Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun gen 29, 2018 12:06 am

Nostra Aetate 50 anni dopo
salvatore cernuzio
2015/10/25

http://www.lastampa.it/2015/10/25/vatic ... agina.html

Si festeggia oggi il 50mo anniversario di «Nostra Aetate» («Nel nostro tempo»), documento fondamentale del Concilio Vaticano II, anniversario che verrà celebrato a Roma questa settimana con due grandi eventi: un simposio presso la Pontificia Università Gregoriana dal 26 al 28 ottobre a cui parteciperanno leader ebrei, musulmani, hindu, buddisti e cattolici, e che culminerà con una udienza papale per tutti i partecipanti, e un Forum, il 29 ottobre, sul tema «L’importanza del continuo impegno interreligioso nella lotta contro l’intolleranza» organizzato dall’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede e dalla John Cabot University, in cui prenderanno parola rappresentanti cattolici, ebrei e musulmani. A margine delle celebrazioni, si terrà a Castel Gandolfo dal 28 ottobre all’1 novembre l’assemblea europea di «Religioni per la Pace» dal titolo «Accogliere l’altro: dalla paura alla fiducia».

Nostra Aetate ha rivoluzionato in primo luogo le relazioni della Chiesa cattolica con gli ebrei, ma anche rispetto a tutte le altre grandi religioni del mondo. Istituzionalizzando un nuovo rispetto per la fede ebraica nel cattolicesimo, ha contribuito in maniera efficace a creare un'immagine più positiva e fiduciosa del cristianesimo (e delle altre religioni) nella psiche ebraica, dopo secoli di sofferenza e di persecuzioni.

Il documento nacque dalla necessità sentita da un papa visionario, san Giovanni XXIII, a seguito delle sue esperienze personali vissute durante la seconda guerra mondiale e l’Olocausto, di correggere i torti commessi dalla cristianità attraverso i secoli, nel predicare con insistenza l’idea che gli ebrei fossero un popolo reietto da Dio e condannato a vagare in eterno a causa del cosiddetto crimine di «deicidio» (Jules Isaac, storico di fede ebraica sopravvissuto all’Olocausto, che per primo portò il tema all’attenzione di Papa Roncalli durante il loro storico incontro nel 1960, fu il primo a definirlo «insegnamento del disprezzo»). Il «documento sugli ebrei» del Concilio Vaticano II divenne poi una dichiarazione in cinque punti che ha rivalutato il valore intrinseco dell’ebraismo e delle altre fedi non cristiane.

Come espressione concreta del programma di papa Giovanni XXIII di «aggiornamento» della Chiesa cattolica e di apertura al mondo, esso contiene il seme di una nuova consapevolezza e rispetto per «la comunità di tutti i popoli» e le grandi religioni del mondo che, afferma, «spesso riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Nel documento è contenuta l'importante affermazione che «la Chiesa cattolica non rifiuta nulla di quanto è vero e santo in queste religioni».

Il quarto comma, che tratta dei rapporti con il popolo e la religione ebraica, è l'embrione da cui si è sviluppato il documento.

Oggi, a distanza di cinquant’anni, come vengono valutati i cambiamenti portati da Nostra Aetate nelle relazioni tra ebrei e cattolici nel mondo ebraico? Si potrebbe ben dire che su questo tema c'è un accordo generale tra i principali rappresentanti di tutti i rami dell’ebraismo. Abbiamo raccolto i commenti di due eccezionali rabbini, da molti anni impegnati nel dialogo interreligioso. Entrambi saranno tra i relatori nelle celebrazioni di questa settimana.

David Rosen è un rabbino ortodosso, ex-rabbino capo d'Irlanda, attualmente direttore internazionale degli affari interreligiosi dell’Ajc (American Jewish Committee) e direttore dell’Istituto Heilbrunn for International Interreligious Understanding. Fa parte del consiglio direttivo di vari organismi interreligiosi internazionali tra cui la Commissione per le Relazioni Interreligiose del Gran Rabbinato di Israele. È uno dei Presidenti internazionali di Religioni per la Pace, ed è stato membro della Commissione bilaterale permanente dello Stato d'Israele e la Santa Sede che ha negoziato l'instaurazione di relazioni diplomatiche tra i due Stati.

Il rabbino liberale e riformato Jack Bemporad, nato in Italia, è fuggito dal regime fascista prima della seconda guerra mondiale, emigrando con la famiglia negli Stati Uniti all’età di cinque anni. Come risultato della sua personale sofferenza causata dalla persecuzione e dal pregiudizio, ha dedicato la sua carriera a migliorare le relazioni tra cristiani, musulmani ed ebrei in tutto il mondo. È Direttore del Centro Giovanni Paolo II e Professore di Studi Interreligiosi presso l'Angelicum (Pontificia Università San Tommaso D’Acquino), oltre a essere fondatore e direttore del Center for Interreligious Understanding nel New Jersey (Usa). Ha accompagnato gruppi di imam e di insegnanti religiosi musulmani del Medio Oriente a Dachau e a Auschwitz.

«Nostra Aetate ha affrontato la maggior parte dei problemi che Jules Isaac ha portato all'attenzione di san Giovanni XXIII”» dice il rabbino Bemporad. «Papa Roncalli, avendo vissuto e agito durante la seconda guerra mondiale, è stato testimone dell'Olocausto, ed è stato onorato come uno dei "Giusti "allo Yad Vashem di Gerusalemme, in quanto intervenne personalmente per aiutare a salvare migliaia di ebrei, quando era delegato apostolico in Turchia e in Grecia. Era sinceramente addolorato a causa del diffuso “insegnamento del disprezzo” da parte della Chiesa cattolica, che aveva prodotto una forma di apatia che contribuì a una certa riluttanza ad agire da parte di molti cristiani di fronte alle persecuzioni naziste degli ebrei».

«Prima del Concilio Vaticano II, la teologia della sostituzione, nota con il nome di “supercessione”, evocava l’immagine del Dio ebraico come un Dio etnico, vendicativo e iracondo, proprio di una religione dominata dal giustizialismo. Poi venne Gesù, che sostituì il Dio dell'Antico Testamento con il Dio dell'Amore. Tale insegnamento aveva lo scopo di mettere in evidenza le virtù del cristianesimo e di sostituire la “Vecchia” religione ebraica con il messaggio “Nuovo” del cristianesimo. Questo atteggiamento rendeva impossibile riconoscere il grande debito del cristianesimo verso l’ebraismo, cosa che poi Nostra Aetate ha affrontato e risolto».

Dice il rabbino Rosen: «Questo diffuso insegnamento precedente al Concilio Vaticano II rappresentava, erroneamente, l’ebraismo come una religione fatta solo di leggi, in contrasto col messaggio d'amore del cristianesimo. Eppure, l'insegnamento centrale di Gesù si basa sull’importanza data proprio dall'ebraismo al primato dell'amore per Dio e per il prossimo. L'amore per Dio è per la Bibbia ebraica un imperativo fondamentale, molto più del timore di Dio. L’insegnamento centrale della fede ebraica è contenuto nel Deut. 6: 4-9, lo “Shemà Israel” o “Ascolta Israele”, che viene recitato ogni mattina e sera dagli ebrei osservanti. Il versetto 5 inizia con "Amerai il Signore tuo Dio con tutta l'anima e tutta la tua forza...". Con la dichiarazione di Rabbi Akiva di 2mila anni fa, l’ebraismo insegna che il principio più importante della Torah è in Levitico 19:18: “ama il tuo prossimo come te stesso”. Perciò Gesù ha fatto suo un insegnamento fondamentale dell’ebraismo, e cioè che i principi che ci guidano sono l'amore per Dio e per il prossimo. Nei “Dialoghi d’Amore”, opera di Yehuda Abravanel, il grande studioso ebreo italiano del XVI secolo, noto come “Leon l’Ebreo2, si sintetizza l'essenza della religione ebraica in tre conversazioni - Sull’Amore e Desiderio, sull'Universalità dell'Amore, e sull'Origine dell’Amore».

Tuttavia, il travisamento dell’ebraismo da parte del cristianesimo è stato così persistente e diffuso che il documento del vaticano «Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate n.4», pubblicato nel 1974, torna esplicitamente sulla questione, mettendo in guardia contro lo stereotipo errato «di un Dio di amore opposto a un Dio di vendetta», continua il rabbino Rosen. «Di tanto in tanto, perfino Papa Francesco vi fa ricorso in qualche sua omelia - osserva - anche se ovviamente lo fa senza alcuna intenzione discriminatoria».

Il rabbino Rosen ci spiega che Francesco «è riconosciuto in tutto il mondo ebraico come un vero amico degli ebrei. E soprattutto, è proprio così che egli vede se stesso. Non c'è mai stato un altro papa che avesse così tanti intimi amici ebrei, e Francesco ne ha parlato e scritto in maniera commovente. Mai prima nella storia (sin dai tempi di Pietro!) abbiamo avuto un pontefice che abbia apprezzato e conosciuto così bene la vita e la spiritualità ebraica contemporanee».

Anche il rabbino Bemporad ritiene che sono stati creati forti legami tra Francesco e il popolo ebraico. Proprio di recente ha pubblicato un manifesto firmato da 420 rabbini per dare il benvenuto a Francesco negli Stati Uniti.

Bemporad rivolge la sua attenzione anche su altri passi importanti di Nostra Aetate, tra cui l'affermazione attribuita a Paolo, nella Lettera ai Romani, che «Dio ha grande considerazione per gli Ebrei per il bene dei loro padri; Non si pente dei doni che gli fa o delle parole che gli dice». Il rabbino Bemporad ci fa notare che «questa dichiarazione era del tutto sconosciuta o ignorata nell’insegnamento cattolico precedente al Concilio Vaticano II, così come l'affermazione che “gli Apostoli - e la maggior parte dei discepoli - erano membri del popolo ebraico” (come lo era anche, ovviamente, Gesù stesso). Erano concetti del tutto nuovi per la maggior parte dei cattolici, allora. E così, improvvisamente, anche gli ebrei cominciarono a essere chiamati “Popolo di Dio”».

Secondo il rabbino Rosen, «il cambiamento più importante causato da Nostra Aetate è quello di vedere l'esistenza del popolo ebraico in una luce positiva, con una integrità e uno scopo positivo a se stanti. L’insegnamento più significativo è di “non descrivere gli ebrei come rifiutati o maledetti da Dio”, ma di riconoscere che la Chiesa “nasce” (nel presente) “dall’ulivo coltivato su cui (ella) è stata innestata”, e l’appello a “favorire e promuovere la comprensione reciproca e il rispetto”. Questa affermazione è una vera e propria rivoluzione nel modo in cui viene visto il popolo ebraico, che è culminata nella dichiarazione contenuta nell’enciclica di Papa Francesco, dove si legge che i cristiani devono considerare il rapporto tra la Chiesa con il popolo ebraico in maniera complementare».

Quali sono le sfide principali che dobbiamo affrontare insieme, oggi?

Risponde il rabbino Rosen: «Dobbiamo ribadire il significato, lo scopo, e il valore intrinseco della vita. Questo ha conseguenze importanti per gli individui, per le famiglie, per le comunità, per le nazioni, per l'ambiente e per l’universo intero. Un'altra sfida è quella di far conoscere i documenti post-conciliari alle popolazioni in quelle aree del mondo cristiano occidentale e in altri luoghi dove non ci sono comunità ebraiche e dove “la nuova teologia” spesso non si fa sentire a livello locale. C’è quindi una grande sfida a livello educativo al fine di garantire che la rivoluzione sul monte Olimpo giunga fino alla gente comune».

Il rabbino Bemporad ritiene che «mentre negli Stati Uniti e in molti altri paesi le scuole cattoliche e, soprattutto, i college e le università insegnano la nuova teologia, ci sono molti luoghi in cui questo insegnamento è trascurato, dove il Secondo Concilio Vaticano viene ignorato o messo in disparte, e dove lo studio della nuova teologia non è popolare. Questo è un peccato, soprattutto perché ci sono alcuni studi teologici, storici e biblici molto interessanti in corso, che stanno contribuendo a portare a una migliore comprensione, e questo grazie anche al Vaticano II».

