Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 14, 2015 12:30 pm

Apostaxia o ridda o … ente l'Ixlam
viewtopic.php?f=24&t=1327


L’Islam non perde il vizio, condannata a morte una cristiana

http://www.lindipendenza.com/lislam-non ... -cristiana

di GIANNI GIANGI

Meriam Yehya Ibrahim, la 27enne cristiana incinta di otto mesi condannata a morte per impiccagione da un tribunale sudanese con l’accusa di apostasia, avrà un nuovo processo e la nuova sentenza non prevederà la pena di morte. Lo ha annunciato l’ong ‘Sudan change now’ secondo quanto riferito dall’organizzazione Italians for Darfur. Il giudice aveva inflitto a Mariam anche la pena di 100 frustate per adulterio. A difesa della donna nei giorni scorsi erano scese in campo numerose ambasciate dei Paesi occidentali e organizzazioni in difesa dei diritti civili che ne avevano chiesto l’immediato rilascio.

Amnesty International ha ricordato che Mariam Yehya Ibrahim è stata cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, in quanto il padre, musulmano, era assente fin dalla sua nascita. Successivamente la donna si era sposata con uno straniero cristiano, ma il tribunale di Khartoum l’ha condannata anche per adulterio perché il suo matrimonio con un uomo cristiano non è considerato valido dalla ‘Sharia’ e viene per l’appunto considerato un adulterio. Inoltre secondo la Sharia se il padre è musulmano, la figlia è automaticamente musulmana.
Nel corso dell’udienza al tribunale di Khartoum il giudice ha chiesto alla donna di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: “Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma tu continui a non voler tornare all’Islam e dunque ti condanno a morte per impiccagione”, ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna.

Amnesty International (Ai) ha definito “ripugnante” la sentenza con cui oggi un tribunale sudanese ha condannato a morte per “apostasia” e alla fustigazione per “adulterio” una donna cristiana all’ottavo mese di gravidanza. ”Il fatto che una donna sia condannata a morte a causa della religione che ha scelto di professare e alle frustate per aver sposato un uomo di una presunta religione diversa è agghiacciante e orrendo”, ha dichiarato Manar Idriss, ricercatore sul Sudan di Amnesty International. “L’adulterio e l’apostasia – ha proseguito – non dovrebbero essere considerati reati. Siamo in presenza di una flagrante violazione del diritto internazionale dei diritti umani”. Amnesty International che considera Meriam Yehya Ibrahim una “prigioniera di coscienza, condannata solo a causa della sua fede e identità religiosa”, ne ha chiesto il suo rilascio “immediato e incondizionato”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Apostaxia o ridda o … ente l'Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 14, 2015 12:31 pm

Apostaxìa

http://it.wikipedia.org/wiki/Apostasia
L'apostasìa (dal greco ἀπό apò «[lontano] da» e στάσις stàsis da ἵστημι ìstemi «stare, collocarsi») è l'abbandono formale e volontario dalla propria religione (in tale contesto si parlerà più propriamente di apostata della religione). All'apostasia può seguire sia l'adesione a un'altra religione (conversione) sia una scelta areligiosa (ateismo).
In senso stretto, il termine è riferito alla rinuncia e alla critica della propria precedente religione. Una vecchia e più ristretta definizione di questo termine si riferiva ai cristiani battezzati che abbandonavano la loro fede.
Molte religioni considerano l'apostasia un vizio, una degenerazione della virtù della pietà nel senso che quando viene a mancare la pietà, l'apostasia ne è la conseguenza; spesso l'apostata viene fatto bersaglio di condanne spirituali (ad esempio la scomunica) o materiali ed è rifuggito dai membri del suo precedente gruppo religioso.
La Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani riconosce l'abbandono della propria religione come un diritto umano legalmente protetto dal Patto internazionale sui diritti civili e politici poiché la libertà di avere o di adottare una religione o credo necessariamente implica la libertà di scegliere e il diritto di modificare il proprio credo o religione corrente con un altro o con un pensiero ateo.
L'articolo 18 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.»
Malgrado la carta dei diritti umani lo vieti, in alcune nazioni l'apostasia è punita, talvolta è prevista anche la pena di morte.
«Il Comitato osserva che la libertà di «avere o adottare» una religione o credo implica necessariamente la libertà di scegliere una religione o un credo, incluso il diritto di rimpiazzare la propria attuale religione o credo con un'altra o di adottare una visione atea [...] L'articolo 18.2 esclude la coercizione che danneggerebbe il diritto di avere o adottare una religione o un credo, incluso l'uso o la minaccia della forza fisica o delle sanzioni penali per costringere i credenti o i non-credenti ad aderire alle loro credenze religiose e congregazioni, ad abiurare la loro religione o credo o a convertirsi.»
(CCPR/C/21/Rev.1/Add.4, Commento generale Nr. 22., 1993).


Ridda
http://it.wikipedia.org/wiki/Ridda
Ridda (in arabo: ردة) è un termine lingua araba che significa "apostasia dall'Islam".
La ridda, secondo le interpretazioni date dalla maggioranza degli esegeti del Corano, è sanzionabile con la pena di morte: questa, per essere esplicitamente indicata nel testo sacro, è definita "hadd" (nel senso che Dio impone un "limite" all'operato umano). Altre pene che per lo più sono considerate meritevoli di morte sono l'omicidio di un musulmano e l'adulterio conclamato. L'apostata (murtadd), una volta catturato, ha di fronte a sé la scelta tra la morte e il pentimento con ritorno alla fede islamica.
Il Corano non asserisce esplicitamente la necessità della condanna a morte dell'apostata (ad eccezione del verso 4:89), ma afferma che Dio (in Arabo, Allah) disprezza l'apostasia. Vedi i versi 3:72, 3:90,16:106,4:137 e 5:54 direttamente correlati all'apostasia e che non prescrivono una punizione terrena o la morte. Sulla base di questi versi, i musulmani che credono solo nel Corano rifiutano qualsiasi sanzione civile o penale nei confronti degli apostati.
L'ayatollah Hossein-Ali Montazeri, un influente giurista sciita, afferma che non è improbabile che la punizione sia stata prescritta da Maometto agli albori dell'Islam a causa delle cospirazioni politiche contro l'Islam e i musulmani e non soltanto per il cambiare fede o l'esprimerlo. Montazeri definisce tipi diversi di apostasia, tuttavia insiste nel prescrivere la pena capitale per un apostata che mostri ostilità verso la comunità musulmana. Ciononostante, la maggioranza dei giuristi islamici è concorde sulla necessità di seguire comunque l'esempio del profeta, in mancanza di chiare istruzioni riguardo a possibile eccezioni.
Di fatto, molte nazioni islamiche adottano la pena di morte in caso di apostasia.
I hadith (l'insieme delle citazioni attribuite a Maometto e i racconti della sua vita da parte di persone che affermano di esserne state testimoni oculari) includono affermazioni che studiosi musulmani, come lo shaykh Muhammad Ṣāliḥ al-Munajjid, reputano valida giustificazione per irrogare la pena di morte per apostasia. Qui sotto riportiamo soltanto quelle del Ṣaḥīḥ di Bukhari, considerate affidabili dalla grande maggioranza dei musulmani:

Narrato da ʿAbd Allāh: l’Inviato di Dio disse: “Il sangue di un musulmano che confessa che nessuno ha il diritto di essere adorato se non Allah e che io sono il Suo Inviato, non può essere sparso se non in tre casi: in caso di omicidio, nel caso in cui una persona sposata partecipi a un atto sessuale illegittimo e nel caso in cui una persona abbandoni l’Islam (apostata) e lasci [la comunità dei] musulmani” 9:83:17

Narrato da Abū Dharr [al-Ghifārī]: Il Profeta disse, “Gabriele mi ha detto: ‘Chiunque fra voi seguaci muore senza aver adorato nessun altro se non Allāh, entrerà nel Paradiso (o non entrerà nel Fuoco (dell’Inferno)).'" Venne chiesto al Profeta: “Anche se avesse commesso atti sessuali illegittimi o ladrocinio?” Egli replicò: “Anche in quel caso.” 4:54:445
Narrato da Abū Mūsā [al-Ashʿarī]: "Un uomo accettò l'Islam e in seguito ritornò al Giudaismo. Muʿādh b. Jabal venne e vide l'uomo assieme ad Abū Mūsā. Muʿādh chiese: "Cosa c'è che non va con questo (uomo)? Abū Mūsā rispose: "Egli ha accettato l'Islam e quindi è tornato al Giudaismo". Muʿādh replicò: "Non mi siederò a meno che non lo ucciderai (in quanto questo è) il verdetto di Allāh e del Suo Apostolo". 9:89:271
Narrato da ʿIkrima [b. Abī Jahl]: ʿAli [b. Abī Ṭālib] bruciò alcune persone (ipocriti) e questa notizia raggiunse Ibn ʿAbbās,[2] che disse: “Se fossi stato al suo posto non li avrei bruciati, perché il Profeta ha detto: ‘Non punite (nessuno) con la Punizione di Allāh’. Nessun dubbio comunque che li avrei uccisi, perché il Profeta ha detto: ‘Se qualcuno (un musulmano) abbandona la sua religione, uccidetelo’“. 9:84:57
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Re: Apostaxia o ridda o … ente l'Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 14, 2015 12:31 pm

???

