Cheno/keno e caneva/canova

Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:08 pm

Cheno/keno e caneva/canova
viewtopic.php?f=44&t=430

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 1/keno.jpg


Kelar/Chellar (cela/cella) = cantina/caneva = apoteca

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... caneva.jpg


http://vec.wikipedia.org/wiki/Caneva_(anbiente)

http://it.wikipedia.org/wiki/Cantina
(li la gà co li veci romani, senpre lori envanti de tuto e de tuti)

http://de.wikipedia.org/wiki/Weinkeller
http://en.wikipedia.org/wiki/Wine_cellar
http://es.wikipedia.org/wiki/Cava_(bodega)
http://nl.wikipedia.org/wiki/Wijnkelder
http://fr.wikipedia.org/wiki/Cave_%C3%A0_vin
http://gl.wikipedia.org/wiki/Adega_(de_vi%C3%B1o)
http://pfl.wikipedia.org/wiki/Woikella
http://sv.wikipedia.org/wiki/Vink%C3%A4llare

Caneva ente xvare lengoe
http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=58015

Da ła version web del voxonaro etimołojego de ła łengoa tałiana de Ottorino Pianigiani.
http://www.etimo.it/?pag=hom
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http://www.etimo.it/?term=cantina
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(anca kive li ghe mete li romani)



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cantina,
s. f. ‘locale interrato o seminterrato, fresco, adibito alla conservazione del vino o di derrate alimentari’ (fine sec. XIII, Folgore da S. Gimignano), ‘luogo ove si vende il vino’ (1542, P. Aretino Ipocrito IV, 8, 2).

Derivati:
cantiniere,
s. m. ‘chi ha cura della cantina’ (1618, M. Buonarroti il Giovane).

Prob. da cànto 2, nel senso di ‘luogo appartato, ripostiglio’. Per cantina ‘luogo ove si vende il vino’ cfr. fiaschetterìa.


canto 2,
s. m. ‘angolo esterno o interno formato da due muri che s'incontrano’ (1304-08, Dante), ‘lato, parte’ (av. 1294, B. Latini).

Derivati:
cantonale,
agg. ‘che riguarda un cantone, un distretto amministrativo’ (1800, Gazzetta nazionale della Liguria: Leso 415),
s. m. ‘armadietto di forma triangolare, che occupa l'angolo di una stanza’ (1863, Fanf. Tosc., che lo dà come vc. lucchese; 1865, TB, che lo dà come vivente nel lucchese e nel veneto; nel 1581, F. Sansovino, nel sign. di ‘cantonata’),
cantonata,
s. f. ‘angolo o spigolo d'un edificio, che coincide con l'angolo d'una strada’ (1550, C. Bartoli), ‘errore, equivoco’ (1865, TB),
cantone,
s. m. ‘angolo’ (sec. XIV, Bibbia volgar.), ‘suddivisione amministrativa; in part. ogni unità politico-amministrativa, di cui è formata la Svizzera’ (av. 1527, N. Machiavelli),
cantoniera,
s. f. ‘mobile a ripiani destinato a occupare l'angolo d'una stanza’ (1780, V. Monti), ‘casa nella quale abita un cantoniere’ (av. 1873, F. D. Guerrazzi; ma casa cantoniera: 1832, Stampa milan.),
cantoniere,
s. m. ‘chi sta a guardia e ha cura d'un tratto di strada o di ferrovia’ (1875, Rigutini-Fanf.),
cantuccio,
s. m. ‘angolo interno d'una stanza, d'un mobile ecc.’ (av. 1342, D. Cavalca).

Lat. tardo canthu(m), dal gr. kanthós ‘angolo dell'occhio’ (di orig. celt.). Cantone ‘unità amministrativa’, cantoniera (mobile) e cantoniere sono il fr. canton (1243, forse di orig. provz.), cantonnière (1562) e cantonnier (1628) ‘chi si occupa di un angolo della strada’. La loc. prendere una cantonata si diceva orig. “di barroccio, o simili, che, svoltando troppo stretto, urti col mozzo della ruota nell'angolo della strada” (TB).

canopo,
s. m. ‘vaso funerario in uso nell'antico Egitto e in Etruria’ (1786, Diz. culti).
Dalla città egiziana di Canopo, dove particolarmente si trovavano urne di questo tipo.


Canova = fiasketeria

fiasco,
s. m. ‘recipiente in vetro di forma sferoidale, rivestito di fibre vegetali e sintetiche e con collo lungo e stretto, destinato a contenere liquidi’ (flascum unum de vino nel lat. mediev. del 1238, Castello di Bonifacio: ALMA XXVII (1957) 263; it. fiasco: av. 1313, C. Angiolieri), ‘esito negativo, insuccesso’ (fare fiasco: 1806, Stampa milan.).

Derivati:
fiasca,
s. f. ‘fiasco di forma schiacciata da appendersi alla cintura’ (av. 1530, I. Sannazaro),
fiaschetteria,
s. f. ‘vendita di vino al minuto, in fiaschi, con servizio di mescita’ (1863, Fanf. Tosc., che la dà come vc. livornese).

Gotico flasko (per attest. mediev. anche di flasca cfr. ALMA XXIX, 1959, 65-67). “Se ci domandiamo per quale motivo si sentisse l'opportunità di ricorrere a vocaboli germanici, accogliendoli nel lessico, vedremo che spesso si è ricorsi alle parole barbariche per esprimere nozioni nuove (o che per qualche aspetto sembravano nuove). Così l'uso di recipienti rivestiti di vimini o di sala, recipienti indicati con il nome germanico di *flasko, *flaska (della stessa famiglia del ted. flechten ‘intrecciare’) è la causa dell'importazione di fiasco, fiasca” (Migl. St. lin. 76). Il fiasco di vetro (1344 e 1345, Libro della Mensa; in Boccaccio: bottaccio di vetro) sostituisce quello di metallo fra il Trecento e il Quattrocento. Della loc. far fiasco “non è stata data una spiegazione convincente (Pico Luri 508-9; Bloch, s. fiasco; AGI XXVIII 67). Può aver avuto l'origine da qualche fatterello di cui non è rimasta memoria. Il Bianchini (Modi [proverbiali e motti popolari, II ed., Livorno, 1900] 50-51; anche Panz. [Diz.] 1905) racconta il caso toccato all'arlecchino bolognese Domenico Biancolelli (a. 1681), il quale, improvvisando un monologo intorno a un fiasco che portava in mano, il pubblico non rise, e allora Domenico disse al fiasco: «È colpa tua, se questa sera sono una bestia!», e se lo buttò dietro le spalle. D'allora, quando una tal sorte toccava a un attore, si diceva: «È il fiasco d'Arlecchino». Va aggiunto che il Minucci, al verbo fiascheggiare ‘comperare il vino a fiaschi ora da uno e ora da un altro vinajo’ nota il senso fig. di ‘commettere (...) un fallo ora in uno, e ora in un altro luogo’” (VEI). Va aggiunto che il Minucci, al verbo fiascheggiare ‘comperare il vino a fiaschi ora da uno e ora da un altro vinajo’ nota il senso fig. di ‘commettere (...) un fallo ora in uno, e ora in un altro luogo’” (VEI). Fiaschetteria è vc. originariamente tosc.; il TB (1869) scrive: “Fiaschetteria. Dicesi a Livorno e a Pisa quella Bottega ove si vende il vino a terzini o a bicchieri; e a Firenze ove si vende il vino a fiaschi. Ma fiaschetteria per i Fior[entini] non è com. Essi dicono vendita, mescita di vino o altri liquori canova di vino, cantina, vinaio, piuttosto ché fiaschetteria. E se il vino si vende a' finestrelli de' palazzi, allora dicono: Il finestrino dell'Albizzi, del Ricasoli, e sim.”.