Il rabbino Bemporad sottolinea inoltre la necessità di una maggiore azione. «Non possiamo continuare a tenere conferenze dove ribadiamo il nostro amore reciproco senza creare anche altri gruppi di lavoro congiunti sul dialogo interreligioso che si concentrino su “come posso rimanere fedele al mio credo, mentre tu rimani fedele al tuo”. Il punto non è di costruire “apologie” della nostra religione, mettendo a confronto il meglio della mia con il peggio della tua, ma piuttosto di lavorare per eliminare il peggio nella nostra propria religione, e preservarne il meglio».

«Negli Anni ’60 e fino all’11 settembre, la religione era vista generalmente come una forza irrilevante rispetto ai fattori economici e politici», dice il rabbino Bemporad. «Adesso abbiamo capito che la religione ha un enorme potere e miliardi di seguaci. L'Islam radicale è una ideologia totalitaria, che non affonda le sue radici in questioni di economia o di politica. L’Isis è già diventato uno stato islamico fanatico con una sua economia e un suo popolo. Dobbiamo affrontare questa pericolosissima minaccia insieme, uniti. Un intervento immediato da intraprendere è quello di sostenere e rafforzare le opportunità di dialogo con i tanti esponenti dell'Islam moderato in tutto il mondo».

*Rappresentante dell’Ajc - American Jewish Committee in Italia e di collegamento presso la Santa Sede
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer feb 07, 2018 10:05 am

Una voce che manca assai.
Posto di Niram Ferretti febbraio 2018

"Ti confesso riservatamente che il mio giudizio sul presente pontificato è pessimo per toni e contenuti; per quel che riguarda il dialogo ebraico-cristiano e il suo statuto, il suo futuro e senso; per la liquidazione morale e intellettuale dell'Occidente e dell'essenziale scrupolo religioso e morale sul ben ragionare; per la ricerca ossessiva e strumentale continua di compiacere e di essere compiaciuti".

Rav Giuseppe Laras in una lettera privata

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Laras
Giuseppe Laras (Torino, 6 aprile 1935 – Milano, 15 novembre 2017) è stato un rabbino italiano.
http://www.mosaico-cem.it/vita-ebraica/ ... spirituale



Rav Giuseppe Laras z'z''l ci ha lasciati. I suoi ultimi pensieri, il suo testamento spirituale
Ester Moscati

http://www.mosaico-cem.it/vita-ebraica/ ... spirituale

È mancato un grande Maestro, una Guida per la nostra Comunità della quale è stato per 25 anni Rabbino Capo. Figura di altissimo spessore culturale e umano, Rav Giuseppe Laras ha segnato un’epoca dell’ebraismo milanese e italiano, ma non solo. Ha dato impulso al Dialogo interreligioso con sincerità e coraggio; ha divulgato i valori e il Pensiero ebraico diventando un punto di riferimento costante, per la sua levatura intellettuale e spirituale.
Il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib, i Presidenti Raffaele Besso e Milo Hasbani, il Consiglio, la Giunta, il Segretario Generale Alfonso Sassun e tutta la Comunità ebraica di Milano sono vicini alla Famiglia in questo momento di profondo dolore. Baruch Dayan Haemeth



di Rav Giuseppe Laras z’z’l

Cari amici,

la mia malattia sta avanzando inesorabilmente ed è pertanto mio desiderio, seppur brevemente, consegnarvi alcuni pensieri.

Durante la mia vita ho potuto vivere in prima persona il tramontare e il sorgere di mondi diversi, con inquietudini e speranze. La distruzione degli ebrei d’Europa ha sfiorato la mia esistenza, segnandola per sempre. Misteriosamente, grazie alla forza e al coraggio di mia madre, il Santo e Benedetto ha voluto che sopravvivessi agli orrori e alle ceneri della Shoah. Nel 1948 è nato lo Stato di Israele, dopo un lavorio pluridecennale, alacre e devoto: ricordo la commozione, l’euforia e il senso di stupore di quei giorni. Ricordo anche le angosce che assalirono me, come molti altri tra noi, sino all’ora presente, in relazione alla sopravvivenza del nostro piccolo Stato. Mi ricordo distintamente il mio primo viaggio in Israele e la sorpresa, la felicità e l’orgoglio di leggere le scritte in ebraico, dai cartelli stradali alle insegne nei mercati, segno di un mondo vivo e vitale, seppur sottoposto a continua, durissima prova. In queste decadi, nel silenzio o nella nescienza delle più grandi Nazioni, abbiamo assistito alla persecuzione e alla cacciata di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi islamici, ove molti di costoro risiedevano da secoli, talora ben prima dell’avvento dell’Islàm. Cosa non meno inaudita, molti ebrei ed io abbiamo visto nascere e continuare a esistere il dialogo ebraico-cristiano. Oggi sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemitismo (specie nella sua ambigua forma di antisionismo), del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettuale e morale della civiltà occidentale. Nuove sfide e nuove angosce si stanno proiettando sul nostro mondo. Dell’Europa occidentale che abbiamo conosciuto non sappiamo quanto rimarrà e molto muterà, con disillusioni e, forse, speranze: la strada particolare di noi ebrei, come sta già avvenendo in Francia e Belgio, nonché nel consesso internazionale, è probabile che sia in salita e strettissima. Tuttavia, oggi la nostra esistenza non è più, ringraziando il Santo e Benedetto e l’impegno di moltissimi, in totale balia delle Nazioni.

Il nostro ebraismo italiano è giunto a una fase accelerata di consunzione e inaridimento. Il nuovo Statuto è già vecchio e privo di vigore nella pratica, sicché servirà quanto prima che vi sia un congresso straordinario, che duri qualche giorno, ove siedano assieme rabbini, presidenti di comunità e consiglieri, giovani, lucidi analisti ebrei dalla Francia e da Israele, membri delle kehillòt italiane in Eretz Israel. È necessario e quanto mai urgente pensare, senza romanticismi, senza compiacimenti esterni e senza voler indorare pillola alcuna, a un’architettura nuova per le sfide prossime che solleciteranno l’ebraismo italiano dopo un cammino secolare. Ho già scritto che è doveroso coinvolgere gli ebrei italiani di Eretz Israel, le giovani famiglie che lì si sono formate e chi, in vario modo, anima e guida le loro comunità. Non farlo sarebbe folle e suicida, nonché ingiusto nei loro e nei nostri riguardi.

L’alto livello di polemica e di astio che percorre trasversalmente le nostre realtà comunitarie è un nostro grave fallimento: si tratta di una tentazione che dobbiamo sentirci obbligati a vincere, perché i tempi non sono facili. Una delle mitzvòth più misteriose e difficili da comprendersi è quella dell’ahavàth Israel, dell’amore responsabile degli ebrei per gli altri ebrei e per l’intero popolo ebraico. Questa grandissima mitzvah deve essere riscoperta in tutta la sua forza, la sua eloquenza e la sua creatività da parte di noi ebrei italiani. La mitzvah dell’ahavàth Israel non consiste in alcun modo in un generale buonismo per cui, per amor di coesistenza, tutte le opinioni sono buone, in una prospettiva di ora in ora sempre più accomodante, specie in relazione all’osservanza religiosa. Se compresa in una prospettiva teorica, questa mitzvah rischia di sfuggirci, specie a fronte dello spirito dell’epoca. Dobbiamo invece declinarla, in relazione agli ebrei di Italia e di Eretz Israel, praticamente, concretamente. Molte nostre famiglie sono povere o in forte difficoltà, molte giovani coppie non hanno stipendi che permettano loro di progettare un futuro ebraico, molti singoli sono abbandonati a loro stessi, moltissimi sono ignoranti delle nozione basilari dell’ebraismo e si sentono respinti -a torto o a ragione- dalle nostre istituzioni, molte famiglie hanno problemi ben noti legati ai matrimoni misti, moltissimi giovani emigrano all’estero perché qui non c’è lavoro. È urgente che si ribalti la rappresentatività e l’auto-coscienza istituzionale dell’ebraismo italiano su questi temi, invece che continuare a essere vittime di malumori tra potentati familiari, pruderie di circoli intellettuali avulsi dal reale e insofferenti rispetto a molti drammi e paure della nostra gente, vanità di alcuni pronti a compiacere per essere compiaciuti. Abbiamo tutti imparato a nostre spese che una concezione intellettualistica dell’ebraismo, dal religioso al culturale e al politico, porta all’invecchiamento e al deteriorarsi delle nostre realtà comunitarie. La sfida è enorme e, che ci piaccia o meno, saremo obbligati a raccoglierla: prego chi ha ruoli di responsabilità di non tardare e di avere coraggio, anche se si sente non all’altezza della situazione o da quest’ultima oppresso. Sono certo che l’ebraismo italiano, con tenacia, saprà tener testa a queste difficoltà.

Per quello che riguarda il Tribunale Rabbinico da me presieduto, che serve le Comunità più in difficoltà e sofferenti, ossia quelle piccole e medie, ho ritenuto di affidarlo al mio allievo Rav David Sciunnach shlita, con l’intesa convergente di altri rabbini, sia italiani (in particolare Rav Elia Richetti, Rav Roberto Della Rocca, Rav Adolfo Locci e Rav Alberto Sermoneta) sia israeliani (Rav Eliahu Abargel e Rav Zalman Nechemia Goldberg). Voglia il Santo e Benedetto accompagnare questo difficile e delicatissimo lavoro, vegliando sulle nostre Comunità. In particolare, prego le persone la cui ebraicità è stata dichiarata da questo Tribunale ad aver coscienza del dono loro fatto, con tutte le responsabilità e gli oneri che ne conseguono, invitandole a rafforzare la loro vita ebraica in seno alle comunità di appartenenza.

Mi rivolgo alle dirigenze istituzionali e rabbiniche, perché le ore di lingua e storia ebraica vengano il più possibile aumentate nelle nostre scuole, le quali in qualche modo dovrebbero, almeno come opzione possibile e praticabile, poter ospitare i ragazzi delle comunità più piccole, con tutoring e incentivi.

In quanto figlio della Shoah e cittadino europeo mi è cara la Giornata della Memoria, che è però anch’essa arrivata a una crisi di senso e di comunicazione. Le attuali stantie forme celebrative sono in consunzione ed è necessario ripensarla quanto prima, specie in relazione all’attualità dell’antisemitismo contemporaneo, che è fenomeno vasto e complesso, con fila eterogenee e inquietanti. Anzitutto è necessario riportare, almeno per noi ebrei italiani, la Shoah in Italia, insistendo certo sui luoghi europei peggiori della “soluzione finale”, ma ancor più insistendo sul nostro tessuto nazionale italiano: ossia la Risiera di S. Sabba, il campo di Bolzano, Fossoli e Borgo S. Dalmazzo. È necessario che su questi luoghi italiani rifletta l’Italia e l’ebraismo italiano. Ed è necessario ricordare, anche a taluni nostri intellettuali e storici che contribuiscono all’aumento dell’assordante confusione, che l’antisemitismo non è né una forma particolare di razzismo o intolleranza, né, tantomeno, risulta confinato ai soli totalitarismi di “destra”. L’antisemitismo è specifico, e una comprensione “ermeneutica” e “estensiva” di quest’incubo è sempre fragile e da problematizzare. Come già ricordai, l’unico collegamento estensivo reale riguarda, per precise ragioni storiche e ideologiche, il solo Genocidio Armeno, fatto che, lungi dall’incrinare l’unicità della Shoah, rende ancor più profondi e inquietanti entrambi questi terribili baratri della storia umana.

In questi ultimi anni ho ritenuto di aiutare il dialogo ebraico-cristiano con una serie di critiche controcorrente. Per alcuni ciò è stato destabilizzante e fastidioso, alienandomi delle simpatie. Pazienza. Sono convinto della giustezza delle critiche mosse, tese solo al suo progredire e al suo correggersi, nonostante essere soli sia spesso difficile da sostenere ed estremamente scomodo. Purtroppo, confermando la vacuità che contraddistingue gran parte dell’esperienza umana, tale dialogo resta esposto a tentazioni e a miseri giochi di potere di individui che amano presentarsi come irreprensibili, ognora inclusivi e “pronti a fare la storia”. Se tale Dialogo vuole continuare (come è imperativo che sia!), dovendo essere in primo luogo non tanto teoretico ma pratico, deve progressivamente uscire dalle ambiguità su Israele, dato che è lì che vive la maggior parte del nostro Popolo ed è sempre lì che si sta edificando, tra disillusioni e speranze, il futuro di un ebraismo in ampia parte post-diasporico. Tale dialogo dovrebbe sempre più coinvolgere inoltre gli ebrei religiosi, cosa difficoltosa da entrambe le parti, dato che l’altro soggetto è in sé religioso, ossia i cristiani.
Si spera che vi siano slanci nuovi, entusiastici e autentici.

