Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mar mag 30, 2017 6:34 am

???

Ramadan: mons. Spreafico (Cei), “possa portare frutti di pace”
26 maggio 2017
M. Chiara Biagioni

https://agensir.it/italia/2017/05/26/ra ... ti-di-pace

Inizia per i due milioni di musulmani che vivono in Italia il mese sacro del Ramadan. La Cei ha inviato a tutte le comunità islamiche presenti nel nostro Paese un messaggio di augurio. Monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione per l'ecumenismo e il dialogo: “Il mio augurio è quello di vivere questo mese come un tempo per coltivare la pace, come un’occasione di vivere insieme a tanti un senso di comunione e di condivisione in questo tempo difficile, dove la violenza rende il mondo più brutto e la vita talvolta piena di paure”

“La pace sia con voi! In occasione del sacro mese di Ramadan, che sta per iniziare, è proprio questo l’augurio e la preghiera che sentiamo di voler condividere con voi e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, perché cessino guerre e violenze di ogni sorta e sia stabilita quella pace di cui il mondo ha bisogno”. Inizia così, con questa invocazione, il messaggio che monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, ha inviato a tutte le comunità islamiche presenti nel nostro Paese, alla vigilia del mese sacro del Ramadan che dal 27 maggio fino al 24 giugno coinvolgerà 2 milioni di musulmani in Italia.

“Il mio augurio a tutte le comunità islamiche – spiega il vescovo al Sir – è quello di vivere questo mese come un tempo per coltivare la pace, come un’occasione di vivere insieme a tanti un senso di comunione e di condivisione in questo tempo difficile, dove la violenza rende il mondo più brutto e la vita talvolta piena di paure. Quindi un augurio di pace, che sento di condividere con loro. Ho incontrato recentemente alcuni membri delle comunità islamiche e ho visto che anche in loro c’è questo grande desiderio di pace e di fraternità di fronte alla violenza di alcuni che essi stessi non condividono”.

L’ultimo attentato in Europa è stato quello di Manchester. L’Islam è sempre più spesso accusato di fomentare odio e violenza in nome di Dio. C’è l’urgenza di contrastare con determinazione questa deriva della religione. Come fare? E chi lo deve fare?
Innanzitutto bisogna ricordare che nel nostro Paese le comunità islamiche hanno sempre e prontamente condannato gli attentati e l’utilizzo del nome di Allah per giustificare l’uccisione degli altri. La seconda cosa che vorrei sottolineare è che non bisogna identificare l’Islam con il terrorismo. Sono due cose molto distinte tra loro. Il terrorismo, purtroppo, c’è ed esiste anche in situazioni dove non ci sono né sono implicati i musulmani. La terza cosa è che negli attentati che si susseguono in varie parti del mondo e in Europa a morire, insieme a tanti cristiani e a tanti appartenenti ad altre religioni, ci sono i musulmani. Questa identificazione dell’Islam con il terrorismo rende solo più complicata una situazione già di per se complessa. Cosa fare? Dobbiamo abituarci a ragionare e a capire.

La mancanza di conoscenza e l’ignoranza creano solo paure, impediscono la convivenza, fomentano da una parte i radicalismi, dall’altra i populismi, allontanano il traguardo verso un giusto approccio all’altro, anche se diverso.

In questo mese vedremo i musulmani in preghiera. In un clima in cui hanno attecchito i populismi, la preghiera islamica mette paura perché si teme che sia preludio di radicalismo. E il Ramadan rischia di essere vissuto dagli italiani con sospetto e non rispetto.
Credo che chi sfrutta la paura per se stesso e per il proprio gruppo di appartenenza, qualunque essa sia, fa un grande male al Paese, al mondo e anche a se stesso. La paura non è mai stata premessa di soluzione dei problemi. Sfruttare quindi la paura per la propria ideologia significa recare un danno, anzi, un grave danno alla società. Papa Francesco quando ha incontrato il Grande Imam di al Azhar, in Egitto, al Tayyeb, ha detto che
l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro.

Quindi, o noi ci mettiamo nella prospettiva di costruire ponti verso gli altri, oppure la nostra società non ha futuro. È evidente che chi identifica Islam e terrorismo, non conosce l’Islam. Non sa neanche di cosa parla. È questo il grande problema: una ignoranza tale attorno a noi che è facile da sfruttare. L’ignoranza è foriera purtroppo di grande violenza in parole e azioni. Ricordiamo sempre cosa è avvenuto in Europa nel secolo scorso.