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canaba (canapa), ae, f., tenda; cantina, Ser. [cf. gr. kánnabos].
http://it.wikipedia.org/wiki/Servio_Mario_Onorato
Servio Mario Onorato o Servio Mauro Onorato (Servius Marius Honoratus; floruit fine secolo IV; ... – ...) è stato un grammatico e commentatore romano.


canaba

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... pa-359.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:14 pm

Scansia e scancía

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... henken.jpg


http://www.etimo.it/?term=scansia
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baverexe scanz = en “barbaro-latin ?” scancía (secolo XII), dal vecio alto todesco SCANC ancò SCHENKE, palco o logo endoe ke stà el vin, dapò dispensa pal vin, taverna, betola, baxe al verbo SCEN-CAN, *SCANCJAN, *SKANHJAN moderno schenken, versar, meshar, da cu o ke el senso de regalar del françoxo pour boire o del spagnolo escanciar, escançar, vecio françoxo eschancier, rtr schangiar, dar da bevare, anca françoxo chinquer, dialeto chinquer cioncare (cfr, Cioncare): purpiamente credensa endoe ca ghè el vin (cfr. vecio alto todesco scenco, ancò Scenk, baso latin scancius (betoliere) e françoxo échanson, spagnolo oscanciano, portoghexe escançào. ...


http://www.etimo.it/?term=cioncare
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http://www.etimo.it/?term=cionco
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http://www.etimo.it/?term=scansare
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cioncare,
v. tr. e intr. ‘bere smodatamente’ (1339-40, G. Boccaccio).
Etim. sconosciuta.

cionco, agg. ‘mozzato, troncato’ (av. 1321, Dante).

“È comune opinione che si tratti di un rifacimento di truncare [‘troncare’] con un'intrusione onomatopeica” (B. Migliorini, “Linguistica”, XII [1972] 126); secondo M. Moskov (“Aevum” XLII [1968] 121-22) si tratta invece d'una parola protobulgara. Per confronti dial.: ID V (1929) 104.

(cfr. veneto cionpo ke però el va ligà a "soto, zoppo, ciotto")

ciuco
ciucca,
s. f. ‘sbornia, ubriacatura’ (av. 1327, Cecco d'Ascoli; poi ripreso alla fine del XIX sec.).
Forse vc. espressiva.

??????????

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /ciuco.jpg
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:15 pm

La canova del vin

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... canova.jpg


http://www.vinit.net/vino/Toscana/Firen ... _1421.html

La Storia del Nome:

Che cosa era una Canova dei vini?

La bottega dove si vendono al minuto, vino, olio e altre grasce. I
l nome significa anche cantina o dispensa deriva dal latino tardo CANUB ( tenda ).
???
Lè atesta anca entel latin tardo, ma no se sa da endove ke rive sto moto.

A Firenze, in molti palazzi storici si vedono ancora piccole aperture a forma ogivale in legno, le canove, dove veniva venduto il vino, considerato peccaminoso. La Canova più famosa e 'accivettata' si trova nella Gelateria Vivoli, in via Isole delle Stinche, non lontano da Piazza Santa Croce, visibile sia esternamente, sulla strada, sia all'interno del negozio

http://www.comune.fi.it/archiviostorico ... 00021.html
I fiorentini più umili si fermavano di solito dal pizzicagnolo a mangiare pane e stufatino con le patate, oppure dagli ambulanti: i friggitori del Porcellino, il famoso Martini che vendeva maccheroni freddi in piazza del Granduca, la rosticceria Fila in Mercato Vecchio. Tra i cibi per la maggiore, allora come oggi, c'erano la minestra in brodo, il baccalà al pomodoro, la trippa al sugo, pasta e fagioli, che si potevano gustare nelle numerose osterie: nel vicolo del Buco, nel chiasso dell'osteria della Palla, nel vicolo delle Bertucce, presso via dei Succhiellinai o, poco lontano, quella della Malvagia, ecc. Famosa l'osteria del Lunghino a porta S. Frediano, mentre nel 1795 era in costruzione in via Frusa, fuori porta alla Croce, un'osteria di proprietà della Comunità, per i frequentatori del vicino mercato dei maiali. Un panino e un bicchier di vino si potevano mangiare anche nelle bettole e nella "canove" di vino: in via del Parione ce n'era una condotta da una donna che abitava nella vicina via delle Terme, che gettava rifiuti ed altre "piacevolezze" dalla finestra. Solo col passare degli anni le trattorie divennero luoghi caratteristici, ricercati soprattutto dai forestieri: tra le molte esistenti, ricordiamo quella antica della Cervia in via degli Speziali; quella della Tinaia alle Cascine; del Dottore, specializzata in pesce fritto, alla Piacentina, dopo le Molina sull'Arno.




Kisà se a ghè on ligo col cognome Canova
http://www.cognomiitaliani.org/cognomi/ ... 003can.htm

CANOVA CANOVI
Canova è specifico dell'Italia settentrionale, Canovi è tipico del reggiano e del modenese, di Reggio Emilia, Castelnovo ne` Monti, Carpineti e Villa Minozzo, con un ceppo a Buglio In Monte (SO) ed in Valtellina ed uno a Genova, dovrebbero derivare o da toponimi come Canova (AT), (VI), (PV), (RE), (PC), (VR), (BS) ed altre, o da nomi di località identificabili da una casa nuova o anche da soprannomi originati dal termine tardo latino canova o caneva (cantina, osteria). Personaggio di assoluto rilievo è stato il celeberrimo scultore di Possagno (TV) Antonio Canova (1757-1822) il maggior esponente del neoclassicismo italiano.


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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... oviane.jpg


http://www.museocanova.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Canova
Antonio Canova – scultor veneto e no tajan
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:17 pm

http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO

CÀNOVA s.f.

canava, canave, canavo, caneva, canevo, cannava, canneva, cannova, canova, canove, chaneva, chanova, chanove, kaneva.

0.2 DEI s.v. canova (lat. canaba).
0.3 Contempl. morte, 1265 (crem.>sen.): 1.
0.4 In testi tosc.: Milione, XIV in. (tosc.); Stat. sen., 1309-10 (Gangalandi); A. Pucci, Novello serm., p. 1333 (fior.); Dom. Benzi, Specchio umano, a. 1347 (fior.).
In testi sett.: Bonvesin, Volgari, XIII tu.d. (mil.); Doc. venez., 1309 (5); Anonimo Genovese (ed. Cocito), a. 1311; Parafr. pav. del Neminem laedi, 1342; Stat. vicent., 1348.
0.7 1 Bottega di generi alimentari. 2 Dispensa, cantina. 2.1 Fig. 2.2 Deposito (di biade, di sale). 3 [Dir.] Magistrato dell'annona.
0.8 Francesca Gambino 24.12.2001.

1 Bottega di generi alimentari.

[1] Contempl. morte, 1265 (crem.>sen.), 487, pag. 88: Ov'ài <tu> le torri et li gran palaçi / E ll'oro he li ricchi magij, / Belli vaselli d'oro e d'ariento / E li buon granai pieni di formento, / Le grosse chanove del vino / E le gualchiere et li molin / E 'l gioco e lli riso et ll'alegreça / Ched è ristornata in gran grameça?

