Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 6:28 pm

Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

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Porta Pusterla era una delle cinque porte di Vicenza e si chiamava così perchè dava sul Lago Pusterla e questi non era stato chiamato così perchè dava sulla porta posteriore o inferiore o secondaria (postierla) di Vicenza come ci hanno finora raccontato per poter far derivare il nome del lago dal latino tardo posterula ... anche il Ponte Pusterla si chiama così perchè dava accesso all’area del lago Pusterla da dove si sviluppava parte della mobilità terrestre con l’alto vicentino.
Non era certo la porta del ripostiglio, quella inferiore o secondaria ? posta sul retro di casa come questa:

http://it.wikipedia.org/wiki/Postierla

La postierla o pusterla è un'angusta porta d'accesso ai camminamenti per le guardie di ronda nei castelli e nelle fortificazioni nascosta nelle mura.
Il nome deriva infatti dal latino tardo posterula, a suo volta derivato da posterus (dietro), cioè situato dietro, in luogo nascosto.
Più in generale la postierla indica una porta secondaria, una "porticciola", in una fortificazione.
Nella Milano medievale esistevano numerose pusterle, porte secondarie di accesso alla città, ricavate all'interno della cinta muraria e costruite ad intervallare le porte principali. Erano dodici o forse tredici: due sono tuttora visibili, presso la basilica di Sant'Ambrogio e presso le Colonne di San Lorenzo.

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So le porte posterle


Il Vigneto della Pusterla
http://www.winereport.com/travel/sentie ... romRegione

http://www.ticinese-milano.it/Storia.htm
Struttura urbanistica milanese e i quartieri
Le mura della Milano medievale erano scandite da sei porte principali e da dodici (o tredici) porte minori (Pusterle).
Il centro della città era costituito dal Palazzo della Ragione, che si trova nell'attuale piazza Mercanti, e che al tempo era difeso da mura, dotate a loro volta di sei porte disposte in direzione delle corrispondenti porte della città.
Le sei porte sono: Porta Romana, Porta Ticinese, Porta Vercellina, Porta Comasina, Porta Nuova, Porta Orientale (Porta Venezia).
Le pusterle sono: Pusterla di S. Eufemia, Pusterla della Chiusa, Pusterla dei Fabbri, Pusterla di S. Ambrogio, Pusterla Giovia, Pusterla delle Azze, Pusterla di S. Marco e Beatrice, Pusterla del Borgonuovo, Pusterla di S. Andrea, Pusterla Monforte, Pusterla Tosa, Pusterla del Bottonuto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 6:28 pm

Le mura de Viçensa e le sue cinque porte
(e nessuna era posteriore, a cosa poi?)
http://www.vicenzanews.it/a_188_IT_558_1.html
...
Le mura cingono Vicenza lungo il seguente percorso:
Ponte delle Bele, Motton S. Lorenzo, Pedemuro S. Biagio, Pedemuro Pusterla, Contrà Canove, Ponte delle Barche, Porton del Luzo, Contrà Mure Palamaio e porta Feliciana.
La città ha cinque porte, difese da torri e ponti levatoi:
Porta Feliciana (merlature visibili da Piazzale Roma),
Porta Nova,
Porta Pusterla,
Porta S. Pietro
e
Porta Berga.
Intorno alle mura si apre un largo fossato con le acque del Bacchiglione a nord e della Seriola o Bacchiglioncello a ovest.

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Sto vecio kiostro ke ancò fa parte de l’ospedale de Viçensa, na volta el jera on convento, postà so n’ara paluega o paludara o paludesca o paludoxa ke la stava tra el Ponte Pusterla e el Lago Pusterla:

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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 6:29 pm

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Astego, Astegheło, Lastego, Lastebàse e Alte, Laste, Lastarołi
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Bosco Grande Selva Mugla o Alemanna
https://picasaweb.google.com/pilpotis/B ... aOAlemanna
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Asteghelo
http://picasaweb.google.it/pilpotis/AstegheloDaBresan
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El lago el dovaria esarse formà dapò el IX secoło, co l’Astego el ga canvià rota pasando da ovest a est de Montecio Precalçin (Bregançin);
ste mura
http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del ... di_Vicenza