Il mio carattere non facile mi ha permesso di sopravvivere ad alcuni gravi rovesci della mia vita, causandomi tuttavia anche incomprensioni e problemi. Nel corso del mio servizio alle nostre Kehillòth, mi auguro, tuttavia, di aver aiutato e rinfrancato più persone di quante possano essere state quelle respinte dalle mie difficoltà caratteriali, a cui vanno le mie scuse.

Che il Santo e Benedetto tutti Vi protegga e accompagni, facendo splendere il Suo volto su di Voi e benedicendo il Suo Popolo con la pace.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio ott 25, 2018 7:05 am

"Vivere in mezzo agli islamici ci fa diventare più cristiani"
Stefano Filippi - Mer, 24/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/vivere-me ... xRD4YQNLCw

Da 15 anni è vescovo in Arabia Saudita: "Non è facile coltivare la fede ma laggiù la gente trova ancora il fiato per venire a messa la sera"

Dal 2003 monsignor Paul Hinder, frate cappuccino svizzero, è vescovo nella penisola arabica, la terra santa dell'islam. Vive ad Abu Dhabi e gira in continuazione le sue parrocchie sparse su un territorio enorme, poche e con scarsi spazi ma affollatissime di fedeli, tutti immigrati. Prova sulla sua pelle le limitazioni imposte da sceicchi ed emiri ai cristiani, è molto realista sulle difficoltà del dialogo interreligioso, ma non si nasconde, affronta i rischi, incontra tutti, tiene viva la fede di oltre due milioni di cattolici venuti da tanti Paesi nella regione araba per lavorare.

E confessa che spesso sono i suoi stessi fedeli a essergli di esempio: «Per loro la Chiesa è una patria, cosa che non riscontro in altre parti del mondo».

Come decise di farsi frate? La Svizzera non sembra terra di molte vocazioni.

«Lo era quando entrai in seminario. Nel 1963 la provincia svizzera dei cappuccini contava 800 membri, era la più grande di tutto l'ordine. Ora siamo 130, e non è ancora finita».

Prete nel deserto fin da giovane.

«Sono nato in una famiglia cattolica e praticante, dei quattro fratelli abbiamo scelto in due la vita religiosa: un benedettino e un cappuccino. Mi sentivo attirato dalla liturgia, avevo una buona impressione del mio parroco e di uno zio materno che era fratello laico cappuccino. La conoscenza di queste due persone, unite al clima nella famiglia, mi aiutò a trovare questa strada. I problemi veri sono venuti dopo».

A che cosa si riferisce?

«Ho vissuto il Sessantotto alle università di Monaco e Friburgo. Tanti miei cari amici lasciarono la tonaca e la Chiesa, è stato molto duro. Però sono grato che il Signore e qualche confratello mi abbiano aiutato a restare nella strada che scelsi 56 anni fa quando entrai in noviziato».

Com'è finito vescovo in Arabia Saudita?

«Nel 1994 il capitolo generale dei cappuccini mi elesse tra i consiglieri. Avevo la responsabilità per le province di lingua tedesca e francese e dal '95 anche del Vicino Oriente: Turchia, Libano, Terrasanta e Golfo, zona affidata ai cappuccini, compreso il vicario apostolico dell'Arabia. Nel 2001 bisognava avvicendare il settantacinquenne vescovo Giovanni Gremoli. Una prima terna di nomi tornò indietro, un altro confratello rifiutò. A quel punto, erano già passati due anni, il ministro generale mi disse: Finora ti ho protetto, ma se ora qualcuno pronuncia il tuo nome, in coscienza non posso più tenerti fuori».

E lei?

«Qualche giorno dopo andai a Gerusalemme per la Settimana santa. Il Giovedì santo sono sceso al Getsemani e ho pregato anch'io: Signore, fammi passare questo calice, però sia fatta la tua volontà. Tornai con la pace nel cuore, speravo non capitasse ma nel caso ero pronto. Il 15 dicembre il cardinale Crescenzio Sepe mi chiese di diventare ausiliare di monsignor Gremoli e il 30 gennaio fui ordinato vescovo ad Abu Dhabi. Velocissimo».

Quant'è grande la sua diocesi?

«Nel 2004, quando arrivai, comprendeva Arabia Saudita, Yemen, gli Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Bahrain. Nel 2011 il Vaticano decise una riorganizzazione: Arabia Saudita, Bahrain e Qatar furono unite al Kuwait nel vicariato dell'Arabia settentrionale e gli altri Paesi formarono il vicariato dell'Arabia meridionale, il mio».

Quanti cattolici ci vivono?

«Non ci sono statistiche affidabili. Direi almeno due milioni e mezzo. Molti vivono in Arabia Saudita dove, com'è noto, non esistono luoghi di culto ma soltanto una pastorale interna discreta. Per il mio vicariato conto circa un milione di persone».

Parrocchie?

«Ne abbiamo 8 negli Emirati e fra poco se ne aggiungerà un'altra, 4 nell'Oman e 4 nello Yemen, che però non funzionano per colpa della guerra. Nel vicariato del Nord esiste una sola parrocchia per tutto il Qatar, enorme: ho costruito io la chiesa tra il 2007 e il 2008. In Bahrain se ne trovano 3, in Kuwait 4 ma solo 2 chiese vere».

Ovviamente tutti immigrati.

«Tutti. Sono lì a tempo, devono rinnovare il loro permesso ogni 2-3 anni, incluso il vescovo».

Anche lei?

«Ho un visto di un anno, stavolta non me l'hanno dato triennale come di solito. Spero lo faranno la prossima volta, anche se potrei avere già finito il mandato».

Che cosa fa un vescovo cattolico nel cuore dell'islam?

«Ogni anno mi reco in tutte le parrocchie, di solito le visite pastorali prendono da fine gennaio a inizio giugno. Durano dai 4 agli 8 giorni, come per esempio a Dubai: è una delle parrocchie più grandi del mondo, ha oltre 300mila fedeli, anche se non tutti possono venire in chiesa. Incontro i gruppi e le persone che vogliono parlare al vescovo. Impartisco migliaia di cresime, 800 soltanto a Dubai. Incontro tutti i preti, individualmente e in gruppo, vediamo i problemi e prendo decisioni quando necessario. Dico qualche parola in ogni messa. Dal venerdì mattina alla domenica sera parlo in più di 20 celebrazioni a migliaia di persone».

Faticoso?

«Non ho mai predicato tanto come nei Paesi del Golfo. È un lavoro enorme. In Europa ero abituato a predicare in tedesco e francese e occasionalmente in italiano, ma non in inglese che qui è la lingua franca. Ancora non mi è così facile. Poi ho l'amministrazione ordinaria del vicariato e i rapporti con i governi locali e con Roma».

È difficile vivere la fede in quei Paesi?

«Non è facile da nessuna parte. Però l'ambiente musulmano ci aiuta a essere più coscienti. Ascoltare cinque volte al giorno la chiamata alla preghiera musulmana è un richiamo anche per noi, per la nostra pratica. Vedere come loro vanno alla moschea è uno stimolo: non dobbiamo prendere la nostra fede come scontata».

L'islam dominante non vi è di ostacolo?

«La gente che ci visita dall'India o dalle Filippine dice che la propria gente è più attiva nel Golfo che in patria. Noto che la Chiesa per molti è una patria di appartenenza, in senso spirituale ma anche come luogo dove si incontrano persone di diverse etnie che credono nelle stesse cose. La partecipazione di tanti gruppi è stupenda e mi stupisce ancora dopo tutti questi anni».

È sorpreso di vedere tanta gente in chiesa?

«Quando sono tornato dopo 2 mesi di assenza a causa di un intervento chirurgico in Svizzera, ho celebrato messa la sera di un giorno feriale e la chiesa era piena, saranno state mille persone. Quando penso ad altre regioni del mondo, mi dico che lì hanno tutte le libertà ma non le usano per coltivare la fede: da noi questa gente lavora tutto il giorno e ha ancora fiato di venire a messa la sera. È qualcosa di straordinario».

Si lavora 6 giorni negli Emirati?

«A volte anche 7, soprattutto il personale domestico. È un problema sociale enorme, nonostante i progressi fatti nella protezione dei lavoratori. C'è chi li tratta in modo decente e li paga come dovrebbe, ma per molti altri i domestici sono schiavi. E non solo per i locali, ma anche per occidentali con elevate posizioni sociali».

Com'è la sua esperienza con l'islam?

«Non esiste soltanto un islam. In Arabia predominano i sunniti, nell'Oman gli ibaditi, nello Yemen si trovano sunniti e il ramo sciita degli huthi. Negli Emirati almeno l'80% dei musulmani è straniero: pakistani, indiani, indonesiani, bengladesi. Anche se si chiamano tutti fratelli tra di loro, come del resto anche noi, un musulmano pakistano non è allo stesso livello di quello emiratino: malgrado la umma, la famiglia islamica, rimangono differenze sociali e forse anche di ordine razziale».

I cattolici sono rispettati?

«Mi è capitato di essere invitato durante il ramadan in qualche famiglia per la festa della sera dopo il digiuno, è uno scambio di familiarità e amicizia che ho sempre ammirato. Poi magari esagerano perché vanno avanti quasi tutta la notte e di giorno sono stanchi e devono digiunare di nuovo. Vado come religioso, non mi nascondo, e non posso lamentarmi».

Nemmeno con le autorità?

«Non ho timore di incontrare gli ufficiali del governo e i diplomatici. È chiaro, quando si arriva al punto loro sono il top della religione. A volte qualcuno mi domanda come mai una persona può essere buona e perbene senza essere musulmano: per loro le due cose coincidono».

Si può dialogare tra fedi diverse se una delle due si considera superiore?

«Un dialogo interreligioso fatto a Riad o Abu Dhabi è diverso da quello che si fa a Roma, Vienna o New York, è evidente. Ci si esprime più liberamente altrove. Però è importante conoscere le persone, vedersi e parlarsi a faccia a faccia».

Che limitazioni subiscono i cattolici?

«La pratica religiosa può avvenire soltanto all'interno dei terreni concessi alle parrocchie. Però io non devo presentare la mia omelia al governo, a differenza dell'imam che deve recitare il testo ufficiale del ministero o presentare il suo testo in anticipo: in questo senso siamo quasi più liberi. Tuttavia, non possiamo agire fuori dei luoghi che ci sono attribuiti, nemmeno nei villaggi distanti centinaia di chilometri da una chiesa. Se qualche volta ci rechiamo nei villaggi lontani, per incontrare i nostri fedeli, lo facciamo a nostro rischio. Ma è impressionante vedere la gente all'interno, isolata ma felice anche solo di vedere il vescovo che non ha paura di recarsi da loro».

Conversioni dall'islam?

«Naturalmente no, è tabù. I cristiani possono diventare musulmani, sono i benvenuti, ma a noi è vietato convertire».

Potete costruire liberamente le chiese?

«Non è facile ottenere i permessi. Ci vuole molta pazienza e anche insistenza. Siamo obbligati a non esporre nessun segno esplicitamente cristiano all'esterno, nulla di visibile da fuori: croci, campanili, statue. I divieti sono esplicitati nei contratti di concessione dei terreni».

A chi appartengono i terreni?

«Ci vengono concessi per lo più con una forma di comodato gratuito. La costruzione è a carico nostro. E se un giorno l'emiro decide che in quel posto sarebbe meglio fare altro, dobbiamo sloggiare».

È capitato?

«Sì, ad Abu Dhabi negli anni '80. La prima chiesa si trovava nel quartiere turistico e degli affari e ci proposero di trasferirla nel centro dell'isola. Per noi è stata una benedizione: là era più bello ma la nostra gente vive altrove e ora siamo in un posto migliore. Potrebbe capitare di nuovo».

Quindi per lei l'islam ha una certa tolleranza con i cristiani.

«Ad Abu Dhabi sì. C'è pure un ministro per la tolleranza e uno per la felicità, perché la gente dev'essere felice».

Anche i cattolici?

