Pol, li 4 Pol de l’Adexe e Połexeła de Valpołexeła

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Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 6:13 pm

Pol, li 4 Pol de l’Adexe (??? = i 4 pasaj o łe traganse/traghetanse so l'Adexe a nord-owest de Verona so pontoni o xatare o traghi o barke o barconi o bàte/batełe parà vanti co łi pałi o perteghe).

viewtopic.php?f=45&t=981

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1xRFE/edit


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... rona-c.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... antina.jpg
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Re: Pol e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 6:13 pm

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Re: Pol e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » mer lug 09, 2014 7:04 pm

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Re: Pol de l’Adexe e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » ven lug 18, 2014 8:38 am

El tragheto de Leonardo

http://it.wikipedia.org/wiki/Traghetto_di_Leonardo

Il Traghetto di Leonardo è un particolare tipo di traghetto a mano che prende il nome dal suo presunto inventore, Leonardo da Vinci. L'unico esemplare tuttora funzionante unisce i moli di Imbersago (Lecco) e Villa d'Adda (Bergamo).
Nonostante il nome, non v'è certezza che Leonardo sia il reale inventore, di sicuro si sa che studiò a lungo il progetto nel periodo che passò a lavorare per Ludovico il Moro, signore di Milano.
In seguito ai suoi studi disegnò un traghetto uguale in tutto e per tutto a quello esistente tuttora ad Imbersago. Gli studi vennero effettuati dall'inventore durante il proprio soggiorno a Vaprio d'Adda sotto al Girolamo Melzi, negli anni 1506-1507; il disegno che ne risultò, datato 1513, è stato incluso nel Codice Windsor e viene conservato nell'omonimo castello in Inghilterra. Il famoso disegno del "porto della Canonica di Vaprio" raffigura il traghetto (detto "porto") vincolato ad una fune, modello comune a tutto il corso del fiume.

Immagine
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... ghetto.jpg

http://www.bibliotecarivolta.it/wp-cont ... MBARDI.pdf
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Re: Pol, li 4 Pol de l’Adexe e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » dom mag 29, 2016 7:52 pm

I passaggi del Tagliamento. Storia di guadi, traghetti e ponti attraverso i secoli e il turbine di due guerre mondiali

http://www.labassa.org/it/pub027.html
http://www.labassa.org/images/pub027.jpeg

Il volume contiene saggi di: Dario Avon Claudio e Daniele Bisaro, Danilo Bressan, Alberta Maria Bulfon, Benvenuto Castellarin, Gaetano Cola, Severino Danelon, Emanuele Fabris, Enrico Fantin, Pietro Gerometta, Franco Gover, Anna Lenisa, Ivan Trevisan, Luigi Lucchini, Enrico Marquardi, Marco Patat, Roberto Tirelli, Paolo Strazzolini, Claudio Zanier.

“Il Tagliamento, come ogni fiume, ha una storia segreta. Tutti i rivi rampollano, scorrono, crescono, combinano qualche guaio, si lasciano addomesticare per argini e per canali da quelle indaffarate e mai contente formiche che si chiamano uomini e infine restituiscono le proprie gocciole al mare che già le sparse con nubi e pioggia a capriccio. Ma ciascun’acqua ha una propria avventura: il suo dilavare muta per velocità, per sobbalzi per battiture contro anse di pietra viva che, di secolo in secolo, cedono buccia a buccia la propria fermezza al labile gioco di un’onda breve”.

Così iniziava il suo racconto della “Lunga avventura del maggiore fiume friulano” Nicolò Nemi aprendo la serie di articoli che Iulia Gens, la prestigiosa rivista edita nei primi anni Sessanta dalla Provincia di Udine, aveva dedicato ai fiumi friulani. E continuava: “Il maggior fiume friulano ha un itinerario tutto particolare, che lo fa vecchio quando ancora è in montagna, che lo rallenta nelle solennità dei ghiaieti ancor sotto l’odor forte delle resine, ancora in vista del biancore delle stelle alpine al sole sopra gli alti dirupi”.

