L’indipendenza e l’autogoverno presuppongono la partecipazione. O no?16 Nov 2015
http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... zione-o-nodi ENZO TRENTIN – Nei giorni scorsi ad Arsiero (VI), i funerali dell’artigiano vicentino Ermes Mattielli hanno fatto sentire palpitante, forte e chiara la voglia di indipendenza di una parte consistente di Veneti. I media ed i social network hanno dato ampia notizia del fatto che, a seguito delle proteste e della riprovazione del pubblico, cinque Sindaci che indossavano la fascia tricolore, simbolo del loro incarico pubblico, sono stati costretti a toglierla in quanto simbolo dello Stato “occupante”, e poco rispettoso delle regole democratiche. Un solo Sindaco ha reagito con veemente verbosità alle accuse mentre gli altri si sfilavano la fascia. [Qui un video dell’accaduto:
http://www.la7.it/la-gabbia/video/la-ra ... 015-167375 ] E così il prefetto di Vicenza sta vagliando la posizione di quei Sindaci. (vedi anche la nota in fondo all’articolo).
È stata una manifestazione di forza morale, nessuna violenza fisica. Lo sdegno è montato spontaneamente, e nell’intento di placarlo i Carabinieri hanno iniziato a chiedere i documenti ad alcune persone presenti. Fabio Padovan, noto industriale, indipendentista, ed animatore della LIFE (Liberi Imprenditori Federalisti Europei) era uno di costoro. Tuttavia altri manifestanti si sono immediatamente e spontaneamente frapposti alle forze dell’ordine facendole desistere, e dimostrando che non servono né armi, né violenza, basta la forza morale delle proprie indiscutibili ragioni. Tuttavia Fabio Padovan è stato ugualmente riconosciuto, e segnalato alla autorità giudiziaria dal Capitano dei Carabinieri Vincenzo Gardin, per il rifiuto di fornire le sue generalità. Non sembra siano stati commessi reati. La democrazia in Italia è una parola dal significato vago ed interpretabile?
L’antefatto
La vicenda è nota, poiché i mezzi d’informazione nazionale, come pure Internet, se ne sono occupati a sufficienza: l’artigiano Ermes Mattielli ha colto sul fatto due Rom intenti a rubare nella sua proprietà. Ha sparato, li ha feriti, ed è stato condannato dal giudice, lo scorso mese di ottobre, per duplice tentato omicidio a cinque anni e quattro mesi di reclusione, nonché a risarcire i due ladri, Blu Helt 28 anni e Cris Caris di 21, con 135mila euro che non ha mai posseduto. Era un rigattiere. È morto in ospedale di crepacuore, come si diceva una volta.Vicenza 09 11 15 Arsiero Funerale di Ermes Mattielli © Vito T. Galofaro
Il giudice
Il giudice che ha condannato Mattielli è stato messo alla berlina nei social network.
Bartolo di Sassoferrato è una celebrità solo per i cultori della storia del diritto, e tuttavia tutti dovrebbero conoscere questa sua coraggiosa confessione (citiamo a memoria): «Ogni volta che mi si propone un problema giuridico, prima sento quale deve essere la soluzione, poi cerco le ragioni tecniche per sostenerla.» E se questo era vero per un simile luminare, figurarsi per un magistrato qualunque. Dunque aspettarsi dal giudice un giudizio asettico, pressoché meccanico, come una macchina in cui si infila il fatto e viene sputata fuori la sentenza, è del tutto fuori luogo. Il diritto cerca di mettere ordine e razionalità nelle vicende, tipizzandole in quadri astratti, ma poi in concreto quel diritto viene maneggiato da un essere umano, con la sua culturala sua affettività, i suoi principi e – perché no? – i suoi pregiudizi. Si spiega così che la parola “sentenza” si ricolleghi a “sentire”, cioè alla stessa radice di “sentimento”, non a “sapere”.
La sparatoria nel capannone di proprietà di Mattielli avviene una sera di Giugno 2006. Quattro mesi prima – Febbraio 2006 – viene varata la legge 59 sulla “legittima difesa” la quale sostiene che non si è imputabile del reato se si reagisce ad un pericolo grave ed imminente, purché ci sia proporzione. Il clima politico crea un’atmosfera tesa e il magistrato di Schio (VI), condanna Mattielli solamente per “eccesso doloso di legittima difesa”. Questa sentenza stupisce i procuratori di Vicenza e di Venezia (la più importante carica giudiziaria del Veneto) che la appellano, e si arriva alla sentenza definitiva sopra riportata.