«Dovremmo esserlo per natura».

Avete spazi sufficienti?

«In realtà ce ne vorrebbero di più ampi, le strutture parrocchiali sono troppo piccole e non c'è molto posto per il catechismo, le attività pastorali e anche la liturgia. Ad Abu Dhabi due chiese sorgono sullo stesso terreno, a pochi metri di distanza: la cattedrale di san Giuseppe e la chiesa di santa Teresa. Questo ci consente maggiore flessibilità: possiamo iniziare una messa anche se un'altra è ancora in corso».

Quante messe si celebrano?

«In inglese 3 al giorno dal lunedì al giovedì, 6 il venerdì, 3 il sabato e 8 la domenica. Chi lavora può venire a messa soltanto il venerdì, giorno festivo dei musulmani. Poi ne diciamo altre in 15 lingue diverse: i miei preti sono frati cappuccini provenienti da 20 province diverse del mondo».

È contento del suo percorso?

«È stato duro all'inizio. Ricordo la prima volta che venni negli Emirati come visitatore, quando non c'era ancora il rischio di diventare vescovo. Mi dicevo: mai potrei sopravvivere da queste parti. È andata diversamente. Ma ho detto sì e ora sono grato. Non avrei mai avuto una vita così ricca, interessante, in un punto strategico per la politica internazionale e per la religione. Celebro messa per numerosi ambasciatori cattolici, che vengono in chiesa mescolandosi tra i fedeli. E una volta anche per un presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi: alle 8 venne nella cappella della casa episcopale, poi prendemmo il caffè. In un convento svizzero non mi sarebbe mai successo».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom gen 06, 2019 8:21 am

???

UN TRADIMENTO "INAUDITO"
Andrea Cometti
28 Dicembre 2018

http://www.accademianuovaitalia.it/inde ... l-apostata

Ecco perché non ci arrenderemo mai. Nel giro di alcuni anni siamo stati derubati di tutto: come Italiani della nostra civiltà della nostra tradizione, come cattolici della nostra chiesa della nostra dottrina e della nostra fede di Francesco Lamendola

Ecco perché non ci arrenderemo mai

di

Francesco Lamendola

http://www.accademianuovaitalia.it/imag ... DE-178.gif

Nel giro di alcuni anni, all’incirca una generazione, siamo stati derubati di tutto: come europei, della nostra civiltà, della nostra tradizione, delle nostre stesse radici; come cristiani e cattolici, della nostra chiesa, della nostra dottrina e della nostra fede. E a perpetrare il furto sono state le massime autorità: coloro che avrebbero dovuto custodire, con somma cura e diligenza, anche a rischio della vita, il deposito che era stato affidato loro: la sovranità e la cittadinanza europea, la sacralità e l’inalterabilità della fede cristiana. A macchiarsi di questo inaudito tradimento, quale mai si era visto in passato, neppure nelle epoche più oscure, sono stati i capi di Stato e di governo, da una pare, i papi, i cardinali, i vescovi e una parte del clero, dall’altra. Ci è stata tolta la nostra ricchezza, ci è stata sottratta la nostra fierezza, siamo stati umiliati, derisi, sbeffeggiati; ora siamo anche minacciati, rispettivamente della prigione e della scomunica, se non ci decideremo a sottomerci. Ci si chiede di essere docili; di accettare il cambiamento; di fare buon viso a cattivo gioco, per noi e per i nostri figli. Ebbene, noi il capo non lo piegheremo mai: se lo scordino. Potranno imprigionarci, scomunicarci e perfino ucciderci, ma non ci arrenderemo. Mai. E per una buonissima ragione, che chiude qualsiasi spazio a possibili transazioni: che ciò a cui ci si chiede di rinunciare, ciò che ci si chiede di tradire, non è nostro. Non è di nostra proprietà, non rientra nei nostri beni, quindi non abbiamo alcun diritto su di esso. Ci è stato affidato, ma è di qualcun altro. La nostra civiltà è il frutto della fatica, del lavoro, del coraggio e della perseveranza di generazioni e generazioni di nostri antenati: non è nella nostra facoltà venderla o barattarla in cambio di qualcos’altro, lo si chiami in qualsiasi modo: multiculturalità, sincretismo, relativismo, nichilismo o come si preferisce. Quanto alla fede cattolica, la cosa è ancora più chiara, tanto che la capirebbe anche un bambino: la fede ci è stata insegnata da Gesù Cristo, la chiesa è stata fondata da Lui: dunque la fede è sua, la chiesa è sua, non nostra. Se fosse nostra, potremmo anche cedere: dopotutto, nessuno nasce eroe e nessuno è obbligato a fare l’ultimo giapponese. Ma se la chiesa appartiene a Gesù, è chiaro che noi non possiamo cederla: quand’anche lo volessimo, sarebbe impossibile. Dicano pure quel che vogliono; che ci minaccino, che ci lusinghino, che escogitino ogni possibile arte per ingannarci, per indurci a tradire: nulla di quanto possano fare avrà successo. Se la chiesa non è dei cattolici, ma di Dio, i cattolici non la possono vendere o abbandonare. E se anche legioni di cattivi teologi e di falsi pastori ci esortassero, ci supplicassero, ci ricattassero, non otterrebbero nulla: non acconsentiremo mai e poi mai, se lo levino dalla testa; non possiamo disporre di ciò che non è nostro, ma di un Altro; Uno che l’ha pagato a prezzo del suo sangue.


Nel giro di alcuni anni siamo stati derubati di tutto: come Italiani della nostra civiltà, della nostra tradizione come cattolici della nostra chiesa, della nostra dottrina e della nostra fede.

Se si trattasse di qualcosa che è di nostra proprietà, potremmo anche cedere. Immaginiamo di aver creato una società per azioni e che, dopo un po’ di anni, ci accorgessimo che il nostro socio ci sta ingannando, ci sta truffando, ci sta nascondendo una quota dei profitti: potremmo intentargli causa; oppure, valutato il pro e il contro, potremmo anche lasciar perdere. Dipende da tante cose: dal nostro temperamento; dalle prospettive di ottenere ragione; dalla nostra età, dal nostro stato di salute, dal valore che attribuiamo al denaro; dal fatto di avere dei figli o degli eredi ai quali lasciare i nostri beni, o di non aver nessuno. In ogni caso, sarebbe una scelta nostra, e nessuno avrebbe il diritto di criticarci. Oppure immaginiamo di aver militato, per tutta la vita, in un certo partito politico; e di vedere che i suoi dirigenti, a un certo punto, stanno tradendo i nostri ideali, stanno imboccando una strada completamente diversa da quella che quegli ideali imporrebbero. Potremmo protestare, potremmo strappare la nostra tessera, oppure potremmo chiuderci in un silenzio sdegnoso, o amareggiato; potremmo anche pensare che loro, forse, di politica ne capiscono più di noi, che devono adattarsi ai tempi, ai cambiamenti sociali; e che essere duri e puri, in fin dei conti, potrebbe anche essere un errore, perché fare politica è l’arte di calare gli ideali nella realtà concreta. Sia una società per azioni che un partito politico, tuttavia, sono cose interamente umane: e, per quanto chi le ha create possa essere stato animato anche da motivazioni ideali, nessuno può tirare in ballo una verità di ordine superiore, ma solo il gioco degli interessi e il desiderio di creare qualcosa, di dare una risposta a una determinata situazione. In fondo, è come in un matrimonio, o in una famiglia: sarebbe bello che i coniugi fossero sempre leali l’uno con l’altro, che i figli amassero e rispettassero i genitori, ma sappiamo che ciò può non avvenire, e che proprio nel matrimonio e nella famiglia si annidano, a volte, le più amare delusioni.


Se qualcuno nutrisse per caso dei dubbi sull’esistenza del diavolo e dell’inferno, non ha che da osservare quel che fa e che dice, e tutto quel che non fa e non dice, il signore argentino che indegnamente siede sulla cattedra di San Pietro; la luce malvagia che brilla nei suoi occhi quando offende, scandalizza, disorienta e addolora milioni di fedeli.

Umanamente parlando, anche il matrimonio più felice e la famiglia più armoniosa vivono appesi a un filo, sospesi perennemente sull’abisso: a volte basta poco, pochissimo, perché quella felicità e quell’armonia se ne vadano in mille pezzi, quasi senza causa apparente. Ma il fatto di essere cittadini italiani non è come entrare in una società per azioni, non è come aderire a un partito politico; non è neppure come contrarre un matrimonio o avere dei figli: è molto di più, perché italiani si nasce, è un dato originario, inscritto nella nostra essenza e nel nostro destino, un qualcosa che non si può scegliere, perché non dipende da noi. Si può tradire un socio in affari; si possono tradire i militanti di un partito; si può tradire un coniuge: ma ciascuna di tali azioni è pur sempre un atto volontario che restituisce libertà, e sia pure una libertà negativa, a chi, volontariamente, aveva contratto un sodalizio in certa misura artificiale. Ogni sodalizio è una creazione artificiale, compreso il matrimonio, anche se l’amore, si spera, stenderà una nota gentile e disinteressata su quello che è, formalmente, nient’altro che un contratto. Ma chi è italiano, perché nasce italiano, non compie una scelta, è: è quello che è e non potrebbe essere diversamente. Perciò chi lo tradisce nel suo essere italiano, che sia il suo sindaco o il presidente della Repubblica; chi lo inganna, chi lo disprezza, chi lo umilia, svendendo non solo la sua sicurezza, ma perfino il suo orgoglio di appartenenza, svuotando di significato la cittadinanza italiana e spalancando le porte a chiunque voglia entrare in Italia, chiedendo diritti e non osservando alcun dovere; oppure sottomettendosi a dei poteri extranazionali che ordinano di tagliare le spese sociali e accollano a ciascun cittadino gli interessi spropositati su un debito pubblico che quegli stessi poteri esterni hanno creato, o enormemente ingigantito: costui compie un tradimento senza uguali, un qualcosa di talmente mostruoso che a stento si arriva a concepire. Ancora più mostruoso, ancora più inconcepibile è il tradimento di chi, sacerdoti, vescovi, cardinali e papa, invece di custodire intatta la fede dei credenti, invece di difendere e proclamare la dottrina, si adoperano ogni giorno, con diabolica perseveranza e con astuzia infernale, per sgretolare la fede, per stravolgere la dottrina, e quindi per tradire centinaia di milioni di credenti.


Nuovo papa dei protestanti? Non s’illudano: noi non ce andremo mai, sono loro che devono uscire. Che siano coerenti e che fondino la loro chiesa protestante. A noi basta Gesù, Figlio di Dio: ci basta la fede dei nostri padri, delle nostre nonne. I Rahner e i Kasper li lasciamo ad altri...

