Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo: Talmìd Chakham

Messaggioda Sixara » dom feb 16, 2014 9:37 am

Il talmìd chakham
o “discepolo dei saggi” è l'ideale dell'istituzione rabbinica. I primi rabbini definivano la loro come una comunità di maestri e discepoli, chakhamìm o saggi e i loro allievi. Il giovane discepolo era incoraggiato a mettersi in viaggio - “esilia te stesso verso un luogo di Toràh” - al fine di trovare l'insegnante giusto. Il ritratto di questi insegnanti e delle loro comunità di discepoli era disegnato nella prima aggadàh, ed alcuni caratteri distintivi vennero ad essere ad essi collegati. Questi includevano un entusiasmo eccessivo per il sapere e la dedizione fino al punto del sacrificio. I racconti riportano anche imprese incredibili di memorizzazione ed altri tipi di sapere.
Lo studente anziano, dall'altro lato, è descritto come una figura di grande prudenza e assennatezza. Non si affretta nell'esprimere un giudizio. Il talmìd chakhàm sa come prendere in considerazione i fattori soggettivi quando deve emettere pareri sulle faccende umane e come evitare lo stabilirsi di precedenti pericolosi. Egli è sempre consapevole che la vera giustizia appartiene a Dio, per la cui legge egli agisce come un semplice tramite umano. Ciò nonostante, egli ha la responsabilità di agire nello stabilire la legge, anche quando fare ciò richiede grande coraggio.
Nella tradizione religioso-intellettuale dell'ebraismo, non è possibile alcuna distinzione fra “studioso” e “saggio”. L'apprendimento, l'acquisizione e la contemplazione del sapere della Toràh ci rendono saggi. Dal momento che la sapienza primordiale e universale e la Toràh sono, in effetti, la stessa cosa, conoscere la Toràh e conoscere il mondo costituiscono un'unica cosa. Nei secoli, per alcune anime interessanti ed audaci, questo ha significato che il sapere mondano di ogni tipo ha un fine buono, poiché conduce ad una più profonda comprensione del mondo creato dalla Toràh divina. Ma per la maggioranza, all'interno della tradizione, identificare la Toràh con la sapienza ha voluto dire che non c'era alcun motivo di andare al di là della specifica dottrina ebraica, perché “non c'è niente che non trovi un cenno nella Toràh”.
Il talmìd chakhàm quale figura ideale dell'ebraismo è stata messo in discussione, nei secoli passati, sia dallo tzaddìk, ovvero l'uomo santo e giusto, che da quella del chasìd, che rappresenta la compassione estrema o l'amore di Dio. La storia del chassidismo, forse il testimone più importante di questa sfida, ci dice che dopo la lotta di alcune generazioni emerge sulla scena una nuova sintesi o integrazione dei diversi tipi. Qualcosa di simile può verificarsi oggi nella rinascita sefardita in Israele, dove la venerazione una volta tributata agli tzaddikìm popolari si è trasferita alla figura classica del talmìd chakhàm in un ripristino della sua funzione di guida rabbinica.

Elora, pàre de capire ke l talmìd chakhàm nol xe el tzaddik e gnàn el chasìd.. ga da èsarghe na scala de valori so ki ca 'studia' de pì.. a go idea mi ke l chasìd lè cueo ca studia de manco. Senpre lì ke l canta e bàla :D

Hahàm:
Hahàm ( da pronunciarsi - dice L.Rosten - come se doveste espellere un rospo dall'ugola)
Ebraico 'saggio', 'sapiente'.
1. Persona saggia e colta, uomo o donna che sia.
Un Hahàm è colui che possiede Hohmà, vale a dire 'sapienza'. Se ne deduce che il Hahàm è sapiente, dispone di una mente brillante e di una erudizione sconfinata. Non è necessariamente un intellettuale professionista : non pochi macellai, calzolai, barbieri ... erano rinomati come Hahamìm. Alcuni di loro furono artigiani e intellettuali, i dotti antichi erano quasi sempre dediti anche a umili occupazioni.
In cima alla piramide ebraica del rispetto troverete infatti non il sovrano, né il conquistatore, il principe o il miliardario, e nemmeno il rabbino. No. Qui troverete il dotto, colui che ha studiato e continua a farlo. (...) Potere, ricchezza, onori, decorazioni, livello sociale - nulla di tutto ciò vale secondo l'ebraismo quanto la conoscenza, da intendersi come la conoscenza del Talmud. (...) lo Zohar, testo fondamentale della mistica ebraica, definisce così uno Hahàm : " Che cosa vede lo stolto in un uomo? I suoi vestiti. E il Hahàm? Egli vede il suo spirito".
Il superlativo di Hahàm non è hahamìssimo bensì, si badi bene talmìd hahèm.
2. In senso sarcastico o meglio antifrastico : stolto, ottuso; chi si crede molto intelligente, eppure di sale in zucca ne ha ben poco.
Hahàm è spesso usato in senso ironico per indicare colui che , credendosi furbo, si comporta in modo disastrosamente insensato : Che hahàm! equivale a dire, più o meno, Che genio!...
Un giovane e fiero hahàm comunica alla nonna che sta per diventare nientemeno che 'Dottore in Filosofia'. L'arzilla bùbbe sorride compiaciuta : " Splendido! Ma dimmi, che razza di malattia è la 'filosofia'?" :D
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Re: Ebraeixmo: Tiqqùn olàm