Un giornalista
Scrive un articolo [vedi qui:
http://you-ng.it/2015/11/09/le-bufale-s ... l-giudice/ ] che già nel titolo definisce la sua presa di posizione: “Le bufale su Ermes Mattielli e la giusta sentenza del giudice”.
Egli in sintesi sostiene che il “sentire” del giudice che ha emesso la condanna ha agito bene. Con onestà intellettuale non si esime dal menzionare tutte le criticità dell’evento. Semmai capziosamente sminuisce quelle favorevoli all’imputato, per far risaltare la sua tesi. Ovvero, non si può ferire gravemente due persone che, stavano sì rubando in casa dell’artigiano, ma un po’ di rame trafugato non merita le mutilazioni subite ed il rischio di venire ammazzati mentre si delinque. E sottotitola: “La Parte (forse) “Ingiusta”: Il Risarcimento Del Ladro”. Poi si rifugia nel giustificazionismo buonista aggiungendo: “Non c’è modo migliore per aumentare la sicurezza che combattere la povertà e l’emarginazione, punendo in maniera proporzionata chi commette crimini piccoli e grandi.”
La legge
Supponiamo che, malgrado quanto confessa Bartolo di Sassoferrato, il magistrato abbia agito coscienziosamente in base alla legge. Di che qualità è composta questa legge che punisce in maniera proporzionata (quindi a discrezione) chi commette crimini?
Qualche secolo fa Democrito (460-370 a.C.) filosofo pluralista, intratteneva i suoi ascoltatori con teorie allora avveniristiche, ma molto interessanti anche adesso. Secondo Democrito le leggi sono introdotte dagli uomini per regolare la vita associata e impedire le reciproche ingiustizie; la loro efficacia è perciò direttamente proporzionale al consenso dei cittadini. Qualche frammento:«La legge si propone di procurare vantaggio all’esistenza degli uomini; ma può procurarlo soltanto quando gli uomini stessi vogliano adattarsi alle condizioni vantaggiose. La legge mostra efficacia a coloro che accettano di obbedirla.» E anche: «È meglio essere poveri in regime democratico che vivere nel cosiddetto benessere sotto un governo tirannico: fino a questo punto la libertà è preferibile alla schiavitù.» Solo qualche parola del passato per ricordare agli oratori di oggi di interpretare bene la democrazia che ci offrono quando ci rappresentano e quando ci chiedono sacrifici, ricordando loro di guardare gli avvenimenti della Storia.
Tutti siamo servi della legge perché possiamo essere liberi, scriveva Cicerone nella Oratio pro Cluentio. Proprio per questo il magistrato romano si rivolgeva all’assemblea con una formula di rito, per la quale se nella legge si fosse successivamente scoperto che qualcosa vi era di illegittimo, l’approvazione sarebbe stata nulla.
Le opinioni degli uomini non sono materia del governo civile, né sono sotto la sua giurisdizione. Permettere che l’uomo politico estenda i suoi poteri fino al campo delle opinioni, e limiti la diffusione di certi principi in base alla loro presunta nocività è un errore pericoloso. Tale errore distrugge ogni libertà, dal momento che l’uomo politico diventa giudice e tramuterà le sue opinioni in legge, approvando o condannando le idee altrui a seconda di quanto queste ultime combacino o differiscano dalle proprie. È sufficiente che, quando le convinzioni di qualcuno provocano disordini o turbano il buon ordine della comunità, i funzionari civili intervengano in nome dei giusti principi di governo. Quando è permesso di confutarli liberamente, gli errori cessano di essere pericolosi.
Anche in base alla legge (art. 1362 Codice civile), bisogna guardare alla “sostanza” (il reato di furto e quello di violazione di domicilio) e non alla “forma” (difesa giudicata eccessiva); è evidente, pertanto, che l’Italia ha cessato di essere da molto tempo una democrazia.
I partiti (che tengono a far credere di essere democratici) adottano le loro decisioni a maggioranza, non in base al “sentire” del popolo che amministrano per delega, e non per sovranità.
I protagonisti
I protagonisti di questa triste vicenda appartengono alle classi sociali più disagiate. Senza apparire offensivi potremmo dire che i poveri si sono fatti la guerra. Supponiamo che i reati fossero gli stessi, ma le circostanze diverse: i Rom (ladri) entrano in una villa palladiana e rubano opere d’arte. Il padrone di casa fa quello che ha fatto Ermes Mattielli. Avremmo probabilmente assistito ai grandi lamenti dell’opinione pubblica che si sarebbe stracciata le vesti per il facoltoso proprietario, il quale avrebbe fatto bene a sparare per difendere il patrimonio artistico in quanto patrimonio dell’umanità. Mentre i barbari ladri avrebbero ricevuto quello che si meritano. E a questo proposito valga la definizione che gli Sciti (o Scythi, che furono una popolazione nomade di origine iranica) davano del diritto: la legge è come una ragnatela, abbastanza forte per catturare i deboli, ma troppo debole per catturare i forti.