Come attrezzarsi culturalmente a vivere in una società, come quella europea, sempre più multiculturale e multireligiosa?
Direi tre cose. Primo: educarsi ad avere uno sguardo benevolo verso l’altro. E questo approccio vale per tutti. Verso il diverso, richiede di non essere diffidenti o dominati dalla paura perché altrimenti non si favorisce la convivenza. Seconda cosa: direi che dobbiamo cercare di conoscere gli altri. Per questo motivo, l’Ufficio Cei per il dialogo ha predisposto già da vari anni una serie di schede informative sull’Islam che possono essere prese dal sito. Abbiamo bisogno di conoscere prima di giudicare e l’ignoranza non porta da nessuna parte, così come il lamento. Terzo: essere consapevoli che i profughi che vengono dal Nord Africa sono uomini e donne che arrivano da terre dove erano privati di tutto, terre in cui ci sono guerre, miserie, desertificazione e da cui non possono fare altro che fuggire. Forse qualche volta ascoltare le loro storie ci aiuterebbe a capire che dobbiamo essere orgogliosi di come il nostro Paese è stato all’altezza di accogliere queste persone nonostante la fatica che l’Italia sta facendo.

Che cosa è il digiuno?
È un esercizio che aiuta a purificare se stessi, i propri pensieri, a vincere le cattive inclinazioni, a mettersi con sincerità davanti a Dio, a pregarlo con umiltà. Spero che questa preghiera e questo digiuno vissuti in questo tempo di Ramadan possano portare frutti di pace, di convivenza e amore reciproco. Ne abbiamo davvero tutti bisogno.


Ramadam un falso e ridicolo digiuno
viewtopic.php?f=188&t=2638


«Non stare a torso nudo: è Ramadan», aggredito un minorenne ad Avellino
Giovedì 1 Giugno 2017

http://www.ilmattino.it/avellino/aggred ... 77366.html

"Non stare a torso nudo: è Ramadan". Aggredito un minorenne a piazza Kennedy, la città si mobilita. Calci e pugni contro un minorenne. La violenta aggressione si è consumata, intorno alle 13,30 di ieri, nei giardinetti pubblici di piazza Kennedy. A riportare lesioni un 17enne del capoluogo, aggredito violentemente da due sconosciuti. Ma c’è una foto scattata con il cellulare che consentirebbe di riconoscerli. Potrebbero essere exracomunitari o profughi richiedenti asilo. Corteo di solidarietà organizzato in città.




Avellino, manifestazione dopo l'aggressione di un 17enne per motivi religiosi

http://napoli.repubblica.it/cronaca/201 ... -167111055

"Non stare a torso nudo: è Ramadan". Yuri, ragazzo avellinese di 17 anni, sarebbe stato pestato da due extracomunitari in piazza Kennedy nel centro della città per motivi religiosi. La sua colpa? Era a torso nudo per festeggiare la fine della scuola, atteggiamento ritenuto offensivo dai due stranieri, di religione musulmana. Avrebbero anche urlato la parola “Ramadan” mentre lo picchiavano.

L'episodio ha suscitato reazioni xenofobe e razziste verso gli extracomunitari soprattutto sui social. Stamane per dire no a ogni forma di violenza si sono ritrovati nella stessa piazza cittadini di Avellino e musulmani. L'iniziativa è stata lanciata dall'avvocato Massimo Passaro, dell'associazione “Cittadini in movimento”.

“Abbiamo chiarito che non c'era nessun intento discriminatorio, questa è una città tollerante anche se non è più sicura”. Ragazzi avellinesi e anche musulmani hanno sfilato in corteo a torso nudo.

“Lo abbiamo fatto – dicono i rappresentanti musulmani che vivono in Irpinia – proprio per dimostrare che la nostra religione è contro ogni forma di violenza. Da tempo anche qui in Irpinia siamo impegnati per la pace”.



Religione e religiosità come ossessione, come grave malattia, grave disturbo della mente e dell'anima o psico-emotivo
viewtopic.php?f=141&t=2527

Cosa ci sarà mai di spirituale in questa gente, in questo culto politico-religioso dell'orrore e del terrore, nel loro pregare idolatra e ossessivo?