[2] Stat. sen., 1309-10 (Gangalandi), dist. 1, cap. 498, vol. 1, pag. 315.2: neuno huomo tenga alcuno giuoco o vero alcuna taverna, o vero cànava o vero altro luogo, per vendere vino a minuto.
[3] Dom. Benzi, Specchio umano, a. 1347 (fior.), pag. 396.27: Quasi ogni [dì], per tutto il detto mese di marzo, s'è venduto alle decte canove del comune del pane, sì come avete udito per altre volte, due volte il dì a terza e a vespero, per quatro danari l'uno.
[4] Stat. vicent., 1348, pag. 28.8: Et chi contrafarà, perda per pena XVIII soldi de denari veronesi piccoli per ciaschedun et per ciascheduna volta, li quali siano messi in la cáneva de la preditta frataglia. Questi sono li nomi de li fratelli de la anteditta frataglia de li mercadanti overo drapieri de la città de Vincentia.

2 Dispensa, cantina.

[1] Bonvesin, Volgari, XIII tu.d. (mil.), Disputatio musce cum formica, 46, pag. 89: Ma eo fo saviamente, eo viv con grand sudor, / Fortment eo met in caneva de stae per lo calor...
[2] Rainaldo e Lesengr. di Udine, XIII (ven.), 578, pag. 176, col. 1: Tu credi eser verament / a la caneva del vilan?
[3] Doc. venez., 1309 (5), pag. 64.18: laso a Ysabeta uxor mea albergi IIIJ, lò c'eo stava, et la kaneva in sua vita per so staçio et ce nesun li possa far nisuna molesta...
[4] Anonimo Genovese (ed. Cocito), a. 1311, 37.37, pag. 228: e gram tineli stivai tuti / de sazize e de presuti, / e la canneva ò fornia e pina / d'ognucana bevenda fina...
[5] Sam Gregorio in vorgà , XIV sm. (lig.), L. 1, cap. 9, pag. 95.32: E• llo terço dì iamà lo dito preve Costancio so nevò e, faita l'oratium, obrì la cannava e trovà che tute le bote e l'atre vaselle, in le quae avea in iascuna mise un poco de vim, rebocava in tar modo che tuto lo celer serea andao a noto se lo vesco fuso un poco pu tardao a venir.

2.1 Fig.

[1] Parafr. pav. del Neminem laedi, 1342, cap. 23, pag. 112.9: Gustò lo dolce Cristo quel forte amarume ma no lo volse beve' né trà-nne dentro né mete'-lo in la canneva del so' santo corpo.

2.2 Deposito (di biade, di sale).

[1] Milione, XIV in. (tosc.), cap. 102, pag. 162.4: Sappiate che 'l Grande Kane, quando è grande abondanza di biada, egli ne fa fare molte canove d'ogne biade, come di grano, miglio, panico, orzo e riso...
[2] A. Pucci, Novello serm., p. 1333 (fior.), 266, pag. 30: La notte cadde il castello Oltrafonte: / la caneva del sal diventò fonte.

3 [Dir.] Magistrato dell'annona.

[1] Giovanni Villani (ed. Porta), a. 1348 (fior.), L. XI, cap. 119, vol. 2, pag. 671.12: Il Comune di Firenze con savio consiglio e buona provedenza [[ ... ]] fornì di grossa quantità di moneta la canova; mandando per grano in Cicilia, faccendolo venire per mare a Talamone in Maremma, e poi condurlo in Firenze con grande rischio e ispendio...

[u.r. 14.01.2009]


CANOVARIA s.f.

0.1 canevara.
0.2 Da canova.
0.3 Ugo di Perso, XIII pi.di. (crem.): 1.
0.4 Att. unica nel corpus.
0.7 1 Donna addetta alla gestione della dispensa, del magazzino, ecc.
0.8 Francesca Gambino 20.12.2001.

1 Donna addetta alla gestione della dispensa, del magazzino, ecc.

[1] Ugo di Perso, XIII pi.di. (crem.), 3.68, pag. 594: far compagna spesso a la carrara; / grande dona esse[r] canevara; / clave qe se speça en clavadha...
[u.r. 21.09.2009]


CANOVARÌA s.f.

0.1 caneveria.
0.2 Da canova.
0.3 Stat. bergam., XIV pm. (lomb.): 1.
0.4 Att. unica nel corpus.
0.7 1 Carica di canovaio.
0.8 Francesca Gambino 20.12.2001.

1 Carica di canovaio.

[1] Stat. bergam., XIV pm. (lomb.), cap. 5, pag. 260.25: Ancora hano statuito e ordinato che lo ministro e li prediti conscieri habieno possanza e baylia de elezere uno bono e legale canepario de la predita congregatione, el quale sia approvato in la congregatione, e che adoperi lo officio de la caneveria de bona fede...

[u.r. 14.01.2009]



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cantaro,
s. m. ‘vaso greco’ (av. 1494, A. Poliziano), ‘nelle basiliche paleocristiane, vasca per le abluzioni situata nell'atrio’ (1932, Pantalini).
Vc. dotta, lat. cantharu(m), dal gr. kántharos ‘tazza’, di etim. incerta. Cfr. càntero.

cantero,
s. m. ‘vaso da notte’ (cantaro: av. 1609, G. C. Croce; cantero: “pitale è propriamente quel vaso, che si mette entro alle predelle con altro nome detto cantero”: 1688, Note al Malmantile, Firenze, X, 12).
Stessa etim. di càntaro. La vc. è largamente attest. nei dial. spec. mer. (cfr. T. Marangoni, “Filologia moderna” I [1976] 226), ma anche di altre regioni (V. ad es. Boerio).

canterano ,
s. m. ‘cassettone a quattro o più cassetti sovrapposti’ (a. 1767, I. Nelli: Gher. Suppl.; cantarano: 1797, D'Alb.).
Etim. incerta: prob. da avvicinare a canto ‘angolo’ (Migliorini-Duro), piuttosto che a cantera ‘cassetto’ o cantaro, come pensano gli altri etimologisti, ma rimane da spiegare il suff. Cantaranus ‘tipo di legno’ è attest. nel lat. mediev. della Liguria (Rossi 33).

canto
s. m. ‘angolo esterno o interno formato da due muri che s'incontrano’ (1304-08, Dante), ‘lato, parte’ (av. 1294, B. Latini).
Derivati:
cantonale,
agg. ‘che riguarda un cantone, un distretto amministrativo’ (1800, Gazzetta nazionale della Liguria: Leso 415),
s. m. ‘armadietto di forma triangolare, che occupa l'angolo di una stanza’ (1863, Fanf. Tosc., che lo dà come vc. lucchese; 1865, TB, che lo dà come vivente nel lucchese e nel veneto; nel 1581, F. Sansovino, nel sign. di ‘cantonata’),
cantonata,
s. f. ‘angolo o spigolo d'un edificio, che coincide con l'angolo d'una strada’ (1550, C. Bartoli), ‘errore, equivoco’ (1865, TB),
cantone,
s. m. ‘angolo’ (sec. XIV, Bibbia volgar.), ‘suddivisione amministrativa; in part. ogni unità politico-amministrativa, di cui è formata la Svizzera’ (av. 1527, N. Machiavelli),
cantoniera,
s. f. ‘mobile a ripiani destinato a occupare l'angolo d'una stanza’ (1780, V. Monti), ‘casa nella quale abita un cantoniere’ (av. 1873, F. D. Guerrazzi; ma casa cantoniera: 1832, Stampa milan.),
cantoniere,
s. m. ‘chi sta a guardia e ha cura d'un tratto di strada o di ferrovia’ (1875, Rigutini-Fanf.),
cantuccio,
s. m. ‘angolo interno d'una stanza, d'un mobile ecc.’ (av. 1342, D. Cavalca).