La sorgente del Tagliamento è ai piedi del Cridola sotto il passo della Mauria nella conca alpestre di Forni di Sopra: “uno zampilletto tra i sassi in declivio, l’odore amaro delle fioriture selvagge della montagna sui mille metri” e, annota il Nemi, “questa poca acqua non sa d’avere già un nome, e nemmeno sospetta del suo destino, che ha il significato d’una corsa di centosettanta chilometri prima di placarsi entro il mare, fra Lignano e Bibione”.

“Se basassimo la nostra conoscenza del Tagliamento sulla sola consultazione delle carte topograficbe, osserva Antonio De Cillia nel suo libro “I fiumi del Friuli” che è il più recente e più documentato studio dell’idrologia regionale degli ultimi decenni, prenderemmo un abbaglio madornale. Infatti, nella carta al 100.000 la maestosa parte inferiore del nostro fiume è ridotta ad un semplice tratto azzurro lungo un millimetro mentre a monte di Madrisio e fino a Pinzano si presenta alla nostra ammirazione, entro un nastro largo anche due centimetri, un fantastico groviglio di meandri azzurri”.

Fiume “misterioso”, il Tagliamento. Nel bacino di duemilaseicento chilometri quadrati, la sua vocazione torrentizia alla sorgente, si stempera mentre scende a valle e i suoi meandri azzurri diventano tumultuosi vortici di acque devastanti quando i ricorrenti periodi delle grandi piogge trasformano il suo bacino in un grande impluvio che a valle diventa un incontrollabile corso che gli argini non riescono a contenere. È, allora, che prende significato la definizione che gli antichi davano al Tagliamento, fiume “rapax e ferox”. Una contrastante immagine, poetica e al tempo stesso drammatica, che emerge dalle pagine di questo libro curato da Enrico Fantin, Paolo Strazzolini e Roberto Tirelli, che, con l’apporto di sedici autori con esperienze di studio diverse, fa la storia e rievoca le leggende di “guadi, traghetti e ponti attraverso i secoli e il turbine di due guerre mondiali”.

L’originalità del tema, infatti, non deve trarre in inganno. In queste pagine costituiscono argomento di vivo interesse i passi ed i traghetti, in una ricchissima aneddotica dove sono attori “clarissime signore“ e “degnissimi signori” che, alla fine di una impari contrattazione con i barcaioli stipulano “ordini e capitoli di pagamenti” dal “nodaro” “in nome dell’eterno Dio” come si legge in una gustosa nota di Benvenuto Castellarin nel capitolo dedicato al tratto terminale del fiume da Varmo alla foce, “traghettato con due burchielle assieme aggiunte e col capo dalla riva di Porto Latisana all’altra riva di San Michele”. “Marinai di fiume” vengono definiti i barcaioli, nel capitolo che ricorda i traghetti del Sanvitese: “abili non solo a intuire le giuste traiettorie e a vincere, con la vigoria dei muscoli e il bagaglio dell’esperienza, le insidie di un fiume mai da sottovalutare soprattutto durante le montane, ma anche a gestire, nei secoli d’oro tra Quattrocento e Settecento, un discreto giro d’affari” E maestri in tal senso, furono quelli di Rosa nel Sanvitese, che avevano la buona ventura di servire un passo per cui, ricorda nella rievocazione, “tragitta la maggior parte del Friuli”.

