Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo: Donna sapiens

Messaggioda Sixara » dom set 14, 2014 10:49 am

El tema de la 14.ma Giornata Europea della Cultura Ebraica l è :
DONNA SAPIENS LA FIGURA FEMMINILE NELL'EBRAISMO

Guida per i curiosi
Custode della famiglia e delle tradizioni, ma tutt’altro che dedita esclusivamente al ruolo di moglie e di madre: “Donna sapiens – La figura femminile nell’ebraismo” è il titolo della quindicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica, occasione per discutere di un argomento – la tematica “di genere” nel mondo ebraico e nella società circostante – di grande attualità. (...)

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Cuà tute le informasion e i programi de le cità del Vèneto indoe ca se tièn la Jornata de la cultura ebraica. Stàno la cità capo-fila l è Ferara: na storia granda, gran muxeo, gran canposanto

http://www.ucei.it/giornatadellacultura/


( Femene nò tanto sapiens ca ghe fà el verso ai òmeni:)

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Vita e solitudine delle soldatesse israeliane
http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/soldatesse-israeliane/2.html
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Re: Ebraeixmo: Neshamàh

Messaggioda Sixara » lun set 15, 2014 12:41 pm

Na parola ke propio la me piaxe : ànema
NESHAMAH
Neshamàh è la parola comunemente usata nella lingua ebraica per “anima”. Essa fa riferimento alla qualità essenziale dell'individuo, la sua più vera identità. In yiddish “a gute neshomeh” indica “una persona di buon cuore”, “a teyere neshomeh” è “un'anima bella”, una persona dalla sensibilità non comune o di eccezionale pietà.
Nella Bibbia non vi è un concetto chiaro dell'anima come qualcosa distinta dal corpo. La parola neshamàh in realtà significa “respiro”, sostantivo derivato da n-sh-m, “respirare”. Viene usata per la prima volta in Genesi 2:7, quando Dio “ispirò il soffio della vita (nishmàt chayyìm) nelle narici di Adamo. Essa venne perciò ad indicare “la forza vitale” o “lo spirito che dà vita” nei diversi contesti biblici.
Nell'epoca rabbinica, in parte sotto l'influsso ellenistico, l'ebraismo sviluppò un concetto completo di anima. La neshamàh, un dono restituito giornalmente dall'“alto”, è inviata da Dio a dimorare nel corpo, la cui origine è terrena. Una preghiera recitata quotidianamente afferma la purezza originaria di ogni anima e dichiara che un giorno Dio la riprenderà e così terminerà la vita. Ma quella stessa preghiera afferma che l'anima sarà restituita quando i morti risorgeranno alla fine dei tempi. I rabbini credono che ogni anima sia contemporaneamente unica ed eterna (`olam ha-ba). Tra la morte e la resurrezione (dopo un periodo di purificazione della durata di un anno, reso necessario se si è peccato) l'anima dimora nel “Giardino dell'Eden”, dove Dio si reca ogni sera “per trarre gioia dalle anime dei giusti”.
Neshamàh si alterna, nelle prime fonti, con altri due termini che indicano l'anima: néfesh, che significa “sé”, e rùach o “spirito”. Infine néfesh, rùach e neshamàh (che, talvolta, nella letteratura vengono raggruppate nell'acronimo NaRaN) finirono per essere considerate come tre dimensioni o “livelli” dell'anima. Nel Medioevo quest'idea venne collegata alle varie teorie neoplatoniche o aristoteliche della tripartizione dell'anima, con néfesh a rappresentare l'anima inferiore, seguita da rùach e da neshamàh.
I qabbalisti consideravano l'anima come una reale “parte del Dio superno”; ciò che Dio soffia in Adamo è la presenza del Sé divino. Niente di ciò che gli uomini possono fare sarà in grado di sradicare questa Presenza divina dai più profondi recessi del cuore di ciascun individuo. Alcune fonti cercano di limitare il possesso della neshamàh, o anima divina, agli ebrei, ma ciò è incompatibile con la fede in un'unica universale discendenza da Adamo ed Eva e pertanto contraddice gli insegnamenti basilari dell'ebraismo (tzélem Elohìm). Il verso conclusivo del Salterio (Salmi 150:6) fa anch'esso riferimento alla neshamàh e può essere così tradotto: “Possa ogni respiro lodare Dio “ o “Che ogni anima lodi Dio. Halleluyah!”.