L'uccisione dell'apostata non è nel Corano, ma nelle convinzioni delle masse
di Bernardo Cervellera

http://www.asianews.it/notizie-it/L%27u ... -5748.html

I teologi fondamentalisti spingono la convinzione delle masse che si è di fronte ad una rottura dell'Umma, l'unità. Ma, dice Francesco Zannini, professore di Islam contemporaneo presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica (PISAI), tra gli islamici il dibattito è forte.


Roma (AsiaNews) - Il caso del cristiano convertito dall'islam ha rilanciato la questione della pena di morte nei Paesi islamici per apostasia. In realtà, spiega ad AsiaNews Francesco Zannini, professore di Islam contemporaneo presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica (PISAI), la condanna non è nel Corano, ma la gente ci crede, i fondamentalisti soffiano sul fuoco e i governi sono acquiescenti.

In tutte le culture islamiche c'è la condanna e la pena di morte per apostasia?

L'idea di uccidere uno che si converte ad un'altra religione è molto forte a livello popolare e in alcuni stati dove si applica la sharia, e cioè l'Arabia Saudita, l'Iran, alcuni stati della Malaysia… Per il resto, nel mondo islamico si discute moltissimo se è giusto o no uccidere un apostata.

Va detto subito che il Corano non dà indicazioni precise su questo tema. Anzi dice: "Non vi sia costrizione nella fede, perché la retta via si distingue bene dall'errore (Sura 2,256)". Gli altri testi del Corano solo alla larga possono essere interpretati come giustificazione ad uccidere. Essi parlano del far guerra contro i nemici dell'Islam. Ma la maggior parte dei testi che parlano di chi ha rifiutato la fede islamica, dopo averla accettata in passato, parlano al massimo di una punizione di Dio, alla fine della vita, in un giudizio finale. Gli stessi hadith (i detti del profeta),che trattano di questo argomento, non hanno molto peso. Alcuni fondamentalisti come l'imam Qaradawi, che parla su al Jazeera, affermano che è giusta la morte dell'apostata, basta che vi sia un solo hadith che lo dice. Ma altri affermano che non ci si può basare su quei detti per imporre la pena di morte.

Il dibattito è ancora più complicato perché nell'Islam si discute molto anche per definire l'apostasia: nella parola, nel cuore, nei fatti. Vi sono perfino musulmani che vengono giudicati apostati, come lo scrittore egiziano Nasr Abu Zaid o l'intellettuale bangladeshi Taslima Nazrin. In tal caso la questione dell'apostasia diventa uno strumento per eliminare chi non la pensa secondo il pensiero dominante. In ogni caso i fondamenti giuridici e teologici per la condanna a morte sono deboli. Il dibattito è molto forte. Un fondamentalista contemporaneo, Muhammad Al Ghazali, difende la pena di morte per gli apostati. Ma molte organizzazioni egiziane per i diritti umani lo criticano. Altri musulmani libanesi, siriani, egiziani escludono che dal Corano si possa dedurre la necessità di uccidere l'apostata.

Il tema della condanna a morte esiste fin dall'origine o è emerso in questi ultimi decenni con la crescita del fondamentalismo?

In origine il tema dell'apostasia si mescola con il problema politico, di cosa fare con chi non è musulmano, che potrebbe essere una spia del nemico. Questo atteggiamento spietato si rafforza nel periodo di Abu Bakr (il primo califfo). In seguito il califfo Omar non applicherà nemmeno la pena di morte per i nemici dell'islam. Nel diritto successivo si cerca di codificarla. Ma non è mai stata accettata tranquillamente nell'Islam.

Come mai la decisione di far morire l'apostata è diffusa a livello popolare?

Perché è forte il senso dell'unità musulmana, che non si può abbandonare la fede (e questo è sottolineato anche dal Corano). Tutto questo ha portato all'atteggiamento di perseguire gli eretici e gli apostati. Al Hallaj, uno dei più grandi mistici musulmani è stato martirizzato dai suoi stessi correligionari. In questo ha influito pure un uso politico delle condanne per apostasia e la manipolazione delle masse da parte del potere.

Cosa spinge la gente musulmana ad uccidere in nome della fede perfino un familiare che si è macchiato del delitto di apostasia?

In questi casi si mettono insieme due elementi: la fede in senso spirituale e la fede collegata alla compattezza della comunità. Si percepisce l'Islam come totalizzante e perciò chi si sottrae reca danno alla sua crescita. Non è tanto la fede in se stessa, ma il problema dell'Umma, della comunità. L'apostata, il neoconvertito è guardato come uno che distrugge la compattezza sociale della famiglia stessa.
A questo proposito, in Malaysia, si discute sui musulmani modernizzati che "non si comportano come veri musulmani" secondo la tradizione. Alcuni dottori coranici vorrebbero per loro la pena di morte. In Indonesia, invece, grazie al principio della Pancasila (libertà per le 5 religioni), si possono trovare famiglie in cui uno è musulmano, l'altro cristiano, l'altro indù, ecc..
C'è poi il famoso discorso sulla sharia. La sharia è la volontà divina. Ma il fiqh, la giurisprudenza, è basata sull'intelletto umano. Allora fra i musulmani ci si chiede: se non c'è indicazione divina, perché tu uomo ti arroghi il diritto di far leggi?

Che peso ha nel mondo islamico la voce liberale che difende la libertà religiosa?

La voce della tolleranza è presente nelle costituzioni dei paesi islamici, eccetto l'Arabia Saudita, l'Iran e il Sudan. L'Arabia Saudita è giunta perfino a non sottoscrivere la Carta dei diritti dell'uomo, perché non vuole sottostare all'idea della libertà religiosa. Varie costituzioni di paesi islamici proclamano la libertà religiosa, ma poi non la difendono. L'equivoco è che sono miste: hanno una parte che si ispira alla sharia, e una parte che si rifà ai trattati internazionali. E in tutte si afferma che tutte le leggi devono essere basate e ispirate all'Islam. Questo lascia spazio a manipolazioni. Tra le masse poi c'è il soffio dell'islam fondamentalista, che deve difendersi dagli attacchi dell'occidente. I teologi fondamentalisti poi manipolano il Corano: si richiamano alla lotta di Maometto (nel periodo della Mecca) contro i pagani e mettono la lotta contro l'apostasia all'interno della lotta contro il paganesimo e l'idolatria. Questo spiega perchè è giustificato uccidere un occidentale, un cristiano, ma anche un musulmano moderato.

I governi islamici non sono troppo timidi nell'affermare l'indipendenza delle costituzioni dall'Islam?

Certo. I governi islamici hanno paura delle masse e dei fondamentalisti. Le loro costituzioni affermano la sovranità popolare, ma poi dicono che l'Islam deve stare al di sopra di tutto. Questo equivoco lascia la gente nella loro visione tradizionale, scaldata ancora di più dal fondamentalismo, il cui sogno è di sottomettere tutto il mondo sotto l'Islam.

Cosa possiamo fare noi?
Il papa e molti governi hanno domandato la grazia per Abdul Rahman…
Il problema dell'occidente è che si finanziano tante scuole e progetti di cultura, ma non si va a controllare cosa si insegna. In più spesso i finanziamenti vengono lasciati ai governi, che finanziano solo ciò che serve loro a rafforzare il potere e non, per esempio, le voci moderate.
Ciò che è da evitare è una presa di posizione di forza. Le masse musulmane hanno già la percezione che l'Islam è in pericolo. Se si chiede un cambiamento con la forza, si rischia di assecondare questo senso del pericolo che può spingere a chiusura. Occorre che l'appello sia su motivi umanitari e legati a qualche intellettuale musulmano, mostrando che lo stesso Islam difende la libertà di religione.
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Re: Apostaxia o ridda o … ente l'Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 14, 2015 12:32 pm

Ła punision de l’apostata ente l’Ixlam

http://www.r-islam.com/it/ii-vero-islam ... nell-Islam

La punizione dell’apostasia nell'Islam

Molti sostengono che la punizione per chi commette apostasia violi il moderno concetto di diritti umani che assicura a ciascun individuo la libertà di culto. Sostengono inoltre che questa punizione sia in contrasto con quanto Allah l’Altissimo afferma nel Sublime Corano: " Non c’è costrizione nella religione." [Corano2:256].

