Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

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Messaggioda Berto » ven mar 31, 2017 2:50 pm

Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven mar 31, 2017 2:51 pm

Nostra aetate
https://it.wikipedia.org/wiki/Nostra_aetate

La dichiarazione Nostra aetate (letteralmente, Nel nostro tempo) è uno dei documenti del Concilio Vaticano II. Pubblicata il 28 ottobre 1965, tratta del senso religioso e dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le religioni non-cristiane. La sua prima bozza, denominata Decretum de Judaeis (letteralmente, Decreto sugli Ebrei) fu completata nel novembre 1961.

La dichiarazione è un documento piuttosto breve, composto di cinque punti:

un'introduzione;
il riconoscimento del senso religioso nella vita di ciascun uomo;
la stima riservata alle genti dell'islam;
il vincolo che lega il Cristianesimo all'ebraismo;
il principio della fratellanza universale e dell'amore.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven mar 31, 2017 2:52 pm

I limiti di questo dialogo e di questa apertura


a) Un errore è il considerare l'Islam una religione, poiché non lo è; essa caso mai è un sistema politico religioso, o una religione politica o una politica intrisa di religione.

b) Stimare è un termine che si può concepire in modo neutro cioè non contenente alcun valore come nel suo contrario, personalmente non ho buona stima dell'Islam, ne ho una stima o valutazione di valore negativa.


http://www.etimo.it/?term=religione
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http://www.etimo.it/?term=stimare
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Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba
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http://www.etimo.it/?term=spirito
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer apr 12, 2017 12:40 pm

I papi contro gli ebrei

http://www.uaar.it/libri/papi-contro-ebrei

David Kertzer, figlio di un noto rabbino, è specialista in storia italiana e docente di antropologia e storia negli Stati Uniti. Nel 1996 ha pubblicato Prigioniero del Papa Re, storia di un bambino ebreo che a Bologna nel 1858 fu strappato alla sua famiglia perché, essendo forse stato battezzato segretamente da una domestica, per la chiesa era diventato cattolico e quindi non poteva più restare nella sua famiglia ebrea.

Il Vaticano nel 1998 per difendersi da reiterate accuse ha pubblicato una relazione in cui ha nettamente distinto l’antigiudaismo religioso, che ammette come sua passata colpa, dall’antisemitismo1 proprio di chi è contro gli ebrei per motivi razziali: di questo la Chiesa si dichiara assolutamente innocente. In base a ciò la Chiesa si è anche infine autoassolta da ogni colpa riguardante l’Olocausto2.

Il libro che qui presentiamo è stato scritto proprio per confutare l’autoassoluzione e per dimostrare come la distinzione tra i due tipi di avversione contro gli ebrei non regga ad un esame storico.

Le analisi dell’autore si focalizzano soprattutto dal 1800 in poi per dimostrare come l’operato della Chiesa, non solo in tempi antichi, ma anche in età moderna sia servito da preparazione e da solida base per l’affermazione dell’antisemitismo moderno. Questo appare palese leggendo la stampa cattolica che combatte modernismo, liberalismo, laicismo, e gli ebrei, ora visti in combutta con i massoni, ora associati al comunismo, ma comunque impegnati a realizzare l’opera del diavolo: loro scopo primario e finale è distruggere il cristianesimo.

Nel 1825 sul Giornale ecclesiastico di Roma fu pubblicato un lungo trattato contro gli ebrei poi riproposto in un opuscolo dalle molte ristampe. In esso c’erano le accuse mosse tradizionalmente dalla chiesa contro gli ebrei: colpevoli di deicidio, guidati dal desiderio di lucro, vogliono abbattere la cristianità, si lavano le mani nel sangue dei cristiani, danno fuoco alle chiese, calpestano le ostie consacrate, rapiscono bambini cristiani per scannarli, violentano battezzate e suore. Nonostante gli ebrei fossero solo lo 0,2 % della popolazione veniva loro attribuita un’influenza enorme e perniciosa: ingannano, frodano, solo ladri e assassini, vogliono ridurre i cristiani in schiavitù.

Attorno al 1870 solo in Italia si pubblicavano 130 periodici cattolici di cui 20 quotidiani. All’inizio del ventesimo secolo c’erano 500 periodici di cui 30 quotidiani. Tutte queste pubblicazioni erano scritte e dirette dal clero e sono sotto il controllo del Vaticano. Il periodico cattolico più influente nel mondo fu il bisettimanale dei gesuiti La Civiltà Cattolica fondato nel 1850 su richiesta di Pio IX (papa dal 1846 al 1878).

Questa pubblicazione fece una lunga campagna contro gli ebrei con 36 feroci articoli antisemiti stampati dal dicembre del 1880 per 40 mesi. Fin dal 1880 vi si sottolinea che il giudaismo non è solo una religione ma è una razza per cui anche se gli ebrei dovessero diventare liberi pensatori, atei, cattolici o protestanti resterebbero sempre e comunque una specifica razza distinta. Tra le altre affermazioni ricordiamo le seguenti. Gli ebrei sono costretti dalla loro religione ad odiare i non ebrei e ad uccidere i cristiani; la società deve proteggersi dagli ebrei con apposite leggi speciali contro questa «ebraica razza straniera» «sì eccezionalmente e sì profondamente perversa»; tutti i guai della moderna società vengono dall’aver aperto i ghetti dove gli ebrei erano vissuti per tanto tempo felici; fuori dai ghetti la razza ebraica diventa «persecutrice, vessatrice, tirannica, ladra e devastatrice» e gli ebrei sono comunque «insolenti, caparbi, sporchi, ladri, bugiardi, seccatori».

Nel 1882 La Civiltà Cattolica annunciò con soddisfazione le prime manifestazioni dei movimenti politici antisemiti moderni che organizzavano congressi internazionali. Nel 1890 nella stessa rivista apparvero tre lunghi articoli sulla «questione giudaica» che negli anni successivi furono riuniti in un libretto di 90 pagine diffuso per ogni dove. Le accuse sono le solite e vi si sottolinea che scopo degli ebrei è distruggere le nazioni in cui vengono lasciati liberi di vivere. Il ministro fascista Farinacci, dopo la promulgazione delle leggi razziali italiane (1938), sottolineerà come La Civiltà Cattolica già nel 1890 consigliasse, per difendersi dalla razza giudaica, l’annullamento di tutte le norme di eguaglianza politica e civile, la confisca dei beni e l’espulsione.

Sempre nella stessa pubblicazione, nel 1893 nell’articolo «La morale giudaica» sono presenti esplicitamente tutti i temi più cari all’antisemitismo moderno, ma il padre gesuita che ne è l’autore sottolinea che la Chiesa non sostiene queste cose perché antisemita ma perché gli italiani si mettano in allarme […] contro questi succhiatori di sangue. Nel 1892 L’Osservatore Romano dedica una serie di scritti alla questione ebraica giungendo a sostenere che dietro la violenza dei ripetuti pogrom ci sono gli stessi astuti ebrei che architettano questi sanguinosi eventi per suscitare pietà e simpatie. I lettori della stampa cattolica di tutta Europa all’inizio del XX secolo continuavano ad essere bombardati da riferimenti alla «razza ebraica» ed alle sue caratteristiche anche fisiche negative e pericolose.

Ma passiamo dalle parole ai fatti, dalla teoria alla pratica.

Pio IV (papa dal 1775 al 1779) trovava intollerabili le piccolissime libertà che, affogate in un mare di divieti, qualche suo predecessore aveva concesso agli ebrei ed appena eletto emise una bolla che fece tornare alle restrizioni del 1500. Questo regolamento fu punto fermo di riferimento per i successivi pontefici fino alla metà del XIX secolo.

Molti non sanno che la stella gialla che gli ebrei erano costretti a portare sotto il nazifascismo è una riedizione del distintivo giallo che era obbligatorio nello Stato Pontificio ancora nel XIX secolo. Inoltre il papa, nei territori italiani soggetti al suo potere temporale, trasferiva gli ebrei dalle zone senza ghetto alle città in cui poteva chiuderli nei ghetti. Similmente si sarebbero poi comportati i nazisti prima di svuotare anche i ghetti con la «soluzione finale».

Nel 1800 imperversava ancora la pratica dei battesimi forzati e se un ebreo diventava cristiano era costretto ad «offrire» alla Chiesa moglie, figli, nipoti, eccetera. Tra questi i bambini venivano battezzati forzatamente, gli adulti erano trattenuti dai funzionari della chiesa in una apposita «casa dei catecumeni» fino a quando non cedevano e se i genitori rifiutavano la conversione venivano per sempre separati dai figli oramai cristiani. Le donne incinte erano assistite nel parto da una inviata della Chiesa che, subito dopo la nascita, portava alla Chiesa il neonato per il battesimo e la definitiva separazione dalla madre ebrea.

Nel 1840 Gregorio XVI (1831-1846) ribadì l’obbligo delle prediche forzate. Gli ebrei dovevano uscire dal ghetto per andare in una specifica chiesa ad ascoltare accese prediche contro … gli ebrei.

Le prediche forzate erano sospese negli intervalli tra la morte di un pontefice e l’elezione del suo successore (periodo in cui scoppiavano sempre disordini) e nelle domeniche in cui nevicava e c’era neve sul terreno per evitare che i cristiani bersagliassero gli ebrei con palle di neve. Kertzer commenta «Tutto considerato, le palle di neve erano l’ultimo dei problemi per gli ebrei di Roma».

Tra le più gravi accuse ricorrenti contro gli ebrei c’è quella degli omicidi rituali. La Chiesa cattolica ha sostenuto a lungo che gli ebrei rapiscono i bambini cristiani, li crocifiggono, li mutilano, li torturano nel modo più crudele possibile per cavar loro il sangue, berlo e usarlo per impastare il pane azzimo. Gli ebrei accusati erano sottoposti a spaventose torture, molti ne morivano, altri alla fine si dichiaravano colpevoli per non essere ulteriormente torturati (è esattamente quello che succedeva anche con le «streghe»). Ad ogni nuova accusa se qualcuno si dichiarava scettico venivano ricordati, tra gli altri, questi precedenti.