Messaggioda Sixara » lun feb 17, 2014 9:44 am

Bixogna justarlo el mondo, o almanco farghe la manoutension ogni tanto
Tiqqùn olàm
che significa “riparazione del mondo”, è un'antica espressione ebraica ritornata in auge negli ultimi decenni. La sua forma verbale si trova nella preghiera `alènu, che conclude ogni servizio religioso nella sinagoga tradizionale. In quella preghiera l'espressione le-taqqen `olàm vuol dire “stabilire il mondo nel regno dell'Onnipotente (Shaddai), o far stabilire il dominio di Dio sulla terra. Nell'uso contemporaneo si riferisce al miglioramento del mondo, che comprende il conforto alla sofferenza umana, il conseguimento della pace e del rispetto reciproco tra i popoli e la protezione del pianeta stesso dalla distruzione.
Se il collegare questi ideali al tiqqùn `olàm può essere una novità recente, questi valori sono, in realtà, profondamente radicati nella tradizione ebraica. Diffondere il nostro messaggio etico fondamentale |m- e cioè che ogni persona è ad immagine divina (tzélem Elohìm) |m- comporta che gli ebrei siano interessati al benessere generale, compreso il nutrimento, la casa e la salute per tutti. L'invito della Toràh a “cercare la giustizia, soltanto la giustizia” (Deut. 16:20) esige che noi operiamo per colmare quelle tremende lacune, in particolare per quanto riguarda il sapere e le pari opportunità, che esistono all'interno della nostra società e minano il nostro diritto morale alla relativa ricchezza e alle comodità di cui molti di noi godono. L'azione stessa di porre l'uomo sulla terra “per lavorare e difendere” (Gen. 2:15) il giardino di Dio, come del resto l'halakhàh, che ci proibisce una distruzione immotivata delle risorse, ci dice che anche proteggere l'ordine naturale fa parte di quella giustizia.
La riscoperta, negli ultimi decenni, delle antiche forme spirituali è stata l'equivalente di un'epoca di attivismo per un cambiamento politico e sociale. In alcuni casi questi due eventi sono stati completamente separati, o perfino opposti, l'uno all'altro. Molti di coloro che sono stati attirati dalla ricerca della spiritualità hanno rinunciato alla possibilità di ogni serio miglioramento della condizione umana nel suo complesso. Nel caso dell'ebraismo, questa dicotomia fra preoccupazioni di ordine spirituale e sociopolitico è difficilmente possibile. Chiunque cerchi di intraprendere questa strada alla fine deve confrontarsi con i profeti dell'antico Israele, tuttora i più strenui ed intransigenti sostenitori della giustizia sociale che il nostro mondo abbia conosciuto. Se si tenta di creare un mondo chiuso di perfetta devozione religiosa e lo si costruisce sulle fondamenta dell'ingiustizia e sull'umiliazione degli altri, Isaia e Amos non ci lasceranno dormire.

Verghene cura de l anbiente e de le persone ca lo abita.Si-nò Ixaia e Amos no i te àsa dormire. :D
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Re: Ebraeixmo : Simchàh

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2014 10:21 am

Sixara ha scritto:Simchàh o “gioia” è l'atteggiamento nei riguardi della vita che l'ebraismo cerca di infondere. Malgrado il fatto che la storia ebraica comprenda un maggior numero di capitoli tetri e avvilenti di quanto sarebbe giusto, la tradizione è gioiosa. La felicità nel cantare “Santo, santo, santo” a Dio, ogni giorno, insieme con il coro degli angeli, supera di gran lunga qualsiasi prezzo abbiamo dovuto pagare sul piano storico per il privilegio di essere ebrei.