Lat. tardo canthu(m), dal gr. kanthós ‘angolo dell'occhio’ ??? (di origine celtica). Cantone ‘unità amministrativa’, cantoniera (mobile) e cantoniere sono il fr. canton (1243, forse di orig. provz.), cantonnière (1562) e cantonnier (1628) ‘chi si occupa di un angolo della strada’. La loc. prendere una cantonata si diceva orig. “di barroccio, o simili, che, svoltando troppo stretto, urti col mozzo della ruota nell'angolo della strada” (TB).



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canna, ae, f.,
canna piccola; canna, zampogna (fatta con canne), OV.; barca (di canne), IUV. 5, 89; canna (della gola), trachea, C. AUR.
[gr.].

canistra, orum, n. pl.,
canestro, cestello, CIC., VERG. e a.
• Il m. pl. canistri, orum, in PALL. 12, 17, 1
[da gr. kónastron].

canephoros, i, f.,
portatrice di canestri, canèfora, pl. canephoroe, quadri o statue raffiguranti fanciulle greche che durante le processioni (particolarm. nelle Panatenee e nelle feste di Demetra e Dioniso) portavano in testa canestrini con gli strumenti per il sacrificio. • Acc. sing. canephoram, PLIN. 34, 70
[gr.].
cannaba, vd. canaba.
cannabis, is, abl. i, raro e, f., canapa, VARR. e a. [gr.].

canaba (canapa), ae, f., tenda; cantina, Ser. [cf. gr. kánnabos].

cannetum, i, n., canneto, PALL. e a. [canna + -etum]

cannicia, ae, f., vd. cannetum, Ser.

cannula, ae, f.,
cannuccia, APUL.; cannula pulmonis, trachea, C. AUR.
[canna + -ula].

cantharites, ae, m., vino pregiato, PLIN. [gr.].

cantharus, i, m.,
1 vaso da bere, boccale a due anse, HOR. e a.;
2 nodo sotto la lingua del bue Api, PLIN. 8, 184;
3 pesce marino, OV. e a.;
4 bacino, condotto d'acqua, Dig.;
5 una barca, MACR.;
6 pila dell'acqua santa, P. NOL. 37, 150
[gr.].

cantheriatus, a, um, agg., sospeso su pali (di vite), COL. 5, 4, 1 [cantherius + -atus2].

cantheriolus, i, m., paletto, COL. [cantherius + -olus].

cantherius, ii, m.,
1 cavallo castrato, VARR. R. R. 2, 7, 15; cavallo da fatica, ronzino, CIC. e a. (quindi di persona: vecchio, sfinito, PL., APUL.); minime sis (= si vis) cantherium in fossam (sott. deice), non gettar il ronzino in un fosso, cioè non far spropositi, LIV. 23, 47, 6;
2 puntone (in architettura), VITR. 4, 2, 5; puntello (di vite), COL.; macchina per sospendere il piede di un cavallo, VEG.
[cf. gr. kanthelios].

canthus, i, m., cerchione di ruota, QUINT. 1, 5, 8; ruota, PERS. 5, 71.





kana/cana/canna (etimoloja)

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Kanne.jpg

Cana come mixura sol tipo de la pertega
http://it.wikipedia.org/wiki/Canna_(uni ... _di_misura)
...
Toscana: canna agrimensoria: m. 2,9183 - canna per stoffe: m. 0,58366
...

http://it.wikipedia.org/wiki/Pertica_(u ... _di_misura)
http://fr.wikipedia.org/wiki/Pertica
http://xoomer.virgilio.it/vannigor/unitadimisura.htm
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:18 pm

Profondimenti so pareci o angagni par bevar e magnar:

Gamela, gaveta, caserola, cain, goto, scudela, brico, broca

Da la version web del Voxonaro Etimolojego de la Lengoa Tajana de Ottorino Pianigiani.
http://www.etimo.it/?pag=hom
Immagine

http://www.etimo.it/?term=gamella
http://www.etimo.it/?term=gavetta
http://www.etimo.it/?term=gavina
http://www.etimo.it/?term=cazza
http://www.etimo.it/?term=catino


Goto

http://www.etimo.it/?term=gotto
http://www.etimo.it/?term=gota


Scudela/scodella
http://www.etimo.it/?term=scodella
http://www.etimo.it/?term=scottare

http://www.etimo.it/?term=bacile
http://www.etimo.it/?term=bacino


Patera, pitaro, pitale

http://www.etimo.it/?term=patera
http://www.etimo.it/?term=pitale
http://www.etimo.it/?term=bricco
http://www.etimo.it/?term=brocca
http://www.etimo.it/?term=caraffa

Padeła (farsora), paeła, paeja, *pateła, patelle, patella, patena/patina, patera, *pateia/*patecia, tecia, tecchia/tegghia/teglia/*tega, tegame, tegameła, gameła/gamella, teraja/terraglia, terrina, ...

Pitaƚe e pitaro, phiale
viewtopic.php?f=44&t=956

Pignata, pentoła e pinta
viewtopic.php?f=44&t=1305





Immagine

gavetta,
s. f. ‘recipiente di alluminio per il rancio del soldato in campagna’ (av. 1347, F. Balducci Pegolotti; 1612, A. Falconi).

Locuzioni:
venire dalla gavetta ‘di ufficiale che, iniziata la carriera come soldato semplice ne ha percorso tutti i gradi’ (1937, Diz. mar.), est. ‘di persona che si è fatta dal niente’ (1939-40, Palazzi).
Derivati:
gavettino,
s. m. ‘dim. di gavetta’ (1965, G. Cassieri),
gavettone,
s. m. ‘accr. di gavetta’, ‘trogolo’ (1598, Florio), ‘grosso recipiente per distribuire il vitto alla truppa’ (1922, Zing.).
Lat. gabata(m) ‘scodella’, di uso pop. e di orig. straniera non meglio determinata (germ.? V. Ammann-Fest. I 125) con suff. dim. -étta (> *gavitétta > gavétta) o con un passaggio dallo sdrucciolo al piano, che si riscontra in vc. occitaniche.

gamella,
s. f. ‘recipiente metallico per il rancio di soldati e marinai’ (1798, D'Alb.; 1855, Ugol.: “L'Alberti la chiama termine marinaresco, che significa catino di legno, in cui si pone la minestra; ora l'usano nello stesso significato i nostri soldati; ma è di latta, e non più di legno”, come aveva già detto, nel 1840, il Cherubini).
Locuzioni:
venir dalla gamella ‘di ufficiale, che proviene dalla condizione di semplice soldato’ (1908, Panz. Diz.).
Fr. gamelle, presa nel sec. XVII (1611) dallo spagnolo gamella ‘bacinella’ (non dal lat. camella(m) ‘vaso da bere’ – ma kamela de vino è in un doc. sp. del 1028 (ALMA XXIX, 1959, 52) – dim. (-ella) di camera(m) ‘sorta di barca’, perché lo spagnolo presuppone una e: quindi, meglio, da camella(m), attestata nel sec. I a.C., gamella(m) nel sec. II d.C., f. di camellu(m) ‘cammello’ per qualche sua particolarità di forma) e specializzatasi nell'uso di marinai e soldati. Gli es. più ant. raccolti da Zacc. Ib. 472 non sono molto probanti per la diffusione del termine in it.: si tratta di puri iberismi trasmessi in trad. dal port. e dallo sp.

