Magnar bai e e bisołi
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Coccinelle a colazione, storia dell’entomofagia in Europa
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di PAOLO L. BERNARDINI
L’entomofagia – ovvero l’utilizzo degli insetti come cibo da parte dell’uomo – ha in verità una storia assai lunga. La Bibbia – nel Levitico – prevede espressamente che ci si possa cibare di locuste, cavallette, scarafaggi. “Ognuno secondo la propria specie…”, ovvero, si presume, ognuno cucinato nei modi che la specie richiede. O forse crudi. Quando San Giovanni, nel deserto, dovette nutristi, appunto, di miele e cavallette, le cucinò? Probabilmente no. Ma probabilmente neppur si trattata di cavallette, ma erano piante particolari, almeno così sostiene Isidoro di Pelusio, scrittore bizantino, monaco e santo vissuto tra IV e V secolo in Egitto, che così infatti traduce il greco akris, cavalletta appunto. Certamente, una ricognizione nel passato classico, oltre che nell’Oriente antico e moderno, ci mostrerebbe che il tabù – per dir così – relativo all’uso dell’insetto come cibo viene contraddetto, assai spesso, da un uso cauto ma autorizzato in questo senso. D’altra parte, dobbiamo domandarci donde derivi la repulsione, assai spesso condivisa, verso l’insetto inteso come cibo, se è vero che l’uomo si nutre di un prodotto eccellente dell’attività di insetti, il miele appunto, e se gli insetti vengono utilizzati in una miriade di “campi”: ad esempio, il baco da seta.
Forse, l’insetto non dà l’idea di “abbondanza”, e quindi di possibilità di trarne succhi vitali, dal sangue al grasso, propri di altri animali con meno zampe, o senza zampe affatto, come i pesci. L’insetto è generalmente magrolino, insomma. Non ispira. L’assenza di carnosità si unisce alla sua complessione articolata, che pare esaurirsi in un involucro senza contenuto. Qualcosa insomma non di facilmente commestibile. E gli insetti più comuni, ad esempio le api, o le vespe, vengono identificati con il loro pungiglione, qualcosa di idealmente indigesto; mentre le formiche, ad esempio, contengono succhi acidi disgustosi, e i ragni una buona quantità di veleno. Insomma, sono loro spesso a cibarsi da parassiti del nostro cibo – la “repellente” mosca, anzi tutto – piuttosto che poter divenire essi stessi cibo per umani.
A scuotere l’Occidente dalle sue riserve sugli insetti come cibo ci hanno provato in tanti. Nell’Inghilterra vittoriana, preda di una problematica crescita umana, al culmine della rivoluzione industriale, e capitale di un Impero da cui si potevano ben trarre gran parte delle specie di insetti commestibili del mondo, venne fuori un certo Vincent M. Holt, che fece molto clamore con il suo libretto: “Why Not Eat Insects?”, uscito nel 1885. Lo stesso hanno in cui la scienza afferma una volta di più la sua vittoria contro la natura, con il vaccino anti-rabbia sperimentato con successo da Pasteur. Holt sosteneva non solo la bontà e l’immensa varietà possibile di una dieta a base di insetti, ma anche la possibilità di utilizzare gli insetti cotti insieme ad altri cibi più tradizionali. Holt proponeva menù cinesi, francesi, ed inglesi. Certamente, una fricassea di pollo e farfalle, un cavolfiore guarnito di bruchi, o le carote novelle in salsa di verme, non sembrano molto invitanti. Una provocazione soltanto? Forse no. Holt sosteneva appassionatamente l’alto valore calorico di una dieta a base di insetti. La crescente massa operaia inglese non poteva certo essere nutrita con roastbeef e sirloin.
Così la scienza dell’alimentazione con gli insetti, ovvero l’entomofagia, ha fatto passi da gigante, e non da millepiedi, negli ultimi anni. Vi sono state celeberrime cene a base di insetti in America e in Inghilterra. Vi sono, secondo le statistiche, almeno 1000 specie di insetti commestibili, e l’80% della popolazione mondiale se ne nutre. I sostenitori dell’entomofagia lodano tutti gli aspetti di sostenibilità del prodotto, i valori proteici e vitaminici, le varietà per il gusto, la minore o nulla emissione di gas rispetto agli animali tradizionali. E poi la possibilità di allevamento non invasivo, la relativa assenza di malattie trasmissibili (non esisterebbero sindromi della “cicala pazza”, poniamo). Chiunque passeggi ad Hong Kong o Bangkok troverà i mercatini pieni di insetti fritti, o spiedini di bachi, deliziosi con un pochino di limone, anche se non si sa bene che specie siano (a meno di non conoscere i loro nomi in cinese).
In fondo, anche nella cultura greca e romana, solitamente ritenuta più raffinata, nel ristretto cerchio delle culture classiche occidentali, rispetto a quella ebraica, le larve, ad esempio, erano considerate cibo raffinatissimo. E niente meno che dagli Epicurei, i ghiottoni tra i ghiottoni, gli arci-edonisti. Il famoso “Cossus” di cui ci parla Plinio, insetto non facilmente identificabile. Ma certamente un insetto, come racconta tutto entusiasta proprio Holt.
*Ordinario di Storia moderna, Università dell’Insubria