NaRaN le trè dimension de l ànema... intaresante :D na vixion psicanalitica ante-post..

Cueo ca dixe Leo Rosten so Neshùma n yiddish :
"Dall'ebraico Neshamàh, anima : 1. anima; 2. alito, fonte di vita; 3. anima, nel senso di essere umano mortale.
(...) in epoca biblica non esisteva una distinzione precisa fra anima e corpo. In seguito neshamàh venne a indicare quella parte dell'uomo che non è corporea, bensì spirituale, immortale. ... Dice il Talmud che al momento della creazione del mondo, Dio fece anche le anime individuali; ne consegue la credenza comune secondo la quale nel momento in cui nasce, un bambino/a riceve nel corpo l'anima che gli/le era stato destinato sin dai tempi più remoti.
... Nell'ebraismo ortodosso la fede nella resurrezione ha un posto molto importante: essa è strettamente connessa all'immortalità dell'anima o neshùma.
Con ciò non che l'ebraismo dimostri un certo disagio verso la carnalità del corpo o che lo consideri radicalmente impuro : dice infatti la tradizione che il corpo umano è santo in quanto opera, dono, disegno di Dio. Pertanto le funzioni e i bisogni corporei, sempre che siano guidati da modestia e moderazione, non hanno nulla di immorale. Così il pensiero rabbinico affronta la questione sessuale con sorprendente disinvoltura e modernità.
Gli ebrei non hanno mai additato la carne quale colpevole dei nostri comuni peccati. Corpo e anima formano un'unità in cui nessuno dei due è più puro o malvagio dell'altro. Quando una persona sbaglia la colpa è tanto del primo quanto della seconda."

Tegnemose da conto el corpo e l ànema, ke i xe la stésa roba. Santi tuti do.
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Re: Ebraeixmo: Olàm

Messaggioda Sixara » mar set 16, 2014 10:33 am

Naltra bèa parola : Olàm - Olamòt

Olàm
Solitamente tradotto come “mondo” o “universo”, il termine `olam ha un significato complesso che investe il rapporto spazio-tempo. Qualche volta il significato sembra essere, in modo molto chiaro, quello spaziale o geografico. Nella formula della berakhàh, mélekh ha-`olam viene solitamente tradotto “Re” o “Sovrano dell'universo”. Altrove, tuttavia, il termine è chiaramente riferito al tempo. Le-`olam, per esempio, significa “per sempre” e me-`olam di solito significa “sempre, sin dall'inizio”. In molti casi, tuttavia, il lettore viene lasciato in un'affascinante ambiguità. L'espressione che troviamo nel libro di preghiere: me-`olam ve-`ad `olam attàh El, significa “Tu sei stato e sarai Dio per sempre” o, piuttosto, “di mondo in mondo - anche se noi passiamo da un mondo ad un altro - Tu sei Dio”? Entrambe le interpretazioni sono assai plausibili.
Gli antichi rabbini parlavano di due `olamòt, questo mondo e il prossimo, o “il mondo a venire”, `olam ha-ba. Nella letteratura rabbinica, piuttosto vaga riguardo alle cose future,`olam ha-ba può riferirsi sia alla nostra esperienza della vita ultraterrena o al mondo reso perfetto che deve “ancora venire” nell'era messianica.
I mistici ebrei parlano di quattro `olamòt o “mondi”, che insieme costituiscono la realtà spirituale. Questi sono, in ordine discendente, atzilùt, il Mondo della Emanazione o della divinità stessa; beriàh, il Mondo della Creazione ovvero l'oggetto dell'esperienza mistica; yetziràh, il Mondo della Formazione ovvero il regno degli angeli; `asiyàh, il Mondo dell'Azione ovvero il regno degli uomini. La realtà fisica, secondo la maggior parte dei qabbalisti, è esterna a questi quattro mondi, ma sorretta dalle fonti d'energia che fluiscono attraverso `asiyàh. Nelle diverse concezioni qabbalistiche, il numero dei mondi è, di solito, molto più elevato, e può arrivare alle migliaia. Questo parlare di “mondi” molteplici nelle antiche fonti qabbalistiche presenta interessanti analogie con alcune sfere di azione contemporanee. Per la psicologia, i numerosi “mondi” sono un'esteriorizzazione dei molteplici livelli o aspetti della coscienza che coesistono l'uno con l'altro.
Per l'astrofisica, invece, essi rappresentano una parte degli svariati tentativi da parte dei pre-moderni di immaginare la vastità dello spazio e del tempo, tentativi che adombrano la consapevolezza di altri sistemi solari o perfino di altre dimensioni, non fisiche, dell'esistenza.

