Tore de BabelNon nel nome di Diohttp://www.giuntina.it/Schulim_Vogelman ... o_682.html Jonathan Sacks
https://it.wikipedia.org/wiki/Jonathan_Sacks Jonathan Henry Sacks (Londra, 8 marzo 1948) è un rabbino britannico, considerato la massima autorità spirituale e morale ebraica ortodossa in Gran Bretagna, col titolo di Chief Rabbi of Great Britain and the Commonwealth of Nations ("Rabbino capo della Gran Bretagna e del Commonwealth delle nazioni") dalla sua nomina nel 1991 fino alla conclusione del suo mandato nel 2013. Creato Sir dalla Regina Elisabetta II nel 2005 per servizi resi alla Comunità e alle relazioni inter-religiose e nel 2009 nominato Lord Barone con un seggio a vita nella Camera dei Lord.

Capitolo 11
L’universalità della giustizia, la particolarità dell’amore
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Il tema di questo capitolo è che la Bibbia affronta questa questione in modo diretto e assai originale. Lo fa in Genesi 6, 11, con due famose storie: il Diluvio e la Torre di Babele.
La Bibbia è chiara riguardo alle mancanze della generazione del Diluvio. Gli uomini erano malvagi, violenti, e «ogni inclinazione dei pensieri del loro cuore era sempre e soltanto male» (Gn 6, 5). Questo è il linguaggio di un fallimento morale sistemico.
L’atmosfera all’inizio della storia di Babele sembra, per contrasto, quasi idillica. «Tutta la terra aveva una lingua unica e le stesse espressioni» (Gn 11, 1). Sembra prevalere l’unità. I costruttori sono intenti a costruire, non a distruggere. Non è affatto chiaro quale fosse il loro peccato. Tuttavia, dal punto di vista della Bibbia, Babele rappresenta un altro cambiamento gravemente sbagliato, perché subito dopo Dio invita Abramo a iniziare un capitolo totalmente nuovo nella storia religiosa dell’umanità.
In realtà, le storie del Diluvio e di Babele sono descrizioni esattamente combacianti con le due grandi alternative: l’identità senza l’universalità, e l’universalità senza l’identità. Il migliore resoconto del Diluvio, per quanto non si riferisca esplicitamente ad esso, fu opera dell’uomo che pose le fondamenta della moderna politica, Thomas Hobbes, nel suo classico Leviatano (1651). Prima che ci fossero le istituzioni politiche, diceva Hobbes, gli esseri umani erano in uno «stato di natura». Erano individui o piccoli gruppi. In mancanza di un governante stabile, di un governo effettivo e di leggi applicabili, le persone erano in uno stato permanente di violento caos – «una guerra di ogni uomo contro ogni uomo» – mentre si disputavano le scarse risorse. C’era «la paura continua, e il pericolo di morte violenta». Che è precisamente la descrizione della Bibbia della vita prima del Diluvio. Quando non c’è il dominio generale della legalità il mondo è colmo di violenza.
La storia di Babele analizza la realtà opposta. È stata di solito equivocata. L’interpretazione tradizionale è quella di un racconto eziologico che spiega come l’umanità, che originariamente aveva «una lingua unica e le stesse espressioni», sia arrivata al punto di essere divisa in molte lingue. Questa lettura è plausibile ma errata. La ragione è che il capitolo precedente, Genesi 10, ha già descritto la divisione dell’umanità in settanta nazioni, «aventi ciascuna la propria lingua» (Gn 10, 5). Il solo modo in cui la lettura convenzionale ha un senso è se Genesi 10 e Genesi 11 non sono in una sequenza cronologica corretta.2 Non c’è tuttavia alcuna ragione di supporlo.