???

E naltri veneti podemo far conpagno?

I singani łi xe singani (e łi va respetà come singani) , łi ebrei łi xe ebrei (e łi va respetà come ebrei) e naltri veneti cosa semo?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebraeixmo

Messaggioda Sixara » lun feb 17, 2014 11:00 am

Berto ha scritto:E naltri veneti podemo far conpagno?

E-ciò :D ki semo naltri? fiòi de nisùn..
ki xe-dime- ca te lo inpedìse de vivare co la simchàh ca se intende te kel toketo lì de spiegazion de la parola 'gioia' ( ke l avarà anca altri significati.. ogni un l è libero de sercarsela a modo suo e come ke l se cata mejo..).
No xe bèn de balare tuti asieme n tondo e co te vedi ke uno el sta fòra tuto inmuxonà par conto soo de ciaparlo e tirarlo drento?
Vàra ke nol xe on zogo ( e gnàn on skerzo) : a vòe anca dire ke 'drento' al tsercio a ghè posto anca pa la tristeza.
Varda ke kel ràbi Nachmann lì el jèra l òmo pì desperà, tristo al mondo.. e propio pa cueo ke l savea come fare a farghela pasare la tristeza.
Sol privilegio de èsare ebrei : la tradizion dixe ke l Dio de la Bibia lè el dio de i ebrei, ke i è el so popolo. 'Privilegio' de còsa, me domando vardando come ke i è ndà le robe.. ma lori no i se la tòe pì de tanto, cantare ogni dì el santo-santo-santo col coro de i anxoli ghe basta e invanza. :D
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Re: Ebraeixmo: Tzà'ar ba'alé chayyìm

Messaggioda Sixara » mar feb 18, 2014 5:29 pm

La soferenza de le bestie:
“La sofferenza delle creature viventi” - tzà`ar ba`alé chayyìm - è un settore dell'etica al quale si presume che gli ebrei devoti dedichino la loro attenzione. A nessuna creatura animale (compresi i pesci e i volatili) si devono causare inutile sofferenza o tortura deliberata. Anche se l'ebraismo ha accettato che gli animali domestici siano allevati e macellati per il consumo umano, l'intero procedimento deve essere condotto in un modo che causi il minimo di sofferenza.
La Toràh contiene alcune leggi che vengono, di solito, interpretate come un riflesso di questa sensibilità. Ad un bue non può essere messa la museruola quando viene impiegato per arare un campo, impedendogli così di mangiare l'erba che sta, abbondante, davanti a lui (Deut. 25:4). Un animale e la sua prole non possono essere macellati nello stesso giorno (Lev. 22:28). Un uccello femmina deve essere allontanato dal suo nido prima di prelevarne le uova; non si possono prendere la madre e le uova contemporaneamente (Deut. 22:6-7).
L'ebraismo accetta piuttosto a malincuore il consumo dell'animale e la sua legittimazione attraverso l'uccisione rituale. La carne fu permessa agli uomini, secondo i rabbini, soltanto dopo il diluvio, quando Dio vide che l'ideale vegetariano dell'Eden non era raggiungibile dalla gente comune. A questo punto fu emanata la prima legge universale di pietà verso gli animali, impedendo di strappare un membro da una creatura vivente. Poi, secondo Levitico 17, il consumo della carne fu permesso soltanto nel contesto di un sacrificio. Chiunque uccidesse un animale senza averlo portato al sacerdote era ritenuto colpevole di aver sparso sangue.
È evidente da alcuni passi nei testi legali della Bibbia che lo spargimento di sangue umano ed animale sono azioni collegate, unite tra loro in molti modi. Soltanto in Deuteronomio 12 si permette il consumo “profano” della carne degli animali domestici, e soltanto per le difficoltà create allora dal permettere un altare sacrificale soltanto a Gerusalemme, l'ideale del periodo post-davidico.
La legge ebraica corrente permette il cibarsi di carne animale, ma resta interessata al problema della sofferenza. In tempi recenti sì è destata molta preoccupazione circa il modo in cui gli animali sono posti nella posizione adatta alla macellazione kashèr, e sono stati introdotti alcuni cambiamenti. È permesso inoltre utilizzare ed uccidere gli animali per esperimenti che permettano di prolungare la vita umana. Allo stesso tempo, il principio dello tzà`ar ba`alé chayyìm esige che questi animali siano trattati con compassione e con consapevolezza della loro sofferenza mentre sono ancora in vita. Grandi sfide a questo principio dell'etica ebraica emergono in aree come quella dei trapianti da animali e quella della possibilità di “allevare” animali il cui solo scopo sia quello di servire come fonti di tessuti od organi trapiantabili.

Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali.
Theodor Adorno (Fonte sconosciuta)

Mi addolora che non si arriverà mai a un'insurrezione degli animali contro di noi, degli animali pazienti, delle vacche, delle pecore, di tutto il bestiame che è nelle nostre mani e non ci può sfuggire.
Elias Canetti, La provincia dell'uomo, 1973

Siamo circondati da un'impresa di degradazione, crudeltà e sterminio che può rivaleggiare con ciò di cui è stato capace il Terzo Reich, anzi, può farlo apparire poca cosa al confronto, poiché la nostra è un'impresa senza fine, capace di autorigenerazione, pronta a mettere incessantemente al mondo conigli, topi, polli e bestiame con il solo obiettivo di ammazzarli.
John Maxwell Coetzee, La vita degli animali, 1999

La vera bontà dell'uomo si può manifestare in tutta purezza e libertà solo nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale dell'umanità, l'esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell'uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, 1984

La presunta mancanza di diritto negli animali, l'illusione che le nostre azioni verso di loro siano senza importanza morale o, come si dice nel linguaggio di quella morale, non esistano doveri verso gli animali, è una rivoltante grossolanità e barbarie dell'Occidente, la cui fonte sta nel giudaismo.
Arthur Schopenhauer, Sul fondamento della morale, 1840 ( tò-ciàpa!) :!:
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Re: Ebraeixmo:Talmìd hahèm

Messaggioda Sixara » mer feb 19, 2014 11:03 am

Talmìd hahèm
In ebraico talmìd hahem significa 'allievo di un sapiente' ( ma anche, allievo sapiente).
Il saggio fra i saggi; l'erudito erudito, versato nell'ebraico scibile.
Il talmìd hahèm occupa il gradino più alto nella gerarchia del rispetto ebraico. Lo studioso per eccellenza e definizione è anche un santo, una di quelle anime spirituali che con la loro erudizione e sapienza contribuiscono all'immenso 'mare' di conoscenza talmudica che da secoli e millenni procedono per accumulo.
Oltre che ad un pozzo di scienza il talmid-hohèm è tenuto ad essere : immacolato nell'abito e nella persona; indifferente al benessere materiale e ai compensi mondani; gentile nei modi; altruista; pacifico ed umile nel comportamento; impeccabile nella condotta. In altre parole, l'erudizione deve andare di pari passo con la rettitudine e la pietà.
Un talmìd hahèm non è certo frutto del caso, né tantomeno della preparazione accademica. Questo titolo infatti, lo si conquista solo con un lento e graduale riconoscimento da parte di colleghi e compagni. Quando un giovane studente incomincia a dimostrare una sagacia superiore alla media durante le discussioni, unita ad una non comune capacità d'introspezione e a una nobile modestia, a poco a poco finisce per essere chiamato hahèm. Finisce nel senso che a quell'epoca, inevitabilmente, non è più giovane. Ma il talmìd hahèm resta studente per tutta la vita, vale a dire che la verità non la trova, ma non smette mai di cercarla, studiando e riflettendo.
La conoscenza non ha traguardo, lo studio è infinito.
La saggezza è fonte di vita per chi la possiede, castigo degli stolti è la stoltezza Proverbi 6,22