Risposta :

La Shari'ah decreta la pena dell’esecuzione per chi diviene apostata dopo avere accettato come metodologia di vita l’Islam e rifiuta la fede e le leggi islamiche. Una ben nota tradizione del Profeta (pace e benedizione su di lui) afferma:

"Il sangue di un musulmano è inviolabile eccetto che in tre casi: la persona sposata che commette adulterio, una vita che viene riscattata per un’altra vita, e chi abbandona la sua religione (l’Islam) e la comunità". Trasmesso da Bukhari n. 6935 e Muslim n. 6524

L’Inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) disse inoltre:

"Chiunque cambia la sua religione (l’Islam) uccidetelo". Trasmesso anche da Bukhari e Muslim

Rifiutare il modello di vita islamico dopo averlo accettato, implica una propaganda negativa nei confronti della religione e ignominia per la comunità musulmana in cui l’apostata risiede. Un tale rifiuto non solo scoraggerà la gente ad accettare l’Islam, ma favorirà anche ogni tipo di criminalità ed empietà.

Infatti, una situazione di questo tipo indica che la persona che in precedenza aveva accettato l’Islam e le sue regole non l’avevano fatto seriamente, ma stava semplicemente ‘mettendolo alla prova’; attacchi all’Islam e ribellioni intestine potrebbero esserne conseguenze dirette. Questa è la ragione per cui è stata stabilita questa punizione. E Allah ne sa di più.

Dichiarare il proprio generale rifiuto e miscredenza è inaccettabile secondo le leggi della Shari'ah, perché un tale individuo non rende onore all’impegno sacro preso nei confronti della fede. Egli è più pericoloso e peggiore di chi non crede per niente e che non si è mai convertito all’Islam.

Allah afferma nel Sublime Corano: "Coloro che credettero e poi negarono, ricredettero e poi rinnegarono, non fecero che accrescere la loro miscredenza. Allah non li perdonerà e non li guiderà sulla via." [Corano4:137].È necessario analizzare i seguenti punti sull’apostasia nell’Islam.

Perché venga portata a termine l’esecuzione capitale dell’apostata, è necessario che egli abbia violato le regole basilari dell’Islam e lo abbia apertamente e pubblicamente attaccato con empietà e in maniera sleale.

In tal caso, egli minaccia la base stessa dell’ordine morale e sociale. Questo tradimento può scatenare una rivoluzione e una pericolosa ribellione all’interno della società islamica. È, questo, il tipo di crimine più serio e, in ogni società, è chiamato ‘Alto Tradimento’.

L’apostata che viene condannato ha la possibilità, per tre giorni consecutivi, di rientrare tra i fedeli; studiosi qualificati si siedono con lui per spiegargli il grave peccato che sta commettendo contro la sua anima, la sua famiglia e la comunità e per rimuovere ogni idea sbagliata che l’ha portato a una tale situazione.

Se questa persona ritorna a essere un fedele dell’Islam, allora verrà rilasciato e non subirà nessuna punizione.

In realtà, l’esecuzione capitale di chi commette apostasia comporta la salvezza degli altri membri della società dal male e dalla violenza che si diffonderebbe se un tale individuo fosse lasciato libero di propagare la sua miscredenza ed empietà fra la gente.

Se, però, egli relega il suo stato di apostata e la sua non credenza a un livello privato e personale e non lo afferma pubblicamente e nemmeno lo diffonde, allora il giudizio spetta solo ad Allah e gli saranno applicate le punizioni dell’Aldilà.

Allah conosce meglio di chiunque altro chi crede e chi rifiuta la fede, chi è sincero e chi è un ipocrita. Le autorità musulmane applicano i loro giudizi e le sentenze soltanto su dati di fatto esterni e pubblici e rimettono le realtà intime dell’anima ad Allah.

D’altra parte, questa regola indica che accettare o rinnegare l’Islam è una questione molto seria.

Ogni persona che desideri convertirsi ha il dovere di studiare, ricercare, valutare ed esaminare tutti gli aspetti di questa religione come modello di vita prima di accettarla e di impegnarsi a rispettare le sue norme e i suoi regolamenti.

Una punizione così severa non lascia nemmeno la più piccola possibilità a coloro che vogliono prendersi gioco dell’Islam, sperimentare e comportarsi perfidamente e compiere il peggiore dei tradimenti.

L’Islam non considera il rifiuto della fede come una questione privata, ma piuttosto come qualcosa che nuoce all’intero sistema. Rinnegare è come il seme della rivolta interna e dell’istigazione della ribellione nella società e l’Islam non condona ciò che reca danno e crea confusione nella comunità.

Questa legge contro l’apostasia è in un certo modo simile e allo stesso tempo più moderata di molti sistemi politici moderni che considerano illegale ogni attività di rovesciamento di regime o di governo e quindi la trattano come massimo tradimento, punibile con l’esecuzione capitale, l’esilio, l’imprigionamento e la confisca dei beni personali di tali individui.

Spesso anche i familiari sono sottoposti ad abusi e sanzioni. Al contrario, l’Islam punisce soltanto l’apostata, con un semplice, diretto e decisamente efficace deterrente.

la fonte:
Pregiudizi correnti sui diritti dell’uomo nell’Uslam
Abdur-Rahman ibn Abdul Karim Al-Sheha
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Re: Apostaxia o ridda o … ente l'Ixlam

Messaggioda Berto » mer gen 14, 2015 12:33 pm

???

Morte o libertà per gli apostati? La contro-fatwa dei musulmani liberali

È sempre più accesa tra i musulmani la discussione su come agire nei confronti di chi abbandona la fede in Allah.
L’islamologo gesuita Samir Khalil Samir analizza le posizioni in campo.

In un libro sui convertiti al cristianesimo di Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/42871

ROMA, 30 novembre 2005 – Per i musulmani che si convertono alla fede cristiana la vita non è per niente facile. Anzi, è la loro vita stessa che può essere in pericolo. Nei paesi islamici sono giudicati apostati dalla “migliore comunità che Dio abbia dato agli uomini” e fatti segno di interdetto sociale, che in talune situazioni può tradursi in condanna giudiziaria, fino alla pena di morte.

Anche in Occidente rischiano molto. Per la gran parte di loro la clandestinità è la regola. Da un lato devono occultarsi rispetto alla comunità d’origine. Dall’altro lato non sempre trovano nella Chiesa cattolica quel sostegno che si aspetterebbero. C’è nella Chiesa una tendenza diffusa a non incoraggiare le conversioni dall’islam al cristianesimo: a parole per ragioni di “dialogo”, nei fatti per paura delle reazioni.

Eppure in più occasioni si sono alzate invocazioni d’aiuto, da parte di convertiti dall’islam che dopo il battesimo si sono sentiti “abbandonati”.
In un’intervista di due anni fa alla tv italiana di stato, l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse: “Lo so e mi addolora molto. È il dramma della nostra coscienza cristiana che è insicura di sè. Naturalmente dobbiamo rispettare gli stati islamici, la loro religione, ma anche chiedere la libertà di coscienza di quanti vogliono farsi cristiani e con coraggio assistere queste persone, se proprio siamo convinti che hanno trovato la risposta vera. Non dobbiamo lasciarli soli. Si deve fare tutto il possibile perché possano in libertà e con pace vivere quanto hanno trovato nella religione cristiana”.

A sollevare il velo sulla vita di questi neoconvertiti è arrivato nei giorni scorsi un libro edito da Piemme: “I cristiani venuti dall’islam”.
Gli autori sono Giorgio Paolucci, caporedattore di “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana, e Camille Eid, libanese, specialista del mondo arabo e islamico, fresco autore – tra l’altro – di una inchiesta sui cristiani in Iran pubblicata dalla rivista “Oasis” del patriarcato di Venezia e rilanciata lo scorso 11 novembre da http://www.chiesa.

Il libro – per la prima volta – racconta numerose storie di musulmani residenti in Italia i quali hanno incontrato nei modi più diversi il cristianesimo e, convertitisi, hanno ricevuto il battesimo.

In appendice, i due autori passano anche in rassegna i paesi musulmani, fornendo per ciascuno di essi il grado di minaccia – fino alla condanna a morte – che incombe su chi dall’islam passa a un’altra fede.

Ma, in un’ampia prefazione, il libro esamina anche come la questione viene discussa all’interno all’islam.

Perché anche all’interno dell’islam è in atto un acceso confronto su come agire nei confronti degli apostati, che rimanda al più ampio dibattito sull’interpretazione del Corano e sui rapporti tra politica e fede. Un dibattito animato dai musulmani “liberali”, contrapposti alle posizioni intolleranti espresse dai “radicali”.