A Trento, dopo tante prediche antiebraiche fatte dai frati francescani, nel 1475 gli ebrei furono accusati di aver massacrato un bambino cristiano di nome Simone; nel 1588 papa Sisto V dichiarò Simone santo e martire (il culto è stato abolito nel 1965 dopo il Concilio Vaticano II). Al 1485 risale invece il martirio di Lorenzino di Marostica (Vicenza): secondo la versione ufficiale della Chiesa una torma di ebrei lo aggredì, spogliò, crocefisse ad un albero e ne bevve il sangue. Pio IX nel 1867 ufficializzò il culto di Lorenzino e nel 1870 gli consacrò la seconda domenica dopo pasqua. Nel 1840 in Siria il vampirizzato di turno, anziché un bambino fu eccezionalmente un anziano monaco italiano.

Nel 1891 l’argomento dell’omicidio rituale ebraico era diventato un’ossessione per L’Osservatore Cattolico, quotidiano milanese, che nel 1892 su questo tema stampò 44 articoli che poi vennero ripresi in tutta Europa. Nell’ultimo decennio del XIX secolo ci fu un’impennata di accuse contro gli ebrei per omicidi di bambini cristiani e i numerosi processi furono raccontati con abbondanza di dettagli raccapriccianti dalla stampa cattolica.

Nel 1891 sul Piccolo Monitore il fondatore, sempre impegnato nella campagna antimodernista voluta da Pio IX, parlò della «razza rabbinica che sgozza in pieno 1891 i piccoli cristiani per la Pasqua della Sinagoga». Ancora nel 1899 ne L’Osservatore Romano fu stampato un articolo intitolato «L’omicidio rituale ebraico». Ed infine eccoci al XX secolo: nel 1914 su La Civiltà Cattolica si legge che cosa più importante per l’ebreo assetato di sangue cristiano è che il bambino che sacrifica muoia nel modo più doloroso possibile.

Chiunque volesse fomentare odio contro gli ebrei poteva citare anche le «prove» sugli omicidi rituali riportate negli articoli de L’Osservatore Cattolico in cui gli ebrei erano dipinti in senso proprio e metaforico come vampiri dell’umanità e sfruttatori del sangue cristiano oltre che monopolizzatori, usurai, speculatori disonesti, danneggiatori, calunniatori dei cattolici, insomma una genia da cui è necessario difendersi. Agli articoli si aggiungevano opuscoli e libri cattolici stampati con l’intento dichiarato di non far dimenticare i martiri dei vampiri ebrei e per sottolineare che gli svenamenti avveniva per osservare le leggi ebraiche e gli ordini della Sinagoga.

Ed ora passiamo ad alcuni degli ultimi papi pre-Olocausto.

Pio IX (1846-1878) nel 1864 scrisse il Sillabo, un elenco di 80 «errori» della civiltà moderna contro cui la chiesa deve combattere. Gli errori sono sostanzialmente le principali conquiste del pensiero moderno dal razionalismo al liberalismo, dalla libertà di religione alla separazione tra stato e chiesa, alla fine del controllo ecclesiastico sulle scuole pubbliche. Tra i nemici indicati nel Sillabo ci sono i massoni e la «sinagoga di Satana» che vuole ridurre la chiesa in schiavitù per poi farla scomparire. Durante il Concilio Vaticano I (1869-1870) furono condannati razionalismo e materialismo e Pio IX ottenne la proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia. L’acerrimo nemico dei patrioti italiani e dell’unità d’Italia sarà beatificato il 3 settembre 2000.

Il Vaticano proibisce la consultazione degli archivi posteriori a Benedetto XV (1914-1922) che nel 1914 scelse Achille Ratti per una missione diplomatica in Polonia. Ratti restò a Varsavia per 3 anni, il senso dei suoi rapporti a Roma è che causa di tutti i guai della Polonia sono… i giudei: la razza ebraica sfrutta la popolazione cristiana e ha un ruolo preponderante nel movimento bolscevico. Nelle relazioni sprona a non dar troppo peso alle notizie di massacri di ebrei, di incendi di case, industrie e sinagoghe perché, dopo tutto, di qualsiasi tipo di violenza siano oggetto […] la colpa è loro.

Se il popolo polacco è antisemita il clero cattolico polacco non è da meno. È convinto che ci sia una cospirazione mondiale ebraica e che sia necessario preservare la purezza razziale. Tra i suoi più importanti rappresentanti c’è anche chi diffonde l’idea che sia necessario eliminare gli ebrei ad uno ad uno.

Nel 1990 il Vaticano ha pubblicato un volume sulla relazione di Ratti da Varsavia. Il libro però ha spesso sunti al posto del testo originale e tagli ogniqualvolta lo scritto di Ratti sugli (contro gli) ebrei si fa un po’ troppo forte. Morto Benedetto XV nel 1922 Ratti diventò Pio XI ed ebbe (anche lui) l’appellativo di «papa buono».

Nel 1903 esce in Russia I Protocolli dei Savi Anziani di Sion; nel 1920 il libello viene pubblicato in Francia da un alto monsignore «Prelato di Sua Santità»; nel 1921 l’opera viene smascherata come un palese rozzo falso antisemita in cui si immagina un piano ebraico per conquistare il dominio del mondo; nello stesso anno il testo viene pubblicato in Italia come supplemento al diffuso settimanale cattolico Fede e Ragione. Gli argomenti dei Protocolli sono gli stessi che le pubblicazioni cattoliche avevano diffuso per decenni. Nel terzo millennio i Protocolli avranno ancora successo tra i neonazisti e nei paesi arabi.

La Civiltà Cattolica e L’Osservatore Romano continuarono anche negli anni Venti la loro battaglia sempre meno solitaria contro gli ebrei dipinti come nemici dell’umanità e in combutta con o essi stessi massoni, bolscevichi, comunisti, socialisti, atei, rivoluzionari. Dietro la decadenza di giornali, teatro, cinema ci sono gli ebrei con la loro visione materialistica, immorale e irreligiosa della vita, visto anche che sono particolarmente interessati al sesso e appassionati di pornografia. Per salvarsi la civiltà cattolica deve privare gli ebrei di ogni diritto, espellerli dalle nazioni cristiane, costringerli ad emigrare.

Le leggi razziali promulgate in Italia nel 1938 si differenziano pochissimo da quelle che la Chiesa aveva applicato nei suoi territori e, come i capi fascisti tengono a sottolineare, mettono in pratica ciò che la Chiesa chiedeva da tempo attraverso la sua stampa. Farinacci sosteneva: «se come cattolici siamo diventati antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti della Chiesa attraverso 20 secoli».

Pio XII (1939-1958) non disse una sola parola contro lo sterminio neppure quando furono deportati nei lager gli ebrei rastrellati nel ghetto di Roma. Quando vennero annullate le leggi razziali la Chiesa si batté perché almeno una parte delle restrizioni restasse in vigore. Tra XX e XXI secolo il processo di beatificazione di Pio XII subirà rallentamenti a causa delle accuse e delle proteste mosse da più parti.

Tantissimi altri problemi, questioni, accadimenti e persone vengo affrontati e raccontati in questo libro, documentato e rigoroso ma di semplice lettura, che consigliamo sia per saperne di più sulle colpe della Chiesa, sia per essere più informati sull’antisemitismo sempre strisciante e spesso risorgente.
Note

Nel testo in esame è usato questo termine coniato da un tedesco nel 1879. È d’uso comune ma quanto meno improprio: sono semiti anche gli arabi.
Altro vocabolo presente nel testo, comune ma inappropriato: indica il sacrificio di una vittima a una divinità.

L’AUTORE

David I. Kertzer (1948 New York, NY, USA), specialista di storia italiana, è professore di antropologia e storia presso la Brown University di Providence (Rhode Island). Tra i suoi libri, oltre a quelli citati nel presente sito, Riti e simboli del potere (Ritual, Politics & Power, Yale University Press 1989), apparso in edizione italiana nel 1989.

Marina Franceschini
Circolo UAAR di Milano
Giugno 2001



Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 12/04/2017, a pag. 17, con il titolo "Colletta pro Terra Santa perché i cristiani restino",
il commento di Andrea Galli.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... ign=buffer

Paolo VI, tra i papi dopo il Concilio Vaticano II, è stato tra i più ostili a Israele. Il papa non riconobbe lo Stato, la carica di presidente né la sua capitale, e quando nel 1964 incontrò il Presidente dello Stato di Israele Salman Shazar, lo fece inviando una lettera a: Signor Salman Shazar, Tel Aviv.

L'articolo di Andrea Galli è tipico dell'ipocrisia dei giornali cattolici verso Israele. Secondo il giornalista, infatti, i cristiani diminuiscono in "Israele e Palestina". La realtà è che i cristiani nei territori controllati dall'autorità palestinese sono sempre meno, mentre in Israele continuano a aumentare.
Possiamo chiamarla menzogna senza il timore di offendere la sensibilità di nessuno?

"Già san Paolo prese a cuore la sorte dei fedeli della Palestina e si fece zelante promotore di una colletta per coloro che, tra i fedeli di Gerusalemme, erano poveri. Il suo appello fu accolto con generosità dalle Chiese della Macedonia, dell'Acaia. Ognuno dei cristiani, nella misura delle sue disponibilità, stabilì di inviare soccorsi ai fratelli che risiedevano in Giudea». Così scriveva Paolo VI nel 1974, nell'esortazione apostolica Nobis in animo dedicata alle «accresciute necessità della Chiesa in Terra Santa». Con quell'atto e quel documento Montini stabiliva che in tutte le chiese dell'orbe cattolico si tenesse il Venerdì Santo una raccolta di offerte per sostenere i cristiani nei luoghi dove visse Gesù: la Colletta per la Terra Santa, appunto, che sostituiva quella tradizionalmente chiamata dei Luoghi Santi.

Da allora l'iniziativa non si è mai interrotta e le motivazioni per cui era nata non sono venute meno, semmai si sono rese più urgenti, visto il drammatico assottigliarsi della presenza cristiana in Israele e Palestina. In un messaggio per invitare i cattolici a non dimenticarsi anche questo Venerdì Santo della Colletta, il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il cardinale Leonardo Sandri, ha fatto presente che «vivere oggi la fede cristiana in Medio Oriente, lo sappiamo, non è affatto facile. Non lo è specialmente in Iraq, in Siria e in Egitto, dove le comunità cristiane hanno fatto esperienza dell'ecumenismo del sangue e dove i singoli fedeli devono lottare ogni giorno contro la tentazione di abbandonare la propria terra o addirittura la propria fede. Non lo è nemmeno negli altri Paesi della Regione, dove spesso i cristiani si trovano sottoposti a forme di oppressione e di discriminazione che minano giorno dopo giorno le loro condizioni di vita».