Come altre città venete, nel 49 a.C. Vicenza divenne municipium romano optimo iure, cioè con pienezza di diritti civili e politici. A questi anni risalgono la ristrutturazione dell'abitato secondo un tracciato urbanistico ad assi ortogonali, la sostituzione di abitazioni in legno con costruzioni in pietra o laterizio e l'edificazione delle prime mura erette, come avvenne per altre città consimili, per delimitare lo spazio urbano da quello rurale e conferire prestigio al nuovo status di città romana, in un tempo in cui tutta la regione era pacificata e apparentemente non erano necessarie: dalla vittoria di Roma contro i Cimbri del II secolo a.C. e fino al II secolo d.C. il Veneto non fu più territorio di incursioni barbariche. In assenza di reperti significativi, si presume che le mura fossero costruite solo parzialmente, in particolare a ovest della città, che invece negli altri lati era naturalmente difesa dai fiumi Bacchiglione e Retrone.
Nel I secolo d.C. Vicenza aveva acquisito una certa importanza, tanto da consentire lo sviluppo della città e costruire il Teatro, in cui si svolgevano i ludi scenici e di cui si può vedere ancora l'esatto perimetro; contemporaneamente furono rafforzate le mura di contrà Mura Porta Castello.
Nel II secolo a Vicenza fu risparmiato il saccheggio da parte dei Quadi e dei Marcomanni che avevano invaso la Regio X, ma furono fermati a Opitergium. Quando ormai l'impero era entrato in piena crisi, nel IV-V secolo, le mura di Vicenza furono rinnovate e le difese rafforzate. Una nuova cinta fu edificata, tra il VII e l’VIII secolo, su quella tardo-antica della precedente. Se essa servì, comunque non lo sappiamo: non risulta documentato che la città sia stata saccheggiata o distrutta, neppure durante le spedizioni dei Visigoti o degli Unni nel V secolo.

Il Ponte delle Barche sul fiume Retrone, costruito nel Medioevo per sorreggere la cinta muraria

Tratto di mura altomedievale in Motton San Lorenzo
La necessità di creare dei solidi baluardi alle città e alle villae si presentò drammaticamente nel IX secolo, in seguito alle devastanti incursioni degli Ungari nella pianura veneta. Così anche a Vicenza si ebbe il fenomeno dell'incastellamento e, probabilmente nel X secolo, si cominciò ad erigere delle solide mura, che racchiusero dapprima il nucleo più antico e nel XIII secolo inglobarono anche una parte dell'ormai popolato Borgo Berga.
Questa prima cortina di mura - ben rappresentata dalla Pianta Angelica del 1580, ma anche tuttora riconoscibile percorrendo la strada interna alle mura, creata a suo tempo e rimasta libera fino ad oggi - formava un anello quasi del tutto circolare.

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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 6:48 pm

El nome Pusterla el va confrontà co:

Torente Pusterla e contrà Pusterla

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http://www.webalice.it/massimodeicas/ma ... locino.htm
...
Scendendo fra i rustici dei Torchi, ci portiamo, infine, alla contrada Pusterla, dove la strada si biforca: prendendo a sinistra ci si ricongiunge con la strada che scende a Mantello, mentre andando a destra ci si porta al ponticello sul torrente Pusterla.
...