Olamòt... miliàri de mondi posibìli drento e fòra ... parké nò? :D
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Re: Ebraeixmo : Nitzavim Vajelech

Messaggioda Sixara » gio set 18, 2014 1:32 pm

Nitzavim-Vajelech

(Deuteronomio 29,9 - 31,30) Dio rinnova il suo Patto con Israele ripetendogli la promessa di benedizione se si comporterà secondo la Legge, e di maledizione, sterilità e dispersione, se se ne discosterà e Lo abbandonerà per prostituirsi agli idoli; ma esorta il popolo a scegliere il bene, e di conseguenza la vita. Prevede, comunque, che anche se Israele si meriterà l'esilio e la dispersione, si pentirà dei peccati commessi ed Egli lo perdonerà e lo ricondurrà nella Terra dei padri. Mosè designa ufficialmente come suo successore Giosuè che con l'aiuto di Dio, che gli resterà vicino, condurrà il popolo alla conquista della Terra. Quando i figli d'Israele si saranno insediati nel paese, ogni sette anni, durante l'anno sabbatico, in occasione della festa di Succoth, verrà letta pubblicamente, dinanzi a tutto il popolo e ai forestieri, la Torà. Il Signore ordina a Mosè di scrivere un cantico che sia di testimonianza per le generazioni future del Patto stretto con Dio.

All'inizio della Parashà il Signore ordina a Mosè di radunare tutto il popolo di Israele per rinnovare il Patto stretto con Abramo, Isacco e Giacobbe ed enumera con dettagliata minuziosità tutti coloro che dovranno comparire dinanzi a Lui e saranno quindi compresi nel Patto: “I vostri capi, le vostre tribù, i vostri anziani, i vostri ufficiali, tutti gli uomini di Israele, i vostri bambini, le vostre mogli, lo straniero che è in mezzo al tuo campo... E non con voi soltanto, Io faccio questo Patto e questo giuramento, ma con tutti coloro che stanno qui oggi davanti al Signore Dio nostro, e con coloro che non sono qui oggi con noi” (29,9-14).
Nessuno viene quindi escluso dal Patto, neppure gli stranieri che si sono uniti al popolo o che compiono dei lavori presso di loro, e “coloro che non sono qui con noi oggi”: un'allusione, certo, a tutte le generazioni future spiritualmente presenti in quel momento, e moralmente impegnate a rispettare il Patto in futuro! Ma non dimentichiamo che la realizzazione di un mondo, di una società migliore, non si esauriscono nell'esecuzione della Legge da parte del solo popolo ebraico, perché non c'è pace per Israele se non c'è pace nel mondo, così come non c'è pace nel mondo se non c'è pace per Israele: la prospettiva messianica abbraccia “tutte le famiglie della terra” ed è indispensabile che la pace e l'armonia regnino nel mondo intero, che la Legge e la giustizia siano applicate dal mondo intero, se vogliamo vedere la realizzazione della promessa implicita nel Patto; possiamo auspicare quindi che le parole “E tutti coloro che non sono con noi oggi” sottintendano non soltanto l'impegno delle future generazioni di Israele, ma l'accettazione e l'attuazione da parte dell'umanità intera dei princìpi morali comandati dall'Eterno.
(...)
Mosè è un uomo di fede. Egli afferma: “Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio e quelle rivelate toccano a noi e ai nostri figli in eterno onde possiamo attuare tutte le parole di questa Legge” (29,28). In queste sue parole traspare la speranza che il popolo, quel popolo a cui ha dedicato la vita per insegnargli un nuovo modo di essere, riesca ad evitare gli errori e le conseguenti punizioni. E a questo scopo, in quelli che sono gli ultimi giorni della sua vita così come gli aveva preannunciato Dio stesso: “Ecco, il giorno della tua morte si avvicina” (31,14) non si stanca di attirare l'attenzione del popolo sull'importanza dell'obbedienza totale all'Eterno, perché “questo precetto che Io oggi ti comando non è troppo in alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo perché tu dica: `Chi salirà per noi nel cielo e ce lo recherà...'. Non è al di là del mare perché tu dica: `Chi passerà per noi al di là dal mare e ce lo recherà...'. Invece questa parola è molto vicina a te: è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica!” (30,11-14).
È vero: non sempre il popolo ebraico è stato in grado di osservare una Legge che “non era al di là del cielo” e neppure “al di là del mare, ma sulle sue labbra e sul suo cuore”. Questa Legge, comunque, non l'ha mai dimenticata.
(...)
Le mizwoth potrebbero essere paragonate ai mattoni su cui le nostre case vengono edificate e rese solide. Dobbiamo evitare di fare come quei due operai che costruivano ciascuno una casa. Uno dei due era tanto preoccupato di renderla solida e stabile, che continuava ad aggiungere mattoni, e ancora mattoni, e ancora mattoni. L'altro era talmente preoccupato di renderla comoda ed elegante, che continuava a togliere mattoni, e ancora mattoni, e ancora mattoni.
Finché ambedue le case crollarono: una sotto il peso dei mattoni, l'altra per mancanza di strutture portanti.

