DON MILANI: RISPOSTA AI CAPPELLANI MILITARI E LETTERA AI GIUDICI
CONSIDERAZIONI POSTUME
http://www.internetsv.info/LettereDM.htmlL'11 febbraio 1965, alcuni cappellani militari della Toscana in un imprudente comunicato definirono l'obiezione di coscienza "espressione di viltà". Don Lorenzo elaborò subito la "Risposta ai cappellani militari", dove difese il diritto all'obiezione. La risposta venne pubblicata il 6 marzo da una rivista comunista, Rinascita. Fu cosí che esplose la polemica: il priore di Barbiana venne ammonito dal Cardinal Florit e denunciato da alcuni ex combattenti alla Procura di Firenze. Venne processato a Roma insieme a Luca Pavolini, vicedirettore responsabile di Rinascita, per apologia di reato. In vista del processo, non potendo parteciparvi perché malato, Don Lorenzo scrisse la "Lettera ai giudici".
Il 15 febbraio 1966 Lorenzo Milani e Luca Pavolini vennero assolti perché il fatto non costituiva reato.
Interessante il parere dato dall'Ordinario Militare emerito, mons. Giuseppe Mani, in un'intervista fattagli dal periodico paolino Jesus, nel 2002. Alla domanda «Quando fu nominato Ordinario militare si confrontò, o magari si era confrontato già prima, con la polemica che a suo tempo il suo conterraneo don Milani aveva suscitato contro i cappellani militari?» rispose: «Come no! Aiutato dal fatto che essendo toscano posso capire di piú la mentalità dell'uno e degli altri. Le cose andarono cosí: don Milani proponeva l'obiezione di coscienza (niente di straordinario, essendoci già in altri Paesi); ai cappellani militari in congedo riuniti a Rifredi nella casa di monsignor Facibeni, santo prete fiorentino dalla cui esperienza di cappellano militare della Prima guerra mondiale nacque l'opera della Madonnina del Grappa, parlare di coscienza per non essere militari sembrò un affronto e un'offesa alla memoria dei caduti.
Quei cappellani avevano vissuto l'esperienza della guerra, vedendo cadere migliaia di giovani di cui avevano raccolto le spoglie. Ecco l'origine di tutto il problema che poi finí in tribunale. Capisco don Milani, il quale peraltro ci sguazzò dentro, ma capisco anche i vecchi cappellani. È una polemica che ormai appartiene alla storia» (CAPPELLETTI L., Preti con le stellette. Intervista con l'ordinario militare per l'Italia monsignor Giuseppe Mani, in 30giorni, 5 (2002) s. n.).
I testi che vengono esaminati in questo contesto sono tre: 1) l'ordine del giorno dei cappellani militari della Toscana in congedo, pubblicato da La Nazione del 12 febbraio 1965;
2) la Risposta ai cappellani militari di don Milani, del 23 febbraio 1965, pubblicata il 6 marzo 1965 dal periodico Rinascita;
3) la Lettera ai giudici di don Milani, del 18 ottobre 1965.
...
1. Ordine del giorno dei cappellani militari in congedo della Toscana. Riunione dell'11 febbraio 1965; presenti 20 su 120 iscritti. Comunicato pubblicato dal giornale La Nazione il 12 febbraio 1965.
Nell'anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l'Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana.
Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno:
"
I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell'associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d'Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria.
Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta "obiezione di coscienza" che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà".
L'assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.
** Nel comunicato, peraltro non rappresentativo nemmeno dei soli cappellani toscani, dato l'esiguo numero dei partecipanti, non si trova nulla di particolare da eccepire a parte il penultimo paragrafo. L'espressione: "Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta "obiezione di coscienza" che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà"" appare indubbiamente sommaria, quando non addirittura erronea, non potendosi dire che l'obiezione di coscienza, sic et simpliciter, sia estranea al comandamento cristiano dell'amore. La problematica dell'obiezione richiede un approfondito esame, una giusta contestualizzazione ed una verifica tale per cui un'espressione del genere effettivamente non la si sarebbe mai dovuta scrivere, sicuramente non in tale forma. Resta il dubbio se un comunicato di tale livello meritasse di innescare quello che divenne quasi un caso nazionale.
2. Lettera di don Milani ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965. Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo.
Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola.
Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.
Primo perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.
Secondo perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono piú grandi di voi.
Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica è oggi piú matura che in altri tempi e non si contenterà né d'un vostro silenzio, né d'una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.
Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.
Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona. ** In questo scritto balza subito agli occhi il tono polemico assunto da don Milani, quasi che il comunicato dei cappellani toscani fosse rivolto a lui personalmente. Se il testo scritto dai cappellani è per alcuni versi polemico, in uno stile tipico dell'epoca, non è da meno quello di don Milani. Può darsi che il comunicato dei cappellani intendesse alludere a qualche pronunciamento o scritto del Priore di Barbiana ma cosí non sembra visto che le sue pubblicazioni piú importanti datano al 1967. Polemica ed ingiustificata appare la frase "Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri", come pure la duplice ideologica contrapposizione: "reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro". Quale uomo potrebbe dirsi "straniero" per un sacerdote? In queste espressioni appaiono tutte le incertezze del linguaggio dell'epoca; un linguaggio alla ricerca di contrapposizioni e di conflitti, piú che di unità di intenti. Dividere ideologicamente diseredati e oppressi è anti-evangelico quanto, anzi piú, che non dividere italiani e stranieri. Se non altro questa divisione - che non è necessariamente contrapposizione - ha un fondamento giuridico e culturale che in sé non è immorale. Non è morale invece fomentare la divisione di classe, ciò che molto facilmente porta allo scontro politico e alla lotta violenta. Come può don Milani affermare: "...allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi"? Espressione imprudente, se non pericolosa, in bocca ad un sacerdote. Non a caso in Italia, la storia del mondo cattolico di quegli anni, vedrà molte persone e gruppi degenerare sempre piú verso la scelta della violenza politica. In Italia furono i cattolici i primi a guidare la rivolta. Cattolici i primi due atenei occupati nell'anno accademico '67 - 68: a Trento e a Milano. Cattolici, o perlomeno di formazione cattolica, tutti i primi leader della contestazione come Renato Curcio, Marco Boato, Mauro Rostagno, Nello Casalini (entrato poi nell'ordine dei Frati Minori), Francesco Schianchi, Luciano Pero, Mario Capanna. E ancora, cattoliche le origini di «Lavoro Politico», rivista nata nel '62 a Verona su iniziativa di Walter Peruzzi e punto di riferimento per il movimento trentino. Cosí, in un mondo indirizzato sempre piú verso il bipolarismo, che vedrà interi eserciti immobilizzati dalla logica della deterrenza, la violenza politica e il terrorismo aumenteranno sempre piú. Assolutamente inaccettabile e surreale l'espressione: "le armi che voi approvate". Le armi, anche in guerra, sono e restano sempre una deprecata necessità, né furono, né possono in alcun modo essere "approvate" nei termini riportati da don Milani.
Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben piú alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesú era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.
Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...".
Articolo 52 "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".
Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia.
** Le argomentazioni usate da don Milani - quelle riferite alla Costituzione repubblicana - sarebbero valide sennonché non poteva definirsi corretta una valutazione a posteriori della storia nazionale sulla base del recente testo costituzionale. L'Italia che nel 1915 e nel 1939 entrò in guerra purtroppo non aveva fra i suoi principi fondanti quelli costituzionali del 1948. I tragici errori fatti dall'Italia nelle due guerre mondiali e nei loro antefatti restano in tutta la loro gravità, ma non possono essere giudicati appunto con tale metro: le azioni del passato possono essere valutate solo tenuto conto della mentalità e della cultura degli uomini che le posero. Stessa considerazione si potrebbe fare circa l'uso o l'abuso del concetto di patria, ampiamente riconsiderato solo dopo l'ultimo conflitto mondiale, anche in seguito all'affermazione di una coscienza universale e di nuove entità politiche e giuridiche sovranazionali.
Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese piú la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile?
Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico.
Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
** Anche in questo brano si distingue la carica polemica di don Milani. Il Priore di Barbiana, del tutto estraneo ai contesti militari, confonde l'opera del cappellano con l'indottrinamento impartito dai quadri alla truppa. L'indottrinamento (serie di istruzioni dove fra l'altro vengono esposte anche le regole di ingaggio (Rules of engagement)) non fa certo parte dei compiti del cappellano militare. Non risulta poi che in alcun testo di morale o di etica cattolica si insegni l'obbedienza ad ogni costo, ragion per cui non si vede come dei cappellani militari si siano mai potuti esprimere in tali termini. Che nel ventennio fascista ci siano stati casi di cappellani ideologicamente orientati è risaputo, ciò che è inaccettabile è l'estensione dell'accusa ad un'intera categoria. Probabilmente don Milani dimenticò il martirio che il clero, anche quello militare, subí nei due conflitti mondiali; né volle ricordare - solo per fare qualche nome - dell'opera di don Carlo Gnocchi o di don Giulio Facibeni, le cui eredità spirituali sono ancora oggi evidenti e concrete, ben piú di quelle del Priore di Barbiana.
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? Se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la piú elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza.