Ecco; se qualcuno nutrisse per caso dei dubbi sull’esistenza del diavolo e dell’inferno, non ha che da osservare quel che fa e che dice, e tutto quel che non fa e non dice, il signore argentino che indegnamente siede sulla cattedra di San Pietro; la luce malvagia che brilla nei suoi occhi quando offende, scandalizza, disorienta e addolora milioni di fedeli, e si compiace della servile idolatria che le folle - sempre più assottigliate, in verità; ma questo i mass-media non lo dicono – gli tributano, in forme quasi superstiziose; e paragonare tutto ciò, e l’opera, altrettanto sciagurata, dei suoi servitori e di molti vescovi e sacerdoti, con quel che dicevano e facevano i papi del passato, fino allo sciagurato Concilio Vaticano II; perché, inutile girarci attorno, è quello lo spartiacque, e non altro. Ora stiamo assistendo a un’impressionante accelerazione della strategia autodistruttiva da parte del clero apostatico; ma l’apostasia è partita da lì: non dal post-concilio, da una deformazione dei suoi documenti, da una serie di abusi e di forzature delle sue affermazioni. Quando mai un papa, parlando ai fedeli nel corso di un’omelia della santa Messa, ha chiamato cani selvaggi quelli che lo criticano? Eppure il signore argentino lo ha fatto, poco dopo l’affare Viganò: invece di rispondere a quel dossier – lui non risponde mai, lo si era già visto coi dubia dei quattro cardinali – ha chiamato cani selvaggi quelli che lo criticano, e pur se non li ha citati esplicitamente, tutti quanti hanno capito a chi si riferiva. Come ha osservato Marcello Veneziani, che non è sospettabile di simpatie integraliste e tradizionaliste, questo signore, fin da quando è stato eletto – ma bisogna vedere, appunto, come è stato eletto: ad opera di una congiura massonica che i suoi autori non si sono neanche dati la pena di nascondere più di tanto – si è posto l’obiettivo di spaccare la chiesa, di cacciare i cattolici che non ci stanno e di farli sentire in colpa, costringendoli ad andarsene. È lui, e non loro, ad aver lanciato l’attacco: è lui a portare la responsabilità di questo fatto senza precedenti nella storia: di un papa che vuol creare uno scisma, che vuole rompere del tutto con la tradizione, che vuole instaurare, forse, una nuova religione, nella quale il cattolicesimo sarà solo, annacquato e geneticamente modificato, una delle componenti. Per questo sceglie di parlare ai non cattolici; per questo va in visita nei Paesi non cattolici; per questo non parla di Gesù Cristo, se appena ne può fare a meno; per questo non difende la dottrina, ma l’attacca; e per questo rifiuta perfino d’impartire una benedizione ai fedeli, o di rivolgesi a loro con un linguaggio religioso. Per questo corteggia i protestanti, i giudei, gli islamici; per questo parla sempre e solo di politica; per questo gode ad apparire come l’icona mondiale delle sinistre, siano queste di stampo liberale o di stampo radicale. Per questo ostenta stima verso la Bonino e amicizia verso Scalfari; per questo esalta don Milani, ma tace padre Pio; per questo magnifica i ribelli e ignora i veri Santi, i mistici, le anime spirituali; per questo fa stampare francobolli in onore di Lutero e minimizza i cinquecento anni delle apparizioni di Fatima: ha fastidio del culto mariano, ha fastidio della pietà cattolica, ha fastidio della vera devozione. E per questo permette all’eretico Enzo Bianchi di asserire che Gesù Cristo era solo un profeta; per questo consente alla Comunità di Sant’Egidio di trasformare chiese e basiliche in sale mensa per i poveri; per questo ha finto di non vedere l’eutanasia perpetrata sul piccolo Alfie Evans, e ha lasciato che i vescovi inglesi ringraziassero quell’ospedale per ciò che aveva fatto; per questo ha fatto commissariare i francescani dell’Immacolata, spingendoli a uscire a centinaia dalle loro case; per questo si rifiuta di fare pulizia nell’orribile congrega di pervertiti che spadroneggia nelle sacre stanze e che profana la santità di molte curie vescovili. Ormai bisogna essere ciechi per non vedere chi è e che cosa vuole fare costui: è passato il tempo della prudenza, dell’esitazione: è arrivato il momento di alzarsi in piedi e dire no, gridare basta allo scempio diabolico che costui vuole fare a danno dei fedeli.


Hanno usurpato la Sposa di Cristo ! Non possiamo consentire a questo signore argentino, ignorante, narcisista, squilibrato, cinico e insolente, di distruggere un’opera che è stata realizzata a così caro prezzo.

La chiesa non è sua, e neppure nostra. È stata voluta da Gesù Cristo, è stata difesa con il sangue da decine di generazioni di fedeli; i martiri della fede si contano a milioni nel corso della storia. Non possiamo consentire a questo signore argentino, ignorante, narcisista, squilibrato, cinico e insolente, di distruggere un’opera che è stata realizzata a così caro prezzo; non possiamo permettere a una generazione di preti da nulla, infarciti di politica di basso profilo, gonfi di pregiudizi ideologici, senza nulla di spirituale, senza nulla di cristiano, di usurpare le loro parrocchie, perfino di chiude le chiese, a loro piacimento, nel giorno di Natale, per protestare, come dicono, contro il decreto sicurezza voluto dal ministro Salvini. Questi signori vanno cacciati a pedate nel sedere. Le chiese non sono loro, la santa Messa non è loro. Se si permettono di abolirla, offendono i fedeli e li privano del loro nutrimento spirituale: il Sangue e la Carne di Gesù Cristo. La cosa, dal loro punto di vista, si spiega e non è poi tanto grave: per loro la Messa è ben altro; non è il rinnovarsi del Sacrificio di Cristo, ma un pulpito dal quale distribuire sermoni di carattere politico e sociale. Questi infingardi sfrontati hanno usurpato la Sposa di Cristo, la manomettono, la insozzano: gente che, se lavorasse nel privato, verrebbe licenziata in tronco in meno di ventiquattro ore, perché si comporta come se avesse il diritto di fare o dire qualsiasi cosa, anche la più contraria allo spirito del lavoro che sono chiamati a svolgere. Guadagnano male il loro salario, così come abusano di tutti i beni materiali che la pietà dei fedeli ha accumulato nel corso dei secoli. Le chiese, i seminari, le curie episcopali, gli uffici diocesani, gli oratori, le parrocchie, le missioni, il denaro per mandare avanti tutto ciò, non è loro: è stato loro affidato, affinché lo adoperino per i fini della religione cattolica. Per aiutare i poveri, gli orfani, le vedove; ma anche per diffondere la verità di Cristo, per convertire il mondo: non per inchinarsi davanti al mondo, né per approvare l’immoralità del mondo. Che ci fa la signora Bonino nelle chiese cattoliche? Che ci fanno i sacerdoti gay, gli animatori parrocchiali gay, che si proclamano tali in pubblico? Che ci fanno le mense dentro le chiese, nei luoghi di preghiera? Non ci sono altri locali per allestire il pranzo di Natale? Bisogna proprio farlo dentro le basiliche? Sì: essi vogliono farlo proprio lì al preciso scopo di desacralizzare le chiese, di desacralizzare la religione, di ridurre Gesù, come dice l’eretico Enzo Bianchi, e come vorrebbe l’indegno signore argentino, al ruolo di un semplice profeta. Ebbene, non s’illudano: noi non ce andremo mai, sono loro che devono uscire. Che siano coerenti e che fondino la loro chiesa protestante. A noi basta Gesù, Figlio di Dio: ci basta la fede dei nostri padri, delle nostre nonne. I Rahner e i Kasper li lasciamo ad altri...


Alberto Pento
Tutto ciò è una conseguenza della presunzione, dell'esaltazione e del fanatismo idolatra e utopistico delle religioni, in questo caso del cristianismo con le sue sette.
Il dialogo interreligioso tra le sette cristiane è una necessità per i cristiani, poiché Cristo è uno solo;
lo è anche tra le altre e tutte le religioni della terra onde evitare i conflitti e le guerre religiose che hanno insanguinato e che ancora insanguinano il Mondo.
A mio modestissimo parere di aidolo, il solo modo per risolvere la cosa del dialogo interreligioso e della pace religiosa è di andare oltre le religioni, i loro idoli o interpretazioni del divino e la loro idolatria, ritrovando la spiritualità naturale e universale areligiosa.
Il primo passo per tutti è quello di rinunciare alla presunzione idolatra e fanatica dell'assolutismo, imperialismo, universalismo, proselitismo, missionarismo proprio di ogni religione e di denunciare e criticare gli eccessi e le pratiche disumane di ogni religione che questo comporta.



L'assurda, irragionevole e idolatra eresia cristiana
viewtopic.php?f=199&t=2589


Una religione così non è una buona religione ma un male dello spirito
viewtopic.php?f=199&t=2590


Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam
viewtopic.php?f=24&t=2561


Missionarismo e proselitismo come debolezza e inconsistenza spirituale e imperialismo religioso e politico
viewtopic.php?f=24&t=2487
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun feb 04, 2019 9:27 pm

Il Papa tende la mano all'islam: "Costruiamo insieme l'avvenire"
Francesco Boezi - Lun, 04/02/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pap ... 39445.html

Papa Francesco si trova ad Abu Dhabi, per la prima e storica visita apostolica negli Emirati Arabi Uniti.
Papa Francesco parla ad Abu Dhabi e chiede ai religiosi musulmani di costruire insieme il futuro dell'umanità. Firmato un documento per la Fratellanza con il grande imam di Al Azhar

Bergoglio, intervenendo nel corso del Founder's Memorial, il primo appuntamento di questa lunga 48 ore, non si è di certo risparmiato.

Le parole del pontefice argentino sono apparse dense di significato, specie quando il vertice della Chiesa cattolica è arrivato ad asserire che "non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata". "Nel nome di Dio Creatore - ha specificato l'ex arcivescovo di Buenos Aires - , dunque, va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del nome di Dio utilizzarlo per giustificare l'odio e la violenza contro il fratello". Il futuro dell'umanità, secondo la visione del Santo Padre, passa per la costruzione unitaria del domani.

Altrimenti, questo stesso futuro, tanto drammaticamente quanto semplicemente, non vedrà mai luce: "È giunto il tempo - ha proseguito papa Francesco, come si apprende sull'Adnkronos - in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace". Una presa di posizione considerevole, tenendo presenti pure i rischi nascosti dietro questo storico viaggio nella penisola del Golfo.

Il vescovo di Roma ha preso parte all'incontro, rivolgendosi, oltre che a tutti coloro che nel mondo si sono posti in ascolto, anche a centinaia di delegati religiosi fisicamente presenti ed espressione di diverse confessioni. Ma l'accento, com'era naturale che fosse, è stato posto sul dialogo interreligioso tra il cattolicesimo e l'islam: "Con animo riconoscente al Signore - ha scandito ancora il Santo Padre - , nell'ottavo centenario dell'incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil, ho accolto l'opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo". Il pontefice argentino, come riportato pure sull'Agi, ha optato per utilizzare una macchina utilitaria in sostituzione di un'altra, molto più costosa, sulla quale sarebbe potuto salire in virtù di questo appuntamento.

Le religioni, ha aggiunto ancora il papa, dovrebbero "smilitarizzare" il cuore degli esseri umani. Specie all'interno di questa fase storica. L'ultima riflessione è stata dedicata ai conflitti bellici ancora persistenti nel mondo e alla tendenza, che secondo l'opinione di Bergoglio sembrerebbe imperare pure nel Vecchio Continente, ad assecondare atteggiamenti di chiusura verso l'altro: "Penso - ha scandito - in particolare allo Yemen, alla Siria, all'Iraq e alla Libia. Insieme, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l'armamento dei confini, l'innalzamento di muri, l'imbavagliamento dei poveri. Dio - ha rammentato Francesco - sta con l'uomo che cerca la pace". Francesco, alla fine del summit, ha sottoscritto un documento, finalizzato alla promozione della "Fratellanza umana per la pace". L'altro firmatario del testo è il grande imam di Al-Azhar, Ahamad al-Tayyib.


Papa: "Fedi smilitarizzino il cuore dell'uomo, stop armi e guerre"
Emirati Arabi Uniti 04 febbraio 2019

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 7a4db.html

Alle religioni, "forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell'uomo". Per il Papa, "la corsa agli armamenti, l'estensione delle proprie zone di influenza, le politiche aggressive a discapito degli altri non porteranno mai stabilità. La guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient'altro che morte!". E ha aggiunto, nel summit interreligioso ad Abu Dhabi: "penso in particolare allo Yemen, alla Siria, all'Iraq e alla Libia".

Senza libertà non si è più figli della famiglia umana ma schiavi
"Senza libertà non si è più figli della famiglia umana ma schiavi". Lo ha detto il Papa spiegando che "se crediamo nell'esistenza della famiglia umana, ne consegue che essa in quanto tale va custodita" e "come in ogni famiglia, ciò avviene anzitutto mediante un dialogo quotidiano ed effettivo". Un dialogo, chiarisce il Pontefice, che "presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l'altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell'alterità, che comporta il riconoscimento pieno dell'altro e della sua libertà e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque".

Tra le libertà, prosegue il Papa, "vorrei sottolineare quella religiosa. Essa non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell'altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo. Il coraggio dell'alterità è l'anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni. Il dialogo è infatti compromesso dalla finzione, che accresce la distanza e il sospetto: non si può proclamare la fratellanza e poi agire in senso opposto. Ciascuno gode del diritto alla libertà".

Papa: profana Dio usarlo per motivare odio e violenza
"Nel nome di Dio creatore, dunque, va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del nome di Dio utilizzarlo per giustificare l'odio e la violenza contro il fratello. Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata", ha aggiunto Papa Francesco.