http://www.giuntina.it/Parasha/

No l è par delà del mare e gnanca par desora del çèlo... :)

e cavare/metare pière no serve a gnente
http://digilander.libero.it/adveniat/02/fed_li21.pdf

e gnanca tirar sù MURI

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parké Dio nol gà dito de fare el pato solo ke lori.
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Re: Ebraeixmo: Rachamim

Messaggioda Sixara » ven set 19, 2014 12:39 pm

Rachamim : la madrexia
“Compassione” o “misericordia” sono le abituali traduzioni di rachamìm. Si tratta dell'amore e della cura per chi si trova in stato di necessità, in particolare del tipo di amore che un genitore potrebbe avere per un figlio ribelle e tuttavia bisognoso di aiuto.
Rachamìm è, dal punto di vista etimologico, collegato alla parola réchem, “utero”. È pertanto corretto supporre che c'è in esso un qualche accento materno, equivalente alla compassione che una madre avrà sempre per il figlio che ha generato. Ma, nella liturgia ebraica, esso è anche associato alla paternità di Dio: “Come un padre prova compassione per suo figlio, così possa Tu, o Signore, avere per noi...”.
Il Dio-padre tradizionalmente descritto dai rabbini è Colui che lotta tra i Suoi impulsi emotivi, rappresentati con formulazioni impersonali sotto l'aspetto di rachamìm, e l'aspetto del din*. Il din richiede la punizione dell'uomo per i suoi peccati, sapendo che è per il suo bene e per il bene della società. Rachamìm invita Dio alla misericordia e al perdono a qualunque prezzo. Dio sicuramente ama la Legge, ma è necessario ricordarGli che Egli ama le Sue fragili creature umane perfino più della Legge.
Talvolta din viene descritto come l'effettiva collera divina, e Dio chiede l'aiuto dell'uomo per superare la Sua ira così da poter fare ciò che Egli sa che è giusto: trattare i suoi figli con misericordia. In queste situazioni vediamo riflesso l'antico retaggio biblico di un Dio (e di una razza umana!) che lotta con furore, pronto a scagliarsi contro i peccatori a meno che un personaggio come Mosè non possa trattenere la mano dell'ira. Questa rappresentazione della Deità è stata molto ridimensionata nell'epoca rabbinica, ma non è totalmente assente.

A cadarìa sì ricordarGhelo - ogni tanto - k El dovarìa starne drìo on fià depì, a naltri ca semo le so creature, cusì come k El ghe va drìo a la Lèje.
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Re: Ebraeixmo: Rùach ha- Qòdesh

Messaggioda Sixara » sab set 20, 2014 4:56 pm

El SpiritoSanto l axolàva xà da mò pardesora de le xènti...