Un talmìd chachèm appena terminato di mangiare torna al suo amato studio. Però non trova più gli occhiali. Li cerca in lungo e in largo, ma invano.
Che fare, che fare ? - si domanda cantilenando fra sè. E' un problema, e per risolvere un problema bisogna usare il cervello. Certo . Ipotesi : può darsi il caso che, mentre stavo mangiando, qualcuno sia entrato e mi abbia rubato gli occhiali. Nooo. Perché no? Perché se qualcuno ha bisogno degli occhiali per leggere, allora avrà già i suoi; se invece non ha bisogno degli occhiali per leggere per quale motivo dovrebbe rubare i miei?... Seconda ipotesi : può darsi che un ladro abbia rubato i miei occhiali, non per usarli ma per venderli. Aha! ma a chi potrebbe mai vendere un paio di occhiali da lettura.. se provasse a venderli a chi ha bisogno degli occhiali per leggere, costui avrebbe già i suoi ; d'altro canto, chi non ne ha bisogno che cosa se ne farebbe?
No... dove siamo arrivati? Alla terza ipotesi : può darsi il caso che gli occhiali li abbia presi qualcuno che ha bisogno degli occhiali per leggere, ed effettivamente già li possiede ma non li trova. E perché non li trova? Forse perché è talmente immerso nei suoi studi, che dopo averli distrattamente portati dal naso fin sulla fronte, se li è dimenticati lì, e non trovando più i suoi ha preso i miei!.
Lo studioso esita un istante - Devo spingermi oltre con il ragionamento! Forse sono io quell'uomo che ha bisogno degli occhiali, possiede un paio di occhiali, e distrattamente ha portato i suoi occhiali dal naso alla fronte, dimenticandoli! Se il mio procedimento logico è corretto, i miei occhiali ora dovrebbero essere lì.
Detto fatto, alza la mano verso la fronte. Gli occhiali sono lì.
Finalmente può riprendere a studiare. :D
Ultima modifica di Sixara il ven feb 21, 2014 9:01 am, modificato 1 volta in totale.
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Re: Ebraeixmo : Tzedaqàh

Messaggioda Sixara » gio feb 20, 2014 9:27 am

Tzedakà
In ebraico significa' giustizia', 'rettitudine'.
Il dovere di affermare la giustizia comportandosi con rettitudine, coerenza, compassione ma soprattutto usando la solidarietà verso il prossimo. Né in ebraico, né in yiddish infatti esiste altra parola per definire la 'beneficenza', l'atto di carità.
Gli ebrei hanno sempre considerato la carità come parte del dovere, tanto morale quanto religioso, di comportarsi in modo retto e generoso. Dice il Deuteronomio 15,11 : " Pure non mancherà il povero sulla terra; perciò io ti ordino di aprire bene la tua mano a tuo fratello...", mentre Proverbi 19,17 : " Presta al Signore chi ha pietà del povero, ed egli lo ricompenserà".
Ai poveri e agli indigenti bisogna anche risparmiare l'imbarazzo del ricevere; ogni comunità ebraica ha sempre badato ad aiutare chi ha bisogno ( diseredati, malati, disabili e profughi che nella storia dei figli d'Israele, purtroppo non sono mai mancati), stanziando un fondo apposito. Ogni festività, inoltre diventa occasione per attività filantropiche e, almeno un tempo, in ogni casa c'erano dei piccoli salvadanai -le Pùshke - da destinarsi in offerta alle più diverse associazioni benefiche. Anche ai bambini si insegnava molto presto il dovere della carità.
La paradossale 'nobiltà' del mestiere dello shnorrer, ad es. trova ragione proprio nel fatto che, grazie a lui, l'ebreo ha modo di ottemperare a un dovere sancito dalla tradizione e dal Talmùd, quello appunto di donare a chi ne ha bisogno.
Maimonide ha fissato una gerarchia nella tzedakah, la cui forma più alta, ci dice, è quella di aiutare qualcuno ad aiutare se stesso; poi vi è quella beneficenza che opera anonimamente o in segreto, così che benefattore e beneficiario non sappiano nulla l'uno dell'altro.
Ad un ebreo è rigorosamente vietato ignorare chiunque gli chieda aiuto.
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Re: Ebraeixmo: el Shnòrrer

Messaggioda Sixara » ven feb 21, 2014 9:11 am

El Schnòrrer l è na istituzion te l ebraixmo:
In tedesco schnorren significa 'pietire'. Non è escluso che vada collegato con schnarchen 'ronfare', stando ad alcuni filologi che assimilano tale sgradevole sonorità al lagnoso brontolio dei mendicanti. Se non fosse che, gli accattoni ebrei non brontolano, né tantomeno frignano.

Come sostantivo :
1. mendicante, accattone, scroccone
2. taccagno, imbroglione.
3. barbone, fannullone.
4. affarista da strapazzo, capace solo di mercanteggiare.
5. povero in canna, ma fiero di essere tale, spiantato, spocchioso.
Come verbo : shnòrren significa : mendicare, scroccare, pietire.