Casa Pusterla
http://www.webalice.it/massimodeicas/ma ... sterla.htm

Malga Pusterle (Altipian de li 7 Comuni)
http://www.youtube.com/watch?v=Z-ZReM5uP7s

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Casalpusterlengo

http://it.wikipedia.org/wiki/Casalpusterlengo
Di antica origine, nel XIV secolo appartenne ai Pusterla, a cui successero i Lampugnani (1450), i marchesi Castelli (1665-1695) e infine i Trivulzio. Fu teatro di numerosi fatti d'arme nei secoli XV e XVI, e al tempo delle conquiste napoleoniche. Dell'antico castello, eretto dai Pusterla, rimane una torre merlata, a due corpi sovrapposti, recentemente restaurata. Al Seicento risalgono la parrocchiale dei SS. Martino e Bartolomeo, con facciata ripristinata nel secolo scorso, e la chiesa di San Bernardino.
In età napoleonica (1809-16) al comune di Casalpusterlengo furono aggregate Pizzolano, Vittadone e Zorlesco, ridivenute autonome con la costituzione del regno Lombardo-Veneto. Vittadone e Zorlesco furono aggregate definitivamente nel 1929.
Dal 1976 Casalpusterlengo si fregia del titolo di città.
Il nome deriva dai Pusterla, casata cui Casalpusterlengo appartenne nel XIV secolo. Esiste anche una seconda teoria la quale dice che il nome derivi da Casale Pistorus in quanto in epoca romana furono costruiti dei forni da panificazioni ????????????.

http://www.codognoonline.it/comuni/casa ... storia.htm
...
Quanto alla seconda parte, una suggestiva anche se non molto attendibile interpretazione vorrebbe che derivasse da “Casalis pistorum”, o “Casale dei fornai”, dalla località in cui si sarebbero trovati i forni per il sostentamento delle truppe romane, qui accampate durante la seconda guerra punica, che le vide sconfitte da Annibale sulle rive del Trebbia ???????????????.
Attorno all’anno 1000, invece, la località era denominata “Casale Gausarii”, voce derivante dal termine germanico “Gau”, che indica l’unione di famiglie di uno stesso ceppo. Il nome definitivo di “Casale de Pusterlenghis”, poi Casalpusterlengo, risale alla casata dei Pusterla, famiglia che ebbe l’investitura “a titolo di feudo gentile ed onorifico” del territorio casalese nell’anno 1366, tramite il vescovo di Lodi Cadamosto, che lo concesse a Gabrino e Cavalchino della Pusterla in nome del duca Bernabò Visconti. La supremazia dei Pusterla su Casale durò un’ottantina d’anni, a cavallo fra il XIV e il XV secolo. Il loro castello, di cui rimane la torre che è simbolo e stemma della città, fu coinvolto in una serie di assedi e di battaglie, al tempo della guerra tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia.

DELLA PUSTERLA
http://www.genmarenostrum.com/pagine-le ... terla1.htm
Eriprando della Pusterla, apparteneva all’ordine dei valvassori milanesi e la sua famiglia possedeva il territorio di Tradate. I Pusterla seguivano la legge longobarda.

http://www.formazione.eu.com/_documents ... 5/0412.pdf



Val Pusteria o Pustertal

http://www.comprensoriovallepusteria.it ... fault.aspx
http://www.app-schaefer.com/italiano/index.html

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... steria.jpg


http://it.wikipedia.org/wiki/Val_Pusteria
La Val Pusteria o Valle Pusteria (in tedesco Pustertal, in ladino Val de Puster) è una valle delle Alpi orientali lunga circa 100 km, situata tra Alto Adige (Italia) e Tirolo Orientale (Austria), nella direzione est-ovest tra Bressanone e Lienz.

http://de.wikipedia.org/wiki/Pustertal
Ignaz Paprion war der erste, der den Namen Pustertal vom slawischen Wort „pust“ (öde, unfruchtbar) herleitete. Dieser Ansicht schlossen sich später bedeutende Historiker wie beispielsweise Josef von Hormayr und der Slawist Franz Miklosich an. Karl Finsterwalder hingegen führte den Namen auf einen keltischen Personennamen, nämlich Busturus, möglicherweise ein Stammesfürst der Saevaten, zurück; auch der Ortsname Vintl sei keltischen Ursprungs. Auch Heinz Dieter Pohl führt aus, dass der Name nicht aus dem Slawischen hergeleitet werden könne, denn die Slawen seien nie so weit nach Westen vorgestoßen (die Westgrenze des slawischen Gebietes war die Lienzer Klause). Der Name Pustrissa stamme aus keltischem Substrat, wie auch Innichen (Gebiet des Indius). Die Endung -issa sei in keltischen Toponymen in der Regel an Personennamen angefügt, um damit eine Örtlichkeit zu bezeichnen, die der Person gehört (z.B. Vindonissa = Ort eines Vindonos, Katsch aus Katissa = Ort eines Katos. So sei auch Pustrissa als abgeleitet vom keltischen Personennamen Busturus (in Noricum Busturus und in Pannonien Busturo) zu interpretieren (pagus pustrissa = Gau des Busturus).
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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 7:38 pm

Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II
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OR 2 Mario Alinei
Pag 749-750

7.6.2. Prospettive di ricerca di influssi preistorici e protostorici slavi nel Nord-Est italiano

Oltre ai fenomeni dialettali e ai prestiti menzionati nei capitoli XVII e XVIII, andrebbero ricercati sistematicamente, sia nella toponomastica che nel lessico soprattutto alto-italiano (l'area della cultura dei VBQ) eventuali influssi slavi, mentre quelli già riconosciuti nei dialetti veneti e ladini andrebbero studiati alla luce delle nuove cronologie.

Fra questi ultimi cito, per esempio:

1) il nome del «collare» del cavallo o del bue: engadinese komat, surselvano komet, friulano e ladino komàt, komàč, veneto trentino komačo, ecc.; e tedesco kummet, tutti dallo slavo: russo ucraino chomút, bulgaro chomót, serbocroato h(ò)mut, sloveno homôt, ceco chomout, slovacco chomút, polacco chom•t ecc. [Vasmer s.v.].

Questo prestito è culturalmente molto importante essendo certamente legato all'introduzione del cavallo nell'età del Bronzo; inoltre, se le origini ultime del termine fossero turciche, come ha proposto Vasmer [s.v.] potrebbe trattarsi di un riflesso della penetrazione dei cavalieri dei kurgan nell'area slava carpato-danubiana e di qui in Germania e in Italia.
2) Il già menzionato nome del «maggese», ampiamente diffuso nell'area nord-orientale; è più facilmente spiegabile in rapporto all'introduzione dell'innovazione agricola nell'area, che non a un predominio agricolo slavo in tutta l'area:
friulano pustote e varianti,
veneziano pustoto,
trevigiano postoto,
Vittorio Veneto postoca «(zolla) incolta» [AIS 1417; cfr. Marcato 1982, 122];
tutti dallo sloveno pustota «maggese»,
cfr. russo pustoj, ucraino e bielorusso pustyj , bulgaro pust serbocroato sloveno pust, ceco slovacco pusty; polacco pusty [Vasmer s.v.].

3) Il nome dell'anatra, la cui diffusione qui potrebbe legarsi all'importanza dell'allevamento in area balcanica:
friulano ràza, rasa, trevigiano raza, da confrontare a serbocroato e sloveno raca, albanese rosë, ungherese
réce (e cfr. rumeno raţă).


Puszta
http://it.wikipedia.org/wiki/Puszta
Il termine puszta significa "terreno nudo" (IPA ['pustɒ], in italiano spesso /'pusta/) è un termine ungherese utilizzato per indicare vaste distese di pianura stepposa, tipiche del bassopiano magiaro.
Il territorio della puszta è sterile, inospitale, una specie di deserto erboso e in origine si riferiva a parti pianeggianti dell'Alföld, la grande pianura ungherese, abitata da pastori, bovari e cavallari.
Questo termine deriva da un aggettivo che significa "vuoto, brullo, desolato" e si riferisce anche a fattorie sperdute circondate da vasti campi, e in questo senso è entrato a far parte del nome di alcuni luoghi (es. puszta di Hortobágy).

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http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... Puszta.jpg

http://de.wikipedia.org/wiki/Puszta

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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar apr 01, 2014 8:50 pm

Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 290004.jpg

5.1.2. Nomi del maggese

In senso molto lato, il «maggese» è la messa a riposo di un campo esausto.