Gli pseudo Indipendentisti
Noi, per lo più, nella vita ci sentiamo smarriti. Dubitiamo di noi, di ogni nostro princìpio. Dubitiamo delle nostre istituzioni. E dubitiamo della legge. Ma in democrazia i cittadini sono la legge. Non i libri, non una Costituzione (quella italiana, peraltro, mai votata dal popolo “sovrano”), non i politici che ci rappresentano pro tempore. Non sono nemmeno la bandiera o i monumenti o le singole istituzioni, poiché quelli sono i simboli di ciò che noi vorremmo rappresentasse la giustizia sociale.
I sinceri indipendentisti veneti, e non gli pseudo indipendentisti che cercano di farsi eleggere nelle istituzioni italiane con i loro privilegi, dovrebbero dunque elaborare delle bozze per una nuova Costituzione, delle bozze di Statuti per gli Enti locali, come pure delle bozze di un più adeguato Codice civile e penale.
Alcuni legittimamente sognano di reintrodurre le sagge leggi della Repubblica di Venezia. Ci dicano allora quali, e perché sarebbero ancora attuali.
Sinora l’indipendentismo s’è retto sulle spalle di magnifici sognatori, ma pare giunta l’ora di individuare tra essi coloro che hanno attitudini e capacità di governo.
Solo così il “sovrano” popolo veneto potrà giudicare se l’indipendenza che propongono vale d’essere approvata e perseguita.
Riepilogando
Il popolo “sovrano” ha lasciato troppe deleghe ai rappresentanti politici che se ne sono approfittati per le loro ideologie, i loro interessi di partito e personali. Il giudice, non eletto dal popolo “sovrano”, come avviene nei paesi democratici, ha applicato una legge secondo il suo opinabile “sentire”, che non dovrebbe essere superiore al “sentire” del popolo suo mandatario. Il giornalista ha argomentato la vicenda inducendo i lettori a conclusioni ideologiche e di parte. Per esempio, anche per mezzo di un tamponamento automobilistico si possono creare importanti menomazioni fisiche, o addirittura provocare la morte. Ma la legge (il Codice della strada) è preciso in proposito, e non indica la colpevolezza in maniera proporzionata: chi tampona ha torto per non aver mantenuto le distanze di sicurezza. Per ottenere l’indipendenza, l’autogoverno, e leggi più condivise, il popolo “sovrano” dovrà partecipare maggiormente alla vita pubblica, e non limitarsi alla sola elezione dei rappresentanti, quando lo fa. Solo così potrà far sentire la propria voce e vivere in una democrazia decente, poiché – come constatiamo quotidianamente – chi ci governa non ha nessuna intenzione di abbandonare pacificamente i privilegi con i quali vive e prospera.
Nota: A conferma che tutto si è risolto in una bolla di sapone, il “Giornale di Vicenza” di domenica 15 novembre, titola:
CHIARIMENTI.
lncontro l’altra mattina a Vicenza
Fascia tricolore tolta, Sindaci dal prefetto: «Ora il caso è chiuso»
I primi cittadini di Cogollo e Velo sono stati ricevuti da Eugenio Soldà dopo i fatti del funerale di Mattielli. «Capitolo chiuso con tanto di complimenti in barba a chi ha chiesto le mie dimissioni», afferma Piergildo Capovilla giusto per puntualizzare.
Il sindaco di Cogollo del Cengio. assieme al suo collega di Velo d’Astico, Giordano Rossi, è stato ricevuto dal Prefetto di Vicenza Eugenio Soldà. Un incontro cordiale, in cui Soldà ha ribadito quanto aveva riferito a noi l’altro giorno, e cioè che il gesto di togliersi la fascia tricolore, contestualizzato in un momento di tensione, con gli indipendentisti che si scagliavano contro i sindaci e i politici presenti al funerale di Ermes Mattielli, «è stato dettato dal buon senso. Così si è evitato di infiammare ulteriormente gli animi degli esagitati».
Si chiude così una vicenda legata alle esequie del rigattiere di Arsiero stroncato da un infarto ad un mese dalla condanna incassata per avere sparato a due nomadi che si erano introdotti nel suo deposito di Scalini per rubare.