Lo “Spirito Santo” o rùach ha-qòdesh non è, nell'ebraismo, un elemento o un'entità specifica all'interno della divinità. Esso indica piuttosto la presenza di Dio tra gli uomini, ed è più agevolmente espresso con “ispirazione”.
Le antiche scritture rabbiniche non fanno una chiara distinzione tra “profezia” e rùach ha-qòdesh. Esse sembrano seguire strettamente il testo biblico, laddove si parla di uno spirito tra i profeti che li possiede, passando talvolta dall'uno all'altro (1 Samuele 16:14, 2 Re 2:29). Il profeta è spinto a seguirlo ovunque esso lo guida (Ezechiele 3:14, 11:24). Fonti ebraiche più recenti, tuttavia, situano il rùach ha-qòdesh su un livello più basso rispetto alla profezia (navì). I Ketuvìm (gli Agiografi o “scritti sacri”), la terza parte del Tanakh, furono scritti sotto ispirazione del rùach ha-qòdesh e includono i Salmi attribuiti a David e, attribuiti a Salomone, i Proverbi (Mishlé), l'Ecclesiaste (Qohélet) e il Cantico dei Cantici (Shir ha-Shirìm).
La presenza ispiratrice del rùach ha-qòdesh continua a dimorare nel mondo anche dopo che la profezia ufficiale venne sospesa dopo la distruzione del Tempio. Di tanto in tanto i rabbini fanno riferimento alla presenza dello Spirito Santo nella casa di studio. È questo Spirito che rende possibile la Presenza divina nel procedimento halakhico in via di sviluppo, che utilizza il precedente legale e il ragionamento umano per scoprire il volere, ultrarazionale, di Dio.
Anche di alcuni rari individui si è detto fossero in possesso del rùach ha-qòdesh. Talvolta con riferimento ad una fama di chiaroveggenza e alla capacità di predire il futuro; questo era il caso del Ba`al Shem Tov (Rabbi Israel ben Eliezer, 1700-1760), di sua figlia Odel e di alcuni altri maestri chassidici. In altri contesti può essere usato per descrivere una persona dotata di grande compassione, i cui insegnamenti riflettono una profondità che può essere spiegata soltanto come frutto d'ispirazione divina.
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Re: Ebraeixmo : Haggadàh

Messaggioda Sixara » sab set 27, 2014 12:04 pm

E racconterai a tuo figlio
Haggadàh
L'Haggadàh è il testo usato per il séder, la cena rituale solitamente tenuta in casa le prime due sere di Pésach. La parola Haggadàh significa “racconto” e si rifà al comandamento nell'Esodo 13:8 “e racconterai a tuo figlio” della liberazione dalla schiavitù. Uno dei doveri di Pésach è quello di tramandare il racconto dell'Esodo da una generazione all'altra. Questa narrazione deve avvenire, secondo i rabbini, mentre la cena di Pésach, che comprende la matzàh e le erbe amare, è messa in tavola davanti a noi. Il testo odierno dell'Haggadàh è derivato da un midràsh molto antico, di cui alcuni elementi risalgono al primo o secondo secolo a.e.v. L'Haggadàh si è evoluta e sviluppata nei secoli fino a quando l'invenzione della stampa ha interrotto questo processo, portando ad una standardizzazione del testo. L'Haggadàh è stata uno dei libri ebraici più frequentemente stampati; i collezionisti di rare Haggadòt posseggono migliaia di edizioni. È anche il classico della letteratura ebraica che è stato più ampiamente illustrato, sia nei manoscritti miniati sia nella gran varietà delle edizioni a stampa, antiche o recenti. Mentre la recitazione alla lettera del testo dell'Haggadàh divenne la norma in molte famiglie tradizionali, il testo serve, idealmente, anche come un punto di partenza per la discussione intorno alla tavola del séder. Affinché il comandamento del “raccontare” sia adempiuto, è necessario che anche i bambini vengano inclusi nella conversazione in modo tale che il ricordo della persecuzione, dell'esilio e della liberazione diventi importante e pieno di significato per loro.