** L'insinuazione rivolta da don Milani ai cappellani toscani (e in genere a tutti i cappellani) può trovare una risposta solo da parte delle singole persone interessate. Si deve rilevare tuttavia che il cappellano militare non può entrare in merito alla condotta delle operazioni, tanto meno in zona di guerra, nonostante l'eventuale alto grado da egli rivestito. Fino al secondo conflitto mondiale tuttavia la maggior parte dei cappellani ebbe il grado di tenente o di capitano. Il massimo grado previsto in servizio, fino al recente riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento (D.L. 30 dicembre 1997, n. 490, art. 69 e disposizioni correttive D. L. 28 giugno 2000, n. 216, art. 29), era, infatti, quello di maggiore. Ciò non garantisce affatto che un cappellano impegnato in zona operativa possa venire a conoscenza di fatti ed eventi particolari di rilevante portata sì da poter intervenire, in ogni caso tuttavia entro quali limiti? Al massimo entro quelli previsti dai codici di guerra, dai regolamenti e dalle convenzioni internazionali. Scrivere "se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla" è una falsità e un'ingiustizia. Probabilmente don Milani confuse il ruolo del cappellano con quello di un sindacalista. Solo chi è stato in zona di guerra può capire che cosa significhi agire da soli in tali circostanze; né si può dire che le Forze Armate italiane, per il solo fatto di essere state a servizio di uno Stato totalitario si comportarono in modo criminale e di ciò appunto la giustizia penale internazionale prese atto sia a Norimberga, sia altrove. Ci furono cappellani che non mancarono di farsi sentire ma non per questo vennero passati per le armi o puniti; la maggior parte degli ufficiali, dei sottufficiali e dei soldati italiani erano - fascismo o no - persone corrette ed umane. Non mancarono purtroppo nella storia eccidi e atti disumani, talvolta orditi a livello politico, talvolta su iniziativa dei singoli, ciò non toglie che la maggior parte dei militari italiani si sia spesso distinta per umanità e generosità anche nei momenti piú difficili.
Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati.
Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l'anno) l'esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva piú che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza.
L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo.
** Tralasciando una facile retorica ("vi paghiamo o vi abbiamo pagato") don Milani trascura un dato elementare, pur facente parte della sua educazione, quando afferma utopisticamente: "urgeva piú che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza". Eppure anch'egli proveniva da una società, da un'epoca, da un'istituzione ecclesiale dove l'obbedienza era concepita come indiscutibile e dove la parola "obiezione" nemmeno era immaginabile e ciò era tanto piú vero per il militare come per il sacerdote. Se c'era all'epoca un concetto intangibile era proprio quello dell'obbedienza: un mondo intero era tutto votato all'obbedienza, gerarchicamente distinto, verticisticamente strutturato e il solo usare la parola "obiezione" sapeva di ribellione e comportava l'universale esecrazione. Il Manuale di guerra dell'epoca ammoniva il soldato che il superiore non doveva ripetere l'ordine una seconda volta, pena la corte marziale. Queste erano le norme e questa era la mentalità corrente e tale rimase indiscussa fino agli anni della contestazione sessantottina. Come si poteva dunque educare addirittura all'obiezione quando nei piú, a cominciare dai ceti inferiori, nemmeno si concepiva un tale concetto? Don Milani nel 1965 sarà uno dei primi a farlo in un contesto ecclesiale già abbastanza predisposto e ad assumersene le inevitabili conseguenze. La storia gli darà in parte ragione, pur con le dovute rettifiche ed il necessario equilibrio etico e morale. Due guerre mondiali scoppiarono e altre innumerevoli stragi si consumarono perché troppa gente obbedí indiscriminatamente anche a coloro che non meritavano di essere ascoltati, ma questa è la nostra esperienza o, se si preferisce, il cosiddetto senno di poi. La realtà è che quando i totalitarismi salirono al potere ben pochi seppero opporsi al male, molti lo fecero dopo, anche impugnando le armi, spesso dopo aver perso le cose piú care, quando non tutto.
Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.
1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria.
A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa è alle porte.
La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, cosí come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.
** Nessun rilievo da muovere circa le annotazioni storiche purtroppo vere. L'unità d'Italia venne realizzata dalla monarchia sabauda nel modo peggiore possibile, imposta per lo piú dall'alto, con le baionette e le manovre politico-economiche, contro la coscienza, la fede e la cultura di intere popolazioni, soprattutto nel Meridione. Ciò che non è accettabile è l'espressione "ridere" congiunta al concetto di "patria". Quello di patria è certamente un concetto relativo e destinato ad evolversi ma non è corretto, anche pedagogicamente parlando, riderne. Oggi siamo italiani, un domani saremo semplicemente europei, domani ancora cos'altro? Nessuna persona retta tuttavia riderebbe - se non per ignoranza - delle sue proprie origini. Quanto all'auspicio di vedere le divise dei soldati e dei cappellani militari nei musei bisogna ammettere che si è avverato... ma solo perché nel frattempo ne sono sorte di nuove. Piú che don Milani è stato profetico il Concilio Vaticano II quando ha ricordato al mondo: «Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo, ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere il peccato, essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina: "Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà piú la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno piú nell'arte della guerra (Is 2,4)"» (GS 78). E ancora: «Coloro poi che, dediti al servizio della patria, esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come ministri della sicurezza e della libertà dei loro popoli e, se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace» (GS 79). Ma forse a don Milani queste posizioni conciliari ed ecclesiali sfuggirono...