Ogni comunità ebraica aveva almeno uno shnòrrer, più spesso un plotone di shnòrrer. Lo shnòrrer è tutt'altro che un comune mendicante ... lo sh. non è per nulla contrito, non si piange addosso, né si lagna. Si considera un autentico professionista, per non dire un artista del mestiere. Non è tanto che chieda, piuttosto pretende. E soprattutto esige il riconoscimento ufficiale della propria qualifica. Gli shnòrrer, insomma, si considerano a tutti gli effetti, membri di una categoria professionale, le cui caratteristiche vanno dall'insolenza al cinismo. Sono permalosi, impareggiabili nello stuzzicare i potenziali benefattori, hanno sempre la battuta pronta. Gran parte degli shnòrrer si considerano investiti dal Signore in persona : in fondo è soltanto grazie a loro se gli ebrei hanno la possibilità di osservare il precetto che impone di aiutare i poveri e gli sventurati. (...) In sintesi lo shnorrer ha una sua ben specifica funzione sociale nell'ambito della comunità... che consente agli altri di guadagnare dei punti nel tesserino delle buone azioni : chiunque contribuisca a portare a compimento una mitzvah, infatti, si fa parte del mirabile progetto divino volto al progresso della specie umana.
Di storie sulla chùtzpah - l'alterigia - degli shnorrer si potrebbero riempire tomi su tomi; qui ne presentiamo alcune :

Uno shnorrer compare puntuale alla porta di servizio, per la sua seconda visita della settimana. Non ho un soldo in casa - commenta la balebuste con tono di rammarico. Torni domani.
Domani? - domanda inorridito lo shnorrer. Signora, che non capiti mai più : si rende conto di quale fortuna mi è già costato farle credito?

Il passante provoca lo shnorrer : Darti un centesimo? E perché mai? Perché non vai a lavorare piuttosto? hai braccia e gambe sane, mi sembra.
Aha! - esclama lo shnorrer scandalizzato. E per un misero squallido centesimo, secondo te io dovrei amputarmi gli arti?!.

Uno shnorrer bussa alla casa di un ricco. Sono le sei e mezzo del mattino. Il padrone di casa urla : Come osi svegliarmi così presto?
Sentimi bene replica stizzito lo shnorrer - io non vengo certo a dirti come devi mandare avanti i tuoi affari, dunque non sta a te insegnarmi il mestiere!.


Un mendicante quanto mai misero, stracciato e mezzo-morto di fame si ferma davanti al palazzo di un riccone. Il quale chiama il suo maggiordomo e dice : "Guarda questo povero disgraziato! Con le dita che sbucano fuori dalle scarpe. I pantaloni pieni di toppe. Ha tutta l'aria di non lavarsi, né farsi la barba da almeno una settimana. Chissà da quanto tempo non fa un pasto decente. Spezza il cuore vedere una creatura così miserabile : Caccialo via!".

Lo shnorrer ferma un galantuomo per la strada : Qualche spicciolo signore...
Non do mai del denaro per strada!
Cosa dovrei fare, allora, aprire un ufficio ?. :D
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Re: Ebraeixmo: la Chutspàh del shnòrrer

Messaggioda Sixara » ven feb 21, 2014 9:18 am

Chùtzpa/ Chutzpànik (aggettivo)
Impudenza inammissibile, sfrontatezza oltre ogni limite; presunzione mista ad arroganza ; dall'ebraico : 'insolenza', 'audacia', ma soprattutto 'spocchia'.

Uno chutzpànik, terminato il lauto pranzo al ristorante, fa chiamare il padrone del locale al quale rivolge questa specie di orazione : " Amico mio, ho davvero gradito il vostro cibo, ma a dire la verità non ho nemmeno un centesimo in tasca. Un momento non si arrabbi! Abbia la pazienza di ascoltarmi fino in fondo invece. Dunque, sono un mendicante di professione, uno schnorrer dal talento rinomato. Se mi metto di buzzo buono, in non più di un'ora riesco a scroccare in giro la somma che vi devo, non un centesimo di meno. ma naturalmente lei non si fiderebbe di me, convinto che non tornerei mai indietro per pagare il conto. Posso capirla. stando così le cose, che ne direbbe di seguirmi a vista, mentre esercito il mio mestiere? Certo, una persona per bene come lei.. padrone di un avviato ristorante, che figura ci farebbe accompagnandosi ad uno schnorrer mentre costui si dà all'accattonaggio? Non oso nemmeno pensarlo! Ma non disperi, ho la soluzione bell'e pronta : io aspetto qui, e lei va a scroccare in giro finché non ha racimolato l'ammontare del conto!"
Ecco che cosa intendevo per chùtzpa.
Il ritroso va in Paradiso e l'impudente al Purgatorio.
( L.Rosten)
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Re: Ebraeixmo

Messaggioda Berto » ven feb 21, 2014 10:09 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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