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lamica.jpg


Preghiere islamiche contro i non islamici
viewtopic.php?f=188&t=2502

Canada - Preghiera islamica contro tutti gli ebrei e i cristiani
https://www.youtube.com/watch?v=bE_e3K- ... e=youtu.be
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 8:42 am

???

Il Vaticano ai musulmani: insieme per la salvaguardia del creato
GIACOMO GALEAZZI
2017/06/02

http://www.lastampa.it/2017/06/02/vatic ... agina.html

L’impegno comune per la salvaguardia del creato è il tema del cinquantesimo messaggio annuale inviato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso ai musulmani di tutto il mondo in occasione del Ramadan, il mese del digiuno iniziato il 27 maggio e che si conclude con la festa di ‘Id al-Fitr che cadrà, in base ai movimenti della luna, attorno al 24 giugno.

Nel messaggio, firmato il 19 maggio e pubblicato oggi, il giorno dopo l’annuncio degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo sul clima di Parigi, si ricorda che nella sua enciclica Laudato si’ «Papa Francesco attira l’attenzione sui danni causati all’ambiente, a noi stessi ed ai nostri simili, dai nostri stili di vita e dalle nostre decisioni». Il testo sottolinea che ci sono «alcune prospettive filosofiche, religiose e culturali che rappresentano una minaccia per il rapporto dell'umanità con la natura» e rimarca che «la nostra vocazione di essere custodi dell'opera di Dio non è né facoltativa, né marginale in relazione al nostro impegno religioso come cristiani e musulmani: è parte essenziale di esso».

Nel messaggio, intitolato “Cristiani e musulmani: insieme per la cura della casa comune”, il prefetto del Dicastero vaticano titolare del dialogo con il mondo musulmano, il cardinale Jean Louis Tauran, e il segretario monsignor Miguel Angel Ayuso Guixot, si ispirano, quest’anno, «alla Lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si' - Sulla cura della casa comune, indirizzata non solo ai cattolici e ai cristiani, ma a tutta l'umanità. Papa Francesco – sottolinea il Pontificio consiglio – attira l'attenzione sui danni causati all’ambiente, a noi stessi ed ai nostri simili, dai nostri stili di vita e dalle nostre decisioni. Ci sono, ad esempio, alcune prospettive filosofiche, religiose e culturali che rappresentano una minaccia per il rapporto dell'umanità con la natura. Accogliere questa sfida coinvolge tutti noi, a prescindere dal fatto che professiamo o meno una credenza religiosa».

«Lo stesso titolo dell'Enciclica – sottolinea il messaggio vaticano – è espressivo: il mondo è una “casa comune”, una dimora per tutti i membri della famiglia umana. Pertanto, nessuna persona, nazione o popolo può imporre in modo esclusivo la propria comprensione del pianeta. È per questo che Papa Francesco invita a “rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del nostro pianeta. ... perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti”. Papa Francesco afferma che “la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore”. Ciò che serve è l'educazione, un'apertura spirituale e una “conversione ecologica globale” per affrontare adeguatamente questa sfida. Come credenti, il nostro rapporto con Dio deve essere sempre più evidente attraverso il modo di rapportarci al mondo che ci circonda. La nostra vocazione di essere custodi dell'opera di Dio – sottolinea la Santa Sede – non è né facoltativa, né marginale in relazione al nostro impegno religioso come cristiani e musulmani: è parte essenziale di esso».

Il Dicastero sottolinea, a inizio del testo, che il messaggio di quest'anno è particolarmente significativo: «Cinquant'anni fa, nel 1967, solo tre anni dopo l'istituzione di questo Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso da Papa Paolo VI, il 19 maggio del 1964, per la prima volta fu inviato un Messaggio per questa occasione». Il cardinale Tauran e monsignor Guixot ricordano come «particolarmente importanti» due messaggi pubblicati in questo mezzo secolo: quello, pubblicato durante il pontificato di Giovanni Paolo II nel 1991, intitolato “La via dei credenti è la via della pace”, e quello del 2013, primo anno del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, intitolato “La promozione del mutuo rispetto attraverso l'educazione”, entrambi firmati dai Pontefici stessi.

