parlare,
v. intr. ‘articolare dei suoni o emettere suoni articolati, comunicare per mezzo di parole’ (sec. XIII, Uguccione da Lodi), ‘rivelare notizie riservate o segrete’ (av. 1574, A. F. Doni), ‘tenere un discorso, una predica’ (av. 1294, B. Latini), ‘trattare, discutere’ (av. 1294, B. Latini), ‘esprimersi con mezzi diversi dalla parola’ (“l'uomo parla col gesto, colle dita, con gli occhi, col cipiglio, col silenzio”: 1871, TB; attest. dal 1592, L. Bernardo), ‘agire o influire sui sentimenti o sulla sensibilità; essere significativo, vivace, espressivo’ (1686, P. Segneri),
tr. e intr. ‘usare o saper usare una lingua’ (av. 1321, Dante),
rifl. ‘rivolgersi la parola, essere in buoni rapporti’ (1871, TB), ‘amoreggiare’ (1825-27, A. Manzoni, I promessi sposi [I ediz.], ediz. Mondadori, 1964, p. 47; sostituito nell'ediz. definitiva con discorrere),
s. m. ‘discorso, parola, parlata’ (sec. XIII, Odo delle Colonne).
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Lat. parl. *parabolare (attest. nel lat. mediev.), der. di parabola ‘parola’, che sostituisce il lat. class. loqui: “Di loqui non resta più alcuna traccia; in luogo di esso ebbero dapprima fortuna fabulare (sp. hablar, port. fallar) e fabellare (che sussiste nel sardo e nel ladino, ed era vivo nel dalmatico); poi s'affermò il neologismo cristiano parabolare arrivando a predominare in Gallia e in Italia: ci rendiamo conto del suo lento, progressivo espandersi da nord a sud se pensiamo quanto ancora era vivo favellare nei più antichi testi italiani, specialmente centrali e meridionali” (Migl. St. lin. 36). Fra i der., parlamento nel sign. più strettamente politico si rifà all'ingl. Parliament (parlement nel 1297): G. Rando che ne riporta numerose attest. tratte da relazioni degli ambasciatori veneziani in Inghilterra (LN XXXI [1970] 104-109), ricorda che “Le relazioni antecedenti a quella del
Falier (1531) non riportano alcun termine riferentesi al sistema parlamentare inglese. Nel corso dei secoli precedenti il parlamento britannico aveva assunto forma e funzioni diverse dalle omonime istituzioni continentali, ma fino al tempo di Enrico VIII il Parliament fu soltanto convocato saltuariamente e non era ritenuta l'istituzione politica più importante del regno. Dopo l'ascesa di Enrico VIII al trono d'Inghilterra, nel 1509, esso assunse una funzionalità più conforme al proprio compito, particolarmente al periodo dello scisma religioso, quando all'istituto parlamentare fu dato un ruolo determinante nel governo del paese” (p. 106, note 15); per attest. it. della vc. nelle sue diverse sfumature di sign. si veda il Rez. Parlamentarismo è invece il fr. parlementarisme: “Coniato per decisione di Napoleone III nel 1852, secondo testimonia Victor Hugo in Napoléon le Petit («Parlementarisme est une perle. Voilà le dictionnaire enrichi. Ces académiciens de coup d'Etat font des mots»: V, VIII)” (Migl. Onom.).
parola,
s. f. ‘insieme organico di suoni o di segni grafici con cui l'uomo riesce, parlando o scrivendo, a comunicare dei contenuti mentali; termine, vocabolo’ (1239-50, G. Fava: Monaci, p. 58).
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Lat. parabola(m) (V. paràbola): “Il gr. parabole, sotto la forma parabole e nel senso di «similitudo», si trova già in Seneca (Ep. 59), ma è solo per l'uso fattone dagli autori cristiani che la parola esce dalla terminologia retorica e, perso il valore primitivo di «comparazione, similitudine» assume, specialmente in rapporto alla predicazione per mezzo di esempi e di similitudini di Gesù, quello di «esempio» (o «parabola» come intendiamo anche oggi noi comunemente riferendoci al Vangelo) e poi, man mano, già nella Vulgata, quello più generale di «parola» (...). Parabola nel nuovo senso di «parola» sostituisce in quasi tutta la Romània Verbum” (C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna, 1969 5, p. 278, cui si rinvia per altre informazioni). Gioco di parole è un calco sul fr. jeu de mots (1660 ca.), jeu de paroles (1680). Parola chiave rende l'ingl. key word,
assunto anche in questa forma orig. (1971, Rando). Parola d'ordine è un calco sul fr. mot d'ordre. Per parole incrociate cfr. quanto scritto s. v. cruciverba e aggiungi che la denominazione di parole (in)crociate risale al lecchese Giuseppe Aroldi, che la usò nel Secolo illustrato della domenica (Migl. Onom.). Prendere in parola ricalca prob. il fr. prendre au mot (inizio sec. XVII: cfr. Dardi 352-353). “Parola: con la divulgazione della dicotomia saussuriana langue / parole, la voce italiana può assumere, perlomeno incerta terminologia specialistica, il più ampio valore di ‘uso individuale del linguaggio’, proprio del corrispondente lessema d'oltralpe” (V. Orioles in IL VIII [1982-83] 138).