Bibliografia:
B. E. Vidos in “Neophilologus” XXXII (1948) 154-156 (= Vidos Prestito 172-176) da completare con gli aggiustamenti apportati dal Corominas (e confermati in VR XIII, 1953-54, 371), ma non accolti dal Vidos Prestito 175-176 (né dallo Stefenelli 125-126).


casseruola,
s. f. ‘arnese da cucina, di metallo, più fondo del tegame, con manico lungo’ (casserola: 1771, D'Alb., s. v. casserole; cazzeruola: 1819, Stampa milan.; casseruola: 1834, Stampa milan.; cazzarola: 1841, G. Giusti).
Fr. casserole (1583), da un prec. casse (1341), venuto, tramite il provz., dal lat. mediev. cattia ‘tazza’, di etim. incerta. “Casseruola e cotoletta, sono più usati di cazzeruola e costoletta, ma queste due ultime forme sono preferite da alcuni perché meno francesi” (Migl. Voc. 26).
Bibliografia:
Viani I 311-312.


catino,
s. m. ‘recipiente rotondo e concavo per uso domestico’ (chatino: 1233, Matasalà; catina: av. 1306, Iacopone; catino: 1344, Libro della Mensa), ‘semicalotta che termina superiormente un'abside o una nicchia semicircolare’ (av. 1537, V. Biringuccio).
Derivati:
catinella,
s. f. ‘piccolo catino’ (1297, TP),
a catinelle ‘in grande quantità’ (av. 1665, L. Lippi; detto della pioggia: av. 1850, Proverbi toscani; falsa l'attest. del Bencivenni riportata in Crusca 4,5 e Batt.: Volpi Fals.).
Lat. catinu(m), di etim. incerta. La loc. a catinelle si adoperava orig. per indicare il sangue che usciva in quantità tale da riempire un catino; si vedano le Note al Malmantile: “Ne va il sangue a catinelle, cioè: esce il sangue da dosso non a bicchieri, siccome suol misurarsi, quando dal cerusico si trae, ma a catinelle, cioè in abbondanza smisurata”; più tardi la loc. si adoperò anche per la pioggia (e oggi è adoperata solo in questo caso).


gotto,
s. m. ‘tazza o bicchiere, con o senza manico’ (sec. XIV, Fr. di Vannozzo; anche nel senso di ‘contenuto del bicchiere stesso’: Nicolao di Costantinopoli, del medesimo sec.).
Lat. guttu(m) ‘vaso dal collo molto stretto’, che gli antichi spiegavano paretimologicamente da gutta ‘goccia’, perché permetteva di versare il vino a poco a poco (“qui vinum dabant ut minutatim funderent, a guttis guttum appellarunt”: Varrone), ma che è forse voce di origine greca La sua diffusione attuale nei territori veneti (AIS VII 1336), spiega l'annotazione del Redi: “Gotto vale lo stesso che bicchiere, ed è voce pigliata in presto da' Veneziani”, ma la sua estensione è molto più ampia ed antica (goto è nel genov. ant.: AGI VIII, 1882-85, 357; e gottus nel lat. mediev. di Cesena, sec. XVI: Sella Em.; ed anche in catalano got ha testimonianze cronologicamente lontane). Non ancora spiegata la u lat., che non giustifica la pron. ò.


gota,
s. f. lett. ‘guancia’ (av. 1292, B. Giamboni; accr. gotone: av. 1712, L. Magalotti).
Più che dal lat. gabata(m) ‘ciotola’ (trascritto anche gauata e di orig. straniera; e gote appaiono col senso proprio di ‘scodelle’ nella canzone marchigiana di Castra, fiorentino, av. 1250) usato metaforicamente, dal gall. *gauta (ID XVIII, 1942, 37), accettato quando bucca(m), che, oltre a ‘bocca’, significava principalmente ‘guancia’, si specializzò nel solo senso di ‘bocca’. Gota “è celtico, secondo il Jud (AStNSpr., 124, p. 400), il Dauzat (Rom., 45, 1918-9, p. 253) e il Meyer-Lübke (Wörter und Sachen, 12, 1929, p. 8; REW), e in ogni modo irradia certo dalla Gallia: esso lancia punte nella Ladinia occid., Lombardia occid., Venezia Tridentina occid. (e 1 punto nel Cadore), Romagna e Toscana occidentale” (Bonfante). L'enfiatura delle gote, tipica degli ‘orecchioni’, ha dato orig. ai gotoni (galtoni), successivamente variamente interpretati come malattia del gatto (gattoni: av. 1400, F. Sacchetti) o del montone (mal del montone: 1640, Oudin) con spiegaz. razionali a posteriori (p. es., che la parotite si guarisce col soffio caldo di un montone sulle guance gonfie).
Bibliografia: V. ganàscia.


scodella,
s. f. ‘piatto fondo, usato spec. per servire la minestra; ciotola, tazza, priva di manico’ (scotella nel lat. mediev. nel 564: Studi Schiaffini II 978; per altre attest. lat. mediev. cfr. scutella in Mosino Calabria 161; scodella, scutella, scudela in Sella Em.; scodella, scudella, scuella, scutella in Sella Ven. e scutella, scedella (?), scotellus in Sella Abr.; it. scudella: 1182-1193, dichiarazione di Paxia: Cast. Ant. t. 173; scodelle: 1287, Registro del convento di SS. Annunziata dei Servi di Maria in Firenze: SLI XX [1994] 297).
Derivati:
scodellare,
v. tr. ‘versare minestra o altri cibi, spec. brodosi, nella scodella’ (1612, M. Buonarroti il Giovane), ‘dire, dare, fare e sim. con grande facilità’ (“Scodellare, dicesi volgarmente per Partorire. Es.: Ha scodellato un bel figliuolo; ma accenna facilità e prontezza. Dicesi anche per Trasportare una locuzione di un autore nelle opere proprie. Es.: Piglia dei pezzi interi da Paolo Diacono, e gli scodella pari pari nella sua Storia. Vale anche Parlare apertamente, senza reticenze: per es.: Lui, la scodella come la sente; non c'è pericolo che finga”: 1863, Fanf. Tosc.),
scodellino,
s. m. ‘piccola scodella’ (1353, G. Boccaccio), ‘nelle antiche armi da fuoco ad avancarica, mensoletta concava per la polvere d'innesco’ (1735, Crusca 4), ‘piccolo contenitore per diluente dei pittori’ (scudellino del colore: 1534, Aretino Rag. 20, 25; per gli smaltatori: 1561, A. Citolini; per i pittori: av. 1571, B. Cellini). Su fondina e scodella si veda quanto scritto s. v. fondina 2.
Lat. scutella(m), dim. di scutra ‘piatto’, d'orig. sconosciuta.