Al contrario, l’unità della lingua all’inizio del capitolo 11 non era naturale ma imposta. Essa descrive la consuetudine dei primi imperi del mondo. Abbiamo la prova storica, che risale ai neo-assiri, che i conquistatori imponevano la loro lingua ai popoli sconfitti. Un’iscrizione del tempo riporta che Assurbanipal II «fece sì che tutti i popoli parlassero una sola lingua». Un’iscrizione su base cilindrica di Sargon II dice: «Popolazioni dei quattro quarti del mondo con lingue strane e parlata incompatibile … che io ho preso come bottino di guerra all’ordine di Ashur mio signore con la forza del mio scettro, ho indotto ad accettare una singola voce».3 I neo-assiri affermarono la loro supremazia insistendo sul fatto che la loro lingua era l’unica da usarsi da parte delle nazioni e delle popolazioni che avevano sconfitto. Babele è una critica dell’imperialismo.
C’è perfino una sottile allusione a ciò nel parallelismo del linguaggio tra i costruttori di Babele e il Faraone che rese schiavi i figli d’Israele. A Babele dicevano «Orsù [havà] costruiamo noi stessi una città e una torre … affinché [pen] non siamo dispersi su tutta la faccia della terra» (Gn 11, 4). In Egitto il Faraone diceva: «Orsù [havà] trattiamo saggiamente con loro, affinché [pen] non crescano di numero» (Es 1, 10). Queste sono le sole occasioni in cui nella Bibbia ebraica appare la locuzione «Orsù, facciamo/trattiamo… affinché non». Il collegamento è troppo evidente per essere accidentale. Babele, come l’Egitto, rappresenta un impero che sottomette intere popolazioni al prezzo delle loro distinte identità e libertà. Se il Diluvio riguarda la libertà senza ordine, Babele e l’Egitto riguardano l’ordine senza la libertà.
Il racconto della Bibbia ci sta dicendo questo: Genesi 10 descrive la divisione dell’umanità in settanta nazioni ed altrettante lingue. Genesi 11 ci narra come una potenza imperiale conquistava le nazioni più piccole, imponendo loro la sua lingua e la sua cultura, contravvenendo così direttamente al desiderio di Dio che gli uomini debbano rispettare l’integrità di ciascuna nazione e di ciascun individuo. Quando, al termine della storia di Babele, Dio «confuse le lingue» dei costruttori, non sta creando un nuovo stato delle cose ma ripristinando il vecchio.
Interpretati così, i racconti del Diluvio e della Torre di Babele non sono semplici narrazioni storiche. Insieme costituiscono una dichiarazione filosofica sull’identità e la violenza. Il Diluvio è ciò che accade quando ci siamo Noi e Loro e nessuna legge generale a mantenere la pace. Il risultato è l’anarchia e la violenza. Babele è ciò che accade quando le persone cercano d’imporre un ordine universale, obbligando Loro a diventare Noi. Il risultato è l’imperialismo e la perdita della libertà. Ricordate le parole di Samuel Huntington nell’intestazione di questo capitolo: «la fede occidentale nella validità universale della propria cultura ha tre difetti: è falsa; è immorale; è pericolosa […] L’imperialismo è l’inevitabile corollario dell’universalismo». Quando una singola cultura viene imposta a tutti, sopprimendo la diversità di lingue e tradizioni, questo è un attacco alle nostre differenze donateci da Dio. Come dice il Corano (49, 13): «O umanità! Ti abbiamo creata da una singola (coppia) di un maschio e di una femmina, e fatta diventare nazioni e tribù, così che possiate conoscervi reciprocamente (e non disprezzarvi reciprocamente)».
Così il Diluvio e la Torre di Babele insieme definiscono il dilemma umano fondamentale. Siamo diversi. Siamo tribali. E le tribù si scontrano. Il risultato è la violenza che, nel Diluvio, ha quasi distrutto l’umanità. Ma eliminate la differenza imponendo una singola cultura, religiosa o secolare, a tutti, e il risultato è la tirannia e l’oppressione. La Bibbia ebraica costituisce un tentativo, unico, di risolvere il dilemma mostrando come l’unità di Dio può coesistere con la diversità dell’umanità.
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