eloquio,
s. m. ‘modo di parlare’ (sec. XIV, S. Giovanni Crisostomo volgar.).
Vc. dotta, lat. eloquiu(m), da eloqui (V. eloquènte).
verbo,
s. m. ‘parola’ (1300-13, Dante; il pl. verba in Iacopone, av. 1306, e Dante, av. 1321; a verbo a verbo ‘parola per parola’: av. 1348, G. Villani; non dire verbo ‘tacere’: 1875, Rigutini-Fanf.; 1891, Petr.: non rispose, non replicò vèrbo), ‘nella teologia cristiana, la seconda persona della Trinità, Gesù Cristo’ (av. 1321, Dante), (ling.) ‘parte variabile del discorso che indica un'azione o un modo di essere di persona o di cosa’ (av. 1321, Dante; verbi di moto ‘che indicano movimento’: 1745, Corticelli 378; verbi incoativi ‘che indicano l'inizio di un'azione’: 1540, F. Priscianese: De Verbi Inchoativi, nel vol. De primi principii della lingua romana, Venezia; verbi regolari ‘che seguono i tipi stabiliti di coniugazione’: av. 1777, F. M. Zanotti; verbo servile ‘che si unisce con un altro di modo infinito per esprimere possibilità, volontà, dovere e sim.’: 1891, Petr.; per verbo sustantivo V. sostantìvo).
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Vc. dotta, lat. verbu(m) ‘parola’ (di orig. indeur.), opposto a re(m) ‘cosa’ e, in grammatica, ‘verbo’ in opposizione a vocabulu(m) ‘nome’, secondo la ripartizione aristotelica fra rhemata e onómata. Un modello gr. (lógos) si ha per l'uso teologico di verbu(m), tradotto, talvolta, anche con parola. Conservano il sign. della base i der. verbosu(m) ‘loquace, di molte parole’ con i tardi verbositate(m) (334-337 d.C., Firmico Materno) e verbale(m) ‘di parole’ (av. 532 d.C., Fulgenzio). L'uso mod. di verbale, dapprima agg. (processo verbale), poi s., ripercorre la strada del fr. procès verbale (V. procèsso) – parallela a quella della note verbale diplomatica (1842) – poi verbale (verbal, 1694): da qui l'avversione dei puristi. Dal fr. anche il v. verbalizzare (verbaliser, 1668) col der. verbalizzazione (verbalisation, 1842). E pure verbalismo (verbalisme, dal 1876 nel ling. filos.). Verbigerazione è, invece, adattamento dell'ingl. verbigeration (1886) dal lat. verbigerare ‘discorrere, chiacchierare’, propr. ‘condurre (gerere) la parola (verbu(m))’.
dire,
v. tr. ‘proferire, enunciare’ (1211, Libro conti 92), ‘recitare’ (av. 1342, D. Cavalca), ‘narrare, raccontare’ (av. 1294, B. Latini),
intr. impers. ‘correr voce, esser fama’ (av. 1292, B. Giamboni),
s. m. ‘atto e modo del dire’ (inizio sec. XIII, Odo delle Colonne).
Lat. dicere (d'orig. indeur.), in orig. ‘mostrare’, quindi ‘far conoscere per mezzo della parola, dire’, usato dapprima in contesti solenni, religiosi e tecnici.
Parolahttp://it.wikipedia.org/wiki/ParolaLa parola (dal greco
παραβολή parabolè, attraverso il latino
parabŏla, poi alterato in
paràula nel volgare) è l'espressione orale o scritta di una informazione o di un concetto, ovvero la rappresentazione di una idea svolta a mezzo e nel presupposto di un riferimento convenzionale.
http://www.etimo.it/?term=parlare http://www.etimo.it/?term=loquelahttp://www.etimo.it/?term=loquace http://www.etimo.it/?term=direhttp://www.etimo.it/?term=pregare http://www.etimo.it/?term=prece http://www.etimo.it/?term=frignarehttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ar-528.jpg http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... en-693.jpg http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... or-459.jpghttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... la-503.jpghttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... mo-562.jpghttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... um-609.jpg