La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo piú attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme.
Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria tant'è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'é vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia".
Nel 1898 il Re "Buono" onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.
** Ironie a parte, risulta quanto segue: nel 1898, quando a Milano scoppiarono gravi tumulti in conseguenza dell'aumento del prezzo del pane, il governo guidato da Antonio di Rudiní proclamò lo stato d'assedio e il generale Bava Beccaris, regio commissario straordinario, il 7 maggio ordinò di sparare sulla folla in rivolta. Secondo le cifre ufficiali i morti furono 80, stando alle fonti dell'opposizione ci furono invece piú di 100 vittime. Bava Beccaris, in segno di riconoscimento, ottenne dal re Umberto I la Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia, inoltre lo stesso anno ottenne anche un seggio al Senato. È noto purtroppo come Casa Savoia, soprattutto nella storia unitaria, si sia avvalsa spesso dell'esercito impiegandolo ignobilmente contro il suo stesso popolo.
Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.
Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d'un bianco piú che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?
Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al '14. L'Italia aggredí l'Austria con cui questa volta era alleata.Battisti era un Patriota o un disertore? E un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?
Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato).
** Unico appunto da fare a delle annotazioni storiche verissime (non ultime quelle sul primo conflitto mondiale, realmente inutile e in ogni caso vanificato pure dalle perdite seguite al secondo) è che papa Benedetto XV non fu canonizzato, a meno che don Milani non intendesse dire "canonicamente eletto". Quanto alle polemiche razziali non mancarono cappellani militari provenienti anche dalle file dei missionari, né risulta che abbiano fomentato odii razziali. Sicuramente all'epoca non mancò la retorica circa il dovere di portare la civiltà, ma tale mentalità era comune e veniva intesa dai piú in tutta buona fede.
Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Cosí la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).
** A parte i riferimenti storici allusivi alle terribili responsabilità di Casa Savoia, tutti tragicamente veri, non si può non sottolineare ancora una volta il modo scorretto di argomentare. Don Milani afferma: "In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa)". Come già evidenziato, se pure ci furono casi di cappellani ideologicamente orientati, è inaccettabile l'estensione del tutto gratuita dell'accusa ad un'intera categoria. Non furono pochi invece i sacerdoti che come don Carlo Gnocchi, don Secondo Pollo, don Giulio Facibeni e altri, si arruolarono come cappellani proprio per seguire da vicino i loro giovani fin sulla prima linea. Emblematico è il caso di don Gnocchi che riuscí a diventare cappellano militare e a raggiungere il fronte nonostante la contrarietà delle stesse autorità fasciste. Don Gnocchi nei momenti piú difficili seppe essere anche critico destando in tutti amore e ammirazione.
Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo.Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano.
Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riuscí a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni libertà civile e religiosa.
Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrotta) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi.
Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo.
Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.
Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?
** In questo paragrafo appare tutta la delicatezza della polemica politica ma anche ideologica sollevata da don Milani. È su argomentazioni come queste che egli cade pesantemente in contraddizione con la sua identità sacerdotale. Se è vero che il governo spagnolo fu legittimamente eletto non fu altrettanto vero che fu rispettoso della libertà e della cultura del suo stesso popolo. Quel governo tentò di imporre un regime comunista tanto arbitrario quanto male accetto.