Autore della prefazione è Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, docente di storia della cultura araba e di islamologia all’Université Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, fondatore del Centre de Recherche arabes Chrétiennes e presidente dell’International Association for Christian Arabic Studies.

Dall’analisi del dibattito in atto tra i musulmani, padre Samir ricava che le posizioni degli intolleranti sono più fragili di quanto appaia, e che viceversa sono oggi più incisive di ieri le posizioni dei liberali, ai quali l’Occidente e la Chiesa dovrebbero dare più attenzione e sostegno.

Ecco qui di seguito i passaggi principali della prefazione al libro, per gentile concessione degli autori e dell’editore:


L’apostasia nel Corano e il dibattito tra i musulmani

di Samir Khalil Samir, S.J.

Il termine che abitualmente viene utilizzato in arabo per definire la situazione di un musulmano che rinnega l’islam è riddah o irtidad. Chi si rende responsabile di questa scelta è chiamato murtadd, apostata.
Una larga parte dell’opinione pubblica musulmana ritiene che l’apostata debba essere ucciso in virtù di ciò che viene definito “il castigo dell’apostasia”, hadd al-riddah. Nei secoli questa convinzione si è radicata a tal punto che, talvolta, per poter giustificare l’eliminazione di qualcuno, lo si accusava – e tuttora lo si accusa – di apostasia.

Il problema è tornato di stringente e drammatica attualità negli ultimi decenni sull’onda del cosiddetto “risveglio islamico”, per il fatto che i musulmani radicali hanno rivalutato questa pena e chiedono di applicarla a coloro che si convertono al cristianesimo o ad altre fedi religiose, oppure diventano a loro giudizio dei rinnegati. Ho ricostruito una bibliografia provvisoria di ventuno scritti recenti di autori siriani, giordani, egiziani, sudanesi, pakistani e iraniani, o di musulmani residenti in Occidente. La novità sta nel fatto che la questione è dibattuta ormai non solo tra specialisti del fiqh, il diritto islamico, ma anche sui mass media. Gli autori sono pensatori musulmani credenti, ma non necessariamente giuristi.

La vicenda dei “Versetti satanici” di Salman Rushdie ha fatto da detonatore assumendo improvvisamente una dimensione mondiale, a motivo dell’accusa di apostasia lanciata con una fatwa dal grande ayatollah Khomeini, che ha esposto lo scrittore anglo-indiano al rischio di morte.

Altri casi hanno avuto una ripercussione più o meno locale, come quello della scrittrice del Bangladesh Taslima Nasreen, accusata nel 1994 di offesa alla religione e costretta prima a vivere in clandestinità e poi a riparare in Occidente.

In Egitto ricordiamo l’assassinio nel 1992 dell’intellettuale Farag Foda e il fallito attentato nel 1995 contro il premio Nobel per la letteratura Naghib Mahfouz, entrambi opera di gruppi radicali che li accusavano di apostasia.

Ancora più significativa è la vicenda che ha coinvolto il docente universitario Nasr Hamid Abu Zayd, condannato per apostasia nel 1995 da un tribunale del Cairo per aver proposto un’interpretazione storico-razionalista del Corano. In conseguenza di questa decisione è stato decretato lo scioglimento del suo matrimonio, in quanto alla donna musulmana non è permesso mantenere il legame coniugale con un apostata. Temendo di essere ucciso da qualche fanatico, ha scelto di emigrare nei Paesi Bassi dove attualmente vive con la consorte.
Sempre in Egitto, l’accusa di apostasia è stata scagliata nel 2001 contro Nawal al-Saadawi da un avvocato radicale islamico.

I casi accennati sono relativi ad accuse di tradimento della religione musulmana. Ma non meno significative sono le vicende di conversione dall’islam ad altre fedi religiose, in particolare al cristianesimo. Dietro l’intera materia si stagliano alcune questioni di fondo: la libertà di coscienza, il rapporto tra religione e politica nelle società musulmane e, in ultima analisi, la concezione stessa dell’islam: è possibile pensare un islam “laico”, in cui religione e stato siano distinti?

Il problema è aggravato dal fatto che l’apostasia sembra configurarsi come un reato nel quadro dell’interpretazione tradizionale dell’islam fondata sul Corano e sulla sunna, la tradizione islamica. Rimettere ciò in discussione equivale a scuotere le fondamenta stesse dell’islam. Anzi, siccome questo reato viene descritto – secondo i fondamentalisti – nel Corano stesso e negli hadith, i detti del profeta, rimetterlo in discussione equivale ad arrecare un’offesa al valore assoluto del Corano, concepito come sistema che governa tutta la vita del credente, anche in ambito civile. L’apertura della più piccola breccia rischierebbe di far crollare tutto l’edificio intellettuale dei fondamentalisti, divenuti sempre più influenti nelle società islamiche. Criticare questo hadd, questa prescrizione penale del Corano, in nome della modernità equivale a dichiarare implicitamente che il libro sacro non è più valido per i musulmani – e a maggior ragione per i non musulmani – in epoca moderna.




I QUATTORDICI PASSI DEL CORANO

Sia i radicali che i liberali espongono le loro argomentazioni a partire dal Corano. In esso si trovano due termini per indicare l’apostasia: irtadda e al-kufr ba’d al-islam.

Il primo termine, irtadda, significa rinnegare, tornare sui propri passi, e compare in tre versetti. Uno dei più citati è quello della sura della Vacca, 2,217: “Quanto poi a quelli di voi che rinnegano la fede e muoiono da miscredenti, vane saranno le loro opere in questo mondo e nell’altro: finiranno nel fuoco e vi resteranno per sempre”. Gli altri due passi sono la sura della Mensa 5,54 e la sura di Maometto 47,25.

Il secondo termine, al-kufr ba’d al-islam, significa rinnegamento, incredulità o miscredenza dopo aver aderito all’islam. Si riscontra nel Corano undici volte. Il più citato e discusso è questo versetto della sura del Pentimento 9,74: “Giurano per Dio di non aver detto nulla, eppure hanno parlato da miscredenti e dopo aver abbracciato l’islam l’hanno rinnegato. Hanno cercato di attuare un piano che non è loro riuscito, e se l’hanno poi sconfessato è stato solo perché Dio, insieme al suo Messaggero, li ha arricchiti dei suoi favori. Se si convertiranno, sarà meglio per loro; se invece volteranno le spalle, Dio li punirà con un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro; e qui in terra non avranno patroni né difensori”. Gli altri passi sono nella sura della Vacca (2,108-109 e 2,161-162), nella sura della Famiglia di Imran (3,90-91 e 3,177), nella sura delle Donne (4,137 e 4,167), nella sura della Mensa (5,73), nella sura del Pentimento (9,66), nella sura delle Api (16,106) e nella sura del Discrimine (25,55).

Quale punizione prevede dunque il Corano, per gli apostati?
Dei quattordici passi che vi alludono, solo sette parlano di “castigo”, e sempre in riferimento a qualcosa che avverrà nell’aldilà, mai durante la vita. In un caso (2, 217) si parla del fuoco eterno; in un altro (2,161) della “maledizione di Dio, degli angeli e degli uomini tutti insieme”; e in quattro casi (3,91; 3,177; 5,73 e 16,106) di “castigo doloroso”. In un solo versetto, nella sura del Pentimento citata sopra (9,74), viene prescritto “un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro”.
Tutti i commentatori riconoscono la vaghezza di questa prescrizione rispetto alle altre pene coraniche. Infatti, mentre per il furto o per l’adulterio il Corano indica la punizione con estrema precisione (ad esempio, il numero dei colpi di frusta), c’è da stupirsi che per un reato tanto grave come l’apostasia parli soltanto di “un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro”.

Anche gli islamisti radicali riconoscono che il Corano non è esplicito sul castigo dell’apostata.
Uno tra gli intellettuali radicali più rappresentativi, Muhammad Salim al-’Awwa, scrive: “I santi versetti non fanno allusione, né da vicino né da lontano, a un castigo in questo mondo prescritto dal Corano contro chi avrebbe apostatato dall’islam. La sola eccezione è il versetto 74 della sura del Pentimento, che contiene la minaccia di una tortura dolorosa in questo mondo e nell’aldilà. Ciononostante, questo versetto non ci è utile per determinare il castigo dell’apostasia, perché parla del rinnegamento, kufr, degli ipocriti dopo aver abbracciato l’islam. Ora si sa che non è previsto alcun castigo in questo mondo per gli ipocriti, poiché non manifestano il loro kufr ma lo negano e nascondono. Le prescrizioni giuridiche nel sistema musulmano si applicano, infatti, solamente alle apparenze degli atti e delle parole, non a quanto nascondono i cuori e celano le coscienze. [...] Da ciò che precede concludiamo che il sacro Corano non ha precisato un castigo in questo mondo per l’apostasia; ma i versetti che fanno menzione dell’apostasia prefigurano una minaccia di un castigo dell’apostata nell’altro mondo” .