In senso più tecnico, è il riposo di un terreno che può essere accompagnato o meno da lavorazioni atte a rivitalizzarlo, che però possono variare molto, sia nella sostanza che nelle modalità.

I raccoglitori dell'AIS per la carta 1417 «maggese» avevano posto la domanda in termini imprecisi, e quindi avevano ricevuto termini per quattro nozioni diverse:

1) un campo che si lascia incolto per uno o più anni (fr. friche).

2) Un campo che si lavora (ara o zappa o erpica), ma che poi si lascia riposare (fr. jachère); questo è, per esempio, il significato tecnico di maggese ancora vivo in Italia centrale e meridionale.

3) Un campo che si lascia «appratare», perché diventi pascolo, o produca fieno.

4) Un terreno che è sempre stato incolto, anche nel passato.


A parte quest'ultimo senso, che non ha nulla a che fare col «maggese», si deve aggiungere che già all'epoca delle inchieste dell'AIS vi erano coltivatori in alta Italia che non erano più in grado di rispondere alla domanda, in quanto il campo «lasciato a riposo» non esisteva più nella loro cultura agricola, essendo sostituito da quello di «rotazione» di diversi prodotti.

Scheuermeier, nel suo magistrale lavoro sulla cultura agropastorale italiana [1943-1956], strettamente legato alle sue inchieste per l'AIS, ci informa che il maggese all'antica, cioè basato sulla nozione di riposo accompagnato da alcune lavorazioni, era ancora praticato «nur noch wenig in Mittelitalien, etwas haüfiger in Süditalien» [ibidem, vol. I, 71-73], mentre la rotazione – nella quale egli comprendeva anche l'appratamento – era invece «fast überall in Italien üblich» [ibidem].

E chiaro quindi che i materiali dell'AIS devono essere trattati con cautela. Prima di affrontarli, dobbiamo poi domandarci: a quando risale la tecnica del maggese?

Se si prende in considerazione il maggese come riposo di un campo accompagnato da lavorazioni come l'aratura del terreno e l'eventuale fienagione, è chiaro che dobbiamo presupporre l'esistenza dell'aratro e della falce fienaia, che sono strumenti, rispettivamente, del Rame e del Ferro.

Secondo Forni [1990, 167, 190-191, 224, 282], il maggese rappresenta un notevole progresso nella cultura estensiva, in quanto non richiede più l'uso del debbio (con la bruciatura, il successivo rimboschimento, e un avvicendamento circa ventennale), e quindi diminuisce di molto il tempo di riposo improduttivo, che è prima di alcuni anni, e diventa poi biennale [ibidem, 224].

Forni inoltre mette in luce un altro aspetto importante del maggese: proprio perché esso implica la «rotazione» di campi lasciati a riposo e campi coltivati, sarebbe molto difficile attuarlo senza proprietà e gestione individuale degli appezzamenti.

Anche questo implica una datazione tarda, in quanto la proprietà privata della terra si generalizza solo nel Bronzo e nel Ferro.
Non è dunque impensabile, conclude Forni, che il maggese come «pacchetto» tecnico sia stato introdotto dai Micenei, sulla scorta di un'interessante ipotesi di Peruzzi che riguarda il termine latino vervactum «maggese» [ibidem, 190-191] (v. oltre).

Inutile dire che, anche se il maggese è molto più recente del debbio, esso ha tuttavia in comune con esso la finalità di rinnovare una terra esausta.
Per questo, vi sono termini del debbio che si sono tramandati come termini per il maggese.


Comincio dunque dal nome italiano del maggese, maggese stesso, che è anche uno dei nomi dialettali più diffusi, essendo attestato dalla Toscana settentrionale fino alla Sicilia.

Tecnicamente, designa il campo arato (o lavorato) ma non ancora destinato alla semina.

E una derivazione in -ensis di maius «maggio», dovuta, probabilmente, al fatto che in maggio aveva luogo la fienagione (del fieno detto appunto maggese).