Compito urgente fedi costruire ponti tra i popoli
"Non c'è alternativa: o costruiremo insieme l'avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace". Così il Papa nell'incontro interreligioso sulla "fratellanza umana", ad Abu Dhabi.

Contro odio e fake news investire sulla cultura
"Investire sulla cultura favorisce una decrescita dell'odio e una crescita della civiltà e della prosperità. Educazione e violenza sono inversamente proporzionali", ha detto il Papa. "Gli istituti cattolici - ben apprezzati anche in questo Paese e nella regione - promuovono tale educazione alla pace e alla conoscenza reciproca per prevenire la violenza". In particolare, "i giovani, spesso circondati da messaggi negativi e fake news, hanno bisogno di imparare a non cedere alle seduzioni del materialismo, dell'odio e dei pregiudizi; imparare a reagire all'ingiustizia e anche alle dolorose esperienze del passato; imparare a difendere i diritti degli altri con lo stesso vigore con cui difendono i propri diritti". "Saranno essi, un giorno, a giudicarci: bene, se avremo dato loro basi solide per creare nuovi incontri di civiltà; male, se avremo lasciato loro solo dei miraggi e la desolata prospettiva di nefasti scontri di inciviltà".

Poveri non sono statistiche ma fratelli
"La pace muore quando divorzia dalla giustizia, ma la giustizia risulta falsa se non è universale. Una giustizia indirizzata solo ai familiari, ai compatrioti, ai credenti della stessa fede è una giustizia zoppicante, è un'ingiustizia mascherata!", ha aggiunto Papa Francesco. "Le religioni hanno anche il compito di ricordare che l'avidità del profitto rende il cuore inerte e che le leggi dell'attuale mercato, esigendo tutto e subito, non aiutano l'incontro, il dialogo, la famiglia, dimensioni essenziali della vita che necessitano di tempo e pazienza. Le religioni - ha detto Francesco - siano voce degli ultimi, che non sono statistiche ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché l'umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si rassegni mai ai troppi drammi del mondo".

Con imam al-Azhar firma documento su fratellanza umana
Al termine del suo discorso Papa Francesco ha firmato insieme al grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, il documento congiunto sulla "fratellanza umana".

Il premier degli Emirati: momento storico
"Oggi celebriamo insieme la firma del Documento sulla Fratellanza Umana. Si tratta di un momento storico che enfatizza soprattutto l'importanza di coltivare un rispettoso dialogo e comprensione tra i seguaci non solo delle due religioni rappresentate qui oggi, ma tra tutte le persone, di tutte le fedi". Lo ha dichiarato Mohammed bin Rashid Al Maktum, premier degli Emirati nonché attuale emiro di Dubai, rivolgendosi a Papa Francesco e al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, nel corso dell'incontro interreligioso presso il Founder's Memorial di Abu Dhabi.
"Gli Emirati Arabi Uniti sono profondamente lieti di servire da pilastro portante e da palcoscenico per questo evento straordinario", ha affermato Al Maktoum, che ha annunciato la creazione del 'Premio della Fratellanza Umana - da Dar Zayed'. "L'obiettivo di questo premio - ha spiegato - è onorare tutti coloro che lavorano senza sosta e con onestà per unire la gente. Oggi, gli Emirati Arabi Uniti hanno l'onore di conferire questo premio inaugurale a Sua Santità Papa Francesco e a Sua Eminenza al-Tayyib per gli sforzi esemplari e determinati volti a promuovere la pace tra i popoli di tutto il mondo".




Franco Marta

No, non è Oliviero Toscani. È l’incontro ravvicinato del Papa con l’imam di Al Azhar oggi negli Emirati. È lo stesso religioso islamico che aveva sospeso ogni dialogo con il Vaticano nel 2010, dopo che Benedetto XVI aveva osato chiedere rispetto a seguito di una serie di attacchi devastanti alle chiese copte. Da allora, la condizione dei cristiani nel mondo islamico - i loro numeri, le loro persecuzioni - è ovunque peggiorata, al Cairo, a Damasco, a Mosul, nelle Filippine, in Kenya. Allora mi domando: c’era proprio bisogno di questa dimostrazione fisica di affetto? Il dialogo non dovrebbe basarsi sui fatti, più che sulle effusioni e sulle parole giuste a favore delle telecamere? Così, mi domando, da quel malpensante che sono. È che quando tutti si eccitano penso che ci sia qualcosa che non va.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mar feb 05, 2019 9:00 am

Papa Francesco ad Abu Dhabi esorta i cristiani alla mitezza: non fate crociate
4 febbraio 2019

https://www.ilmessaggero.it/vaticano/pa ... 79054.html

Abu Dhabi (Emirati Arabi) – Niente liti, nè dispute, nè tantomeno crociate: sono le raccomandazioni del Papa ai cristiani che vivono nei Paesi musulmani. Lo stadio di Abu Dhabi è gremito, gli spalti sono pieni di gente che ha viaggiato tutta la notte per non mancare alla prima messa pubblica che sia mai stata concessa sul sacro suolo del Golfo. Una croce alta 10 metri viene esibita all'interno, dove è stato allestito il palco papale. Il Papa celebra la messa davanti a quasi centomila cristiani, concludendo con un bagno di folla la sua missione negli Emirati Arabi, prima di ripartire per Roma. C'è tanta commozione. Francesco affida ai fedeli le stesse raccomandazioni che San Francesco otto secoli fa diede ai suoi frati che andavano in Terra Santa e «presso i Saraceni».

«Sono venuto qui a ringraziarvi per come vivete il Vangelo che abbiamo appena ascoltato» dice il Papa. È commosso. Il brano che è stato appena letto riguarda le Beatitudini, Beati i miti, dell'evangelista Matteo. «Non è beato chi aggredisce o sopraffà, ma chi mantiene il comportamento di Gesù che ci ha salvato: mite anche di fronte ai suoi accusatori. Mi piace citare san Francesco, quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e i non cristiani. Scrisse: Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. In quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto».

Nello stadio si prega in arabo. Ci sono fedeli caldei, copti, greco-cattolici, greco-melchiti, latini, maroniti, siro-cattolici, siro-malabaresi, siro-malancaresi. Ai cristiani che vivono nei Paesi a maggioranza musulmana, dove manca il concetto di libertà religiosa, Papa Francesco indica la strada della mitezza e si raccomanda. “Siate sempre operatori di pace».
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom apr 28, 2019 9:18 am

Magdi Cristiano Allam
4 febbraio 2019

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... __tn__=K-R

Francesco rinuncia a fare il Papa e si riduce a essere un militante pacifista che vuole conciliare tutte le religioni costi quel che costi. È il suicidio della Chiesa cattolica e di quest’Europa relativista ed islamofila

Cari amici, è sempre più evidente che Papa Francesco si concepisce come un operatore di pace da conseguire anche a costo di rinnegare se stessi e la fede cristiana, anziché il Vicario di Cristo e il Capo della Chiesa universale la cui missione è di evangelizzare promuovendo l’abbraccio dell’intera umanità a Gesù.
Il logo della visita iniziata ufficialmente oggi negli Emirati Arabi Uniti è non a caso una semplice colomba della pace con i colori della bandiera emiratina, ma manca del tutto la croce. Fonti del Vaticano non hanno remore a confessare che la croce non c’è per una scelta deliberata al fine di non urtare la suscettibilità dei padroni di casa islamici. Anche il titolo del tema di questo viaggio papale “Make me a channel of your pace”, Rendimi uno strumento della tua pace, conferma la natura laica e non religiosa dell’orientamento di Papa Francesco.
Si tratta di una pace, ha spiegato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Greg Burke, che “esprime la nostra preghiera affinché la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi possa diffondere in modo speciale la pace di Dio nel cuori di tutta la gente di buona volontà”.
Una pace che è stata al centro del mega-incontro interreligioso sulla “Fratellanza” con 700 leader di varie fedi. Al fianco del Papa c'è sempre il Grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al Tayyeb, che Papa Francesco definisce «amico e fratello». Al Tayeb, paragonabile al "Papa dell'islam maggioritario sunnita", è in realtà un apologeta del terrorismo islamico suicida palestinese. Il 4 aprile 2002 Al Tayyeb sentenziò: “La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah. I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi”. Nel 2003 Al Tayyeb confermò: “Le operazioni di martirio in cui i palestinesi si fanno esplodere sono permesse al cento per cento secondo la legge islamica”.
Un Papa che si riduce ad un essere un militante pacifista rinnega la missione cristiana di evangelizzare l’umanità. Un Papa che persegue costi quel che costi l’unità tra le religioni, che è cosa diversa dall’unità tra le persone, rinnega il cristianesimo che si fonda sulla fede esclusiva in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Papa Francesco si sta rivelando sempre più come il principale teorico di una sorta di “Religione Mondiale Unificata”, basata innanzitutto sull’alleanza tra la Chiesa cattolica e l’islam maggioritario sunnita. È un suicidio per la Chiesa cattolica. Ma sarà anche un suicidio per questa Europa relativista e islamofila che condivide la follia di legittimare l’islam come religione e di favorire l’islamizzazione della stessa Europa.
Cari amici, noi diciamo “No” a questa scelta suicida. Nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone, noi condanniamo l’islam come religione perché è del tutto incompatibile con le nostre leggi, con le regole su cui si fonda la civile convivenza, con i valori che sostanziano la nostra civiltà. Andiamo avanti forti di verità e con il coraggio della libertà. Insieme ce la faremo.



L'imam plaude al papa per il documento sulla Fratellanza

L'imam Pallavicini commenta positivamente quanto stabilito dal Documento firmato ieri dal papa e dalla massima autorità religiosa sunnita. Le confessioni religiosi non avrebbero più spazio per "le ambiguità"
Giuseppe Aloisi - Mar, 05/02/2019

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 40057.html

Il Documento sulla Fratellanza che alla fine della giornata di ieri papa Francesco ha sottoscritto con il grande imam di Al - Azhar pone la parola 'fine' allo "spazio per le ambiguità".

Yahia Pallavicini, che è il presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana ha accolto con entusiasmo quanto disposto attraverso la stipulazione di quello che, a tutti gli effetti, costituisce, a oggi, il primo trattato di questa tipologia. Il vertice della Chiesa cattolica e la massima autorità sunnita hanno messo nero su bianco che le confessioni religiose, in nessun caso, possono essere strumentalizzate per la diffusione di odio e guerre. Della sintonia tra Bergoglio e Ahmad al-Tayyib abbiamo raccontato più volte. Ci si poteva aspettare, insomma, che un passo del genere sarebbe stato fatto.

E Pallavicini, che è a sua volta un imam, ha detto la sua, rilasciando un'intervista alla Sir: "Sottoscrivendo un Documento congiunto - ha dichiarato - , si chiude definitivamente qualsiasi possibilità di confusione dove uno possa in nome di un Dio o in nome di una presunta religione organizzare una criminalità violenta a discapito della vita di un popolo o di una persona". L'islam e il cattolicesimo, insomma, non hanno più alibi. Una pietra miliare è stata posta sul cammino del dialogo interreligioso.

A qualcuno potrebbe far specie che le due tradizioni storico - dottrinali siano state in qualche modo equiparate, ma tant'è. Chi sostiene la bontà di quanto stabilito ha una visione chiara: "È rilevante - ha aggiunto l'imam Pallavicini - il fatto che nella regione medio-orientale araba, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno vissuto in modi differenti l’illusione e la manipolazione dell’Islam politico fondamentalista e ne hanno preso radicalmente le distanze, condannando qualsiasi strumentalizzazione dei movimenti fondamentalisti o, addirittura, del terrorismo di al-Qaeda e del sedicente Califfato".

Nel voler contrarre questo Documento non c'è stata alcuna "sottomissione", volendo usare un'espressione cara a Michel Houllebecq, e il papa e il grande imam, finalmente, hanno lanciato un segnale di concordi e fratellanza al mondo intero. Questa, almeno, è l'opinione di chi ritiene che "d’ora in poi" non ci sia più "spazio per qualsiasi mistificazione della religione o divinità che possa legittimare una violenza".