I musulmani di orientamento liberale hanno pubblicato, negli ultimi anni, vari libri che condannano il ricorso a procedimenti giudiziari contro gli apostati. Segnalo, ad esempio, quello dello sceicco egiziano Ahmad Subhi Mansur, intitolato “Il castigo dell’apostasia”, e il libro del siriano Adlabi, intitolato “L’uccisione dell’apostata”. Molte altre prese di posizione vanno nella stessa direzione. E tutti partono del Corano per affermare che esso contiene un orientamento generale favorevole alla libertà religiosa.

I liberali citano anzitutto il fatto che il Corano critica ogni costrizione religiosa. Sono tre i passi più citati in proposito, anche negli incontri tra musulmani e cristiani.

Sura della Vacca 2,256: “Non vi sia costrizione nella religione! La retta via ben si distingue dall’errore”.

Sura di Giona 10,99-10: “Se il tuo Signore l’avesse voluto, tutti gli abitanti della terra avrebbero creduto. E tu vorresti costringere gli uomini a diventar credenti? Nessuno può credere senza il permesso di Dio”.

Sura della Caverna 18,29: “Di’: La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda”.

Le due ultime sure citate sono meccane, corrispondenti cioè al periodo antecedente l’Egira, la migrazione di Maometto a Medina.
Invece il primo testo, quello più famoso, risale all’inizio del periodo medinese, dunque dopo l’Egira, ed è databile attorno all’anno 623.

Questo dettaglio non è privo di importanza. Infatti la tradizione musulmana ha sviluppato la teoria dell’abrogante e dell’abrogato, al-nasikh wa-l-mansukh, secondo la quale certi versetti rivelati al Profeta ne avrebbero abrogati altri rivelati in precedenza. Il punto è sapere se questi tre versetti a favore della libertà religiosa sono stati abrogati oppure no da qualcuno dei quattordici versetti che parlano dell’apostasia, e in particolare da quello più specifico (sura del Pentimento 9,74) che parla di una punizione dell’apostata sia nell’aldilà sia in questo mondo. L’abrogazione è stata talvolta sostenuta da grandi giuristi del passato, in particolare da Ibn Hazm di Cordoba (994-1063), che appartiene alla rigida scuola giuridica hanbalita.

In epoca più recente, l’ex sceicco di al-Azhar, Muhammad Shalabi, commentando Ibn Hazm, ha scritto: “Noi non costringiamo l’apostata a ritornare all’islam, per non contraddire la parola di Dio: ‘Nessuna costrizione in materia di religione’. Ma gli lasciamo l’opportunità di ritornare, volontariamente, senza costrizione. Se non ritorna deve essere ucciso, perché è strumento di sedizione, fitnah, e perché apre la porta ai miscredenti, kafir, per attaccare l’islam e seminare il dubbio tra i musulmani. L’apostata è quindi in guerra dichiarata contro l’islam, anche se non alza la spada di fronte ai musulmani”.

Shalabi intende dire che il “versetto della non-costrizione” non è stato abolito; ma che l’apostata deve essere ucciso ugualmente, in nome di un altro brano coranico, quello della sedizione, fitnah, che viene oggi chiamato dai musulmani radicali “il versetto della spada”, ayat al-sayf, sura della Vacca 2,191-193.
Ecco cosa dice: “Uccideteli ovunque li incontriate e scacciateli da dove hanno scacciato voi, poiché la sovversione, fitnah, è peggiore dell’uccisione. Non combatteteli però presso il Sacro Tempio, a meno che non vi attacchino per primi: in tal caso, uccideteli. Ecco la ricompensa dei miscredenti! Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso. Combatteteli dunque finché non ci sia più sovversione, e la religione sia quella di Dio. Se desistono, non ci siano più ostilità se non contro gli iniqui”.

Dunque, salvo poche eccezioni, i commentatori – anche quelli vicini alle posizioni più radicali – concordano nel dire che i tre versetti a sostegno della libertà religiosa non sono stati abrogati.

È questo che induce i musulmani liberali a sostenere che la linea principale del Corano è favorevole alla libertà di coscienza. Se il Corano parla talvolta dell’apostata, ciò non può opporsi alla linea generale, ma deve essere compreso in questo quadro globale, che è di tolleranza.



I DUE HADITH DI AWZA’I E DI ‘IKRIMAH

Ma allora, su che cosa si basa la pratica tradizionale islamica, se il Corano non stabilisce nessuna punizione specifica contro l’apostata?

Essa si basa su due detti, hadith, del Profeta, instancabilmente ripetuti dai radicali: quello dell’imam Awza’i, e quello di ‘Ikrimah.

Entrambi questi hadith appartengono alla categoria degli hadith al-ahad, cioè dei detti riferiti da una sola persona. In generale, gli ulema considerano non validi questi detti nella definizione delle pene e dei castighi corporali, hudud. Tuttavia, lo sceicco radicale egiziano Yusuf Al-Qaradawi, oggi uno dei più ascoltati nel mondo arabo, fa una difesa di principio di questo tipo di detti trasmessi da un solo testimone, affermando che sono ugualmente validi.

Su che cosa si basano, invece, coloro i quali sostengono che i due hadith non debbano essere presi in considerazione? Riassumerò qui l’argomentazione di alcuni autori, particolarmente quella dello sceicco Ahmad Subhi Mansur che, a mio avviso, ha fatto la migliore analisi storica e giuridica degli hadith in questione.

Per ciò che riguarda l’hadith di Awza’i, Mansur dimostra che egli fabbricò vari hadith per compiacere coloro che detenevano il potere. Nato a Baalbek nel 707, Awza’i era riuscito grazie alla sua abilità a introdursi nella corte di Damasco, non lontano dalla sua città natale, diventando il giurista dei califfi Omayyadi.
Quando, nel 750, gli Abbassidi si impadronirono del potere e fecero il loro ingresso a Damasco uccidendo tutti i dirigenti Omayyadi e i loro cortigiani, Awza’i fu l’unico a uscire indenne da questo sanguinoso cambio della guardia. Possediamo il racconto del suo incontro con il generale Abbasside, riportato dallo storico Ibn Kathir, dal quale emerge la sua personalità opportunistica. È in questo contesto che Awza’i cita il famoso hadith al-nafs bi-l-nafs, vita per vita, che egli fa risalire al Profeta: “Il sangue di un musulmano non è lecito al di fuori di uno di questi tre casi: la vita in cambio della vita, l’uomo sposato che commette adulterio, quello che abbandona la sua religione e si separa dalla sua comunità”.

Secondo Awza’i, Maometto avrebbe dunque affermato che un musulmano può essere ucciso solamente in uno di questi tre casi. Il primo risulta dall’applicazione della legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente, vita per vita. Il secondo, quello dell’adulterio, è in contraddizione flagrante con il testo del Corano riportato nella sura della Luce 24,2, che prevede esplicitamente una pena di cento frustate per l’adultero, ma mai la pena di morte. Il terzo caso corrisponde all’apostasia.

Richiamandosi a questo hadith – che si presenta senza nessuna catena di trasmissione, cosa completamente insolita nella scienza musulmana della tradizione – gli Abbassidi eliminarono i loro oppositori politici.

Aggiungo che nelle oltre 800 pagine della raccolta degli scritti di Awza’i, recentemente pubblicata a Beirut, questo hadith non è riportato. In compenso, se ne trova uno che parla di apostasia, anch’esso citato senza la pur minima catena di trasmissione. Molto curiosamente, riguarda solo la donna. È il numero 1354: “A proposito della donna, se si separa dall’islam, deve essere uccisa” .

Il secondo hadith a cui si rifanno i radicali, quello di ‘Ikrimah, dice: “Chi cambia religione, uccidetelo”. Anch’esso si presenta poco attendibile.

‘Ikrimah, morto nel 723, era lo schiavo di ‘Abdallah Ibn ‘Abbas, cugino di Maometto, e fu liberato dopo la morte del suo padrone. La sua fama deriva dal fatto che si cimentò a trasmettere delle “tradizioni” attribuite a Ibn ‘Abbas, il quale godeva di una grande autorità. Ma egli apparteneva al gruppo politico ribelle dei Kharigiti ed è ricordato dagli scienziati degli hadith per la sua scarsa credibilità e per la debolezza della catena di trasmissione da lui fornita: secondo la sua abitudine, egli fa risalire questo suo hadith a Ibn ‘Abbas, al quale attribuisce centinaia di detti. Inoltre, il contenuto stesso dell’hadith in questione non è in conformità né con la tradizione, sunna, né con il Corano.