Le 4 domande del MAH Nishtanàh:
http://www.shalom.it/J/index.php?option=com_content&task=view&id=1266&Itemid=49

Quattro! Chi lo sa? le domande ca ghe se fà ai putìni la sìra del Séder

1. UNO, chi lo sa?
Io lo so. Uno è il nostro Dio in cielo e in terra.
...

Uno chissà?
Uno chi sa? E Uno che io lo so. Uno è Dio che in cielo è. Uno fu ed uno è.

Due chi sa? E Due che io lo so. Due le tavole della Legge, uno è Dio che in
cielo è. Uno fu ed uno è.

Tre chi sa? E Tre che io lo so. Tre padri nostri son, Avram, Itzchak e Iahakov,
due le tavole della Legge, uno è Dio che in cielo è. Uno fu ed uno è.

Quattro chi sa? E Quattro che io lo so. Quattro madri di Israel, Sarà, Rivkà,
Rachel e Leà, tre padri nostri son, Avram, Itzchak e Iahakov...

Cinque chi sa? E Cinque che io lo so. Cinque libri della Torah, quattro madri
di Israel, Sarà, Rivkà, Rachel e Leà, tre padri nostri son...

Sei chi sa? E Sei che io lo so. Sei libri della Mishnà, cinque libri della Torah,
quattro madri di Israel, Sarà, Rivkà, Rachel e Leà, tre padri nostri son...

Sette chi sa? E Sette che io lo so. Sette giorni con lo shabbat, sei libri della
Mishnà, cinque libri della Torah, quattro madri di Israel...

Otto chi sa? E Otto che io lo so. Otto giorni per la milà, sette giorni con lo
shabbat, sei libri della Mishnà, cinque libri della Torah, quattro madri...

Nove chi sa? E Nove che io lo so. Nove i mesi della partoriente, otto giorni
per la milà, sette giorni con lo shabbat, sei libri della Mishnà, cinque...

Dieci chi sa? E Dieci che io lo so. Dieci sono i comandamenti, nove i mesi
della partoriente, otto giorni per la milà, sette giorni con lo shabbat...

Undici chi sa? E Undici che io lo so. Undici sono i cochavim (le stelle di
Giuseppe), dieci sono i comandamenti, nove i mesi della partoriente, otto...

Dodici chi sa? E Dodici che io lo so. Dodici sono le tribù, undici sono i
cochavim, dieci sono i comandamenti, nove i mesi della partoriente...

Tredici chi sa? E Tredici che io lo so. Tredici sono le middot (gli attributi di
Dio), dodici sono le tribù, undici sono i cochavim, dieci sono i comandamenti,
nove i mesi della partoriente, otto giorni per la milà, sette giorni con lo
shabbat, sei libri della Mishnà, cinque libri della Torah, quattro madri di Israel,
Sarà, Rivkà, Rachel e Leà, tre padri nostri son, Avram, Itzchak e Iahakov, due
le tavole della Legge, uno è Dio che in cielo è. Uno fu ed uno è.

Cuà tuto el testo del Séder
http://www.e-brei.net/uploads/Pesach/AggadahTraslitterata.pdf
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Re: Ebraeixmo

Messaggioda Berto » dom set 28, 2014 7:55 am

New York, ebrei ortodossi ritardano volo: “Non ci sediamo vicino alle donne”
Un centinaio di persone ha impedito per diverse ore il decollo di un aereo diretto a Tel Aviv per il Capodanno ebraico. Uno dei dettami degli Haredi, il gruppo conservatore di cui facevano parte, obbliga alla segregazione tra uomini e donne. Gli altri passeggeri: "Viaggio? Un incubo di undici ore"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 settembre 2014


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... ne/1134372

Un centinaio di ebrei ultra ortodossi ha ritardato la partenza di un aereo perché si rifiutava di sedersi vicino alle donne. E’ quanto accaduto all’aeroporto JFK di New York su un volo El Al diretto a Tel Aviv. Il gruppo di ebrei era diretto in Terra Santa per festeggiare il Capodanno ebraico. Uno dei dettami degli Haredi, il gruppo conservatore di cui sono parte, obbliga alla segregazione tra uomini e donne. Quando il gruppo è salito in cabina si sono rifiutati di sedersi e hanno occupato il corridoio.