L’importanza del traghetto dipendeva dalle condizioni delle strade che al tempo collegavano male, o non collegavano affatto, paesi e contrade al di qua e al di là del fiume. Il traffico che oggi viene definito “pesante” si svolgeva possibilmente per via d’acqua, poiché il traino animale era utilizzato soltanto sulle piccole distanze. E dei traghetti ci si serviva per trasportare, oltre alle persone, anche gli asini che andavano al molino, cavalli a nolo, stare di frumento e orce di vino, carri e carrette con carico e senza carico. Sulle zattere i “zatars” guidavano, utilizzando due remi, le zattere sul cui telaio c’era il carico di tavole e tronchi di legno. Le zates fluitavano avventurosamente dalla Carnia verso il mare, lungo la corrente che scendeva abbondante e tumultuosa dalla montagna fino alla gola di Pinzano e che proseguiva lenta e tranquilla quando giungeva alla pianura. Sappiamo che Latisana si ridurrà ben presto a “porto delle zattere”, declassato dalla Serenissima che preferiva l’approdo di Portogruaro, a causa degli “scanni di sabbia” che, formandosi sul basso corso del Tagliamento, provocavano la parziale ostruzione della sua foce. Venezia era particolarmente attenta alla salvaguardia degli equilibri lagunari e a questo proposito ricordo che, nel 1505, il Consiglio dei Dieci aveva istituito il Consiglio delle Acque il quale si serviva del “Proto alle fiumane”, detto anche Proto ingegnere per controllare la velocità delle acque defluenti nella laguna e verificare lo stato degli argini dei fiumi “nella misura sufficiente a resistere alle piene, sorvegliando i relativi lavori”. E ci sembra interessante ricordare, perché di grande attualità ai nostri giorni in cui ci si preoccupa della difesa dell’ambiente, che il Consiglio delle Acque aveva dato incarico ai Soprastanti ai fanghi, di controllare che i fanghi non venissero trasportati e dispersi nella laguna e nei canali.

Su tutta l’asta del fiume, per ogni trasporto di persone, di animali e merci vigeva un prezziario del pedaggio da pagare, più salato se il traghetto era “ad acqua granda”, più modesto se i sandali, le tartane, le chiatte triangolari a fondo piatto, le zattere ed altri tipi di barche dovevano attraversare A fiume “ad acqua picciola”. I barcaioli guardavano perciò con interesse il livello delle acque ma con il timore che il passo da traghettare andasse in secca. Il che doveva accadere abbastanza spesso se Franz Kafka definì il Tagliamento “fiume che si può dire inesistente”.

L’aneddotica diventa storia quando le cronache narrano di traghetti su cui salivano uomini potenti e illustri con i loto seguiti. Sono personaggi che ritroviamo nei ricordi dei nostri studi e che hanno fatto vivere, con la nostra fantasia giovanile, miti e leggende. Questo libro ci racconta che hanno traghettato il fiume a Spilimbergo re Ludovico d’Ungheria nel 1356 e re Sigismondo di Boemia nel 1413. Carlo V attraversò il Tagliamento su un ponte provvisorio nel 1532. E forse soltanto leggenda la fuga precipitosa dalla Terra di Tisana di papa Gregorio XII, deposto dai cardinali riuniti in conclave a Pisa A 5 giugno 1409. È invece storico il transito al guado di Valvasone di Pio VI che si recava a Vienna il 13 marzo 1782.

Il 16 marzo 1797 a Valvasone non c’era ancora il ponte di legno. La giornata era greve di pioggia e ventosa. Napoleone con i suoi soldati, in marcia verso le “grave”, fu perciò costretto ad utilizzare il guado per attraversare il fiume perché il ponte in abete, lungo 1089 metri su 176 piloni, venne costruito otto anni dopo dagli austriaci su progetto dell’ingegnere Francesco Schiavi, non nuovo a questo genere di opere avendo progettato in quegli anni anche i ponti di Ampezzo e di Venzone. La storia di questo ponte è di grande interesse perché pochi mesi dopo il manufatto venne danneggiato dagli austriaci in ritirata, costringendo i francesi a ricostruirlo per permettere il transito della loro fanteria. E Napoleone, diretto a Palmanova nel dicembre del 1807, potè transitarvi in carrozza ad otto cavalli, seguito dalle carrozze che trasportavano il viceré Eugenio e il maresciallo Murat.