In conclusione, le due tradizioni sulle quali si appoggiano i radicali per giustificare la condanna a morte dell’apostata sono entrambe molto discutibili.


UN PRECEDENTE STORICO: LE “GUERRE DI APOSTASIA”

Se dunque né il Corano né la sunna autorizzano l’interpretazione dei radicali, su che cosa essa si fonda?

Tra gli argomenti dei musulmani radicali ve n’è uno di carattere storico. Esso fa riferimento agli eventi noti nella storia musulmana con il nome di “guerre di apostasia”.

I liberali sottolineano il fatto che Maometto non ha ucciso mai nessuno in nome del “crimine di apostasia”. Per due volte, quando i suoi fedeli volevano uccidere un rinnegato, Maometto intervenne per impedirlo.

Si sa che Maometto combatté molte guerre, diciannove secondo la biografia ufficiale scritta da Ibn Hisham, non esitando ad uccidere i suoi nemici o coloro che si opponevano alla sua missione. Se dunque ha negato per due volte l’uccisione di un rinnegato è perché non considerava l’apostasia come un motivo che comporta una punizione nella vita terrena. Questa è l’argomentazione dei musulmani liberali.

Le “guerre d’apostasia”, hurub al-riddah, invocate invece dai musulmani radicali sono quelle condotte da Abu Bakr, il primo califfo, succeduto a Maometto dopo la sua morte nel 632 e morto egli stesso due anni dopo. I fatti sono noti: alla morte di Maometto, numerose tribù arabe già sottoposte allo stato di Medina fondato dal Profeta e che gli pagavano un pesante tributo in segno di vassallaggio, ne approfittarono per non versare più denaro e ottenere la libertà.
Abu Bakr condusse una feroce guerra contro di loro, per farli rientrare in seno all’islam.
Questo atteggiamento venne criticato da molti, in particolare dai primi compagni di Maometto, i Sahaba. Tuttavia, quando il califfo riuscì nell’intento di riportare la maggioranza di queste tribù sotto la sua dominazione, tutti si congratularono con lui. Per i contemporanei di Abu Bakr, come per gli storici musulmani, queste guerre avevano uno scopo economico e politico. Abu Bakr ha combattuto l’una dopo l’altra queste tribù per farle rientrare nel grembo del giovane stato musulmano, e così rimpinguarne le casse.

Il suo successore Omar, morto nel 644, il primo califfo a portare il titolo di “Comandante dei credenti”, non proseguì queste guerre. E il motivo era chiaro: avendo egli già conquistato ampi territori bizantini e persiani, il ritorno di qualche arabo ribelle avrebbe fruttato solamente un magro bottino. Anzi, la storia racconta che questo califfo protesse un apostata di cui era stata chiesta la morte. Ciò mostra in maniera evidente che queste guerre non avevano niente a che vedere con il problema dell’apostasia, ma piuttosto con quello del ritorno delle tribù arabe al nuovo impero.


CONCLUSIONI

Insomma, il reato di apostasia e la sua sanzione con la morte dell’apostata, che vengono presentati come fondati su una lunga tradizione nell’islam, non hanno in realtà un fondamento islamicamente accettabile. Non trovano fondamento nel Corano e nella sunna, né vi sono hadith che li giustifichino. Neppure la storia dei primi anni dell’impero islamico autorizza una simile interpretazione.

Da dove trae origine allora quello che è diventato un luogo comune largamente condiviso nel mondo islamico?
I liberali sostengono che è un’invenzione dei giuristi musulmani ed è stata promossa per motivi essenzialmente politici. Ma allora – aggiungono – se questo reato è un problema politico, deve essere trattato politicamente. Se l’apostasia è un rischio per la nazione – e se l’apostata è giudicato alla stregua di un pericolo per lo stato, di uno strumento di fitnah, sedizione – allora si tratta di un problema politico da affrontare in quanto tale, non di un problema religioso che deve essere gestito dall’autorità musulmana.

È evidente che, dietro tutto ciò, quel che è in gioco è la libertà religiosa. E ciò va ben al di là dei casi di musulmani che si fanno cristiani o che criticano l’islam. Riconoscere come reato l’apostasia significa aprire le porte e offrire pretesto a ogni tipo di repressione esercitata dai gruppi islamisti contro tutti quelli che non la pensano come loro. È, in definitiva, dare carta bianca al terrorismo che vuole ammantare le sue gesta con una giustificazione religiosa.

Ecco, in sintesi, alcuni aspetti problematici sollevati dal dibattito attuale sulla riddah, dibattito che fortunatamente non sembra destinato a esaurirsi in un breve spazio di tempo. È perciò importante che i paesi occidentali, i quali si sono fatti spesso portavoce della difesa delle libertà, sostengano gli sforzi degli intellettuali musulmani che si impegnano per conciliare la fede islamica con i diritti dell’uomo e che lottano per un islam dal volto umano.
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Re: Apostaxia o ridda o … entel vecio ebraixmo e l'ixlam

Messaggioda Berto » ven gen 16, 2015 8:10 am

Apostaxia entel vecio mondo judaego-cristian

http://it.wikipedia.org/wiki/Apostasia_%28Bibbia%2

Il termine apostasia denota sostanzialmente, nell'ambito giudaico-cristiano, la defezione dalla fede.
Le persecuzioni dei primi cristiani forzano molti a rinnegare il discepolato cristiano, essi venivano indicati con il nome di lapsi.
Essi manifestavano la loro apostasia, sotto costrizione, offrendo incenso ad una divinità pagana, oppure bestemmiando il nome di Cristo. L'imperatore romano Giuliano (detto, appunto, "l'apostata" dai suoi avversari cristiani) rinuncia al cristianesimo in favore del paganesimo poco dopo la sua salita sul trono. Una defezione apostata può essere intellettuale (sulla base dell'adesione a filosofie diverse), oppure morale e spirituale, come Giuda che tradisce il Signore per lucro.

Nel greco classico il sostantivo è usato per indicare una defezione politica, e il verbo è evidentemente usato in questo senso negli Atti degli Apostoli 5:37, a proposito di Giuda il galileo che si “trasse dietro” (apèstese, forma di afìstemi) dei seguaci. La Septuaginta greca usa il termine in Genesi 14:4, riferito a una ribellione del genere. Ma nelle Scritture greche cristiane viene usato principalmente per defezione religiosa: allontanamento da una giusta causa, dall’adorazione e dal servizio a Dio, e quindi abbandono di quanto prima professato e totale diserzione dai princìpi o dalla fede.
I capi religiosi di Gerusalemme accusarono Paolo di Tarso di tale apostasia contro la Legge mosaica.

Nel Nuovo Testamento, il termine "apostasia" [ἡ αποστασία] significa letteralmente "stare lontano da", un ritiro, una defezione, un tirarsi indietro, un venir meno da un impegno, da una fede, abbandonare il gruppo, l'organizzazione alla quale si appartiene, un "naufragare dalla fede". Questo termine è usato due volte nell'originale greco del Nuovo Testamento per esprimere l'abbandono di una fede, anche se non è spesso tradotto con il termine italiano "apostasia".

Paolo è accusato falsamente di incoraggiare i Giudei ad abbandonare la loro fede: "Or sono stati informati a tuo riguardo che tu insegni a tutti i Giudei che vivono fra i gentili di distaccarsi da Mosè, dicendo di non circoncidere i figli e di non seguire più le usanze giudaiche" (Atti 21:21).

L'apostolo Paolo predice che, prima del futuro ritorno di Cristo, vi sarà un grande abbandono della fede cristiana: "Nessuno v'inganni in alcuna maniera, perché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e prima che sia manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione" (2 Tessalonicesi 2:3).
Esso era stato predetto da Cristo: "Allora molti si scandalizzeranno, si tradiranno e si odieranno l'un l'altro. E sorgeranno molti falsi profeti, e ne sedurranno molti. E perché l'iniquità sarà moltiplicata, l'amore di molti si raffredderà" (Matteo 24:10-12). Questa apostasia degli ultimi tempi implicherà cadere nell'inganno di dottrine false, insensibilità morale e allontanamento dai criteri etici posti da Dio nella Sua Parola.

Un termine collegato è usato per un divorzio e spesso tradotto con "ripudio": "È stato pure detto: "Chiunque ripudia la propria moglie, le dia l'atto del divorzio" ... Essi gli dissero: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle un atto di divorzio e mandarla via?»" (Matteo 5:31; 19:7); "Essi dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di divorzio e di ripudiare la moglie»" (Marco 10:4).L'apostolo Giuda ammonisce fortemente, nella sua epistola, sulle conseguenze di tale abbandono della fede, simile a quello che aveva interessato parte degli angeli di Dio: "...angeli che non conservarono il loro primiero stato ma che lasciarono la loro propria dimora" (Giuda 6), esortando i credenti alla fermezza, come pure fa Pietro: "Voi dunque, carissimi, conoscendo già queste cose, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, portati via dall'errore degli empi" (2 Pietro 3:17).