Visto che gli ortodossi non volevano prendere posto per non venire meno alle loro osservanze, l’aereo non poteva decollare. Il gruppo di conservatori ha persino tentato di convincere gli altri passeggeri a cambiare posto offrendo loro dei soldi. Ma nessuno ha accettato, il ritardo cominciava a spazientire le persone a bordo e l’equipaggio si è difeso dicendo che l’assegnazione dei posti è automatica una volta prenotato il volo ed era troppo tardi per un cambiamento.

Hostess e comandante sono infine riusciti a convincere i religiosi a sedersi dove indicato dal loro biglietto. Il volo è stato definito da uno dei passeggeri: “Un incubo di undici ore“. Non solo la difficoltà di “gestire” le richieste degli ortodossi ma persino durante il volo, non appena il segnale annunciava che ci si poteva slacciare le cinture, gli uomini “saltavano” fuori dal sedile per radunarsi in piedi, lungo il corridoio, a debita distanza dalle signore. Ciò ha causato una ulteriore difficoltà all’equipaggio che non riusciva a muoversi con i carrelli per servire i pasti.

Oltre alle scuse di rito, la compagnia El Al si è giustificata dicendo che si tratta di uno dei periodi di maggior traffico da e per Israele, ma che comunque verrà fatto ogni sforzo per soddisfare le esigenze di tutti i passeggeri.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebraeixmo

Messaggioda Sixara » dom set 28, 2014 9:29 am

Eh ma l El Al la dovea pensarghe prima a la costion de i ortodòsi, lè mìa na novità :
http://it.wikipedia.org/wiki/Separazione_dei_sessi_nell'ebraismo

Trasporti
Molti membri della corrente ebraica Haredi hanno preso l'abitudine di sedersi in aree separate durante il viaggio. Ciò varia da astenersi di sedere vicino a membri del sesso opposto, fino ad usare veicoli completamente separati.

La Compagnia aerea El Al ha in progetto di organizzare voli con separazione dei sessi o a sesso unico per gli haredi che osservano tale pratica discriminatoria.

Tuta colpa de Zacarìa :(

Nel Talmud, i saggi Amoraim Abba Arika spiega che il separatore si originò da una dichiarazione fatta dal profeta Zaccaria in merito al lutto dopo la guerra tra Gog e Magog:

« Farà il lutto il paese, famiglia per famiglia: la famiglia della casa di Davide a parte e le loro donne a parte; la famiglia della casa di Natàn a parte e le loro donne a parte; la famiglia della casa di Levi a parte e le loro donne a parte; la famiglia della casa di Simeì a parte e le loro donne a parte; così tutte le altre famiglie a parte e le loro donne a parte". » (Libro di Zaccaria 12:12-14 [1] )

El separatore ke i se riferìse el sarìa kel divixorio te le sinagòghe ca divide le dòne da i òmeni
http://it.wikipedia.org/wiki/Mechitza

Da lì n là tuto on a parte... a parte, a parte, a parte... tìrte n parte femena :D
( a ghè gnente da ridàre, a lo sò)

La rejsta Rama Burshtein la ga fato on film so Israele e le regole dell'amore (ultra -ortodosso), intitolà Fill the void, n italiàn La sposa promessa:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/23/sposa-promessa-israele-e-regole-dellamore-ultraortodosso/423774/
on film intaresante, a lo gò visto da poco; Fill the void... ke sarìa inpinìre on vòdo lasà da la morte de la prima mojère - còsa de mèjo ke maridarse co so-sorèla?