Il bacio degli idolatri
Magdi Cristiano Allam
5 febbraio 2019

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 4101606166

Il bacio della sottomissione di Papa Francesco all’islam. Il “Documento sulla fratellanza umana” sottoscritto con il Grande Imam di Al-Azhar prelude a una “Religione Unica Mondiale”

Cari amici, ieri ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, Papa Francesco e il Grande Imam dell’Università islamica di Al-Azhar che ha sede al Cairo, Ahmad Al-Tayyeb, hanno sottoscritto un “Documento sulla Fratellanza umana”, “Per la pace mondiale e la convivenza comune”. A suggellare questo Documento c’è stato un bacio bocca a bocca tra il Papa e il Grande imam, come attesta la foto scattata e diffusa dall’agenzia di stampa Reuters.
Il Documento inizia così: «In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace». La verità è che il Dio Uno e Trino del cristianesimo non è lo stesso Dio Allah dell'islam. L'islam divide l'umanità in “credenti” e “miscredenti”, ritenendo che i credenti siano solo i musulmani mentre i miscredenti sono tutti i non musulmani. Allah è un Dio Clemente e Misericordioso solo con i musulmani, mentre è vendicativo e violento con i non musulmani.
Il Documento prosegue: «In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera». Si tratta di una spregiudicata estrapolazione dei versetti 33-34 della Sura 5 del Corano che recita: «Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità. I nostri Messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra. La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso, eccetto quelli che si pentono prima di cadere nelle vostre mani. Sappiate, Allah è perdonatore, misericordioso». La verità è che questi versetti sono rivolti specificatamente agli ebrei e di fatto li si condanna a morte perché si oppongono all'islam e diffonderebbero la «corruzione sulla terra».
Il Documento concepisce il cristianesimo e l'islam impegnati in una comune missione sia contro l'ateismo sia contro l'integralismo religioso: «Tutto ciò contribuisce a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione, conducendo molti a cadere o nel vortice dell’estremismo ateo e agnostico, oppure nell’integralismo religioso, nell’estremismo e nel fondamentalismo cieco, portando così altre persone ad arrendersi a forme di dipendenza e di autodistruzione individuale e collettiva».
Il Documento assolve l'islam da qualsiasi legame con il terrorismo islamico e equipara l'islam al cristianesimo come religione di pace: «Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi. Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente».
Il Documento afferma che il terrorismo islamico sarebbe la conseguenza o di una errata interpretazione dell'islam o la conseguenza di ingiustizie subite dai popoli: «Il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni».
Il Documento sostiene che l'Occidente, ossia il cristianesimo, dovrebbe imparare e ispirarsi sul piano spirituale all'Oriente, ossia all'islam: «L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale».
Il Documento preannuncia una “Religione Unica Mondiale”: «In conclusione auspichiamo che questa Dichiarazione sia un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà; (…) sia un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano. Questo è ciò che speriamo e cerchiamo di realizzare, al fine di raggiungere una pace universale di cui godano tutti gli uomini in questa vita».

Cari amici, ciò che sfugge a Papa Francesco è che l'islam si concepisce come l'unica vera religione e condanna di miscredenza sia l'ebraismo sia il cristianesimo sia qualsiasi altra religione o ideologia. Così come è indubbio il legame tra il terrorismo islamico e l'islam, perché è prescritto da Allah nel Corano e l'ha detto e praticato Maometto. Lo stesso Ahmad al-Tayyeb è un apologeta del terrorismo islamico suicida palestinese. Va inoltre considerato che il Grande imam dell'Università islamica di Al-Azhar, nonostante il prestigio indubbio che questa istituzione ha tra gli Stati islamici per la qualità dei suoi studi islamici, non è il “Papa dell'islam maggioritario sunnita”. Quindi questo Documento non è da considerarsi vincolante per l'insieme degli Stati o dei musulmani sunniti nel mondo.
Preoccupa la strategia sincretista che mette sullo stesso piano cristianesimo ed islam a prescindere da ciò che Allah prescrive nel Corano e da ciò che ha detto e ha fatto Maometto. Preoccupa la strategia globalista finalizzata a promuovere una “Religione Unica Mondiale” basata innanzitutto sull'alleanza tra la Chiesa cattolica e l'islam maggioritario sunnita, principalmente per combattere insieme la crescente secolarizzare delle società, anche se non c'è nulla di comune tra il cristianesimo e l'islam, a cominciare dal contrasto assoluto tra il Dio del cristianesimo e l'Allah islamico e tra Gesù e Maometto. Ecco perché di fatto il bacio in bocca di Papa Francesco al Grande imam Ahmad al-Tayyeb è un atto di sottomissione all'islam che prelude ad una “Religione Unica Mondiale” senza il vero cristianesimo.



IL FRATELLO E MODERATO
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il papa, nella sua visita negli emirati arabi, la prima volta da parte di un pontefice, afferma che “Nel nome di Dio Creatore va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del Nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello”. E ancora: “Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata”.

Come non sottoscrivere?

Però dovrebbe convincere di questo anche quel Ahmad Al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, da lui considerato "fratello" e reputato un moderato, per il quale, il ventottesimo versetto della quinta sura coranica, “Scoprirai che i più veementi nella loro ostilità contro i credenti sono gli ebrei e gli idolatri (o politeisti)” sarebbe "Una prospettiva storica che non è mutata fino ai nostri giorni".

Lo stesso Al-Tayyib che disse, “Tutti i principali gruppi terroristici sono i nuovi prodotti dell’imperialismo al servizio del sionismo globale nella sua nuova versione, il cui obbiettivo è quello di distruggere il Medioriente”.

Rincarò la dose in un’altra occasione riproponendo uno degli evergreen antisionisti musulmani creato ad hoc negli anni ’30 da Amin al Husseini, il presunto tentativo ebraico di impadronirsi della moschea di Al Aqsa:

“Per costruire l’Egitto dobbiamo essere uniti. La politica è insufficiente. Allah è la base di tutto. La moschea di al-Aqsa è attualmente sotto attacco a causa di una offensiva da parte degli ebrei…Non permetteremo ai sionisti di giudaizzare al-Quds (Gerusalemme)”

Sì, “Nel nome di Dio Creatore va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del Nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello”.



Bergoglio firma documento musulmano rinnegando GESU’ CRISTO
2019/02/04

https://cronicasdepapafrancisco.com/201 ... uNYnXWP4z8

«Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua….. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc.8,31-38)

Papa Francesco ha appena firmato il nuovo Documento sulla Fratellanza Umana.. vedi qui, con l’Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. Una FRATELLANZA SENZA GESU’ CRISTO, MA CON IL DIO DELL’ISLAM, un Dio senza volto e senza nome…

“Un documento – afferma il testo – ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà, tale da invitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme, affinché esso diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli…”

E Gesù?? semplice, per papa Francesco E’ NEL FRATELLO… La fede in Dio? MA IN QUALE DIO? E dunque non più la fede in Gesù Cristo, ma NELLA FRATELLANZA UMANA… dentro la quale “Gesù” è immerso, nascosto, anonimo! Nell’Angelus del Primo dell’anno idem: Bergoglio ha affermato che il nome di Dio è Signore! Ma ciò è teologicamente falso perché per NOI Cattolici il Nome di Dio è GESU’, come spiega infatti san Paolo ai Filip. 2,5-11 “perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.” Quando poi leggiamo il Vangelo alla Messa, cosa rispondiamo al termine? LODE A TE O CRISTO! E la lettura del Vangelo non è “Parola di Dio, del Signore”? Insomma: Gesù è Dio sì o no!?

Il Documento sviolina poi una bella serie di “IN NOME DI….” e si parte DAL DIO secondo la visione sincretista di un “dio generico” senza un volto e senza un nome, per poi affermare che in NOME DI TUTTI GLI ALTRI: dell’anima, dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati, dei miseri… IN NOME degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati, persino di quanti vivono nella paura (??); dei popoli DELLA LIBERTA’, della giustizia e della misericordia; insomma IN NOME DI TUTTI SENZA DISTINZIONE ALCUNA.. (ma Gesù è escluso).. conclude il testo ufficiale:

“Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio…“

E’ Dio dell’Islam, del Corano, il Dio a cui l’Islam crede….?? e per la qual fede però Gesù NON è Dio di cui parlano e per cui Bergoglio ha firmato! Lo si vede nella firma che NON è quel Dio della Chiesa Cattolica, ma che i musulmani d’Oriente e d’Occidente INSIEME ALLA CHIESA CATTOLICA.. dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via.. mentre LA VIA E’ GESU’ CRISTO!! (Gv.14,6). E’ perciò inevitabile pensare che Bergoglio abbia RIGETTATO GESU’ CRISTO in nome del dio dell’Islam, o di un dio senza volto e senza nome, generico, che non dia fastidio a nessuno!

Molto interessante anche il commento ragionato in Chiesaepostconcilio, qui.

E’ evidente che il Documento mira ad una PACE UNIVERSALE in difesa delle religioni, ma CONTRO chi non si dice: CHI E’ CHE MINACCIA LE RELIGIONI? Chi minaccia oggi le religioni? CHI STA PERSEGUITANDO I CRISTIANI? Papa Francesco fa finta di non vedere e di non sentire…

Il testo è una vera “calata di braghe” della falsa-chiesa di Bergoglio all’evangelizzazione perchè, si afferma anche, che QUESTO DOCUMENTO sia usato come testo di studio NELLE SCUOLE….. una vera APOSTASIA dalla vera Fede in Cristo Gesù, qui avevamo descritto i tratti di questa “cronaca di una morte annunciata”.

La VERA CHIESA, sul brano di Marco riportato sopra, insegna quanto segue e che riportiamo da diversi testi patristici sui Vangeli:

Dopo la protesta di Pietro, a causa della quale Gesù lo ammonisce duramente: voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»…. i discepoli si trovano ora di fronte a una decisione nuova.

Chiamati a sé: espressione che Marco usa per importanti insegnamenti.

rinneghi se stesso: aparnéomai; ossia, porre la sequela di Gesù al di sopra dei propri desideri e progetti. Cf. Lc 14,26. Il verbo appare ancora una sola volta in Marco quando Pietro rinnega Gesù (14,30.31.71-72). E nei Vangeli nulla è casuale o scritto “per caso”.

prenda la sua croce: Marco presenta la sequela della croce nell’esempio di Simone di Cirene (15,21); si vergognerà di me: il vergognarsi è qui posto come più grave del rinnegare del particolare riportato da Lc 12,9. Non è un rinnegare per paura o timori, non è in senso psicologico, ma come comportamento oggettivo di UNA SCELTA, il monito di Gesù è grave, in quel vergognarsi di parlare di LUI è un atto contro di lui.

La generazione adultera e peccatrice è il luogo dove ci si vergogna (e ci si vergognerà nel tempo) di Gesù, del suo Nome e delle sue parole.

Il Figlio dell’uomo: è la scena che ci porta al Suo ritorno, alla parusia.

Mentre la prima parte della frase prospetta solo il caso di chi è pronto a perdere la propria vita, il secondo gli oppone il contrario. Seguire Gesù e morire per LUI, senza appunto vergognarsi di Lui, significa dunque “salvare la propria vita”; il caso di colui, invece, “che vuole salvare la propria vita”, vergognandosi di Gesù, del suo santo Nome e delle sue parole, al suo ritorno glorioso, cioè nel giorno del suo Giudizio, Gesù si vergognerà di lui, cioè egli perderà la propria vita.
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la firma di Bergoglio del rinnegamento di Gesù Cristo

Così la visione del Regno di Dio, l’esperienza della salvezza e di ciò che ci attende, non è rinviata a dopo la morte, nel mondo futuro, al giudizio, ma è già presente, “qui” e ora. La misericordia di Dio ritarda la maledizione fino alla fine, ma fin d’ora dà la benedizione, ma maledice anche colui che di Lui si vergognerà pensando così di salvare la propria vita, arrivando a perderla. Gesù ammonisce, sta avvisando e sta mettendo in guardia i suoi Discepoli, riportandoci ad una domanda molto inquietante: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18, 8); come a farci riflettere – per salvarci ancora in tempo – in che modo possiamo averlo tradito, o ci siamo vergognati di LUI, dal momento che, sopraggiunto il Giudizio, chi si sarà di Lui vergognato, di certo perirà.