Il messaggio per il Ramadan, è «la più importante e di lunga data» tra le numerose attività per promuovere il dialogo con i musulmani, scrive ancora il Pontificio Consiglio, che sottolinea di essere assistito in questo dalle comunità cattoliche locali e dai nunzio apostolici. «L’esperienza di entrambe le nostre comunità afferma il valore di questo messaggio per promuovere cordiali relazioni tra vicini e amici cristiani e musulmani, offrendo riflessioni su sfide attuali e urgenti».

Il documento si conclude con il seguente augurio rivolto ai musulmani di tutto il mondo: «Possano i pensieri religiosi e le benedizioni che derivano dal digiuno, dalla preghiera e dalle buone opere, sostenervi, con l'aiuto di Dio, sulla via della pace e della bontà, nel prendervi cura di tutti i membri della famiglia umana e di tutto il Creato! È con questi sentimenti, che vi auguriamo, ancora una volta, serenità, gioia e prosperità».
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven giu 16, 2017 7:39 am

???

Un dialogo necessario fra musulmani e cristiani (Prima parte)
15/06/2017
ISLAM-M.ORIENTE
Samir Khalil Samir

http://www.asianews.it/notizie-it/Terro ... 41023.html

Fra cristiani e musulmani vi è un buon rapporto in Libano, Siria, Giordania. Le difficoltà sono nate e cresciute con l’Arabia saudita e il suo islam wahhabita, oltre che con i Fratelli Musulmani in Egitto. Il sunnismo di questi è simile a quello di al Qaeda e di Daesh. Il contributo dei cristiani alla cultura araba sulla modernità, sull’educazione, sul ruolo della donna nella società. La cultura araba comune tra cristiani e musulmani in Oriente.

Roma (AsiaNews) – La serie di attentati terroristi che ha colpito molte città e capitali europee, come pure l’ondata irrefrenabile di migranti che cercano asilo in Europa spinge molti alla paura di una possibile “invasione” dell’islam. Allo stesso tempo, alle violenze subite negli attentati, una risposta altrettanto violenta pare essere la mossa più razionale. Una “guerra fra religioni” è il cliché che molti media seguono con passione, ricalcando l’ipotesi del “conflitto di civilizzazioni” in voga alcuni anni fa.

P. Samir Khalil Samir, gesuita, islamologo, mostra invece che le tensioni con l’islam non avvengono ovunque e non con tutto l’islam, ma sono riconducibili a ragioni storiche, geografiche e culturali e che vi è sempre stata una base dialogica in Medio oriente, che è ora importante rafforzare in Europa. Pubblichiamo l’analisi di p. Samir in tre parti. Questa di oggi è la Prima.

1. Le relazioni tra cristiani e musulmani in Oriente

La situazione è diversa secondo i Paesi. In generale però la loro situazione è difficile, perché gli Stati non sono laici, ma sono gestiti dalla Legge islamica (la shari’a), all’eccezione del Libano, unico Paese arabo non islamico. I Paesi musulmani non distinguono tra fede e politica, tra privato e pubblico. Questa è la più grande difficoltà per noi cristiani: essere sottomessi al sistema islamico, un sistema che risale al settimo secolo.

In Libano la situazione è generalmente buona e c’è la volontà di convivere in modo amichevole. Tutti i gruppi religiosi sono riconosciuti: possono seguire le loro norme, e c’è una costituzione ispirata dalle più moderne e riconosciuta da tutti i gruppi. C’è la parità tra i due gruppi.

In Giordania la situazione è abbastanza buona, perché il re è di tendenza aperta. Sia il padre Hussein che il re attuale, il figlio Abdallah hanno sposato delle mogli occidentali, molto colte e di origine orientale anche cristiane.

La Siria ha elementi positivi, seguendo il partito Baath fondato da un cristiano ortodosso (Michel Aflaq, 1910-1989) e avendo una costituzione laica. Il problema viene dal fatto che, da quasi 50 anni, il presidente è un musulmano di tradizione sciita (alawita), benché il 70% della popolazione sia musulmana di tradizione sunnita. Il fatto che la costituzione sia laica e che tutte le religioni siano rispettate, permette per esempio ad ogni gruppo religioso di costruire i propri luoghi di preghiera, di avere le loro attività religiose, i loro giorni di festa; il sistema matrimoniale è diverso secondo le religioni, il sistema ereditario anche. Insomma, c’è una distinzione tra la vita politica (comune a tutti), e l’organizzazione religiosa diversa secondo i gruppi religiosi.