Erano i tempi in cui nel Friuli scorrazzavano miliziani turchi, ussari e ulani, granatieri e dragoni. Ma c’erano anche damigelle e matrone che, nei viaggi di trasferimento da una riva all’altra, temevano di bagnare i loro calzari nelle acque del fiume. Nel libro si cita la regina Bona, figlia di Galeazzo Sforza duca di Milano e madre del re Sigismondo di Polonia, che nel 1556 si servì del guado con il seguito di quattrocento persone. Più fortunata fu invece, ventisei anni dopo, l’imperatrice Maria d’Austria, figlia di Carlo V, che attraversò il Tagliamento a Spilimbergo su un ponte provvisorio decorato con festoni floreali.

Il declino dei passi a barca cominciò nei primi anni dell’Ottocento. Nel 1865, alla vigilia dell’unione del Friuli all’Italia, si contavano lungo l’asta del Tagliamento, da Braulin a Cesariol, soltanto nove passi con ventisette barcaioli. Nel 1831 anche i passi di Rosa è di Biauzzo avevano cessato la loro attività, “essendo stata fatale la concorrenza del ponte della Delizia”.

I ponti sulle barche, quelli in legno, in muratura ad arco, in calcestruzzo e in ferro (risale al 1864 il progetto del primo ponte sulla linea ferroviaria Venezia-Udine con 35 pile di pietra) sono rievocati in una storia ricca di notizie che narrano sanguinose battaglie sulle due rive e devastanti alluvioni nei tratti senza argini. Per quanto riguarda le prime, il libro riporta un interessante elenco dei ponti che furono danneggiati o distrutti durante la prima e la seconda guerra mondiale e ricorda che il 1° maggio 1945 le truppe alleate per entrare in Latisana dovettero utilizzare una passerella costruita dai tedeschi della organizzazione paramilitare Todt.

In tema di guerre, il libro offre una documentata “Storia degli attraversamenti del Tagliamento nel periodo 1915-1919” arricchita da fotografie di grande interesse storico. Ne è autore Claudio Zanier il quale ci racconta che, in quei giorni, gli austriaci dovettero “fare la corsa al Tagliamento” nella loro avanzata verso la pianura per cui il fiume fu, con i suoi ponti, “al centro del mondo”. La storia della ritirata del nostro esercito è divisa in tre capitoli che trattano degli eventi militari che nei tre tronchi del fiume - dalla Carnia al mare - fecero seguito allo sfondamento della prima linea italiana nella piana di Plezzo e a Tolmino. Alcune date: il 30 ottobre 1917 si concludeva la prima fase della ritirata del XII Corpo d’Armata: tutti i ponti erano stati fatti saltare e le truppe italiane si attestavano sulla riva destra a difesa delle Prealpi carniche. Il giorno dopo, la Brigata Bologna venne impegnata a difendere la testa di ponte in riva sinistra del Tagliamento per proteggere la ritirata della II Armata. Un ordine che costò la vita di circa tremilacinquecento fanti, quando i ponti di Casarsa erano già fatti saltare. La mattina del l° novembre 1917 gli austro-tedeschi occupavano Latisana e i ponti sul Tagliamento venivano fatti saltare.

Enrico Fantin completa la rievocazione storica di Claudio Zanier con la cronaca dei bombardamenti e delle incursioni aeree della RAF e dell’aviazione americana, che - dopo l’armistizio del settembre 1943 - ebbero come obiettivo principale i ponti sul Tagliamento da Casarsa della Delizia a Latisana.

Nel “Don Chisciotte”, Miguel de Cervantes ha scritto che “gli storici devono essere esatti, veritieri e spassionati” perché la “storia deve essere archivio dei fatti e testimonianza del passato, ma anche ammonizione del presente e insegnamento dell’avvenire”. Una parte importante del libro è dedicata alle inondazioni del Tagliamento dal 589 al 1966 che gli autori Fantin, Castellarin e Gover hanno elencato facendo ricorso e riordinando le notizie tratte da pubblicazioni e da documenti inediti e ricordando che le “le inondazioni sono una delle principali calamità naturali, al terzo posto dopo le carestie e le epidemie”.