Cause dell'apostasia sono indicate come:

Paura della persecuzione: "Allora vi sottoporranno a supplizi e vi uccideranno; e sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome. Allora molti si scandalizzeranno, si tradiranno e si odieranno l'un l'altro" (Matteo 24:9,10).
Prestare ascolto ad insegnamenti alieni ed ingannevoli: "E sorgeranno molti falsi profeti, e ne sedurranno molti" (Matteo 24:11).
Tentazioni e prove a cui non si resiste: "Quelli sulla roccia sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la parola con gioia; costoro però non hanno radice, credono per un certo tempo, ma al momento della prova, si tirano indietro" (Luca 8:13).
Seguire lo spirito di questo mondo: "...e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole" (2 Timoteo 4:4).
Conoscenza difettosa di Cristo: "Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è accaduto perché fosse palesato che non tutti sono dei nostri" (1 Giovanni 2:19).
Cadute morali: "Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, hanno gustato il dono celeste, sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono, è impossibile riportarli un'altra volta al ravvedimento, poiché per conto loro crocifiggono nuovamente il Figlio di Dio e lo espongono a infamia" (Ebrei 6:4-6).
Abbandono del culto pubblico e della spiritualità: "...non abbandonando il radunarsi assieme di noi come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma esortandoci a vicenda, tanto più che vedete approssimarsi il giorno. Infatti, se noi pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una spaventosa attesa di giudizio e un ardore di fuoco che divorerà gli avversari. Chiunque trasgredisce la legge di Mosè muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni. Quale peggiore castigo pensate voi merita colui che ha calpestato il Figlio di Dio e ha considerato profano il sangue del patto col quale è stato santificato, e ha oltraggiato lo Spirito della grazia? Noi infatti conosciamo colui che ha detto: «A me appartiene la vendetta, io darò la retribuzione», dice il Signore. E altrove: «Il Signore giudicherà il suo popolo». È cosa spaventevole cadere nelle mani del Dio vivente" (Ebrei 10:25-31).
Incredulità "State attenti, fratelli, che talora non vi sia in alcuno di voi un malvagio cuore incredulo, che si allontani dal Dio vivente"(Ebrei 3:12).
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Re: Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Messaggioda Berto » ven gen 16, 2015 8:16 am

Łi atei entel mondo musulman

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Re: Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Messaggioda Berto » ven gen 16, 2015 8:16 am

Łi atei entel mondo crestian

UAAR – L’attentato al Charlie Hebdo? Tutta colpa degli atei…

http://blog-micromega.blogautore.espres ... degli-atei

L’assalto al Charlie Hebdo ha trasmesso al mondo un messaggio chiarissimo: due fanatici, inneggiando al proprio dio e al proprio profeta, hanno trucidato la redazione di un giornale dichiaratamente ateo.

Un messaggio, nella sua tragicità, molto forte. Tantissimi essere umani, in qualunque parte del pianeta, hanno percepito il pericolo rappresentato dall’estremismo religioso. Nel suo piccolo, anche l’Uaar sta ricevendo in questi giorni molte iscrizioni, talvolta con l’esplicito invito a impegnarsi ancora di più contro l’oscurantismo.
I fatti di Parigi come il terremoto di Lisbona del 1755, che mandò in frantumi la convinzione di vivere nel “migliore dei mondi possibili” e che aprì la strada alla diffusione dell’Illuminismo. Un evento incomprensibile può fare da potente detonatore della ragione. Troppo potente, forse.

E così sono scesi in campo tanti, veramente tanti pompieri, per negare qualsiasi relazione dei terroristi con la religione. Michel Onfray ci ha brillantemente scherzato sopra, ma non sono purtroppo stati molti quelli che hanno sottolineato l’assurdità di tale negazionismo. Che, in Italia, e soprattutto in televisione, è stata quasi la sola opinione ascoltabile. In confronto, gli antislamici per partito preso sono sembrati autentici titani dell’onestà. Anche se si sono ovviamente guardati bene dal ricordare che, negli ultimi due anni, il Charlie Hebdo aveva preso di mira soprattutto i Manif pour tous, gli omofobi cattolici che sono loro tanto cari.

Certo, non è facile prendere le distanze dal negazionismo, quando certe affermazioni le fa anche il papa: significherebbe dargli del disonesto. Rivolgendosi al corpo diplomatico, Francesco ha infatti affermato che “il fondamentalismo religioso, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”. Secondo il papa, dunque, i fratelli Kouachi hanno ucciso gridando “Dio è grande” per rifiutare Dio.

Poiché non ritengo Bergoglio incapace di connettere logicamente, mi è più semplice pensare che stia solo ricorrendo a fumosissimi arzigogoli teologici per negare l’innegabile. Muovendosi, anche in questo caso, in perfetta continuità con il suo predecessore Ratzinger: l’ateismo come bad company, il ricettacolo dialettico di ogni male, il modo più a buon mercato per lasciare perennemente pura e incommensurabilmente buona la fede. Atteggiamento comprensibile: con buona pace dei papolatri, il pontefice non è il nuovo leader della sinistra o dell’Europa, è solo un uomo che fa (bene) gli interessi della confessione religiosa che dirige.

Poiché le religioni percepiscono l’ateismo come il nemico più forte, la più potente sfida alle loro convinzioni, per batterlo, più che alle argomentazioni, preferiscono ricorrere alla demonizzazione, che può pure essere amplificata molto meglio dai propri sodali politici e mediatici. Contro l’ateismo riescono addirittura a fare fronte comune, le religioni: e tutte lo utilizzano come facile capro espiatorio di ogni male che non riescono a giustificare.

E se questo è l’approccio del papa, figuriamoci il resto del mondo cattolico: accade così di leggere un titolo come Solo l’ateo uccide in nome di Dio sopra l’articolo di un docente di un’università pontificia. Il quale, di fronte a qualche comprensibile protesta, non ha saputo far altro che ribadire che “chi uccide senza altro movente che non sia Dio fa professione di ateismo”. L’atteggiamento è così diffuso che anche vescovi “di base”, come sono ritenuti quelli calabresi, nel volersi contrapporre alla ‘ndrangheta l’hanno definita una “forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’ultimo vero Dio”. Persino un sacerdote che più di base non si può, don Luigi Ciotti, un anno fa è arrivato a sostenere, in un luogo delicato come la scuola superiore di polizia, che “la mafia è strutturalmente una grave forma di ateismo”.

Con buona pace degli amichevoli tè con Scalfari, l’atteggiamento cattolico nei confronti del fenomeno ateistico non sembra cambiato nemmeno nella forma: il vocabolario resta offensivo, e di critiche al vocabolario non se vedono. I giornali sedicenti laici sono invece gonfi di supplementi dedicati al papa e di dibattiti teologici alla Boff vs Messori.

Capita poi che i cattolici di base lancino un appello, Fermiamo gli attacchi a papa Francesco, e che anche gli atei ricevano l’invito a sottoscriverlo. Lo facessi, somiglierei un po’ troppo a quegli elettori di centrodestra che si presentano alle primarie del centrosinistra (e viceversa). Capitemi: non ci tengo particolarmente. Ma soprattutto: a differenza dei leader religiosi che si vogliono rendere inattaccabili criminalizzando la blasfemia, non ho alcun problema a vedere offese le mie convinzioni. Ma perché mai, bontà di Dio, dovrei schierarmi con chi le offende?

Raffaele Carcano, segretario Uaar – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti
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Re: Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Messaggioda Berto » sab feb 21, 2015 11:34 pm

Marocco, musulmano si converte al cristianesimo: condannato a due anni e mezzo di prigione
settembre 27, 2013 Leone Grotti

http://www.tempi.it/marocco-musulmano-c ... Oinpi7dXug

Nel paese simbolo dell’islam moderato i cristiani non hanno diritti. L’apostasia è vietata e gli ulema hanno addirittura chiesto la pena di morte
Un giovane marocchino è stato condannato a due anni e sei mesi di prigione per essersi convertito dall’islam al cristianesimo. La famiglia, originaria del villaggio di Ain Aicha, ora vive isolata perché gli altri abitanti la evitano in segno di disprezzo. Il giovane è costretto a vivere in una cella individuale perché gli altri detenuti in prigione lo picchiavano tutti i giorni per la sua fede.