Per questo, sottolinea sempre il porporato, «tenere viva la speranza in questi contesti è davvero difficile ed è al tempo stesso importantissimo. La piccola presenza cristiana in Medio Oriente ha perciò bisogno di sentire il sostegno e la vicinanza di tutta la Chiesa. Un sostegno che è fatto di preghiera costante per loro. Un sostegno che è fatto anche di aiuto economico concreto». Grazie quindi alla generosità di tutti «le comunità cattoliche di Terra Santa, quella latina della diocesi patriarcale di Gerusalemme, della Custodia francescana e delle altre circoscrizioni, come quelle orientali - greco-melchita, copta, maronita, sira, caldea, armena - con le famiglie religiose e gli organismi di ogni genere, potranno a loro volta aiutare concretamente i poveri e i sofferenti di ogni etnia e di ogni fede, senza distinzione».

Sandri coglie infine l'occasione per suggerire un'altra modalità cruciale per aiutare la Terra Santa, ovvero il pellegrinaggio, «iniziativa da promuovere continuamente». In primis «attraverso il viaggio nei luoghi sacri e sulle orme di Cristo è possibile non solo una rinascita della fede e una riscoperta delle proprie origini, ma è anche un mezzo della nuova evangelizzazione». E i pellegrinaggi sono «una risorsa essenziale per le popolazioni cristiane. Secondo recenti statistiche, infatti, almeno il 30% della comunità locale - a Gerusalemme e a Betlemme - vive e opera grazie alla presenza di pellegrini».
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer apr 12, 2017 12:40 pm

Il Consiglio mondiale delle Chiese demonizza ancora Israele
La Chiesa protestante tedesca sa cosa sta facendo?

di Thomas Smith
8 marzo 2016

http://it.gatestoneinstitute.org/7586/c ... se-israele

In genere, nelle normali funzioni religiose quaresimali, i ricordi solenni della misericordia divina verso i peccatori di tutto il mondo hanno un ruolo di primo piano per i cristiani. Ma non in questa liturgia. Il centro della scena è invece occupato dal commettere il peccato della menzogna: accusando Israele della carenza idrica di cui soffrono i palestinesi. La menzogna è un peccato che tutte le chiese che fanno parte del WCC sono invitate a commettere.

Questi leader delle chiese protestanti, trasformati in propagandisti politici, hanno usato il pulpito di Gerusalemme per esortare i fedeli protestanti di tutto il mondo ad ascoltare le calunnie sull'emergenza idrica palestinese lanciate contro lo Stato di Israele.

Questa liturgia approfitta delle letture bibliche come un mezzo per corroborare il messaggio altrettanto falso dell'organizzazione Kairos Palestine che Israele ruba la terra palestinese e non ha diritto di essere dove si trova.

Da un attento esame non risulta alcuna analisi scientifica né della distribuzione dell'acqua né della politica della gestione delle risorse idriche per i territori di Israele e dell'Autorità palestinese (Ap).

I palestinesi stanno davvero fronteggiando una crisi idrica. E allora l'interrogativo da porsi è fino a che punto essi ne siano responsabili e in che misura i loro leader siano responsabili del fatto di continuare a mantenerli vittime per un'efficace operazione di "marketing" internazionale.

Il 10 febbraio (Mercoledì delle Ceneri nel calendario cristiano occidentale), il vescovo luterano palestinese Munib Younan, a nome del Consiglio mondiale delle Chiese (WCC) [chiamato anche Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec)] ha lanciato la Campagna quaresimale della Rete ecumenica dell'acqua. L'iniziativa, intitolata "Sette settimane per l'acqua", è stata presentata nella chiesa luterana (tedesca) del Redentore nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Younan – uno dei firmatari del famigerato documento pubblicato nel 2009 dall'organizzazione Kairos Palestine – è stato affiancato da altri noti sostenitori dell'agitazione palestinese contro Israele:

Antje Jackelen, arcivescovo della Chiesa luterana di Svezia (un altro firmatario del documento)
Il reverendo Olaf Fykse Tveit, segretario generale del WCC (è a capo dell'ente che ha generato Kairos Palestine e continua a essere il suo principale sostenitore)
Hind Khoury, segretario generale di Kairos Palestine; che è anche un'economista di Betlemme ed è stata rappresentante dell'Olp in Francia dal 2006 al 2010
Dinesh Suna, coordinatore della Rete ecumenica dell'acqua.

La chiesa luterana del Redentore, a Gerusalemme, in Israele. (Fonte dell'immagine: Wikimedia Commons)

Un folto gruppo di stagionati attivisti pro-Palestina si è riunito in una funzione religiosa di un'ora per una liturgia preconfezionata di dieci pagine. Le poche persone presenti dovevano essere sensibilizzate in merito a una presunta ingiustizia commessa nei confronti del popolo palestinese: la sottrazione della legittima quantità di acqua da parte di quelli che vengono additati come i cattivi israeliani. Per dare una nota di colore, in questo noioso flusso di informazioni distorte, ogni partecipante aveva una croce di cenere impressa sulla fronte – forse una delle poche tracce del rito quaresimale cristiano.

In genere, nelle normali funzioni religiose quaresimali, i ricordi solenni della misericordia divina verso i peccatori di tutto il mondo hanno un ruolo di primo piano per i cristiani. Ma non in questa liturgia. Il centro della scena è invece occupato dal commettere il peccato della menzogna: accusando Israele della carenza idrica di cui soffrono i palestinesi. La menzogna è un peccato che tutte le chiese che fanno parte del WCC sono invitate a commettere.

Questi leader delle chiese protestanti, trasformati in propagandisti politici, hanno usato il pulpito di Gerusalemme per esortare i fedeli protestanti di tutto il mondo ad ascoltare le calunnie sull'emergenza idrica palestinese lanciate contro lo Stato di Israele. Questa liturgia approfitta delle letture bibliche come un mezzo per corroborare il messaggio altrettanto falso dell'organizzazione Kairos Palestine che Israele ruba la terra palestinese e non ha diritto di essere dove si trova.

Gli accoliti del WCC si sono riuniti nella chiesa del Redentore con l'obiettivo di iniziare a diffondere questa propaganda attraverso un'ambigua rete di organizzazioni apparentemente distinte, ognuna delle quali – a un esame più attento – risulta essere controllata dal Consiglio mondiale delle Chiese.

Due organizzazioni hanno però un ruolo primario. La prima è il Pellegrinaggio per la giustizia e la pace (PJP), lanciata nel 2013 alla 10a Assemblea generale del WCC nella Corea del Sud. A Gerusalemme, il PJP è stato accompagnato da tre strategici gruppi di supporto: il "Gruppo di studi teologici", il "Gruppo di riferimento" e il "Gruppo internazionale di ricerca". La seconda organizzazione è la Rete ecumenica dell'acqua (EWN), lanciata nel 2008 come network delle chiese e delle organizzazioni cristiane, per sorvegliare l'accesso all'acqua. Anche se il PJP e l'EWN sembrano essere due entità diverse, l'ufficio stampa del WCC ha pubblicizzato la sua campagna le Sette settimane per l'acqua come un "pellegrinaggio di giustizia dell'acqua in Medio Oriente, con specifico riferimento alla Palestina. Per sette settimane, le riflessioni biblico-teologiche riguarderanno la crisi idrica in Medio Oriente e terranno conto delle questioni legate alla giustizia e alla pace".

Questo significa che il lavoro del PJP e dell'EWN è strettamente collegato. Entrambi i gruppi, infatti, sono impegnati nella causa palestinese e potrebbero essere considerati soprattutto come membri della rete sponsorizzata dal Consiglio mondiale delle Chiese che attua il programma di Kairos Palestine.

Da un attento esame del sito web dell'EWN non risulta alcuna analisi scientifica né della distribuzione dell'acqua né della politica della gestione delle risorse idriche per i territori di Israele e dell'Autorità palestinese (Ap). Inoltre, il materiale dell'EWN non mostra alcun riferimento a nessuna delle analisi riguardanti la distribuzione dell'acqua in Israele (ad esempio, si veda qui e qui). E non è neppure menzionata alcuna cattiva gestione ben documentata delle risorse idriche da parte dell'autorità Palestinese né si fa riferimento al giusto e generoso sostegno dato da Israele all'approvvigionamento idrico – oltre le quote spettanti – nelle aree che ricadono sotto l'Ap.

L'obiettivo della campagna per l'acqua sembra chiaramente scaturire da una discriminazione ingiusta e priva di fondamento contro lo Stato di Israele, come propagata nel messaggio diffuso da Kairos Palestine. Il reverendo Tveit ha parlato apertamente del proposito di lanciare l'iniziativa "Sette settimane per l'acqua" nel sermone da lui pronunciato nella chiesa del Redentore, a Gerusalemme:

"Poiché il Pellegrinaggio di giustizia e pace del WCC si occupa delle questioni legate al Medio Oriente, in particolar modo quest'anno, noi speriamo che le vostre vicende e la vostra lotta per la giustizia e la pace diventeranno le storie e la lotta delle chiese di tutto il mondo. Che questo tempo di Quaresima ci aiuti a riflettere più a fondo su tali questioni. Possa [la campagna] Sette settimane per l'acqua durante questa Quaresima aiutarci a porre l'accento sulla crisi idrica in Palestina e in altri luoghi del mondo con un disperato bisogno di avere acqua più pulita".

Questa storie palestinesi sono state raccolte poco prima delle funzioni celebrate nella chiesa del Redentore, sotto l'occhio vigile del vescovo Younan, quando il "Gruppo internazionale di ricerca" (IRG) si è riunito a Betlemme. Dinesh Suna ha scritto nella sua pagina Facebook:

"È iniziato oggi a Betlemme il meeting organizzato dall'IRG che fa parte del Pellegrinaggio per la giustizia e la pace, del WCC. Per impostare il tono del dibattito abbiamo ascoltato le storie legate alla lotta per porre fine all'occupazione israeliana della Palestina. È stato un momento toccante per noi venire a conoscenza di queste vicende... ."