Concludiamo:

Unire le religioni sotto l’”unico Dio” riconosciuto da tutti per formare la “fratellanza universale” è tipico del pensiero modernista («sintesi di tutte le eresie», San Pio X, enciclica Pascendi Dominici Gregis, 8 settembre 1907, vedi qui).
Emblematico è, per esempio, il caso del sacerdote don Primo Vannutelli (1885-1945), – amico e collaboratore del “grande vecchio” del modernismo italiano, il prete-apostata Ernesto Bonaiuti (1891-1946) – il quale, dopo essere stato sospeso a divinis negli anni ’30, per essere riabilitato ritirò tutti i suoi scritti e recitò il giuramento antimodernista, ma si trattò di uno spergiuro. Infatti, prima di morire, scrisse il suo “testamento spirituale” – pubblicato postumo nel 1978 col titolo Il testamento di fede di don Primo Vannutelli – in cui proclamava sì di amare Gesù Cristo, ma dichiarava di non credere che Egli fosse il Verbo di Dio incarnato. L’unico modo per unire le “religioni abramitiche” (ebraismo, cristianesimo e islam) era, secondo Vannutelli, lasciar cadere finalmente la tesi della divinità di Gesù. Una coincidenza?
I gesuiti hanno purtroppo fatto proprio il modernismo, rinnegando Cristo in nome di Cristo! Ne è una prova il fatto che il cast del film “Silence”, ove si racconta che i missionari gesuiti giapponesi abiurarono per aver salva la vita col “permesso” di Gesù, è stato accolto con una standing ovation dai vertici della new-Compagnia e anche da papa Francesco a Casa Santa Marta….

Interessante la riflessione breve dal sito CampariedeMaistre:

Il documento “Fratellanza umana” pubblicato oggi, nel quale Bergoglio dichiara il valore della fratellanza universale assieme all’Imam di Al Azhar potrebbe essere commentato in molti modi. Certo all’interno del testo non c’è il Dio uno e trino, ma c’è una divinità condivisa fra tutte le religioni, che sembra laureata in architettura.

Ci chiediamo però alcune cose:
– se, come dice, il documento “Il pluralismo e le diversità di religione […] sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”, per quale motivo Gesù è venuto a farsi crocifiggere? Si è sbagliato? Secondo Bergoglio la Croce e la Resurrezione che valore avrebbero? Sono necessarie si o no? Se pensa di no, cosa vuole da noi?

– se le religioni portano tutte, come dice il documento, “veri insegnamenti”, perché allora ci sono preti, vescovi e papi? A questo punto si dimettano tutti e ci diano i soldi indietro.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio lug 18, 2019 9:22 pm

???


Leader musulmani ribadiscono l’adesione al Documento sulla Fratellanza
Vatican News
luglio 2019
Benedetta Capelli

https://www.vaticannews.va/it/mondo/new ... c.facebook

A quasi sei mesi dalla firma ad Abu Dhabi del Documento sulla Fratellanza Umana, sottoscritto da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, 22 leader e intellettuali musulmani sunniti, sciiti e sufi hanno firmato un testo di 15 pagine per ribadire il loro sostegno al Documento

“Un punto di partenza” e “di non ritorno”. Così, secondo quanto riportato da “La Croix”, 22 leader e intellettuali musulmani sunniti, sciiti e sufi definiscono il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, nel corso della visita di Papa Francesco tenutasi dal 3 al 5 febbraio scorso. Un documento congiunto e sottoscritto insieme al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb per ribadire insieme che la cultura del dialogo è la via per vivere in pace, conoscendosi reciprocamente.

La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione

È il titolo del testo di 15 pagine nato su iniziativa dell’Imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis italiana (Comunità religiosa islamica), insieme all'Istituto di Studi Islamici in Francia e ad un piccolo gruppo di altri leader musulmani che avevano già firmato la Lettera dei 138 intellettuali musulmani a Papa Benedetto XVI, nel 2007, o alla Dichiarazione di Marrakesh sulle minoranze religiose nel 2016. Nel testo si definisce il Documento sulla Fratellanza Umana come “un evento istituzionale senza precedenti nella storia delle relazioni tra cristiani e musulmani”, il segno dell’apertura di una nuova fase orientata “verso il riconoscimento della legittimità e la provvidenziale diversità di rivelazioni, teologie, religioni, lingue e comunità religiose”.

Diversità per mettere in pratica la fraternità

I 22 leader e intellettuali musulmani evidenziano come le diversità non siano più considerate “come una chiamata alla conquista o al proselitismo, o un pretesto per una semplice tolleranza di facciata”, ma piuttosto un’opportunità per mettere in pratica la fraternità che è “una vocazione contenuta nel piano di Dio per la creazione”. Pertanto, il dialogo interreligioso, che era già “raccomandato dal Corano”, appare oggi “vitale”.
Costruire una rete di dialogo tra cristiani e musulmani

L’intento del recente testo – riferisce l’Imam Pallavicini - è quello di esortare alla riflessione “sulla Dichiarazione, sul suo metodo, sul suo linguaggio: discuterne in modo fraterno, possibilmente critico, ma senza escludere apertamente il testo per ragioni ideologiche o politiche”. Il direttore del Coreis sottolinea che la firma di Abu Dhabi ha generato delle divisioni all’interno del mondo musulmano, non sono mancate critiche per l’iniziativa condotta dagli Emirati Arabi e portata avanti dal Grande Imam di Al-Azhar. Alcuni esponenti religiosi hanno anche deciso di non sottoscrivere il testo: “La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione”. Chi ha firmato – ha spiegato Pallavicini – intende raccogliere l’invito a costruire una “fraternità umana” oltre i confini religiosi, l’intenzione è di “promuovere iniziative locali sulla base di questa dichiarazione”, anche “a livello accademico”, costituendo una “rete di sostegno al dialogo tra cristiani e musulmani”.


Libertà delle "religioni" e libertà dalle "religioni", da tutte le idolatrie religiose, specialmente da quelle totalitarie, disumane, terroristiche e violente come quella nazi maomettana.
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Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere civile universale prima ancora che un diritto umano;
poiché l'Islam è il nazismo maomettano.

Non va solo criticato ma denunciato, contrastato, perseguito e bandito.
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio ago 01, 2019 8:16 am

Pakistan: la pace passa attraverso il dialogo tra le religioni
Roberto Artigiani – Città del Vaticano
30 luglio 2019

https://www.vaticannews.va/it/mondo/new ... A.facebook

Il Pakistan continua ad essere scosso da continue violenze in particolare contro le minoranze religiose ed etniche. In questo scenario le varie confessioni, quella cristiana compresa, sono oppresse da atteggiamenti discriminatori e quindi in diminuzione

L’arcivescovo di Lahore, monsignor Sebastian Shaw, ha aperto il seminario “Armonia religiosa, necessità sociale” con l’obiettivo di alimentare il dialogo tra le religioni per annullare la violenza e diffondere l’immagine di una Chiesa aperta alla bellezza della diversità e lontana da tentativi di conversione. Un incontro necessario per scuotere l’indifferenza generale del Paese, a cui hanno partecipato più di 300 fra sacerdoti, pastori protestanti e religiosi islamici. L’evento si inserisce in un quadro difficile descritto da padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore di Asia News.

Le origini del fondamentalismo

“Il Pakistan ha avuto due grandi fonti di fondamentalismo – spiega ai microfoni di Radio Vaticana Italia padre Cervellera – da un parte i talebani che fuggivano nel Paese quando combattevano contro i russi e hanno creato scuole talebane sul territorio riversando il loro fondamentalismo islamico. Poi c’è stato un uso dell’Islam dal punto di vista politico, soprattutto da parte del dittatore Zia-ul-Haq. Tutto questo ha creato 25.000 scuole islamiche fondamentaliste che creano studenti fondamentalisti, adulti fondamentalisti che sono diventati un partito politico che ha un’influenza enorme sulla situazione sociale e sul governo”.

Cristiani vittime di violenza quotidiana

In questo scenario la vita degli appartenenti a minoranze religiose è tutt’altro che facile, come racconta padre Cervellera. Infatti: “I cristiani sono una piccolissima minoranza, l’1,3% di tutta la popolazione, sono continuamente bersagliati e non sono considerati. Ci sono ruberie di terreni, espropri di case, ma anche violenze motivate da problemi sociali. Non contano nulla e il governo pur dicendo di voler tutale le minoranze non fa assolutamente nulla”.

Ascolta l'intervista a padre Bernardo Cervellera
L’esempio del caso Asia Bibi

Asia Bibi, una pakistana cristiana accusata di blasfemia e incarcerata per anni in attesa di giudizio. Padre Cervellera a questo proposito fa notare che “il governo è molto attento a non andare contro ai partiti fondamentalisti perché ne ha bisogno. Qualche volta per le pressioni dei governi della comunità internazionale fa qualche passo nel tentativo di dare un’immagine più liberale. È il caso di Asia Bibi che è stata liberata e a cui è stato permesso di lasciare il Paese, però prima era stata 10 anni in prigione in attesa del processo”.

Cercare la pace attraverso l’unione e il dialogo

Di fronte a questa situazione il seminario che si è tenuto a Lahore sembra poter portare quello di cui c’è bisogno per pacificare i rapporti tra le varie confessioni presenti in Pakistan. Come dice padre Cervellera: “Il dialogo tra religioni diverse può realizzarsi a partire dalla collaborazione dei vari gruppi minoritari presenti nel Paese. Cristiani, cattolici e protestanti, sikh, indù e sciiti, possono spingere perché il governo faccia delle leggi che difendano le minoranze”. Rimane però la questione più grande, chiosa padre Cervellera: “Chiedere al governo di influenzare le scuole fondamentaliste che ogni anno sfornano decine di migliaia di fondamentalisti”.



Alberto Pento
Non solo tra le religioni ma anche con l'umanità civile e spirituale non religiosa, atea, agnostica e aidola.
Questi dimenticano o fingono di non sapere che il primo fondamentalista mussulmano fu Maometto (idolatra, bugiardo, ladro, razziatore, assassino, sterminatore).
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom ott 06, 2019 9:38 am

L'imam si laurea in Teologia cattolica. Potrà insegnare religione a scuola
Felice Manti - Dom, 06/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... g1iBZJBNN4

"Islam e Cristo vicinissimi". Gli studi sono pagati dalla Curia

«Ho scoperto che Islam e Cristianesimo hanno tantissimo in comune sul piano umano e sociale.

Resto un musulmano ma sono innamorato di Gesù». Hamdan Al Zeqri ha 33 anni, è un ex profugo yemenita arrivato in Italia 16 anni fa e tra qualche giorno diventerà dottore in Scienze religiose. Un titolo che non gli serve per fare l'imam, ruolo che già ricopre nel carcere fiorentino di Sollicciano dopo aver fatto il mediatore culturale. No, dal prossimo 15 ottobre, dopo che avrà discusso la tesi di laurea presso la Facoltà teologica dell'Italia centrale a Firenze, Hamdan Al Zeqri diventerà il primo imam a poter insegnare la religione cattolica nelle scuole italiane. Un evento, tanto che alla discussione della tesi sono attesi sacerdoti e imam da tutta Italia.

È la sublimazione del nuovo corso voluto da Papa Bergoglio. Dal dialogo tra islam e Chiesa, percorso difficilissimo ma fondamentale anche per i suoi risvolti geopolitici, siamo ormai passati alla fusione.

La sua iscrizione alla Facoltà teologica, come riferisce al Corriere Fiorentino e a Repubblica edizione Firenze, è stata voluta dalla comunità islamica fiorentina per rafforzare il dialogo interreligioso, anche attraverso la conoscenza diretta della religione cristiana. Missione compiuta, soprattutto se si pensa che i suoi studi sono stati sostenuti economicamente dalla Curia diocesana fiorentina. «Molti dei miei migliori amici sono preti - ha detto l'imam laureando in Teologia - è stata un'esperienza per andare oltre gli stereotipi e pregiudizi, per conoscere gli altri oltre i luoghi comuni.

La storia di Al Zeqri, messa giù così, è un bellissimo esempio di integrazione: è cittadino italiano dal 2017, lavora in un'azienda aerospaziale del Mugello, è il responsabile del dialogo interreligioso e della formazione spirituale coranica dei giovani all'interno della numerosissima comunità islamica fiorentina. Ma la domanda resta: come può un imam insegnare religione cattolica? L'imam sarà anche innamorato di Cristo ma sa benissimo che il Corano e il Vangelo sono lontani anni luce, per non dire antitetici. Chissà quando a un sacerdote sarà concesso di entrare in una moschea a parlare di Allah. Senza essere ucciso.
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