La guerra di Spagna (18 luglio 1936 - 1 aprile 1939) fu anche una persecuzione religiosa, che trasse origine dall'ideologia anticattolica del regime repubblicano instaurato nel 1931, e che è cosa ben diversa dalla repressione politica, la quale fu invece praticata, in modo spietato, da entrambe le parti contendenti. Non a caso i 239 martiri spagnoli beatificati da Giovanni Paolo II, tutti vittime dei repubblicani, hanno subito il martirio in quanto cattolici. Sì, il sacerdote don Milani "dimentica" le decine di migliaia di cattolici, inclusi vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, barbaramente assassinati e torturati dalle truppe repubblicane. Anche per questo gli spagnoli stessi, in gran numero, lottarono contro di esse. Sì, don Milani, "dimentica" di scriverlo: non furono solo i volontari italiani a combattere in Spagna, furono anzitutto gli spagnoli, in massa, a volerci e a lottare per la loro libertà. Don Milani "dimentica" anche la condanna perentoria di Papa Pio XI nell'enciclica Dilectissima nobis, del 3 giugno 1933, a carico di quel regime repubblicano violentemente anticristiano. Nel suo intervento alle Cortes il 15 aprile 1936, José Calvo Sotelo denunciò 178 incendi e 199 assalti e danneggiamenti a chiese, centri politici e abitazioni private; 74 morti e 345 feriti. Il 16 giugno, José María Gil Robles denunciò, fra gli altri, i seguenti fatti: 160 chiese distrutte, 251 attaccate, 269 morti e 1.287 feriti, oltre ad assalti, scioperi, giornali distrutti e centri politici presi d'assalto. Estanislao Cantero Nuñez nell'articolo 1936. "L'assalto al cielo": la guerra civile spagnola. Le cause dell'"alzamiento (Cristianità n. 258 (1996)) ha scritto sul «"grande inganno" dei repubblicani - come lo qualificò José María García Escudero - consistente nel continuare a presentare la Repubblica come un regime democratico, quando un tale regime era morto a opera di socialisti, di comunisti e di anarchici». Senza nulla togliere alle responsabilità del generale Franco bisogna tuttavia rilevare quanto segue: durante la Seconda guerra mondiale egli fu l'unico che non si uní ai paesi dell'Asse dichiarando la neutralità della Spagna, pur concordando con Hitler (1940) e Mussolini (1941) una strategia di collaborazione. Alla fine del conflitto si avvicinò ai paesi occidentali e dinanzi alla situazione creatasi con la Guerra Fredda si oppose al blocco sovietico concludendo un accordo strategico con gli Stati Uniti (1953). Nel 1957 il generale Franco affidò parte dell'amministrazione del paese all'ammiraglio Luís Carrero Blanco e cominciò ad occuparsi della propria successione. Restaurata la monarchia, pur mantenendo il ruolo di capo dello stato a vita, nel luglio del 1969 designò a succedergli il principe Juan Carlos di Borbone, che alla morte del dittatore fu incoronato re di Spagna e assunse pacificamente il governo del paese (1975). Quella di Franco fu una delle poche dittature da cui sorse senza colpo ferire una democrazia ormai matura. Forse Franco fu per la Spagna il male minore e la storia oscura delle dittature comuniste dell'Est europeo costituisce una conferma da non prendere a cuor leggero. Nella Guerra civile spagnola un popolo si ribellò ad un governo, pur democraticamente eletto, che non offriva piú autentiche garanzie di libertà. Del resto le dittature del secolo scorso non giunsero spesso al potere grazie alla debolezza delle democrazie? Hitler non fu forse liberamente eletto? Forse don Milani non ci fece caso perché nel 1923 (anno del Putsch di Monaco) era appena nato e nel 1934 (anno dell'ascesa al potere da parte di Hitler) aveva solo 11 anni, ma dopo? La rivoluzione bolscevica con i suoi orrori era scoppiata nel 1917 e nel 1965 le tragedie di oltrecortina erano già note a tutto il mondo, tranne forse a don Milani e ad un pugno di altri intellettuali italiani laici e non, nostalgici del governo spagnolo del 1936. Quanto al "diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro" nel Vangelo non si insegna a dividere l'umanità, semmai a riconciliarla sacrificandosi per la pace e per la giustizia. Per un'ulteriore documentazione sulla guerra civile spagnola vedansi di BOLLOTEN B., La Guerra Civil Española: la revolución y la contra-revolución, Alianza, Madrid, 1989; e di DE LA CIERVA R., Historia esencial de la Guerra Civil Española, Fenix, 1996. Sulla persecuzione religiosa vedasi per es. CARCEL ORTI V., Buio sull'altare, Città Nuova, 1999.
Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista.
Erano e sono per ora i due sistemi politici piú nobili che l'umanità si sia data.
L'uno rappresenta il piú alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.
L'altro il piú alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.