Ma queste persone hanno mai incontrato gli israeliani? Il "Gruppo internazionale di ricerca" è mai andato a leggere le innumerevoli analisi accademiche sulle questioni legate all'acqua, che sono liberamente disponibili online? Non c'è alcun riferimento che lo abbiano fatto.

Piuttosto, siamo stati informati che il PJP, che fa parte del Consiglio mondiale delle Chiese, ha allestito "due gruppi strategicamente importanti" in "Terra Santa" tra il 9 e il 17 febbraio. Uno è il cosiddetto "Gruppo di Studi teologici" che si è riunito nella chiesa di Sant'Anna, a Gerusalemme, il 9-11 febbraio, "al fine di approfondire la teologia che accompagnerà il PJP".

L'altro è il "Gruppo di riferimento" del PJP, riunitosi a Betlemme tra il 12 e il 17 febbraio, presumibilmente per far sfilare più "testimoni oculari della crisi idrica". I palestinesi stanno davvero fronteggiando una crisi idrica. E allora l'interrogativo da porsi, per il loro bene, è fino a che punto essi ne siano responsabili e in che misura i loro leader siano responsabili del fatto di continuare a mantenerli vittime, facendoli sembrare più sventurati, per un'efficace operazione di "marketing" internazionale.

Tveit e il suo staff del WCC accompagnano entrambi i gruppi. L'obiettivo di questo viaggio molto esoso cui partecipano ecclesiastici ben pagati che fungono anche da politici non è quello di sanare qualsiasi sofferenza. Piuttosto, come Tveit ha detto nel suo sermone: "noi speriamo che le vostre vicende e la vostra lotta per la giustizia e la pace diventeranno le storie e la lotta delle chiese di tutto il mondo".

In breve, il Consiglio mondiale delle Chiese invita i cristiani di tutto il mondo ad unirsi all'attacco contro lo Stato di Israele. Questo è il vero messaggio di fondo di Kairos Palestine e della campagna "Sette settimane per l'acqua" del PJP.

Come prevedibile, i progetti del Pellegrinaggio per la giustizia e la pace troveranno giovani seguaci cristiani, entusiasti, disinformati e ingenui da abbindolare. E la chiesa luterana del Redentore, a Gerusalemme, è solo un luogo ideale per lanciare sempre più iniziative del genere. Che strano!

È anche strano il fatto che la Chiesa protestante tedesca, proprietaria della chiesa luterana del Redentore, a Gerusalemme e impegnata nella riconciliazione con Israele, sembri tollerare gli approcci del WCC contro lo Stato ebraico, sotto la regia locale del vescovo palestinese. Il vescovo Younan è solo un paravento dietro il quale si nasconde l'impegno della Chiesa protestante tedesca contro Israele? Oppure la Chiesa protestante tedesca non sa cosa sta accadendo nella sua chiesa a Gerusalemme?

Thomas Smith è uno studioso che vive in Medio Oriente.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer apr 12, 2017 7:04 pm

Dal multiculturalismo al fallimento delle democrazie
12 aprile 2017 Loredana Biffo

http://www.linformale.eu/dal-multicultu ... democrazie

I movimenti fondamentalisti sono diventati dei sistemi emergenti nelle nostre società democratiche, si configurano con un’aggressività e una volontà di dominio. I vari attentati delle ultime settimane, quello della Svezia in particolare ci dovrebbero indurre ad un’attenta analisi in merito al rapporto tra multiculturalismo e democrazia così come lo abbiamo conosciuto e applicato fino ad oggi, lo si evince dal fatto che i movimenti fondamentalisti sono in grado di spingere la lotta contro i nemici oltre i loro tradizionali confini territoriali e metterci di fronte ad uno scenario difficile da comprendere dal punto di vista della democrazia.

È ormai evidente quanto non vi sia stata un’integrazione, bensì una sommatoria di culture, il cui risultato è quello in cui vince il più forte, ovvero una visione etnocentrica e medioevalista della società veicolata dall’islamismo, che si attiene ad una versione coranica integralista e in netto rifiuto di una modernità che aspira ad abbattere per instaurare un “nuovo ordine morale” volto alla purificazione del corrotto occidente. Peculiare è quanto avvenuto in un paese come la modernissima Svezia, che non ha nemmeno la “colpa” di un passato colonialista (argomento con cui la sinistra giustifica – ormai come un mantra – ogni atto terroristico), che però in nome dell’accoglienza e della multietnicità ha permesso che nascessero periferie con una maggioranza islamica di oltre il 90%, il quali si sono inventati una specie di lingua simil -svedese chiamata “Rinkeby Swedisch”; che monopolizzano il territorio periferico, dove in strada si vedono pochissime donne, e tutte con il velo, in particolare quelle giovani, mentre le altre indossano il niquab (la tunica integrale che lascia scoperti solo gli occhi).

Si può ragionevolmente sostenere che lì tutti sapessero che in un tale humus, prima o poi un attentato sarebbe avvenuto. Certamente uno Stato di 10 milioni di abitanti che accoglie 163 mila migranti, in maggioranza musulmani e con sommosse periodiche nelle periferie, qualche domanda dovrebbe porsela, pare però che nonostante questo attentato la volontà sia quella di andare in direzione opposta, ovvero di proseguire con la politica dell’accoglienza indiscriminata, alimentando di conseguenza i bollori dei partiti estremisti come il Demokraterna che è in procinto di diventare il primo partito svedese, esattamente come il FN di Marine Le Pen in Francia – che ha la stessa situazione nelle periferie – e dove proprio in questi giorni Fillon ha inaugurato una nuova moschea definita la più grande al mondo.

Ecco servito piatto della “multiconflittualità”, figlia naturale di un multiculturalismo privo di integrazione basata sull’accettazione dei valori occidentali da parte di una cultura come quella islamica, che rischia di mettere in seria conflittualità le civiltà occidentali al fine di disgregarle per renderle più fragili attraverso l’imposizione di una visione che ha come peculiarità l’identificazione totale tra religione e politica; è evidente il ritardo e la miopia dei sistemi politici democratici difronte al rischio di andare – come sostiene il filosofo francese Alain Finkielkraut – verso due strade: “la sottomissione della società occidentale, o la guerra civile, poiché gli intellettuali europei si attengono alla storia del ventesimo secolo e in particolare la seconda guerra mondiale. Professano la religione dell’umanità per timore di svegliare i vecchi demoni, negano che vi sia una divisione dell’umanità in civiltà. Il multiculturalismo oggi è proposto solo come una semplice ibridazione della musica e della cucina. Si celebra da un lato il multiculturalismo e dall’altro non si prendono sul serio le culture”.

Resta significativo e inquietante il fatto che da quando la Svezia ha deciso di diventare multiculturale i crimini siano aumentati del 300%, gli stupri del 1400% collocandosi così al secondo posto tra i paesi con il maggior numero di violenze sessuali al mondo (superato solo dal Lesotho nell’Africa del Sud), la Svezia è oggi un Paese con un’islamizzazione altissima, in molte aree le donne svedesi si tingono i capelli di nero per non essere molestate ma è proibito dichiararlo perché per legge non si possono raccogliere dati “etnici” di chi commette delitti. A Malmo i pochi ebrei residenti sono dovuti fuggire per le aggressioni di stampo antisemita sulle quali il governo tace.

Ora occorre decidere se la politica sia ancora quella attività umana che pensa di poter conoscere, prevedere e decidere per mutare gli eventi, o se al contrario debba limitarsi a registrarli in un rassegnato fatalismo che azzera il futuro nella reiterazione del presente e distorce il passato ad improbabile caricatura del presente stesso. L’appello è agli intellettuali, che riabilitino la capacità di comprendere il corso delle cose e non di galleggiare sulle stesse. Calare dal mondo delle idee a quello delle cose, cominciare a camminare con le gambe per terra e gli occhi al cielo e non sempre viceversa.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun mag 01, 2017 8:36 am

Bergoglio il Papa vergognoso che santifica il criminale Maometto e l'orrendo l'Islam e che abbraccia il fanatico nazista islamico antisemita, antisraeliano e anticristiano imam egiziano Ahmed al Tayyeb


Ahmed al Tayyeb con Papa Bergoglio
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... C3%A7o.jpg


Il Mosè palestinese, il silenzio di Bergoglio
di Matteo Matzuzzi

http://ilnapoletano.org/2017/04/il-mose ... -bergoglio

Il presidente Abdel Fattah al Sisi si toglie gli occhiali da sole solo all’interno della sala dove incede la teoria di ospiti e invitati alla cerimonia d’accoglienza organizzata per il Papa di Roma, pellegrino nell’Egitto dove la convivenza millenaria tra cristiani e musulmani è ogni giorno resa più ardua dal fondamentalismo. Prima, all’esterno, tra guardie d’onore impettite e bandiere nazionali, Francesco ascolta l’Inno pontificio eseguito dalla non eccelsa banda delle Forze armate locali, che in passato aveva trasformato davanti a un François Hollande imbarazzato la Marsigliese in una nenia del tutto dimenticabile.

Esauriti i doveri protocollari, la due giorni papale sulle rive del Nilo è entrata nel vivo, con il discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, che nel Grande imam di al Azharn, Ahmed al Tayyeb, il principale sponsor e organizzatore. Ed è proprio quest’ultimo a creare i primi imbarazzi, usando il discorso di saluto per ricordare che “gli insegnamenti di Mosè sono stati interpretati male per occupare territori provocando milioni di vittime, persone – il popolo palestinese – che ha diritti giusti”. E lo stesso vale per i cristiani che non sono terroristi anche se “hanno usato la croce per uccidere”.

Poteva evitare, secondo Yahya Sergio Pallavicini, presidente del Coreis, che intervenendo a Tv2000 ha visto una “asimmetria tra il discorso di Papa Francesco e quello del Grande imam di al Azhar”. Dal primo “emerge una maggiore universalità”; mentre il secondo era connotato da “un’attenzione locale come se fosse un discorso solo per il mondo arabo”.