scottare,
v. tr. ‘dare senso di bruciore, produrre un'ustione, a causa dell'accostamento ad una fonte di calore intenso, al fuoco, ai raggi solari, e sim.’ (scotare ‘bollare a fuoco’ è attest. nel lat. mediev. di Verona nel 1276: Sella Ven. [e cfr. anche Nigra]; scotare: sec. XIII, Proverbia super natura feminarum; scottare: av. 1600, G. Bruno), ‘sottoporre a brevissima cottura’ (1839-41, Molossi, ma scotar è attest. in questa accez. nel dial. venez. fin dal 1829, Boerio), ‘recare irritazione, dolore, dispiacere’ (av. 1588, F. Sassetti),
intr. ‘emettere molto calore, tanto da poter bruciare’ (av. 1626, P. Sarpi; prec. un'attest. isolata nel Panfilo volgar., XIII sec.), ‘causare profondo interesse, viva preoccupazione’ (1891, Petr.),
rifl. ‘prodursi un'ustione, un senso di bruciore, a causa dell'accostamento ad una fonte di calore intenso, al fuoco, ai raggi solari e sim.’ (1875, Rigutini-Fanf.), ‘passare attraverso esperienze spiacevoli rimanendone amareggiato’ (av. 1950, C. Pavese).
Locuzioni:
scottare la terra sotto i piedi ‘essere impaziente di fare q.c.; avere timore di q.c. o qc.’ (“quella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi”: 1825-27, A. Manzoni, I promessi sposi, Milano, 1954, p. 300 [manca nel Fermo e Lucia]; “quando in un posto ci si sta male o siamo perseguitati”: 1891, Petr.; “La terra gli scotta sotto i piedi, di chi sta con impazienza”: 1922, Zing.).
Derivati:
scottadito,
forma usata solo nella loc. a scottadito ‘di vivande arrostite, sbollentate e sim. e subito mangiate’ (av. 1704, A. Zucchelli)
scottante,
part. pr. e agg. ‘che scotta’ (av. 1597, G. Soderini), ‘grave, urgente, che richiede una pronta soluzione’ (1891, Petr.),
scottata,
s. f. ‘atto dello scottare leggermente, spec. cibi’ (1875, Rigutini-Fanf.),
scottatura,
s. f. ‘atto, effetto dello scottare o dello scottarsi’ (scotatura nel sign. di ‘bollatura’ nel lat. mediev. di Verona nel 1450: Sella Ven.; it. scottatura: 1673, P. Segneri), ‘ustione’ (sec. XIV?, S. Bernardo volgar.), ‘esperienza spiacevole che lascia un senso di delusione’ (1960, Diz. enc.).
Lat. parl. *excoctare, da excoctus, part. pass. di excoquere (V. scòtta 2). A scottadito è il venez. a scotadeo: “Magnàr a scotadeo, Mangiare a scotta dito, dicesi del Mangiare le vivande caldissime, cioè levate allora allora dal fuoco” (1829, Boerio), quasi scottandosi le dita per la fretta; l'espressione era passata nel primo Ottocento anche nel dial. milan. (cfr. Cherubini, che la dice d'orig. veneziana).


bacino,
s. m. ‘recipiente di forma tonda, un tempo spec. metallico, atto a contenere acqua e altri liquidi’ (prima metà sec. XIII, Ugieri Apugliese), ‘parte del corpo compresa fra l'addome e gli arti inferiori’ (1797, D'Alb.: “in vece di pelvi, che è voce tecnica presso i notomisti toscani”), ‘area depressa, continentale o marina, in cui si accumulano i sedimenti’ (1838, Stampa milan.), ‘depressione del terreno in cui ha luogo una raccolta naturale o artificiale di acqua’ (1829, Tram.), ‘specchio d'acqua riparato naturalmente o artificialmente’ (1828, Vanzon; bacino di carenaggio, di raddobbo ‘in un porto, grande vasca, che si può chiudere e svuotare, per portare in secco una nave’: 1937, Diz. mar.).
Derivati:
bacinella,
s. f. ‘dim. di bacino’ (1772, D'Alb.), ‘recipiente di forma tondeggiante e vario materiale’ (av. 1571, B. Cellini),
bacinetto,
s. m. ‘dim. di bacino’ (sec. XIV, Giuseppe Flavio volgar.), ‘leggera armatura del capo, col coppo generalmente appuntito’ (sec. XIV, Tavola Ritonda; cfr. in lat. mediev. capellum ferri vel bacinellum a Padova, nel sec. XIII: Sella Ven.) e poi gli stessi ‘soldati’ provvisti di quel tipo di elmetto (sec. XIV, in Sicilia: Zacc. Ra. 296).
Lat. parl. *baccinu(m) ‘vaso di legno’, forse di orig. gallica (Gregorio di Tours, nel VII sec., scriveva infatti: “clipeum cum duabus pateris ligneis, quas vulgo bacchinon vocant”). Un tentativo di ricondurlo al gr. (K. Latte in “Glotta” XXXII [1953] 41) è stato respinto recisamente da W. v. Wartburg (ZrPh LXXI [1955] 448). Bacino nel senso di ‘vasca’ è un francesismo (bassin) assunto dal Maffei nel 1737: LN XVIII (1957) 67. Anche bacinetto, t. milit., risale al fr. ant. bacinet, che sta pure a capo del molto più tardo bacinetto ‘scodellino, parte dell'acciarino’ (1853, D'Ayala).

patera,
s. f. ‘bassa ciotola o tazza priva di manici, usata nel mondo antico greco-romano per libagioni alle divinità’ (av. 1367, Fazio degli Uberti).
Vc. dotta, lat. patera(m), da avvicinare a patena(m) (V. patèna).
http://it.wikipedia.org/wiki/Patera_(archeologia)


pitale,
s. m. ‘orinale’ (av. 1535, F. Berni).
La formazione della vc. non è del tutto chiara: prob. dal gr. tardo pithárion ‘piccola giara per il vino’ (sec. V d.C.), dim. di píthos ‘orcio’ (d'etim. incerta), con sovrapp. di orinale. Si noti che la vc. gr. si è continuata, ma in altri sign., nel Veneto e in Romagna (Cortelazzo Infl. greco 186), mentre pitale parrebbe essersi diffuso dalla Corte romana, almeno stando a quanto scrisse il Tassoni, nelle sue Dichiarazioni alla Secchia rapita, uscite per la prima volta a Venezia nel 1630 con lo pseudonimo di Gasparo Salviani: “Usò questa voce (pitale) il poeta e molt'altre della Corte di Roma (???), sì per la licenza che concede Aristotele ai poeti epici d'usar varie lingue; ma molto più perché egli ebbe opinione che la favella della Corte romana fosse così buona, come la fiorentina, e meglio intesa per tutto” (A. Tassoni, La secchia rapita, a cura di D. Provenzal, Milano, B. U. R., 1950, p. 257).

bricco,
s. m. ‘recipiente di ceramica o metallo, più largo in fondo e con beccuccio, per caffè o latte’ (av. 1698, F. Redi; brico: 1840, A. Guadagnoli cit. da Gher. Suppl.).
Vc. turca (ibriq, di orig. persiana), come aveva già riconosciuto il Redi: “Questo nome di bricco, in questo significato di vaso, nacque dalla voce turchesca sbrig [!: si legga ibrig], con la quale i Turchi appellano tutti i simili vasi che hanno il manico” (ma il lemma non appare nell'ediz. del vocabolario rediano, stampata ad Arezzo, nel 1928, a cura di V. Viviani). L'errore di lettura dell'esatto ibriq di un codice del Vocabolario di alcune voci aretine risale all'Alberti, e di qui è passato a tutti i dizionari posteriori (A. Nocentini, Il vocabolario aretino di Francescano Redi, Firenze, 1889, pp. 130 e 314). Per gli antecedenti della vc. turca, diffusa, oltre che in it., in tutte le lingue balcaniche, V. G. Manzelli Elem. str. I 232-235.

brocca 1,
s. f. ‘vaso di terracotta, metallo o vetro, fornito di manico e beccuccio, per contenere liquidi’ (fine sec. XIII, Testi sangimignanesi, cit. in GAVI; per il DEI: sec. XIII; prec. attest. in lat. mediev., a Treviso fin dal 929: Sella Ven. 684), est. ‘quantità di liquido contenuto in una brocca’ (1350 ca., Crescenzi volgar.).
Di etimo incerto. Non improbabile un lat. parl. *brocca(m), utensile con becco (broccus), infl. dal gr. brochìs ‘calamaio’ (o, meglio, próchus ‘recipiente per versare acqua’).