** Da queste parole si evince chiaramente la fede ideologicamente orientata di don Milani. Una domanda si impone: quando scriveva queste parole lo faceva in qualità di sacerdote, di ideologo o di politico? La Chiesa non ha mai canonizzato alcuna forma di governo e non per scelta politica ma perché tale è la sua prassi: essa vede, discerne, giudica... ma alla luce della sua esperienza e della sua storia millenarie. Canonizzare le scelte politiche, per quanto valide, può rivelarsi alla lunga un errore. Proprio negli anni della contestazione cominciò a manifestarsi la crisi dell'odierno sistema democratico parlamentare, ossia di un sistema che iniziava a perdere i riferimenti ai valori fondanti. Relativizzati tutti i valori in nome del pluralismo oggi cosa resta? La democrazia come mera metodologia di governo? La verità è che la democrazia necessita di alcuni valori universali che sono, piaccia o non piaccia, cristiani. Lo stesso socialismo è una sorta di eresia cristiana. Nessuna democrazia può reggere a lungo se non sulle solide fondamenta della verità e della solidarietà. Ciò detto sorge spontanea un'altra domanda: don Milani conosceva il socialismo? Non quello ideale, quello reale, che nel 1965 dominava ormai piú della metà del genere umano? E se lo conosceva poteva davvero dire in buona fede che è "il piú alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri"? Forse nel 1965 si sarebbe potuto dire "ai posteri l'ardua sentenza" ma nel 2006 possiamo e dobbiamo dire no! Fu - come tutte le arroganti rivoluzioni della storia umana - una follia e una smisurata menzogna che portò alla morte 80 milioni di esseri umani e contribuí a trascinare il mondo intero sull'orlo dell'olocausto nucleare. È inutile insistere sui principi e sui valori fondanti quell'ideologia; a nulla vale vantarne la vaga rassomiglianza con il cristianesimo: settanta anni di storia, di applicazione concreta dell'ideologia, in ogni angolo del mondo, hanno dato sempre lo stesso identico esito: dittatura sanguinaria e crudele, basata sulla violenza e sul sopruso delle armi e - quale che sia la classe realmente egemone - vile tirannia. Fu significativo al riguardo il detto di Mao, figura cosí in voga negli anni '60: "Il potere risiede nella canna del fucile"! È singolare, infatti, il connubio che ha sempre legato il comunismo al militarismo più spinto. Forse solo in Italia alcune frange di intellettuali e del clero erano convinte del contrario. È un fatto che in quegli anni, mentre in Occidente si predicava il pacifismo, oltrecortina ci si armava oltre misura. Sapeva don Milani che l'URSS spendeva molto piú di 1.000 miliardi l'anno solo per potenziare le sue forze armate? Forze progettate e addestrate proprio in vista della grande invasione dell'Occidente? L'unica cosa che don Milani nel 1965 davvero non poteva sapere è che saremmo vissuti sotto l'incubo della distruzione atomica fino al 1989, ma a ben pensarci il pericolo non è affatto cessato. «Secondo qualcuno - scrisse Montanelli -, è stato il diffondersi dei movimenti pacifisti che ha costretto le classi dirigenti di tutto il mondo a prendere atto della ribellione delle coscienze a qualsiasi forma di violenza. (...) L'ipotesi è un'autentica bufala molto facile da smascherare. I conflitti che fin qui insanguinavano il mondo si svolgevano in terre e latitudini in cui di pacifismo non c'era neanche l'ombra. La propaganda e i movimenti pacifisti attecchiscono e si sviluppano nei paesi democratici dove la pace c'è già. Una volta che alcuni loro adepti italiani vollero andare a propagandarli nella Russia di Breznev furono impacchettati e rispediti al mittente» (cfr. MONTANELLI I. su Oggi del 31 agosto 1988).
Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi.
Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).
Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono piú avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?
Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.
Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.
Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"?
E una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"?
Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.
** Non si può non definire discutibile il concetto di "guerra giusta" portato da don Milani. Forse che la guerra partigiana fu una guerra tutta ideali e valori o non conobbe atroci nefandezze? La guerra partigiana ebbe crimini e criminali, non fu solo una lotta contro il nazista, fu anche una guerra civile di italiani contro italiani, di comunisti contro cattolici; una storia di vendette, di esecuzioni sommarie e di sopraffazioni. Che dire della storia della Brigata Osoppo? E del triangolo della morte nell'Emilia Romagna? E delle foibe concepite dai partigiani di Tito? Roberto Beretta nell'articolo Stragi partigiane: il triangolo dei preti (Avvenire, 20 gennaio 2004) cita Giampaolo Pansa che nel suo coraggioso best seller Sangue dei vinti (Sperling & Kupfer, Milano 2003) afferma: «Prete uguale a borghese uguale a fascista: per molti, era un'equazione convincente... Stava davvero cominciando un'altra guerra civile. E a tutto campo: partigiani comunisti contro preti, padroni e democristiani». L'ha ribadito recentemente perfino