Ma Ahmed al Tayyeb è questo, non tenero con gli ebrei “occupanti” e poco sensibile ai diritti umani, se è vero che ha auspicato il rogo e la mutilazione per i jihadisti rei d’aver bruciato vivo il pilota giordano che combatteva il Califfato. I

l Pontefice, da par suo, ha richiamato sull’impor – tanza dell’educazione – tema caro al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e sottolineato anche nell’intervista all’Osservatore Romano concessa alla vigilia del viaggio dal cardinale Pietro Parolin – per vincere ogni forma di fondamentalismo e superare “la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi”.

Quindi ha ricordato che “un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo” e “che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte”. E questo, ha aggiunto Bergoglio, “è un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa da quella politica”.

Il rischio, a quel punto, è che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”.

Il discorso va capovolto, perché “oggi specialmente la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Al – to per imparare a costruire la città degli uomini”. E però l’attualità impone riflessioni ulteriori, dal momento che “mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza”.

Violenza che – ha sottolineato Francesco – “è la negazione di ogni autentica religiosità” e “in quanto responsabili religiosi, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”.

Il Papa ribadisce quali sono, a suo dire, le cause di questa violenza, a cominciare dalla proliferazione di armi che, “se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra – ha aggiunto – se ne possono prevenire le cause reali”. Il fatto, “sconcertante” è che “mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, e ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.

Più tardi, davanti al Papa copto Tawadros II, scampato all’attentato che la domenica delle palme ha colpito l’esterno della cattedrale di San Marco ad Alessandria, Francesco ha ricordato come “la maturazione del nostro cammino ecumenico è sostenuta, in modo misterioso e quantomai attuale, anche da un vero e proprio ecumenismo del sangue”.

“Ancora recentemente, purtroppo – ha aggiunto il Papa Francesco – il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato”. Unico, ha detto ancora, “è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente è qualcosa che ci unisce”.


Perché con questo islam è impossibile dialogare
Rino Cammillerri - Dom, 30/04/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 91367.html

«Q uante divisioni ha il papa?», chiedeva sarcastico Stalin a chi gli faceva presenti le rimostranze della Santa Sede sui diritti umani e allo sterminio dei cristiani - nell'Unione Sovietica. Il papa, infatti, non ha eserciti, se non di «preganti», gente che ogni giorno prega Dio «secondo le intenzioni del Pontefice». Non è poco, se si pensa alla fine che ha fatto l'Urss grazie a un papa, Giovanni Paolo II, e a una semplice consacrazione della Russia alla Madonna. Però ci sono voluti 70 anni di sofferenze. Ora è il turno di un islam tornato aggressivo. Che cosa può fare il papa se non pregare e cercare di dialogare?

Ma anche il dialogo è via ardua, e non solo per scarsa disponibilità di un interlocutore che spesso mostra di preferire le vie spicce. Sempre che si possa individuarlo, l'interlocutore. L'università cairota Al-Azhar è la massima autorità teologica del mondo islamico sunnita. Ma impropriamente la chiamiamo università, perché è in realtà una scuola per imam. L'autorevolissimo islamologo Samir Khalil Samir dice sconsolato che in quell'«università» si usano testi di sette secoli fa. Il dialogo, poi, richiede almeno una base comune di logica. È quel che ha provato a dire Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona, invitando, appunto, l'islam a ragionare. Il risultato sono stati pogrom anticristiani in molti Paesi islamici. E l'«università» del Cairo è arrivata a rompere i rapporti con Vaticano, rapporti faticosamente ricuciti dopo qualche anno da papa Francesco. Ma ancora si aspetta che Al-Azhar dica una parola definitiva di condanna sull'Isis.

Come si potrebbe dire che l'Isis non sia pienamente islamico? La sua bandiera è quella del Profeta, reca scritta la shahada (professione di fede) e stampata una scimitarra. Come nella bandiera dell'Arabia Saudita. La quale inonda di denaro l'Egitto, che ne ha parecchio bisogno. Ma l'Arabia propaganda un islam in versione wahhabita, la più rigorosa. E ha convinto molti egiziani. Secondo i sondaggi, tra l'80 e l'85% degli abitanti del più affollato Paese musulmano (dopo il Pakistan) sono d'accordo sull'uso della sharia. Perciò, il gran Muftì di Al-Azhar, anche volendo, non può andare al di là delle solite frasi di circostanza, assecondando papa Francesco nei discorsi ufficiali. Ma sicuramente conosce questa sentenza del grande filosofo musulmano Muhammad al-Ghazali: «Io non ho mai visto una sessione di dibattito che sia finita con la conversione di una sola persona all'islam. Le conversioni sono sempre avvenute per altre cause, soprattutto per la lotta con la spada. Non abbiamo ereditato dai nostri antenati il costume del diffondere l'islam con le discussioni». E magari quest'altra: «Bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all'islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre».


L’Imam del Cairo e la sua fatwa contro gli ebrei e Israele
Niram Ferretti
30 aprile 2017
http://www.progettodreyfus.com/limam-de ... ei-israele

Bisogna riconoscere a Ahmad al-Tayyib, il Grande Imam dell’Università di al Azhar del Cairo, una notevole perseveranza. In tutti questi anni non ha mai rinunciato ad un’occasione per attaccare Israele e, meno frequentemente davanti a interlocutori occidentali, a sottolineare la “perfidia” degli ebrei. La minore frequenza è semplicemente dovuta a un fatto tattico. Al di fuori del mondo arabo e musulmano, dichiarare che i peggiori nemici dei musulmani sono gli ebrei non gli assicurerebbe la stessa popolarità che gli arride quando, al posto di quest’ultimi colloca i sionisti. Allora, gli applausi in Occidente arrivano.

Ahmad al-Tayyib è il successore di Muhammad Sayyid Tantawi, autore di un testo di settecento pagine dedicato agli ebrei nel Corano e nella tradizione islamica, in cui vengono sottolineate le specifiche caratteristiche “degenerate” del popolo ebraico, anche se, con lodevoli eccezioni, “Non tutti gli ebrei sono uguali. Quelli buoni diventano musulmani (Corano, 3:113) mentre quelli cattivi no”.

Ahmad al-Tayyib non ha volute essere da meno del suo illustre predecessore. In una intervista del 25 ottobre 2013 al canale televisivo principale della televisione egiziana, offri l’esegesi del versetto 5:82 del Corano il quale comincia in questo modo, “Scoprirai che i più veementi nella loro ostilità contro i credenti sono gli Ebrei e gli idolatri”.

“Questa è una prospettiva storica che non è mutata fino ai giorni nostri”, disse al-Tayyib “Guardate come soffriamo oggi a causa del sionismo e dell’ebraismo globali…Fin dall’inizio dell’Islam, 1400 anni fa, abbiamo sofferto a causa dell’interferenza ebraica e poi sionista negli affari musulmani. Questo è causa di molta afflizione per i musulmani. Il Corano lo ha detto e la storia lo ha dimostrato“.

Il giudeo-sionismo mondiale nemico giurato dei musulmani propugnato dall’imam del Cairo non è altro che la riproposizione del complotto demo-pluto-giudaico-massonico di conio nazifascista ereditato direttamente dai Protocolli dei Savi di Sion. Al-Tayyib si è limitato a versare il vino relativamente nuovo dei paradigmi complottisti novecenteschi antisemiti occidentali dentro l’otre vecchio dell’antisemitismo teologico islamico, tradizione che lo precede, naturalmente, e di cui egli non è altro che una autorevole staffetta.

In una altra intervista, sempre sullo stesso canale egiziano, l’8 settembre 2014, spiegò agli ascoltatori che:

“Tutti i principali gruppi terroristici sono i nuovi prodotti dell’imperialismo al servizio del sionismo globale nella sua nuova versione, il cui obbiettivo è quello di distruggere il Medioriente”.

Rincarò la dose in un’altra occasione riproponendo uno degli evergreen antisionisti musulmani creato ad hoc negli anni ’30 da Amin al Husseini, il presunto tentativo ebraico di impadronirsi della moschea di Al Aqsa:

“Per costruire l’Egitto dobbiamo essere uniti. La politica è insufficiente. Allah è la base di tutto. La moschea di al-Aqsa è attualmente sotto attacco a causa di una offensiva da parte degli ebrei…Non permetteremo ai sionisti di giudaizzare al-Quds (Gerusalemme)”

Non c’è dunque da meravigliarsi se, ricevendo papa Francesco, nella sua prima visita in Egitto, il Grande Imam abbia utilizzato il discorso di saluto nei confronti del pontefice per sottolineare in chiave palesemente antiisraeliana che:

“Gli insegnamenti di Mosè sono stati interpretati male per occupare territori provocando milioni [sic] di vittime, il popolo palestinese, che ha diritti giusti.”

Infatti, come meravigliarsi delle parole di questo uomo “illuminato” e aperto al dialogo, così come viene propagandato in Occidente, tanto che nel 2015, la presidente (a) della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, lo aveva invitato a Montecitorio per tenere una lezione sulle virtù pacifiche dell’Islam? Lo stesso che ha giustificato gli attentati suicidi palestinesi con queste parole, “I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi di martirio”?

L’incontro a Montecitorio non ci fu, ma in compenso ci fu quello ben più importante in Vaticano nel maggio del 2016, dove l’attuale papa lo accolse per cercare di ricucire allo strappo creatosi nel 2006 tra il Vaticano e l’imamato sunnita egiziano a causa delle polemiche furibonde seguite alla Lectio di Ratisbona di Benedetto XVI.

Di nuovo il papa ha avuto modo di rivederlo al Cairo e di ascoltarlo mentre deliziava la platea con i suoi attacchi nei confronti di Israele.



???

Il Papa: la Santa Sede si è mossa per cercare la verità su Regeni
Carlo Marroni

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... m=facebook

Dal volo Il Cairo-Roma. Il caso della morte di Giulio Regeni. Il Papa al termine del viaggio di due giorni al Cairo ne parla, ma senza dare dettagli. Solo che la Santa Sede si è evidentemente mossa per la ricerca della verità sull'assassinio del giovane ricercatore. Nella tradizionale intervista collettiva sul volo di ritorno Bergoglio spazia dal rischio di una guerra nucleare e dei populismi, dalle elezioni in Francia al Venezuela. Ecco il testo integrale della conversazione.