brocca 2,
s. f. ‘ramo spoglio’ (av. 1912, G. Pascoli, ma molto bene rappresentata secoli avanti, assieme al den. (s)broccare, nel lat. mediev. di Lombardia ed Emilia: Bosshard 100-101), anche “frasca, o altra verzura, che si dà a mangiare al bestiame” (1797, D'Alb.: “voce contadinesca”).
Lat. broccu(m) ‘che ha i denti sporgenti’, forse di orig. celt., tanto più che l'area di brocca ‘ramo’ è nettamente sett.: Lombardia, Trentino, Emilia (AIS III 559).

caraffa,
s. f. ‘recipiente per liquidi, di vetro o altro materiale, con manico, panciuto, stretto di collo e con una larga bocca’ (carafa ‘misura per liquidi’, nel lat. mediev. di Cervia del 1328: Sella Em.; dim. carrafella a Napoli, av. 1475, L. De Rosa; caraffa: 1554, M. Bandello).
Ar. magrebino garrafa ‘vaso cilindrico di terra cotta con una o due orecchie’ (da avvicinare a garraf ‘che ha molta acqua, canale’): forse c'è stata contaminazione con l'ar.-prs. qaraba ‘bottiglia di vetro a grosso ventre per riporvi vino’ (Pell. Ar. 112, 150, 163, cui si rinvia per ulteriori notizie e bibl.).


Potacio, potoro e simposio (simpula)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... E2UW8/edit

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Pitaƚe e pitaro, phiale
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun gen 20, 2014 10:27 pm

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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » gio apr 10, 2014 7:57 am

Can, cana, canna, Kan, Kane, Kannu

Immagine

http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Kanne.jpg


Cana-canaro-caneva-canevera, canestro, canarejo, canal, scanà, cantar
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » sab feb 07, 2015 8:53 pm

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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » gio mag 21, 2015 6:30 pm

Cfr. co:

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ganeum.jpg



Immagine

ganea, ae, f.,
bettola, taverna; luogo di dissolutezza, CIC. e a.; per metonimia, gozzoviglia, dissolutezza, SALL., CIC. e a.
ganearius, a, um, agg., tavernario, VARR. R. R. 3, 9, 18 [ganea + -arius].
ganeo, onis, m., crapulone; uomo dissoluto (furiosissimus ganeo, CIC.) [ganea + -o1].
ganeum, i, n.= ganea, PL., TER. e a.
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Re: Cheno/keno e caneva/canova

Messaggioda Berto » lun giu 26, 2017 7:47 pm

Cfr. co:

Canabae
https://it.wikipedia.org/wiki/Canabae
Per Canabae si intendeva, al tempo dell'Impero romano, l'agglomerato civile (anche di non-cittadini romani), sviluppatosi fin dai tempi di Augusto, attorno alle fortezze legionarie permanenti (castra stativa).
Originariamente il termine canabae indicava, infatti, le bancarelle dei fruttivendoli e dei commercianti di vino. Con il passare dei secoli questo genere di insediamento andò sviluppandosi anche attorno ai forti ausiliari principali (es.Saalburg lungo il limes germanico-retico. Erano nuclei di fondamentale importanza non solo ai fini del commercio tra le diverse province romane ed il mondo dei barbari, ma anche e soprattutto un modo per civilizzare e acculturare (???) le genti appena sottomesse o le vicine popolazioni oltre il limes, attraverso il processo noto come romanizzazione.


CANABAE (κάνναβος, κάναβος, canaba)
http://www.treccani.it/enciclopedia/can ... rte-Antica)

Il termine designa leggere costruzioni in legno, baracche; in genere è completato dall'indicazione, al genitivo, di una determinata legione: infatti le c. legionis venivano erette dagli addetti alle salmerie come ricoveri, depositi e officine. Storicamente vanno distinte tre fasi delle c. : una, finora priva di attestazioni archeologiche, in cui si seguivano le truppe sul campo (attendamenti); una seconda, in cui le truppe (e di conseguenza le salmerie) si insediavano in costruzioni più solide (ma sempre in legno) per periodi più lunghi, specialmente in inverno (hiberna), e una terza fase, in cui le truppe e le salmerie si acquartieravano in un luogo più a lungo, costruendo alloggi durevoli. Ovviamente queste fasi potevano anche presentarsi contemporaneamente a seconda delle funzioni da svolgere.

Gli abitanti delle c. erano commercianti che rifornivano le truppe e intrattenevano piccoli scambi con queste (p.es. compravano i bottini di guerra), artigiani che vendevano i loro prodotti, vivandieri (lixae). Vi erano anche veterani che traevano frutto dalla loro familiarità con le truppe - CIL, III, 3505 da Aquincum-Buda(pest) - e i congiunti, legali o meno, dei soldati. Quanto più un esercito rimaneva inattivo, tanto più le c. continuavano ad accrescersi, fino ad assumere l'aspetto di una cittadina. Ciò valeva per l'estensione, il numero e la densità di abitanti, come pure per le costruzioni (in pianta le c. a noi note oscillano tra 40 e 130 ha).

I resti archeologici più antichi delle c. risalgono all'età di Augusto (a Mogontiacum-Magonza e a Dangstetten nel circondario da Waldshut, forse a Novaesium-Neuss e a Bergkamen-Oberaden nel circondario di Unna). Non è stato ancora scavato alcun accampamento completo risalente a quest'epoca. Ci sono motivi però per supporre che le costruzioni in legno della fase 2 fossero perlopiù a forma di lungo rettangolo. Tale tipo non solamente si è conservato sino alla fase 3 (Isca-Caerleon, Deva-Chester, Noviomagus-Nimega, Carnuntum-Bad Deutsch Altenburg), ma era abituale anche per i vici che si svilupparono presso gli insediamenti delle formazioni ausiliarie.

A Deva e a Noviomagus sono state ritrovate costruzioni rettangolari come a Carnuntum, generalmente di lunghezza almeno doppia rispetto alla larghezza e oscillante fra i 18 e i 26 m, comunque - in tutti gli esempi a noi noti - ancora inferiore a quella riscontrabile nelle costruzioni molto allungate dei vici. Gli edifici avevano bisogno di tali proporzioni poiché dovevano accogliere anche magazzini e officine. Le caratteristiche delle abitazioni a uno o due piani delle c. ripetevano, all'incirca, quelle più abituali delle case erette in città o in piccoli insediamenti.

Nella terza fase un uso più sapiente degli spazî fece registrare, nelle costruzioni allungate, una migliore articolazione degli interni, la cui suddivisione era determinata soprattutto dalle modalità di accesso ai varí ambienti in relazione all'entrata principale della casa: nella maggior parte dei casi vi era un corridoio orientato nel senso della lunghezza sul quale si affacciavano i singoli ambienti. Alcune case presentavano una pianta lievemente irregolare (p.es. a Noviomagus e a Carnuntum). Davanti al lato principale un portico (porticus) poteva svolgere la stessa funzione del corridoio. Gli edifici in pietra venivano intonacati, come nelle città, e i muri interni potevano essere dipinti (Deva, Mogontiacum, Argentorate-Strasburgo, Carnuntum, Aquincum, Viminacium-Kostolac). Talvolta vi era una copertura in corrispondenza della porta di ingresso, che era in questo modo riparata in caso di cattivo tempo. Le necessità idriche erano probabilmente soddisfatte soprattutto con pozzi 0 acque correnti; più tardi le c. vennero provviste di canalizzazioni (Aquincum, Novaesium). A Deva i canabenses facevano uso del medesimo sistema di condutture che riforniva l'accampamento dei legionari. Sia all'interno sia all'esterno delle c. si potevano trovare anche costruzioni rurali o fattorie recintate: a Carnuntum furono edificate ben sei «fattorie», come a Deva. A Novaesium (forse anche a Deva) fu ritrovata una piccola villa a piani digradanti (Risalit-Villa). Nei pressi delle c. venne riscontrata la presenza di edifici rurali e di un sistema di campi coltivati, che potrebbero essere serviti all'approvvigionamento delle truppe. Nella fase terza sono attestati anche edifici dalle caratteristiche piuttosto ricercate: ad Aquincum ciascuno di essi era fornito di una sala da pranzo, provvista sul lato corto di un'abside pavimentata a mosaico come la maggior parte degli altri ambienti; decorazioni musive sono state rinvenute anche a Deva, a Castra Regina-Ratisbona e a Brigetio-Ószöny. Si è supposto che tali abitazioni appartenessero a ricchi commercianti o a ufficiali fuori servizio; forse talvolta anche a ufficiali in servizio, almeno dall'età di Settimio Severo, il quale abolì l'obbligo assoluto per i soldati di risiedere nell'accampamento.