Dognimodo : mi personalmente, no so' contraria a la mechitza e nò solo ke te i luoghi de culto... anca tuti kei altri posti publici dixen, soradetuto i BAGNI . Se pòe intendarla cofà discriminante sta maniera cuà, ma anca cofà preservante. Dipende.
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Re: Ebraeixmo: Perùsh e Parshanùt

Messaggioda Sixara » gio ott 02, 2014 10:01 am

Zontarghe senpre calcòsa : l antica arte ebraica del commento

Perùsh e Parshanùt
Perùsh significa “commento”, parshanùt è l'azione di scrivere un commento, oppure la letteratura esegetica presa nel suo complesso.
Nessuna forma letteraria è così tipica dell'ebraismo come quella del commento. Dai primissimi tempi post-biblici le opere ebraiche hanno preso la forma del commento al testo biblico. Questo procedimento inizia, in realtà, con la Bibbia stessa, da cui scrittori più tardi traggono dei temi trattati da autori precedenti e li commentano, spesso ristrutturando il contesto o per mezzo di lievi cambiamenti. I Manoscritti del Mar Morto, scritti soprattutto nel secondo secolo a.e.v., contengono già dei commenti biblici, il che dimostra come il commento fosse già ben in atto mentre l'era biblica si avvicinava alla fine.
La letteratura del Midràsh è il primo e più importante strato del commento alla Bibbia ebraica. Parallelo e in gran parte contemporaneo ad esso è il Targùm, una serie di traduzioni e parafrasi, in aramaico, del testo biblico, che contiene importanti esempi di commento.
L'inizio del Medioevo segnò un tentativo degli ebrei (in parte dovuto all'influenza della cultura araba) di evitare le interpretazioni fantasiose del Midràsh e tornare al peshàt, il significato semplice, letterale, o semplice scopo della Scrittura. Fu in questo campo che la letteratura conosciuta come parshanùt iniziò a svilupparsi, e di essa facevano parte i famosissimi commenti del rabbino francese Shelomòh ben Yitzchaqì (1040-1105), conosciuto anche come Rashi, di Rabbi Abraham ibn Ezra, spagnolo ma che in seguito visse anche in Francia e in Italia (1089-1164), e di Rabbi Moshé ben Nachman (1194-1270), anch'egli spagnolo, chiamato anche Ramban. Centinaia di autori meno conosciuti scrissero commenti in questo stesso periodo. Soltanto alcuni dei più prolifici scrissero su tutta, o quasi, la Scrittura, la maggior parte scrisse commenti sulla Toràh, su uno o più dei cinque rotoli (meghillàh), o su qualche altro libro biblico di particolare importanza.
Poiché sia il Talmùd che il Midràsh finirono per essere considerati come testi sacri, divennero essi stessi oggetto di commenti. I commenti sul Talmùd ebbero inizio spesso con delle note scritte da uno studioso a margine della sua copia di un particolare trattato, forse con l'intenzione, in un primo tempo, di servirsene per uso esclusivamente personale. Questi venivano pubblicati dai discepoli o dai proprietari delle successive stamperie, come commenti. Il libro di preghiere ed in particolare l'Haggadàh di Pésach erano anch'essi fra i soggetti favoriti dei commentatori.
Con il passare del tempo, apparve evidente che i commenti stessi necessitavano di una spiegazione, e pertanto divennero, a loro volta, oggetto di commento. Queste scritti, conosciuti come commenti ai commenti, sono molto comuni tra le opere tradizionali ebraiche più recenti.
La forma del commento serviva spesso ad un scopo duplice e in qualche modo contraddittorio. Scrivere un commento su un'opera è un atto di convalidazione; indica che l'opera originale è ancora importante e degna di studio. Allo stesso tempo, quello stesso lavoro è re-interpretato dal commentatore, che può ritenersi libero di inserire molte idee nuove in esso sotto l'aspetto dell'interpretazione. Il processo, sempre in sviluppo, del commento fu perciò il tramite migliore che l'ebraismo produsse per agevolare una continua creatività culturale, pur mantenendo la cornice teorica delle sue fonti classiche ed il loro status indiscusso di fonti d'autorità.
Mentre scrivete le vostre note personali ai margini e negli spazi bianchi di questo libro, cosa che io vi incoraggio a fare, sarete impegnati in questa antica arte ebraica del commento. Chissà? Forse qualche generazione futura riscoprirà il vostro lavoro e lo pubblicherà, aggiungendo le vostre parole a quella lunga e ininterrotta catena di tradizione, “la grande voce che non cessa mai di parlare”.

parké , se i se ferma de commentare, la Voxe Granda se ferma anca ela.
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Sixara
 
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