L’Egitto, troppo marcato dall’università religiosa d’al-Azhar e dai Fratelli Musulmani fondati nel 1928, è più fanatico. Tutto è retto dalla shari’a islamica. Non era il caso prima, sotto i monarchi e neppure sotto Gamal Abdel Nasser. Questo è cambiato con la modifica della Costituzione sotto il presidente Sadat, nel 1972, con l’articolo 2 che faceva della shari’a la base essenziale della costituzione.

Inoltre il movimento dei Fratelli Musulmani è molto forte in Egitto (dove è nato). Questo movimento ha per scopo l’islamizzazione della società, con tutti i mezzi possibili. Le moschee sono numerosissime e sempre più radicali, e emettono i discorsi degli imam e le preghiere cinque volte al giorno (anche alle 5 del mattino) con megafoni potentissimi. È il loro modo di fare la propaganda islamica.

Quanto ai Paesi della Penisola arabica, in particolare dell’Arabia Saudita, l’intolleranza religiosa è la norma, basata sul fanatismo wahhabita, dottrina introdotta dall’imam Muhammad Abd al-Wahhāb (1703-1792), nella forma più rigida dell’islam, insistendo sull’interpretazione letterale del Corano. Molti di loro stimano che chi non adotta questa forma d’islam è semplicemente un pagano, un kāfir. Personaggi come Osama bin Laden, i Ṭālebān e oggigiorno l’Isis (Da’esh in arabo) s’ispirano a questa concezione dell’islam, con tutta la violenza che vediamo da questi gruppi. Il peggio è che tutti questi massacri disumani sono fatti in nome di Dio e della religione.

La maggioranza dei Paesi della Penisola arabica seguono l’Arabia Saudita in gradi diversi. La tragedia oggi è che l’Arabia (e il Qatar), con la loro ricchezza proveniente dal petrolio, distribuiscono largamente milioni di dollari in ogni Paese islamico purché adottino la dottrina wahhabita. E così stanno rovinando tutti i Paesi musulmani.

2. La cultura araba comune tra cristiani e musulmani facilita il dialogo

Cristiani e musulmani del Medio Oriente condividono una cultura araba comune. Anzi, tutti riconoscono che attraverso i secoli i cristiani hanno giocato un ruolo importante nella cultura araba, sia durante il periodo abbasside (750 - 1250), sia nell’epoca moderna, nel XIX e XX secolo. Hanno modernizzato la lingua e il pensiero arabo; sono stati spesso i promotori delle idee moderne e delle tecnologie moderne. Tutti riconoscono il loro contributo (soprattutto quello dei cristiani siro-libanesi, anche in Egitto nel XIX e XX secolo) nella società araba e nella politica araba.

Questa cultura araba comune, e questo contributo positivo a rinnovare e modernizzare la cultura, facilita il rapporto tra le due religioni. Spesso però i cristiani sono più aperti alla cultura occidentale rispetto ai musulmani, i quali hanno una visione della vita più chiusa, più marcata dal passato, soprattutto riguardo ai rapporti tra uomo e donna. In questo campo, in ciò che riguarda il posto della donna, i cristiani hanno portato un grosso contributo. Senza cadere in alcuni eccessi visibili in occidente, hanno dato valore al ruolo rispettivo degli uomini e delle donne.

Il più grosso contributo dei cristiani alla civiltà araba moderna è probabilmente nel settore dell’educazione. Sia in Libano che in Egitto, le scuole cristiane (principalmente cattoliche), maschili e femminili, già a metà nel XIX secolo, hanno formato le personalità le più marcate, musulmane e cristiane. In Libano inoltre, le più famose università fino ad oggi sono state create dai cristiani protestanti (come l’Università americana, AUB, fondata nel 1866) e cattolici (l’Università San Giuseppe dei gesuiti, USJ, fondata nel 1875). Nel XX secolo sono venute fuori molte università cattoliche (fondate da ordini religiosi), cominciando con l’Università di Kaslik (USEK, fondata nel 1950), l’Università ortodossa di Balamand (inaugurata nel 1988), e finalmente l’Università libanese (nel 1953).