Lei nel primo giorno della visita ha incontrato il presidente Al Sisi: avete parlato di diritti umani e del caso di Giulio Regeni? Si potrà conoscere la verità?
«Quando sono con un capo di Stato in dialogo privato quello rimane privato, almeno che si sia d'accordo nel renderlo pubblico. Io ho avuto quattro dialoghi privati qui, e credo che se è privato, per rispetto, si deve mantenere la riservatezza. A proposito di Regeni: io sono preoccupato, e dalla Santa Sede mi sono mosso su quel tema, perché anche i genitori lo hanno chiesto. La Santa Sede si è mossa. Non dirò come ma ci siamo mossi».


«Meglio non credenti che ipocriti. L'unico estremismo ammesso è la carità»

Ha anche detto che pace, prosperità e sviluppo meritano ogni sacrificio ed è importante il rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo. È stato il suo un supporto al governo egiziano che cerca di difendere i cristiani?
«Io ho parlato dei valori in se stessi, del difendere la pace, l'armonia dei popoli, l'uguaglianza dei cittadini, qualsiasi sia la religine che professano. Sono valori e io ho parlato dei valori. Se un governante difende uno o l'altro di questi valori è un altro problema. Ho fatto finora 18 viaggi e in parecchi Paesi ho sentito: «Il Papa appoggia questo o quel governo. Sempre un governo ha le sue debolezze o i suoi avversari politici che dicono una cosa e un'altra. Io non mi immischio, parlo dei valori, ognuno veda e giudichi se un governo o uno Stato porta avanti questi valori».

Il messaggio di pace religiosa di Francesco: «Smascherare la violenza»

Alla università di Al Azhar ha parlato dei populismi demagogici. I cattolici francesi sono tentati dal voto populista ed estremo e sono divisi tra due candidati. Quali elementi di discernimento può dare per questi elettori cattolici?
«Ho dovuto re-imparare in Europa la parola “populismi”ˮ perché in America Latina ha un altro significato. C'è un problema in Europa e nell'Unione Europea, quello che ho già detto sull'Europa non lo ripeterò, ne ho parlato quattro volte: due a Strasburgo, poi alla consegna del premio Carlo Magno e infine in occasione del sessantesimo dei Trattati di Roma. Ogni Paese è libero di fare le scelte che crede convenienti e davanti a questo io non posso giudicare se questa scelta la fa per un motivo o per l'altro. Non conosco la politica interna. È vero che l'Europa è in pericolo di sciogliersi, questo è vero. Dobbiamo meditare. C'è un problema che spaventa e forse alimenta questi fenomeni, ed è il problema dell'immigrazione. Ma non dimentichiamo che l'Europa è stata fatta dai migranti, da secoli e secoli di migranti, siamo noi. È un problema che si deve studiare bene, rispettando le opinioni, una discussione politica con la lettera maiuscola, la grande politica. Sulla Francia: dico la verità, non capisco la politica interna francese e ho cercato di avere buoni rapporti anche col presidente attuale, con il quale c'è stato un conflitto una volta ma poi ho potuto parlare chiaramente sulle cose. Dei due candidati francesi non so la storia, non so da dove vengono, so che una è una rappresentante della destra, ma l'altro non so da dove viene e per questo non so dare un'opinione. Parlando dei cattolici, mentre salutavo la gente un giorno uno mi ha detto: “Perché non pensa alla grande politica?. Intendeva fare un partito per i cattolici! Ma questo signore buono vive nel secolo scorso!».

Giorni fa fa lei parlando di rifugiati lei ha usato la parola “campi di concentramentoˮ, che per i tedeschi è molto grave. C'è chi dice che sia stato un lapsus...
«Innanzitutto vorrei ricordare bene tutto quello che ho detto. Ho parlato dei Paesi più generosi dell'Europa, citando Italia e Grecia. Sulla Germania: ho sempre ammirato la capacità di integrazione dei tedeschi. Quando io studiavo lì, c'erano tanti turchi integrati a Francoforte che facevano una vita normale. Però il mio non è stato un lapsus! Ci sono campi di rifugiati che sono veri campi di concentramento. Qualcuno forse c'è in Italia, qualcuno forse in altre parti. Lei pensi che cosa fa la gente quando è rinchiusa in un campo senza poter uscire. Pensi che cos'è successo in Nord Europa quando i migranti volevano attraversare il mare per andare in Inghilterra, e sono stati chiusi dentro. Mi ha fatto ridere una cosa, e questa è un po' la cultura italiana: in Sicilia, in un piccolo paese, c'è un campo rifugiati. I capi di quel paese hanno parlato ai migranti e hanno detto loro: “Stare qui dentro farà male alla vostra salute mentale, dovete uscire, ma per favore non fate cose brutte!. Noi non possiamo aprire i cancelli, ma facciamo un buco dietro, voi uscite, fate una passeggiata in paese...ˮ. E così si sono costruiti buoni rapporti con gli abitanti di quel paesino: i migranti non fanno atti di delinquenza o criminalità. Ma stare chiusi è un lager...».


Pyongyang fallisce lancio di missile. Usa pronti a sanzioni

Ha detto che tutti devono essere costruttori di pace. Ha parlato più volte di terza guerra mondiale a pezzi: oggi c'è paura per quello che sta accadendo in Corea del Nord. Trump ha mandato navi militari, il leader nordcoreano ha minacciato di bombardare la Corea del Sud. Si parla di possibilità di guerra nucleare. Se vedrà Trump e altri leader, che cosa dirà loro?
«Li richiamo e li richiamerò a un lavoro per risolvere i problemi sulla strada della diplomazia. Ci sono i facilitatori, i mediatori che si offrono. Ci sono Paesi come la Norvegia, sempre pronta ad aiutare - è solo un esempio. La via è quella del negoziato, della soluzione diplomatica. Questa guerra mondiale a pezzi della quale parlo da due anni, è a pezzi ma i pezzi si sono allargati e si concentrano in punti che erano già caldi. Dei missili coreani si parla da un anno, ma adesso sembra che la cosa si sia riscaldata troppo. Richiamo al negoziato perché è il futuro dell'umanità: oggi una guerra allargata distruggerebbe una buona parte dell'umanità ed è terribile! Guardiamo a quei Paesi che stanno soffrendo una guerra interna, in Medio Oriente, in Yemen, in Africa. Fermiamoci, cerchiamo soluzioni diplomatiche, e lì credo che l'Onu abbia il dovere di riprendere un po' la sua leadership perché si è un po' annacquata».

Lei vuol incontrare il presidente Trump?
«Non sono stato ancora informato di richieste da parte della Segreteria di Stato, ma io ricevo ogni capo di Stato che chiede udienza».


In Venezuela ancora violente proteste: 27 morti in tre settimane

In Venezuela la situazione sta peggiorando. Che cosa si può fare? Il Vaticano può fare una mediazione?
«C'è stato un intervento della Santa Sede su richiesta dei quattro presidenti che stavano lavorando come facilitatori, ma la cosa non ha avuto esito perché le proposte non sono state accettate o venivano diluite. Tutti sappiamo la difficile situazione del Venezuela, un Paese che io amo molto. So che ora stanno insistendo, non so bene da dove, credo ancora da parte dei quattro presidenti, per rilanciare questa facilitazione e stanno cercando il luogo. Ci sono già opposizioni chiare, la stessa opposizione è divisa e il conflitto si acutizza ogni giorno di più. Siamo in movimento. Tutto quello che si può fare, bisogna farlo, con le necessarie garanzie».


Messa del Papa al Cairo con i copti

Quali sono le prospettive dei rapporti con ortodossi russi ma anche con i copti? Il riconoscimento comune del battesimo è importante... Come valuta il rapporto tra Vaticano e Russia alla luce della difesa dei cristiani in Medio Oriente e Siria?
«Io con gli ortodossi ho sempre avuto una grande amicizia. A Buenos Aires, ogni vigilia di Natale andavo ai vespri alla cattedrale del patriarca ortodosso che adesso è arcivescovo in Ucraina: due ore e 40 di preghiera in una lingua che non capivo. E poi partecipavo alla cena della comunità. Anche gli altri ortodossi, alcune volte, quando avevano bisogno di aiuto legale, venivano alla Curia cattolica. Siamo Chiese sorelle. Con il Papa copto Tawadros II ho un'amicizia speciale, per me è un grande uomo di Dio, è un grande patriarca che porterà la Chiesa avanti, il nome di Gesù avanti. Ha un grande zelo apostolico, è uno dei più “fanatici” per trovare la data fissa della Pasqua. Anche io lo sono, ma lui dice: lottiamo, lottiamo! Quando era vescovo lontano dall'Egitto, andava a dare da mangiare ai disabili. L'unità del battesimo va avanti, la colpa è una cosa storica: nei primi concili era chiaro, poi i cristiani battezzavano i bambini nei santuari e quando volevano sposarsi e si ripeteva il battesimo sotto condizione. È cominciato con noi, non con loro. Siamo in buon camino per superare questo. Gli ortodossi russi riconoscono il nostro battesimo e io riconosco il loro. Con i georgiani: il patriarca Elia II è un uomo di Dio, un mistico, noi cattolici dobbiamo imparare da questa tradizione mistica. In questo viaggio abbiamo fatto l'incontro ecumenico, c'era anche Bartolomeo, c'erano gli anglicani... L'ecumenismo si fa in cammino con le opere di carità, stando insieme. Non esiste un ecumenismo statico. I teologi devono studiare ma questo non è possibile che finisca bene se non si cammina insieme, pregando insieme... Con il patriarca russo Kirill ho rapporti buoni e anche l’arcivescovo Hilarion è venuto parecchie volte a Roma e abbiamo un buon rapporto. Con lo Stato russo: so che lo Stato parla della difesa dei cristiani in Medio Oriente, questa credo che sia una cosa buona: parlare contro la persecuzione. Oggi ci sono più martiri che in passato».


???

Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e mistica
MARCO RONCALLI

http://www.lastampa.it/2017/04/30/vatic ... agina.html

Il viaggio del Papa in Egitto è stato, da qualsiasi angolo lo si voglia giudicare, un successo. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione. «Egli – ha affermato Francesco - è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».

Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso.
Un sostegno, innanzitutto, al presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.

Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».

Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra musulmani e cristiani.

Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.

I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue, del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico, maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono, comunque, banali.

Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio». Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul «particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla pace: «Io sono cristiano».

Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»: portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera, sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.

L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico. Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici» possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha, nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente. Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente.


Papa Francesco in Egitto: "Populismi sconcertanti. C'è bisogno di costruttori di pace"
di KATIA RICCARDI

http://www.repubblica.it/vaticano/2017/ ... -164101485

IL CAIRO - È arrivato con un messaggio di pace, papa Francesco, al Cairo. Per le strade sfilano furgoni dell'esercito e soldati. Molti hanno il volto coperto e si notano al Cairo sul viale El-Orouba, quello lungo il quale è passata la Fiat tipo di Bergoglio dopo aver lasciato l'aeroporto.

Il dispiegamento di mezzi per il trasporto truppe, tra camionette della polizia e mezzi della "sicurezza centrale", c'è anche sul prolungamento del vialone, la Salah Salem Street, e al ponte del "6 ottobre" sul Nilo spicca un blindato con mitragliatrice pesante. Quasi tutte le vie di accesso al viale El-Orouba sono bloccate. Ma dal finestrino dell'auto Francesco legge anche i cartelli colorati delle persone: "Welcome Pope Francis", "Papa di pace nell'Egitto di pace", e sente la gioia particolare di un milione di lavoratori di Sharm el Sheik in festa.

Il Papa è atterrato puntuale, alle 14. È il secondo Pontefice a visitare l'Egitto, dopo Giovanni Paolo II, che si recò al Cairo e sul Monte Sinai nel 2000. Accolto dal premier egiziano Sherif Ismail, salutato fra gli altri anche dal patriarca della Chiesa cattolica copta, Abramo Isacco Sidrak, da una suora e un bambino, Francesco ha cominciato il suo 18esimo viaggio apostolico Internazionale. Un "protocollo d'accoglienza veloce", perché subito dopo il pontefice si è recato al palazzo presidenziale di Ittihadiya al Cairo, nel quartiere orientale cairota di Heliopolis, atteso dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.

Con occhiali da sole, Sisi ha accolto Francesco sulla porta del bianco palazzo. Al Papa sono stati resi onori militari al suono degli inni vaticano, egiziano e di uno 'patriottico'. Fra i marmi di una sala riccamente decorata, le formalità, lo scambio dei doni, l'incontro privato, dove il Papa potrebbe aver parlato della famiglia Regeni, che ancora chiede verità sulla morte del figlio Giulio. "L'Egitto ha un compito singolare: rafforzare e consolidare anche la pace regionale, pur essendo, sul proprio suolo, ferito da violenze cieche" ha sottolineato nel discorso alle autorità egiziane. Nell'occasione, pur senza nominare Regeni, il Papa ha parlato del dolore "delle famiglie che piangono i loro figli e figlie" e ha rivendicato "un rigoroso rispetto dei diritti umani". "Violenze - ha scandito - che fanno soffrire ingiustamente tante famiglie, alcune delle quali sono qui presenti".

Papa Francesco potrebbe aver sollevato il caso dell'omicidio del ricercatore Giulio Regeni con il presidente Al Sisi nel loro incontro privato. Lo ha riferito una fonte diplomatica europea al quotidiano egiziano Al-Ahram. La famiglia Regeni, aveva fatto apertamente richiesta al Pontefice di parlare del figlio Giulio

Dopo la visita al presidente Francesco ha abbracciato per la seconda volta il Grande Imam di Al-Azhar, il più prestigioso ateneo dell'Islam sunnita, Ahmed Al Tayyib. Un lungo abbraccio dopo l'incontro al Vaticano lo scorso anno. È la prima volta che un Papa visita questa istituzione. Il discorso di Francesco alla conferenza internazionale di Pace promossa da Al Tayyib, di fronte al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, è stato deciso, forte. E l'ha cominciato in arabo: "As-salamu 'alaykum". Che la pace sia con voi.

Quella che chiede e per la quale prega, è una pace indiscutibile, pulita, chiara: "Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall'altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza".

"Vi ringrazio, o Papa, per le vostre giuste dichiarazioni che non qualificano l'islam come terrorismo", ha detto Al-Tayyib parlando di "vostra visita storica" che avviene "durante una catastrofe umana estremamente triste".

La soluzione per la pace descritta da Francesco "per prevenire i conflitti ed edificare la pace" è "adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza. Ancora più alla radice, è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali". Un impegno "urgente e gravoso" cui "sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell'informazione".

Come impegno finale della giornata il Papa ha incontrato anche il patriarca dei copti, papa Tawadros II. "Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato" ha detto rivolgendosi al "Carissimo Fratello" Francesco ricordando le vittime egiziane dell'Isis, sottolinenando che il loro sacrificio unisce le chiese cristiane attraverso "l'ecumenismo del sangue".

"Come unica è la Gerusalemme celeste, unico - ha affermato - è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce". "Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci - ha chiesto - per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l'unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti". "La meravigliosa storia di santità di questa terra non è particolare solo per il sacrificio dei martiri", ha esortato Bergoglio che al tema dell'ecumenismo del sangue ha dedicato gran parte del suo intervento di oggi pomeriggio al Patriarcato copto.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun mag 08, 2017 9:07 pm

Critiche islamiche contro Al-Azhar. L'altra faccia del viaggio di Francesco in Egitto

di Sandro Magister
2017/05/08

http://magister.blogautore.espresso.rep ... -in-egitto

A distanza di una settimana dalla visita di papa Francesco in Egitto, molto si è detto su ciò che ha fatto lui. Poco invece su ciò che è accaduto sull'altra sponda, quella dell'islam.

Qui ha fatto testo il discorso del grande imam di Al-Azhar, lo sceicco Ahmad Al-Tayyib, pronunciato in arabo e leggibile integralmente nella versione ufficiale in inglese, in quest'altra pagina:
http://magister.blogautore.espresso.rep ... -al-tayyib

Al contrario di Francesco, che nel suo discorso immediatamente successivo ha ricondotto le violenze compiute in nome della religione a una "falsificazione idolatrica di Dio", con un'allusione non esplicita ma trasparente al terrorismo e alle guerre di matrice islamica, Al-Tayyib ha sostenuto che "non c'è una sola ragione logica che giustifichi" tali violenze se non "il commercio e la vendita delle armi", più l'oblio che la "civiltà moderna" ha calato sulle "religioni divine e le loro etiche immutabilmente stabilite".

Al-Tayyib ha quindi negato che vi sia un fondamento nel ricondurre all'islam gli atti terroristici perpetrati in suo nome, solo per il motivo che vi sono "piccoli gruppi di seguaci" che li compiono, perché allora, ha aggiunto, la stessa accusa dovrebbe colpire il cristianesimo e l'ebraismo, anch'essi con dei loro seguaci che seminano morte "innalzando la croce" o "gli insegnamenti di Mosè".

Ora, ciò che è importante notare è che queste asserzioni del grande imam di Al-Azhar non sono passate indenni alla critica di alcuni suoi correligionari.

Il commento più pungente è venuto da un intellettuale musulmano egiziano, Islam Al-Behairy, condannato a un anno di di prigione per sue precedenti critiche ad Al-Azhar, ma poi graziato dal presidente Abd Al-Fattah Al-Sisi, anche lui prodottosi due anni fa in un clamoroso attacco a quella che è la più celebre università dell'islam sunnita, alla quale aveva ingiunto di avviare al più presto una "rivoluzione religiosa" capace di "sradicare" il fanatismo dall'islam per "rimpiazzarlo con una visione più illuminata del mondo".

Al-Behairy ha esposto le sue critiche al grande imam di Al-Azhar in un'intervista ad "Asia News", l'agenzia on line del Pontificio Istituto Missioni Estere:

A suo giudizio sono pseudo-ragioni quelle con cui Al-Tayyib vorrebbe spiegare il terrorismo islamico, incolpando il traffico di armi e il pensiero postmoderno:

"Se le ragioni del terrorismo religioso sono il pensiero postmoderno e il traffico di armi, viviamo nel mondo dei sogni. Vi sono infatti dei testi nella nostra giurisprudenza classica che incitano alla violenza. Vediamo persone che si fanno saltare in aria uccidendo decine di persone proprio perché hanno letto testi che danno loro carta bianca per uccidere chiunque, cioè per la semplice ragione che possiedono una fede incrollabile in base alla quale onorano Dio immolandosi e uccidendo molte altre persone insieme a loro. Altro che traffico di armi! Inviterei l’amministrazione egiziana a controllare attentamente le opinioni dello sceicco Al-Tayyib. Perché in base al suo pensiero, lo Stato non sarà mai in grado di mettere fine alle violenze".

E ancora:

"Io chiedo ad Al-Azhar di smetterla di esibire al mondo libri scritti da certi imam del Medioevo, come fossero il retaggio del vero islam. Perché quanto è contenuto in questi libri è ciò che compie all’atto pratico Daesh [lo Stato islamico], alla lettera e fino all’ultima virgola. Se volesse davvero porre rimedio a ciò che accade, lo sceicco Al-Tayyib dovrebbe ascoltare quanti lo invitano a fare una seconda lettura di questi testi e a dire che ciò che vi è scritto non corrisponde a verità. Questi imam di un tempo hanno fatto del male alla nostra gente, all’immagine dell’islam e anche alle relazioni dell’islam con le altre religioni. Ma lo sceicco non vuol sentire parlare di nuove interpretazioni. Egli le combatte con ferocia e intenta processi contro quanti le vogliono. In realtà, egli è una fonte di perenne contraddizione. In una dichiarazione rivolta all’Occidente egli ha affermato che l’islam non invita all’uccisione dell’apostata. Ma in Egitto egli dice che l’islam incoraggia a farlo".

È impressionante la somiglianza tra queste critiche di Al-Behairy ad Al-Azhar e quelle formulate alla vigilia del viaggio di papa Francesco da due gesuiti egiziani molto competenti in materia, i padri Henri Boulad e Samir Khalil Samir, in due interviste a "L'Osservatore Romano" e ad "Asia News", entrambe rilanciate da Settimo Cielo.

I trascorsi di Al-Tayyib sono in effetti irti di contraddizioni.