Uno stillicidio di date rievocano gli eventi luttuosi, le distruzioni e le privazioni della popolazione rivierasca. È la “testimonianza del passato” ma anche una “ammonizione del presente”. Ci fa ricordare che il Tagliamento non è soltanto il fiume che “con piccolo passo di gloria” saltella sotto le case di Forni di Sopra e di Forni di Sotto, ricompare in fianco alle dolci alture di Ampezzo, e scende incerto accogliendo nel suo lungo viaggio i corsi del Degano, del Bút e del Fella, contribuendo con le sue acque a creare il grande invaso di La Maina di Sauris. Dietro al suo passaggio lascia passerelle pedonali, sottopassa vecchi archi di pietra ed entra nella pianura, dove nasconde, come scriveva su “lulia Gens” Nicolò Nemi, “il meglio delle proprie acque sotto lo sterminato ghiaieto che discende sino alla fascia delle risorgive”.

Maestoso con le sue acque limpide, il Tagliamento diventa ferox e rapax quando gli argini non riescono a contenere le acque diventate tumultuose e devastatrici di abitati e di campagne. Perciò, se questo libro ha valore storico (e certamente lo ha perché è “archivio di fatti e testimonianza del passato”), proponiamo che l’elenco delle inondazioni che gli Autori hanno diligentemente redatto, venga stampato su un manifesto da esporre ad una parete delle sale consiliari di quei Comuni che nei secoli ne hanno vissuto la tragica esperienza e subito le disastrose conseguenze. A ricordo ed ammonimento.

Dignano vi potrebbe sottolineare in rosso due date: il 1276 e il 1374. Nel primo anno l’alluvione distrusse l’abitato a valle, nel secondo allagò quello costruito a monte. Latisana, a distanza di quasi quarant’anni dalla alluvione del 1966 che sconvolse la cittadina, è ancora in attesa di un intervento che metta in sicurezza il suo territorio. Al tempo, di fronte alla disputa pro e contro la costruzione di una diga a Pinzano, qualcuno ammonì: attenti a non perdere tempo in dispute, proposte e progetti perché potrebbe venire il giorno in cui avremo soltanto una diga di carta (di giornali).

Oggi, purtroppo, abbiamo soltanto quella “diga”.

(Dalla prefazione di Gaetano Cola presidente dell’Accademia Udinese di Scienze Lettere e Arti).

Alcune significative fotografie tratte dalla monografia “I passaggi del Tagliamento”
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Re: Pol, li 4 Pol de l’Adexe e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » dom mag 29, 2016 8:08 pm

Połexeła de Valpołexeła
ła ga naltra storia


Połexene, Połexia, Połexela, Połeo, Połeje (Polegge)
viewtopic.php?f=45&t=980
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZiS1U/edit
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Re: Pol, li 4 Pol de l’Adexe e Połexeła de Valpołexeła

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2016 8:34 am

Cfr. co:

http://www.wordreference.com/enit/pool


pool

piscina, stagno, laghetto, pozzanghera


Cfr. con

Liverpool

https://it.wikipedia.org/wiki/Liverpool
Liverpool (AFI: [ˈliverpul]; in inglese [ˈlɪvəpuːl]) è una città di 466 415 abitanti (censimento 2012) del Regno Unito, capoluogo dell'omonimo distretto metropolitano e della contea metropolitana inglese del Merseyside. Sorge lungo l'estuario della Mersey e affaccia sul Mare d'Irlanda, non lontano dal confine con il Galles.

Già dal 1190 il luogo dove sorge l'odierna Liverpool era noto col nome di Liuerpul, che in inglese significa stagno o insenatura con acqua fangosa. Ci sono però molte ipotesi sull'origine del nome della città, per esempio elverpool, in riferimento alla grande quantità di anguille (elver in inglese indica la giovane anguilla) presenti nelle acque della Mersey. Liverpool è una città marittima nel nord-ovest dell'Inghilterra, che sorge nel punto in cui il fiume Mersey incontra il mare d'Irlanda. Importante polo commerciale e migratorio dal XVIII secolo fino all'inizio del XX, Liverpool è famosa anche per essere il luogo di nascita dei Beatles.
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