Accettando questa spiegazione, avremmo una datazione del termine all'età del Ferro, in quanto la fienagione si lega all'esistenza della falce fienaia, con lama in ferro [Forni 1990].
Che comunque la nozione del maggese così intesa si leghi alla primavera è confermato dal loguderese (Mores, Padria) beranile, vranili (Sorso), gallurese branili [DES s.v. veranu; ALEIC 845].
Veranu è infatti il nome della «primavera» sia in Sardo che in Corsica (e nella penisola iberica); in area venetiana è Verta.
(Pensiamo alla santa cristana alemanna Verena che ha sostituito Diana: vedasi “Il linguaggio della Dea di Maria Jimbutas p 110).

Abbiamo poi molti nomi del maggese di origine italide, che dimostrano la grande diversificazione linguistica dell'Italia del II e I millennio a.C., e che raggruppo in base alla analogia della motivazione:

1) il tipo calabrese domitina, da voce corrispondente al latino domitus «acculturato, non selvaggio», che riflette la coscienza della scoperta del controllo sulla produttività della terra acquisito mediante la nuova tecnica;

2) il tipo meridionale annicchiaro e derivati, da connettere a annicularius, chiaramente recente perché legato alla nozione di un riposo annuale, e quindi a un avvicendamento biennale.
È attestato anche in Sardegna settentrionale (annighina);

3) il tipo sardo vetustu «terra lavorata l'anno precedente» (l'Errata corrige dell'AIS corregge vetristu), e lombardo-veneto-nord-emiliano eder, veger, vegro, vegra ecc., tutte voci derivanti da voci corrispondenti al latino veterem, che si lega alla stessa equazione arcaica «un anno = vecchio», che appare in molti nomi di animali, come vitulus.
Non è chiaro se il campo «vecchio» così inteso sia lavorato;

4) l'hapax nord-pugliese lavorìa (P. 705), la cui base labor- in origine significava «pena», e quello lucano fatica (P. 733). Sono i più espliciti riferimenti al riposo «lavorato» e, allo stesso tempo, al lavoro servile (che implica una datazione all'età del Ferro).

5) il tipo italiano letterario soda, campo sodo (e sodaglia, che però non è attestato nella carta dell'AIS), da voce corrispondente al latino solidus. Il suo areale va dal-l'Emilia all'Abruzzo e alla Campania.
E certo uno sviluppo autoctono in gran parte della regione, perché mostra ovunque gli stadi di sviluppo dal suo etimo corrispondente a solidus (voce da cui probabilmente deriva lo stesso latino solidus).
Al Sud infatti appare spesso nel tipo savid-, saud-, addirittura saur- e segur-; in Emilia appare anche nelle varianti saldo (cfr. it. saldo e saldare), e saudo, da cui poi si sviluppa poi il sodo toscano e centrale.
La variante campana sallone (P. 725) preserva invece il tipo sall-, che appare per esempio nel nome latino Sallustius.

Varietà di esiti che rinvia ad una grande differenziazione di fondo.

Il campo «sodo» è, per definizione, non lavorato, in quanto «non dissodato»;

6) il tipo calabrese margiu, che il Rohlfs – non si capisce perché – considera arabo, mentre sarà un semplice derivato da voce corrispondente al latino margo-inis «terra di confine» (come spesso era il terreno lasciato a riposo);

7) il tipo siciliano nord-occidentale kuntsarru (assente nel DS), interessante sia per la sua nozione di base, da voce corrispondente al latino *comptiare «adornare, ordinare» (cfr. it. conciare, acconciare, concime ecc.), che ben riflette la natura dell'intervento sul terreno lasciato a riposo, sia per la presenza del suffisso -arru, tradizionalmente considerato pre-IE (Rohlfs), mentre si tratta di un'antica tendenza ad assimilare la -j- di -ariu [Alinei 1965 e v. oltre]; vedasi toponimi come Arre nel padovano (?);

8) il tipo meridionale (pugliese e calabrese) (fare) abbendare «riposare», da voce corrispondente ad adventare;