L’Istituto di studi islamo-cristiani, fondato nel 1977 all’Università San Giuseppe, dà un’informazione scientifica sulle due religioni e sul rapporto tra le due. Gli studenti sono più o meno a parità musulmani e cristiani. Lo stesso vale per i professori. Alcune materie sono date simultaneamente da due professori, uno musulmano e l’altro cristiano. Ciò permette di completare il punto di vista di ciascuno con il punto di vista dell’altro professore.

Avendo una cultura araba comune, ciò permette ai cristiani di capire meglio i musulmani, e ai musulmani di scoprire che i cristiani non sono estranei al mondo culturale musulmano. Le difficoltà s’incontrano con i musulmani rigorosi o fanatici, più raramente con i cristiani fanatici.

Inoltre, c’è una base comune tra musulmani e cristiani d’Oriente: la fede nell’unico Dio, la totale fiducia in Dio. Esistono molte espressioni comuni che esprimono l’abbandono alla volontà di Dio in tutto, e la fiducia in Lui: insciallah (se Dio vuole!), al-hamdu lillah (lode a Dio!), bi-idhn Allah (col permesso di Dio!), neshkor Allah (ringraziamo Dio!), Subḥān Allah (Gloria a Dio!), Mā sha’ Allah (ciò che Dio ama!), Fi aman Allah (nella protezione di Dio!), Rahimahu Allah (Che Dio abbia pietà di lui! Per un morto), ecc.



Un dialogo necessario fra musulmani e cristiani (Seconda parte)
16/06/2017

http://www.asianews.it/notizie-it/Terro ... 41041.html


Alla crisi dell’islam, salafiti, wahhabiti e Fratelli Musulmani rispondono con un ritorno alle origini dell’islam e con una guerra contro i “miscredenti”. Il loro credo è simile a quello di Al Qaeda e Daesh. La guerra fra sunniti e sciiti. Il proselitismo dell’Arabia saudita e la diffusione delle moschee integraliste. Da modello da imitare, l’Europa è divenuta un esempio di “decadenza” da combattere.

Roma (AsiaNews) – La crisi dell’islam data dalla caduta dell’impero ottomano, dalla nascita dei Fratelli Musulmani e dalla diffusione del wahhabismo da parte dell’Arabia saudita e del Qatar. Da allora è in atto una lotta contro l’occidente “miscredente” e “immorale”. Allo stesso tempo, l’Europa ha perso sempre più una dimensione religiosa nella società, arroccandosi nel “narcisismo dei diritti”. Eppure vi è stato un periodo in cui l’Europa era un modello di dialogo e di confronto positivo con le culture del Medio oriente.

Pubblichiamo oggi la Seconda parte dell’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita, islamologo, che spinge al dialogo e alla convivenza evitando una “guerra di religione”. Per la Prima parte vedi qui.

3. Le cause della crisi attuale dell’Islam

In partenza, c’è lo sviluppo di una visione radicale dell’islam, che si è sviluppato nel corso del ventesimo secolo, in seguito alla caduta dell’impero ottomano (1924), colla decisione di Kemal Atatürk, e alla divisione del mondo islamico. La soluzione è stata ricercata nel ritorno al passato, spesso espresso in un ritorno materiale al modo di vivere della prima generazione dei musulmani. Di là sono nati movimenti integralisti: i “Fratelli Musulmani” (1928), i “Salafiti” e i “Wahhabiti”.

Con la nascita dello Stato dell’Arabia Saudita nel settembre 1932, il wahhabismo è divenuto la dottrina ufficiale dello Stato, il quale non ha una Costituzione, ma è retto dalla Shari’ah islamica. La scoperta del petrolio nel marzo 1938, ha reso l’Arabia ricchissima in poco tempo. Negli ultimi decenni, l’Arabia ha costruito centinaia di moschee in tutto il mondo islamico, e vi ha messo imam formati alla sua dottrina rigorosissima, che ha condotto il mondo islamico al fanatismo sfrenato.

Questi movimenti, in particolare i salafiti e gli wahhabiti, si riconoscono esternamente dal modo di vestirsi, oppure dalla barba e da altri segni esterni. Il comportamento esterno è importante psicologicamente, perché permette d’identificare gli “amici” e chi non lo è!