Fra gli abitanti delle c. dovevano lavorare permanentemente nel Castrum dei legionari soltanto gli artigiani, indispensabili in caso di assedio. Alcuni acquartieramenti di legioni avevano degli «annessi» per officine, ben difesi, che si potevano evacuare in caso di pericolo (Caerleon, Nimega); la maggior parte degli operai «civili» al servizio della legione probabilmente lavorava e abitava nelle canabae. Erano spesso presenti, comunque, botteghe di ceramica e fucine (p.es. a Deva, dove sembra sia stata scoperta una zona industriale; e inoltre a Vetera, Novaesium, Vindobona-Vienna, Carnuntum, Brigetio, Aquincum). È testimoniata inoltre la lavorazione del vetro a Noviomagus e a Brigetio; a Bonna-Bonn si trovavano una selleria e un calzaturificio; le case di Sirmium, dirimpetto alla strada principale, disponevano ciascuna di uno spazio adibito a officina. Se lo spazio all'interno delle c. non bastava o gli scarichi e il rumore prodotti dalle officine disturbavano troppo i vicini, allora quelle destinate all'esercito venivano impiantate anche all'esterno delle c., come sappiamo da ritrovamenti in Britannia e in Germania Inferiore.

In latino la parola canabae designa fra l'altro gli edifici di proprietà di commercianti adibiti ad abitazione e magazzino: tale significato è attestato epigraficamente per Lugdunum-Lione, Mogontiacum, Argentorate ed Efeso; da questo ambito semantico la parola giunse poi nella lingua militare. I commercianti rifornivano le truppe in blocco (p.es. di armi) oppure singoli soldati (come dagli esempi su papiri egiziani); inoltre, poiché le guarnigioni erano, ovviamente, insediate per lo più lungo il limes, potevano avvenire scambi commerciali anche con i popoli confinanti, con le gentes esterne: il che era possibile solo eccezionalmente nei mercati all'interno dell'impero. Si potrebbero mettere in relazione con queste funzioni specifiche i grandi fori che sono stati riportati alla luce a Noviomagus, Vindonissa-:Windisch, Carnuntum e Aquincum. Per il commercio erano utili i corsi d'acqua navigabili; a Deva, Haltern, Argentorate e Aquincum conosciamo impianti portuali artificiali, nonché arsenali e magazzini.

Spesso erano presenti anche le terme, testimoniate nelle c. di Caerleon, Viroconium-Wroxeter, Deva, Argentorate, Carnuntum e Aquincum. Per il commercio era essenziale che vi fossero anche alloggi per gli stranieri (Deva).

Anche la truppa reclamava spazi per sé all'esterno dell'accampamento, da adibire a varí scopi. Presso ogni campo di legionari c'era un grande spiazzo per le esercitazioni di fanteria e cavalleria, a cui durante le prove («visite») probabilmente erano ammessi spettatori della legione stessa e forse anche delle c. (si pensi ai tattoos britannici). I ludi avevano il medesimo aspetto degli anfiteatri urbani, pur essendo più piccoli di questi. La legione aveva bisogno inoltre di rimesse per i mezzi di trasporto; si potrebbe anche supporre che i pecuarii, che erano incaricati di badare alle cavalcature, agli animali da tiro e a quelli da macello della legione, abitassero fuori dell'accampamento, vicino alle bestie.

Se perfino piccoli insediamenti possedevano il loro santuario, e la maggior parte anche più d'uno, anche le c. ne dovevano disporre (si tenga presente che il santuario centrale dell'accampamento non era accessibile alla popolazione civile). Nelle c. di Carnuntum, p.es., sono stati ritrovati due santuari di culti orientali: Mithra e Ba'al di Heliopolis-Ba'albek. A Deva sono testimoniati due mitrei e un santuario per le Matres. Ovviamente a fianco delle strade poste fuori dell'accampamento e delle c. dovevano allinearsi tombe della guarnigione e dei canabenses.

Spesso, all'esterno delle c. sorgeva un insediamento interamente civile, ed era talvolta questo, e non le c. stesse, a svilupparsi fino a diventare una «città» nel senso giuridico romano: questo accadeva perché gli abitanti delle c. erano considerati strettamente legati all'organizzazione militare, rappresentata dal praefectus castrorum. Solo in pochi casi un imperatore concesse loro il diritto di cittadinanza.

Alcune c. resistettero fino al IV sec., sicuramente in Pannonia, forse anche a Novaesium e a Bonna. Di esse sappiamo poco, se non che si tratta di una mera prosecuzione dell'insediamento di epoca imperiale, come a Carnuntum. La disposizione degli eserciti di manovra nell'età tardoantica non fu adatta all'instaurazione di canabae. In epoca romana tarda (seconda metà del III-IV sec.) le c. vennero dotate di modeste strutture difensive (Deva, Mogontiacum).

Bibl.: H. von Petrikovits, Die Canabae Legionis, in 150 Jahre Deutsches Archäologisches Institut 1829-1979, Berlin 1979, Magonza 1981, p. 163 ss. - Su Mogontiacum: D. Baatz, Mogontiacum (Limesforschungen, 4), Berlino 1962; id., Zur Frage augusteischer Canabae Legionis, in Germania, XLII, 1964, pp. 250-265. - Sui nuovi ritrovamenti di Deva, Dangstetten, Nimega, Novaesium, Bonna, Carnuntum e Aquincum: J.H.F. Bloemers, Nijmegen ROB Excavations 1974-1979, in S. Hanson, J. F. Keppie (ed.), Roman Frontier Studies 1979 (BAR, Int. s., 71), II, Oxford 1980, pp. 471-474; G. Fingerlin, Legionslager Dangstetten..., in AAusgrBadWürt, 1981, p. 93 ss.; C. van Driel, M. Gechter, Funde aus der Fabrica... am Bonner Berg (Rheinische Ausgrabungen, 23), Colonia 1984, pp. 1-83; M. Kandier, H. Vetters, Der römische Limes in Osterreich, Vienna 1986, pp. 222-230; Α. Kaiser, Κ. Póczy, Budapest római öröksege («L'eredità romana di Budapest»), Budapest 1986, pp. 39-51; Κ. Póczy, Die Lagerstadt (canabae legionis), in Das römische Budapest, Monaco 1986, pp. 99- III; D.P.J. Mason, Chester: The Canabae Legionis, in Britannia, XVIII, 1987, pp. 143-168. - Sulle c. della prima fase in Inchtuthil: L. e J.K. St. Joseph, Inchtuthil (Britannia Monographs, VI), Londra 1985, pp. 223-246, in part. p. 246.

(H. von Petrikovits)
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