le faccio cenno che vorrei parlarle, ma scuote la testa e chiude subito le tendine. Questa è la zona medio-borghese e, risalendo dalla Gare de Schaerbeek verso il centro, si attraversa la parte più nobilee benestante.

Nella zona araba del quartiere, non vicinissima, incontro Abdul, 25 anni, che si lascia avvicinare e mi dirotta in una caffetteria. Anche lui mi chiede che cosa ci faccia lì una siriana da sola.

Si fanno chiamare imam
Poi comincia a raccontare. Di coetanei che ha conosciuto, che avevano un lavoro dignitoso, alcuni anche laureati, e che hanno cominciato a cambiare frequentando strani giri.

Ed ecco il suo racconto: “Non è gente da moschee questa. Vanno a donne e gestiscono giri di droga in tutto il Belgio, però si fanno vedere in pubblico con uomini barbuti che si fanno chiamare imam e che si ergono a guide spirituali. Per un periodo ho seguito le loro lezioni. Oltre a istruzioni sul look da tenere, barba lunga e pantaloni sopra il malleolo, ci facevano sentire che tutto era haram, peccato. Non solo le sigarette e la musica da discoteca, ma anche avere amici occidentali, pagare le tasse ai non musulmani, fare il servizio militare in un corpo non islamico. Ma quel che è peggio, ci raccontavano che tutti ci odiavano. Così anch’io cominciavo a sentirmi ostile verso i non arabi e i non musulmani. Ci facevano vedere immagini dei nostri fratelli ad Abu Ghraib e Guantanamo e ci dicevano delle donne musulmane stuprate dagli occidentali in Iraq e Afghanistan. Ho persino pensato di diventare kamikaze. Poi però ho aperto gli occhi. Quegli stessi predicatori usano droghe e vanno con donne che pagano. Bevono e sono loro che gestiscono il business. Che cosa c’entra tutto questo con la religione? Davvero non me lo spiegavo più. Ho rinunciato ai soldi che mi davano e, con non pochi problemi, mi sono allontanato”.

Gli chiedo se ha mai denunciato. Abdul risponde di sì e di essere stato anche minacciato per questo, ma non so se è la verità. In un altro bar il titolare mi dice che è disarmato e che ha paura. Sa che il suo locale è frequentato da malavitosi, ma non può farci nulla e se chiude non sa di che campare.

Mi dà la chiave del bagno, al piano inferiore, anche se non gliel’ho chiesta. Mi dice di osservare senza farmi notare le persone sedute ai tavoli nel seminterrato. Uomini che fumano, che cosa non lo so, ma è qualcosa che puzza. Bevono e discutono animatamente in una lingua che è un misto tra berbero e francese.

Mi notano, faccio finta di usare la toilette, ma non mi sento tranquilla e risalgo. Il barista dice che qualche volta la polizia entra, arresta, placa risse. Ammette di pagare una sorta di pizzo per lavorare tranquillo.

Freddo nel cuore
Poi chiama per me un taxi. “Ma’a salamah, vai in pace” mi dice. Vado, vado, ma ho freddo nel cuore.
Lascio Schaerbeek quando ormai è notte, con la sensazione che non è solo nel buio che i terroristi si muovono. Rivedo tutti i volti delle persone con cui ho parlato, ho letto dolore e sincerità negli occhi di alcuni, troppa doppiezza nello sguardo di altri.

Alcuni non sanno davvero come riprendere le loro vite, altri forse conoscono molto più di quello che hanno detto, e non sempre sono stati sinceri. Ho parlato arabo in questi giorni, mi hanno chiamata sorella, figlia, ma non mi sono sentita a casa. Si è come sospesi in un limbo senza identità e senza futuro.
Mi domando: vivrei qui con i miei figli? No che non ci vivrei.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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