il giornalista Paolo Mieli: «Il numero di preti fatti fuori in quegli anni perché vicini alla Democrazia cristiana è davvero incredibile. Don Pessina, don Galletti, don Donati e tanti altri: non c'entravano nulla con i fascisti, al massimo avevano benedetto qualche salma di fascista ucciso, forse aiutavano la Dc a raccogliere voti... La verità è che furono uccisi da comunisti e che nessun assassino fu denunciato dal PCI. Ciò potrà un giorno essere serenamente studiato? Io spero di sí». Come può dimenticare don Milani che la resistenza al nazismo fu anche l'opera del ricostituito Esercito Italiano? Chi resistette eroicamente a Roma, a Porta San Paolo? Chi combatté al fianco degli alleati a Campolungo, presso Cassino, caposaldo strategico della linea Gustav dal quale i tedeschi impedivano l'avanzata alleata verso Roma? Come non ricordare i 9846 soldati della Divisione Acqui del generale Gandin (FRANCINI M., Quante storie. Fatti, fattacci e fatterelli di vita italiana giorno dopo giorno attraverso i secoli, Frassinelli, Milano, 1985), che a Cefalonia si opposero ai tedeschi finendo tutti fucilati? Come non ricordare nel 1944 il Corpo italiano di liberazione (CIL) agli ordini del generale Giovanni Messe? Ben sei Gruppi di combattimento, che si batteranno sul fronte adriatico, inquadrati nell'VIII Armata britannica. E non fu anche merito dell'Esercito se la Venezia Giulia e Trieste alla fine rimasero italiane? Non può, proprio non può, lo "storico" don Milani, semplificare tutto scrivendo: "Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari". Questa, infatti, non sarebbe storia ma pessima propaganda politica. Come ulteriore documentazione sugli eccidi nell'Emilia Romagna cfr. MARTELLI M., Una guerra e due resistenze. 1940-1946. Opere e sangue del clero italiano nella guerra e nella resistenza su due fronti, 3a ed., Edizioni Paoline, Bari 1977; Martirologio del Clero Italiano nella 2.a Guerra Mondiale e nel periodo della Resistenza (1940-1946), A.C.I., Roma 1963.
Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.
** Ecco un'altra inaccettabile semplificazione: "infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare". Probabilmente non venne mai in mente al Priore di Barbiana che anche quella del militare è una scelta di vita e che anche in tempi di coscrizione obbligatoria molti ufficiali e sottufficiali scelsero la vita militare per ragioni di principio. Ma se anche ci si riferisse solo ai militari di truppa siamo comunque di fronte ad una poco lodevole mancanza di considerazione. Molti accettarono la chiamata alle armi con sincero spirito di dedizione e di fede, sicuri della bontà della causa per la quale erano stati chiamati; molti rischiarono la vita, non con le parole, ma con i fatti. Molti partirono convinti di essere davvero liberatori, non aggressori, e se rimproveri devono essere mossi è giusto che lo siano agli ambienti politici e alle alte gerarchie che li ingannarono, non ai soldati, troppo spesso vittime essi stessi prima ancora che aggressori. Don Milani insiste poi nel rilievo utopico dell'obbedienza militare esaltata - cosí scrive - da tutti i cappellani militari... "senza nemmeno un 'distinguo'". Senza ripetere i rilievi già fatti sulla questione ci si può chiedere cosa sarebbe successo se tutti i cappellani militari avessero predicato, come insegna don Milani, l'obiezione di coscienza, ciò che all'epoca nessuno concepiva nei termini odierni. Forse la Prima e la Seconda guerra mondiale non ci sarebbero state? Hitler e Mussolini non avrebbero preso il potere? Interi eserciti avrebbero obbedito ai loro cappellani piuttosto che ai loro superiori disertando in massa? Non si può non rilevare come quelle di don Milani siano solo ingenue utopie. Forse che i soldati, nella guerra balorda di trincea del Primo conflitto, almeno agli inizi, non cominciarono spontaneamente a fraternizzare? Forse che soldati inglesi, francesi e tedeschi nelle interminabili attese in trincea non trovarono il modo di incontrare i commilitoni dall'altra parte della barricata? La verità è che la Prima guerra mondiale - forse ancor piú della seconda - fu imposta dai vertici politici e militari sia attraverso l'opera persuasoria della stampa interventista, sia con la forza delle armi. Se fosse stato per quei soldati, per le giovani generazioni della cosiddetta "belle époque", forse la guerra non sarebbe mai scoppiata. Occorre ben altro che la predicazione dei cappellani per eliminare alla radice l'idea stessa della guerra, occorre un'azione che non può essere puramente ecclesiale, ma di tutto il corpo sociale, a livello culturale, politico ed economico, ciò che nel 1915 e nel 1939 non era dato di vedere. Al contrario, paradossalmente, furono un certo pacifismo di maniera e una debolezza politico-militare imperdonabile, a lasciar libero il passo a personaggi come Hitler. Se il mondo occidentale avesse agito con prontezza e decisione già di fronte al riarmo tedesco e alla militarizzazione della Renania forse non avremmo avuto un secondo conflitto mondiale. Ma a don Milani non venne mai in mente che lo strumento militare non serve solo per fare la guerra, può servire anche ad evitarla, a fermare un aggressore o perlomeno ad evitare un conflitto peggiore.