9) il tipo prato (lasciare a prato e simili), da voce corrispondente a lat. pratum, frequente nell'area alpina;

10) il tipo ladino novale, da voci corrispondente al latino novalis (vedasi toponimi come Noale nel veneziano, Novoledo nel vicentino, Novaledo nel trentino; ecc.);

11) il tipo ladino occidentale gir (giraun giranc ecc.), di etimologia controversa, collegato a *gerwo- o a vervactum [DRG s.v. gir(1), art. di Felix Giger]. A mio avviso, i due suffissi -anus e -an(i)cus farebbero pensare a ver-anus, ver-anicus; (vedere toponimi Verona, Verena e altri ??)

12) per vervactus v. oltre. Fra i prestiti troviamo:
A) tipi greci come yertsu o chersu, da chérsos «secco, sterile, solido» (cfr. Chersoneso, e cherseía (Esichio) «terra incolta», chersóō «rendere incolto»;
greco moderno chérsos «maggese»), che appare solo nell'estremo Sud, e a poca distanza dalla costa. È probabilmente legato alle antiche colonie greche, quindi, per la TC, contemporaneo dei tipi latino-italici.

Inoltre sterno, da sternios «sterile», anch'esso attestato nell'estremo sud.

B) Il tipo sloveno pustota, letteralmente «abbandonato, incolto», che è largamente attestato in Venezia Giulia, e penetra fino alla Val Pusteria (slovn. pust «prato alpino che non viene più mietuto» (cfr. cap. XVIII, e v. oltre).

Nel contesto della TC, è difficile spiegare la presenza di questo tecnicismo agricolo in Venezia Giulia e oltre, senza postulare stretti contatti fra Italia nord-orientale e Slavia meridionale nell'epoca in cui nasce la nozione. C) Il tipo celtico (gallico) *gerwo- [FEW], attestato in Francoprovenzale e in Occitano, in tutto il Piemonte, in Liguria e in Toscana settentrionale, oltre che in Sicilia, dove è assai diffuso.
Hubschmied l'ha connesso, tramite una variante *garwo-, ad antico irlandese garb «crudo», cornico garw «crudo», bretone garô, e all'altoitalico garbo «acerbo» e simili.

D) Il tipo germanico rappresentato dal francese friche, attestato nel Nord-Est della Francia. Nell'ambito della TC si lascia interpretare come il riflesso della prima neolítizzazione del bacino di Parigi da parte dei gruppi portatori della LBK, mentre la presenza di vervactum nel resto della Francia conferma il carattere «italide» della maggior parte della Francia, primario in Francia meridionale, o secondario nel Nord, per effetto della cultura di Chassey.


7.4.3.2. Fr guéret

Come nome del maggese, il latino vervactum si continua in Francia, col tipo guéret «terre labourée, mais non encore ensemencée».
«Das Wort lebt im Süden, bis zur Loire, sowie im Westen bis in díe Normandie. Im übrigen Nordfrankreich ist es dem aus dem aus dem Germ. stammenden friche gewichen» (FEW s.v. vervactum).
Spagnolo barbecho, portoghese barbeito, loguderese barβattu «maggese», campidanese braβattu, risalgono invece a una geovariante betacizzata berbactum (attestata nella Mulomedicina Chironis), da cui *berbactum per assimilazione vocalica. Solamente in Francia, dunque, avremmo avuto l'esito celtico della w- iniziale.
Mentre questa etimologia rappresenta una soluzione ottimale per la spiegazione del termine francese, le difficoltà di quella tradizionale sono ben espresse dal FEW: «Dock muss sich hier das lt. Wort mit einem germ. getroffen haben, von dem es den Anlaut übernommen hat». Anche secondo Wartburg il termine germanico che avrebbe contaminato quello latino non si lascia identificare!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » dom ago 03, 2014 6:12 pm

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Re: Pusterla - lago e porta (a Viçensa)

Messaggioda Berto » mar mar 31, 2015 10:01 am

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