È stato nel 2007 uno dei firmatari della famosa "lettera dei 138 saggi musulmani" a Benedetto XVI in risposta dialogica alla sua lezione di Ratisbona. Ma è anche colui che all'inizio del 2011 ruppe le relazioni tra l'università di Al-Azhar e la Santa Sede solo perché Benedetto XVI aveva pubblicamente pregato per le decine di vittime dell'attentato di capodanno contro la chiesa copta dei Santi Marco e Pietro ad Alessandria d'Egitto.

È stato più volte ospite di riguardo degli incontri interreligiosi di pace organizzati ogni anno dalla Comunità di Sant'Egidio. Ma è anche colui che nel 2004, in uno di questi incontri, approvò pubblicamente gli atti terroristici compiuti in Israele contro i civili, bambini compresi.

È colui che quando l'Isis nel 2015 bruciò vivo sulla pubblica piazza un pilota giordano catturato, condannò come "non islamico" quell'atto. Ma di rimando sentenziò che quegli assassini "devono essere uccisi, crocifissi e amputati delle mani e dei piedi".

Visti questi precedenti, non sorprende che Al-Behairy si dica scettico sulla conferenza internazionale per la pace organizzata ad Al-Azhar dal grande imam Al-Tayyib in concomitanza con la visita del papa:

"Questa conferenza di pace non porta da nessuna parte. Non vi è nulla di specifico nella lotta al terrorismo. È una commedia assai distante dalla realtà".

Così come continua a restare molto lontana dall'essere accolta – se non da pochi isolati antesignani – la proposta rivoluzionaria che Benedetto XVI lanciò al mondo islamico nel dicembre del 2006, tre mesi dopo Ratisbona.

Una proposta di straordinaria attualità ma caduta troppo in oblio anche dentro la Chiesa cattolica. Un motivo in più per rileggerla per intero:

"Il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. [...]

"Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.

"D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.

"Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà".
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mar mag 09, 2017 9:17 am

“Con l’islam non si può dialogare”
“E’ impossibile che un musulmano soccorra un altro uomo che s’è convertito al cristianesimo. E’ obbligato a spargere il sangue di chi abbandona l’islam”. A dirlo è stato Joseph Fadelle, intervenendo al Convegno per la libertà religiosa che s’è tenuto nei giorni scorsi a Madrid. La sua era la testimonianza più attesa, perché Joseph è un convertito.
di Matteo Matzuzzi
30 Aprile 2015

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/04/3 ... A.facebook

Roma. “E’ impossibile che un musulmano soccorra un altro uomo che s’è convertito al cristianesimo. E’ obbligato a spargere il sangue di chi abbandona l’islam”. A dirlo è stato Joseph Fadelle, intervenendo al Convegno per la libertà religiosa che s’è tenuto nei giorni scorsi a Madrid. La sua era la testimonianza più attesa, perché Joseph è un convertito. Nato in Iraq nel 1964 con il nome di Muhammad, nel 1987 – grazie a Masud, un commilitone cristiano conosciuto a Bassora, lungo la linea del fronte della guerra contro l’Iran – rimane folgorato dalla lettura del Vangelo e sceglie di abbracciare Cristo. La famiglia, sciita e benestante, lo fa incarcerare. Il padre – dopo avergli trovato una copia della Bibbia e aver interrogato il nipote di quattro anni – ne ordina la tortura fino a quando quella che riteneva essere una mera infatuazione non sarebbe passata. Supplizio inutile, perché Muhammad non torna indietro. Costretto agli arresti domiciliari, riesce a scappare. Sopravvive per miracolo a un tentativo di omicidio (ordito dal fratello), passa il confine con la Giordania e da lì, a tappe, giunge in Europa.

La sua storia è nota, qualche anno fa ha mandato in stampa il libro “Il prezzo da pagare” (edito in Italia da San Paolo), il racconto dell’odissea patita dal momento in cui ha scelto di essere cristiano. Sulla sua testa, oggi, pende una fatwa: “In Francia c’era un imam siriano che voleva ammazzarmi e siccome ho quattro bambini non posso stare nello stesso posto per molto tempo. La polizia mi chiede di cambiare costantemente casa”. Non a caso, il titolo del suo intervento era “Il martirio dei musulmani convertiti al cristianesimo”, l’altra faccia del dramma che si consuma nel vicino oriente dove ormai la presenza cristiana pare destinata a una lenta estinzione, se le milizie jihadiste del cosiddetto Califfato continueranno a prosperare nella piana di Ninive. Fadelle ne ha per tutti, a cominciare da chi rimpiange Saddam Hussein (dice di ricordarsi bene le prigioni del rais) per finire con chi esalta l’opera pia di qualche agenzia onusiana: “Un funzionario musulmano dell’Unhcr mi ha accusato, ingiustamente, di essere stato complice negli attacchi con i gas contro i curdi che hanno causato cinquemila morti”. Quando gli parlano del valore straordinario che Maometto attribuisce alla vita, Joseph Fadelle risponde che “il Corano è uguale per tutti e afferma la necessità di uccidere chi abbandona l’islam”. Certo, va fatta una distinzione tra islam e musulmani, ha sottolineato in un’intervista alla piattaforma Hazteoir: “L’islam è pericoloso, ma i musulmani sono nostri fratelli in Cristo e noi siamo responsabili nei loro confronti, della loro salvezza. Dobbiamo amarli, accoglierli con rispetto”. E’ il testo sacro a essere il problema, la sua interpretazione troppo rigida – “come se si fosse ancora ai tempi del Profeta, nel Settimo secolo”, aveva detto al Foglio il 18 febbraio scorso l’islamologo gesuita Samir Khalil Samir. Il Corano “è parola di Dio, e di conseguenza uccidere il non credente è un ordine di Dio. Come si può non obbedire a Dio?”, ha aggiunto Fadelle. Proprio per questo, “la mia famiglia tenterà in ogni modo di togliermi di mezzo”. E’ un versetto coranico, un hadit, a prescriverlo. Si può fare ben poco, chiosa.

Il suo cruccio maggiore, ora, è il destino dell’occidente: “L’islam lo considera empio, gli occidentali non musulmani sono empi”. A chi in conferenze e simposi raccomanda dialogo con tutti e a tutti i costi, lui mostra le cicatrici della prigionia: “Dialogare basandosi sul rispetto e la tolleranza non è possibile”, se il presupposto è che chi cambia credo religioso debba essere mandato sotto terra. L’errore macroscopico dell’occidente, dice, è di aver rinunciato alle proprie radici, ai valori che l’hanno plasmato e fatto diventare grande: “L’opzione laica colloca l’occidente ancora di più nel mirino dell’islam. Un laico, per l’islam, è peggiore di un credente di qualsiasi religione”, perfino dei politeisti. Joseph Fadelle non contempla distinzioni: “C’è un unico islam, come c’è un unico Corano”. La differenza la fa il modo in cui quel libro viene interpretato, se alla lettera o no.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun mag 29, 2017 7:07 am

Vittorio Feltri, la brutale verità sull'islam: "Guerra di religione, il Papa e la Chiesa negano e sono complici"
28 Maggio 2017
Vittorio Feltri
http://www.liberoquotidiano.it/news/sfo ... ragi-.html

Tra un po', un attentato con decine di vittime sarà accolto dalla gente con una scrollata di spalle. Ci si abitua a tutto, anche alle tragedie. Chi non è giovanissimo ricorderà che le Brigate rosse ne gambizzavano uno al giorno. Dopo qualche mese, i ferimenti del tipo descritto non facevano più notizia. I quotidiani liquidavano certi fatti di violenza come si trattasse di tamponamenti sull'autostrada. Succederà la stessa cosa con i massacri compiuti dai feroci Saladini. Venerdì per esempio, un commando paramilitare ha bloccato un autobus nel deserto egiziano, carico di cristiani copti e ne ha uccisi 35, così, per gradire, e ne ha azzoppati (sono gravi) altrettanti. Un eccidio spaventoso, che però in Italia non pare aver suscitato una grande reazione di sdegno. Routine. Tanto è vero che i mezzi di comunicazione, radio e tv e siti internet, l' hanno registrato con toni soft, senza enfasi quasi che fossero stati eliminati alcuni conigli a scopo alimentare.

A noi questa indifferenza impressiona quanto l'incredibile spargimento di sangue. Siamo basiti. Aggiungiamo una considerazione suggeritaci dalla osservazione della realtà. La maggior parte di coloro che si impegnano per far sì che qui giungano più migranti di quanti ne siano già arrivati, e mi viene in mente Majorino, assessore di sinistra del Comune di Milano (organizzatore della marcia pro stranieri), è convinta, come del resto Papa Francesco, che quella in atto non sia affatto una guerra di religione, bensì un conflitto marginale acceso da teste calde mosse non certo dalla fede, ma da altri fattori.

Quali? Non sono mai stati scoperti dagli intelligentoni amanti delle invasioni barbariche. Bene, ognuno ha le proprie idee e noi cattivoni contrari alle immigrazioni incontrollate siamo considerati alla stregua di nazisti. Però, se ci è consentito intervenire pacatamente, vorremmo domandare ai nostri critici perché ieri, e altre volte, gli islamici egiziani non hanno sterminato adoranti di Allah, e si sono invece accaniti contro cristiani, eliminandone un bel gruppo? Per sport? Per allenamento? Per antipatia personale? O non piuttosto per motivi religiosi? Guarda caso i musulmani estremisti affermano di avercela a morte con gli infedeli, maggiormente coi succitati cristiani. Rammentiamo che qualche tempo fa i terroristi entrarono in una università del Kenya e stecchirono una moltitudine di studenti, sparando in testa soltanto a quelli che non conoscevano il Corano per filo e per segno. I fatti dimostrano pertanto che questa è una guerra di religione della peggior specie. Lo stesso Papa farebbe bene a prenderne atto. Non lo diciamo polemicamente, ma per aiutarlo a scendere dal pero.
Sempre ieri, l'Avvenire, quotidiano dei vescovi, ha riportato una dichiarazione del cardinale Gualtiero Bassetti, nuovo presidente della Cei, abbastanza stupefacente. Questa: «Non sono le religioni a provocare violenze e terrorismo». Indubbiamente. Le religioni non c'entrano un fico secco con le montagne di cadaveri da cui siamo circondati. Sono tutte innocenti tranne una, quella che ammazza in nome di Allah. Chi lo nega è un complice ebete degli assassini.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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