In molti paesi civili (in questo piú civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria piú degli altri, non meno.
Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.
Del resto anche in Italia c'è una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. E proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.
In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei piú?
Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.
Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Piú maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?
** In questo brano don Milani esprime una giusta obiezione scrivendo: "La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose"? Il comunicato dei cappellani peccò certamente di imprudenza e di eccessivo zelo, ma il Priore di Barbiana, piú avanti, si espone con un rilievo assolutamente inaccettabile. Afferma, infatti, che... "Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto"... ma poi conclude rilevando che... "Piú maturo condannò duramente questo suo errore giovanile". Non ci sono parole per sottolineare l'improponibilità di un siffatto paragone con la figura gandhiana. Il cappellano segue il militare in quanto persona umana e cristiana, a maggior ragione se malato, ferito o moribondo, qualunque sia il governo al potere e chiunque abbia il comando delle Forze Armate. L'interesse del cappellano militare è verso la persona e le sue esigenze umane e spirituali, non verso la politica. Egli non può seguire o abbandonare le persone al loro destino a seconda degli orientamenti politici dominanti. La presenza del cappellano nelle strutture militari non può essere intesa in alcun modo come un avallo al regime politico o alla guerra o al militarismo, tanto quanto la presenza dei cappellani nelle carceri non può essere scambiata come un avallo al crimine. La presenza della Chiesa nel mondo carcerario non implica certo alcuna approvazione della delinquenza ma solo una vicinanza all'uomo perfino nelle situazioni piú difficili e disperate. Tale appunto è la missione del cappellano militare, sia in tempo di pace, sia - a maggior ragione - in tempo di guerra. Desta perlomeno meraviglia che don Milani prenda come esempio la persona di Gandhi. Non che egli non abbia avuto i suoi meriti e che il suo messaggio non sia meritevole di attenzione - al contrario - tuttavia il modello e l'esempio del sacerdote può essere solo quello di Cristo, la sua norma può essere solo quella del Vangelo, insieme al riferimento imprescindibile al magistero della Chiesa. Molto probabilmente - se e quando Gandhi proferí tali parole - lo fece appunto da autentico patriota qual era, amante della causa dell'India. La sua autocritica molto probabilmente era rivolta non tanto al fatto di aver aiutato dei soldati feriti o morenti in sé, quanto al fatto di aver combattuto fra le file di un'Inghilterra violentemente imperialista, riconoscendola cosí implicitamente, in certo qual modo, quale patria legittima per tutti gli indiani. Ecco perché il paragone gandhiano, vista appunto la sua missione, è assolutamente improponibile.
Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!
Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.
Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.
Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.
Lorenzo Milani sac.
** Al termine dello scritto don Milani trae una conclusione ben piú ampia delle premesse mettendo in bocca ai cappellani toscani ciò che essi non scrissero, né certamente intesero mai: ""dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento cristiano dell'amore""!
Sarebbe opportuno chiedersi quale fosse pure lo spirito di don Milani, considerando che purtroppo ad alcune idee valide non sempre seppe unire una prassi illuminata. La confusione che egli addebitava ai cappellani toscani purtroppo fu anche la sua quando non si avvide che assieme al vuoto conformismo di quell'epoca egli, con la sua azione, stava minando alla base non pochi di quegli stessi valori che pure intendeva promuovere.
Vittima di un'epoca tormentata e perfino crudele, egli ebbe il coraggio della contestazione, seppe pagare di persona, ma non seppe farlo con quello spirito di comunione che avrebbe potuto portare a compimento la sua opera. Ma la sua - è risaputo - fu piú un'epoca di accanita contrapposizione che di riconciliazione; di dialettica viziosa fra tesi e antitesi piú che di dialogo e di incontro. Anche per questo la sua controversa figura fini con il portarne dolorosamente tutto il peso.
Processo a don Milani dopo una denuncia per apologia di reato, presentata da un gruppo di Ex Combattenti
Nel processo, tenutosi a Roma il 15 febbraio 1966, il priore venne assolto, ma su ricorso del Pubblico Ministero il 28 ottobre 1968 la Corte d'appello, modificando la sentenza di primo grado, lo condannò.
La Lettera ai giudici
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch'io possa venire a Roma perché sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza.
La malattia è l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è proprio l'accusa che mi si fa in questo processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Il difensore
Una precisazione a proposito del difensore.
Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere né come avvocato né come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.