PETIZIONE AL RE. La famiglia del giovane ha fatto ricorso e settimana prossima comincerà il processo di appello a Fès. Intanto un gruppo di marocchini ha realizzato una petizione da inviare al re Mohammed VI, una volta raccolte almeno 5 mila firme: «Sua Maestà – si legge nel testo – protettore dei diritti e delle libertà dei cittadini, il popolo marocchino la sollecita a garantire la libertà di culto e coscienza in Marocco».

CRISTIANI IN MAROCCO. Il 99 per cento degli abitanti marocchini è musulmano e il paese è considerato moderato dal momento che la Costituzione «garantisce a tutti il libero esercizio dei culti». La realtà è diversa: solo gli stranieri possono essere cristiani, un marocchino deve essere musulmano. L’apostasia è punita dall’articolo 220 del Codice penale, che prevede pene detentive che vanno da sei mesi a tre anni più una multa da 100 a 500 dirham.

PENA DI MORTE PER APOSTASIA. I cristiani marocchini non possono andare in chiesa e neanche seppellire i defunti con rito cristiano. Se vogliono sposarsi, sono obbligati a seguire il rito islamico. Ad aprile il Consiglio superiore degli ulema del Marocco aveva chiesto di introdurre la pena di morte per apostasia.
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Re: Apostaxia entel l'ebraixmo, el crestianeixemo e l'ixlam

Messaggioda Berto » mar feb 24, 2015 9:19 am

Magdi Allam l'apostata


http://www.luciopalombini.it/entry/magd ... stata.html

Come si può definire Magdi Cristiano Allam musulmano e poi battezzato, secondo il rito cattolico, cioè seppellito l'uomo "vecchio" nella morte di Cristo per la rinascita dell'uomo nuovo in Cristo, da Benedetto XVI nella notte della veglia pasquale il 22 marzo del 2008?

Uomo politico, giornalista, filosofo, o, addirittura, un ossimoro, nel senso di un laico credente?

Innanzitutto è un “apostata”.

L’apostasia, il rinnegamento della propria religione, nel mondo occidentale rientra nella sfera dei diritti individuali, come previsto dall’articolo 18 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, ma il mondo islamico, nella sharia, prevede la pena di morte per i musulmani apostati.

Quindi quel battesimo di Magdi Cristiano Allam, oltre che rispettabile convincimento morale e religioso, è espressione di un “percorso”, tanto più importante e serio in quanto effettuato da “adulto”, come le “amicizie”, quelle che si contraggono da adulti, e deve, inoltre, considerarsi anche un atto di coraggio.

Magdi Cristiano AllamMagdi Allam, già prima di approdare al cattolicesimo, non ha mai nascosta la sua personale diffidenza per il mondo islamico né tantomeno il suo non credere a quella componente dello stesso che con troppo superficialità in occidente veniva e viene definita e si vorrebbe “moderata”.

E’ stato critico con le moschee, il loro ruolo e il lassismo con cui si consente che si costruiscano in Italia anche, e soprattutto, in assenza di una “reciprocità” religiosa.

Posizioni dure sostenute da uno che quel mondo lo conosce bene, e dal di dentro e non per sentito dire o per avere fatto un “reportage”.

Si apprende che Magdi Allam, a distanza di meno di sei anni, ritiene oggi «conclusa la sua esperienza di conversione».

Può bastare? E’ sufficiente questa fredda annunciazione per un uomo che è transitato attraverso l’apostasia? Per tanti che con sorrisi e sufficienza si definiscono “cattolici non praticanti” probabilmente si.

No per Allam che aggiunge «il relativismo religioso e in particolare la legittimazione dell’islam come vera religione, di Allah come vero Dio, di Maometto come vero profeta, del Corano come testo sacro, delle moschee come luogo di culto».

E’ una critica impietosa oggi che l’Italia e l’Europa sono probabilmente sotto una “sottile” invasione islamica mimetizzata dal termine di migrazione.

Si non solo l’Italia ma anche l’Europa che non ha avuto il doveroso coraggio di mettere nel suo atto di fondazione il riconoscimento delle sue radici cristiane.

E a quel Papa che non ha perso tempo per gettare personalmente fiori nel mare di Lampedusa, l’apostata, il nuovo apostata dedica «La papolatria che ha infiammato l’euforia per Francesco I e ha rapidamente archiviato Benedetto XVI è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un quadro complessivo di incertezze e dubbi sulla Chiesa».

Nuovo Laocoonte, nuova Vox clamantis in deserto.
Last modified il Mercoledì, 02 Luglio 2014



Io assolto perché l'islamofobia non esiste
http://www.ioamolitalia.it/editoriale/i ... siste.html

L’islamofobia in Italia non esiste più. Parola dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Perché se non sono islamofobo io, appena prosciolto dal “Consiglio di disciplina” dell’Ordine dall’accusa rivoltami dall’avvocato degli integralisti islamici in Italia, vuol dire che nessun altro è islamofobo.
Nella motivazione della decisione di proscioglimento, comunicatami ieri attraverso il mio avvocato Gabriele Gatti, si ricusano tutte le accuse che sostanziano l’esposto e poi il ricorso dell’avvocato degli islamici, così come si ribaltano le stesse motivazioni che avevano indotto lo scorso primo agosto il Consiglio di disciplina ad avviare nei miei confronti un procedimento disciplinare per “aver pubblicato sul quotidiano Il Giornale articoli caratterizzati da islamofobia”, perché “non compaiono valutazioni critiche per fatti di cronaca circostanziati ma affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano, con una generalizzazione che colpisce anche quanti, moderati, tra i circa duemilioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li ospita”.
Ebbene dopo poco più di quattro mesi, il Consiglio di disciplina ritiene che negli stessi articoli contestati “si esprime una critica alla religione islamica severa, piccata ma comunque circoscritta nei limiti della continenza espressiva, che in quanto giudizio ossia manifestazione del pensiero deve ritenersi legittima e insindacabile”.
E ancora: “Sono in gran parte condivisibili le argomentazioni del difensore dell’incolpato quando osserva che nel nostro ordinamento la manifestazione del pensiero è massimamente tutelata dalla Costituzione e che l’offesa a un credo religioso diventa rilevante solo quando si trasforma in vilipendio verso chi la professa”.
La conclusione è che “le critiche di Allam all’islam per certi obblighi e per alcuni principi che professa sono da considerare, pertanto, legittime e non conducono ad una responsabilità deontologica per quanto detto, essendo esercizio di un diritto costituzionale (diritto alla manifestazione del pensiero)”.
Anche in riferimento alle mie critiche ai militanti islamici, il Consiglio di disciplina mi assolve sostenendo innanzitutto che “si tratta di un’opinione proveniente da un professionista molto qualificato per il quale le maglie della continenza espressiva si allargano notevolmente in considerazione dell’autorevolezza dell’autore e della specificità dell’argomento”. In secondo luogo si afferma che “Allam non dà un giudizio negativo generale su tutti gli islamici. Egli fa salvi infatti i cosiddetti musulmani perbene e la sua critica veemente – che si muove sempre a commento di un fatto di cronaca – si indirizza verso gli estremisti islamici e non verso tutti i musulmani. Pertanto Allam fa dei distinguo e non generalizza”.
Decadono anche gli altri capi di imputazione che avevano determinato l’avvio del procedimento disciplinare, l’ “avere violato l’obbligo di esercitare la professione con dignità e decoro”, “non aver rispettato la propria reputazione e di aver compromesso la dignità dell’Ordine professionale”, “non avere rafforzato il rapporto di fiducia tra la stampa e i lettori”, anche se comprensibilmente ci si rammarica per le dure posizioni che ho assunto nei confronti dell’Ordine dei giornalisti, di cui chiedo lo scioglimento.
C’è una profonda discrepanza tra i contenuti del provvedimento dell’avvio del procedimento disciplinare e della motivazione del proscioglimento. È come se fossero stati concepiti da due realtà diametralmente opposte. Diciamo che c’è stato un radicale ripensamento, di ciò mi compiaccio e fa comunque onore ai membri del Consiglio di disciplina che non conosco e non credo che conoscerò. Hanno probabilmente compreso che la mia eventuale condanna avrebbe messo l’Ordine dei giornalisti contro tutti gli italiani, dal momento che la posta in gioco è la salvaguardia della libertà d’espressione, anche quando si tratta di criticare l’islam come religione. Ed è così che ciò che veniva in un primo tempo additata come una colpa, l’islamofobia, ora viene legittimata come un diritto di critica. Ci auguriamo che questa vittoria del Giornale e di tutti gli italiani che amano la libertà, costituisca un precedente che ponga fine al “Jihad tramite i tribunali”, la costante denuncia penale e civile di tutte le voci che criticano l’islam, lo strumento principale attraverso cui i taglialingue nostrani vogliono tapparci la bocca e tarparci le ali.
di Magdi Cristiano Allam 21/12/2014 10:09:03
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