In particolare, tutto ciò che riguarda la donna e le relazioni tra uomini e donne è controllato. Le donne sono particolarmente vigilate, e vivono sotto il controllo continuo degli uomini; anche le ragazze sono controllate dai fratellini più piccoli! La dipendenza dall’uomo è totale. Tutte le decisioni sono prese, in fin dei conti, dai maschi. La donna è sempre sottomessa ad un uomo: padre, marito, fratello o figlio; e sempre sotto controllo. Lei rappresenta “l’onore” della famiglia: la minima cosa che si distacca dalla tradizione, “disonora” la famiglia.

In un Paese come l’Egitto, nel 1923 (quasi un secolo fa), Hoda Sha’rawi decide di buttare il velo sulla piazza pubblica (Bab al-Hadid); nel 1925, Rose al-Youssef fonda una rivista settimanale ancora famosa oggigiorno, che porta il suo nome! Nel 1951, Doriyya Shafik organizza una manifestazione davanti al Parlamento, con 1500 donne, chiedendo il diritto di votare … e l’ottiene dal Re Farouk … ciò che le saudite non hanno ancora ottenuto 66 anni dopo, nel 2017, per fedeltà al wahhabismo!

Secondo me, la rivoluzione del 2011 (la cosiddetta Primavera araba) non era solo politica: era una rivoluzione contro il patriarcato! Oggigiorno, pochissime donne hanno un ruolo nella vita della società, nella politica, nell’economia, ecc. Nel Parlamento egiziano per esempio, solo il 2% dei membri sono donne!

Infine, l’odio dei sauditi verso lo sciismo, rappresentato dall’Iran, li ha spinti ad aggredire sciiti (e alawiti) ovunque nel mondo. Gli sciiti rappresentano dal 10 al 15% dei musulmani nel mondo, ma molto di più nel Medio Oriente. Gli sciiti sono maggioranza in Iran, ma anche in Iraq e in Bahrein; sono anche importanti in Libano (sono già più numerosi dei sunniti), nello Yemen, e in numerosi Paesi. In particolare, l’Iran appare come un concorrente dell’Arabia Saudita. Addirittura, l’Arabia Saudita ha fatto un patto con Israele (il nemico degli Arabi!) autorizzando Israele a sorvolare il territorio saudita quando vorrà bombardare l’Iran!

4. L’Europa vista dall'Oriente, specialmente dai musulmani

Nel 1800, l’Europa era vista dai musulmani come un modello. I musulmani più ricchi e più colti andavano in Europa per compiere gli studi, e cercavano di adottare la lingua di questi Paesi, in particolare l’inglese o il francese. Anche il modo di vivere, la cultura, erano attraenti per le classi superiori del mondo musulmano. Nel mondo arabo, la Nahda (il Rinascimento) s’inspirava al modello occidentale in molte cose. Anche la “liberazione della donna musulmana” si è diffusa all’inizio del ventesimo secolo, appoggiata sull’ideale europeo.

Man mano però, questo modello ha perso la sua attrattiva. Una delle cause principali è stata, secondo me, la perdita del senso religioso in molti Paesi europei, e la diffusione di una certa immoralità nella vita quotidiana, soprattutto nelle relazioni libere tra i sessi, come anche nella diffusione nell’omosessualità riconosciuta come un “diritto”. Oggigiorno in molti Paesi occidentali l’aborto per ragioni di comodità non è solo riconosciuto come un diritto, ma l’intervento è sovvenzionato dallo Stato. Similmente, il concetto di “famiglia” si è “allargato”! C’è quella tradizionale, composta da un uomo e da una donna, e c’è la “famiglia moderna”, composta da due uomini oppure due donne! Tutto questo è visto – con ragione – come una vergogna, che dimostra che la civilizzazione occidentale è “decadente”. E ciò viene a rinforzare la visione tradizionalista islamica, in particolare dei wahhabiti.

Questa realtà ha molto incoraggiato la reazione contraria del rigorismo religioso, fino ad arrivare alla situazione attuale, dove il modello etico è quello del ritorno al settimo secolo e alle pratiche maschiliste, come al rigorismo in tutto.

In due secoli, l’immagine dell’Occidente – che era piuttosto positiva – è divenuta assolutamente negativa, e rinforza l’atteggiamento dei fondamentalisti islamici. L’estremismo occidentale viene a giustificare e rinforzare l’estremismo fondamentalista. L’Occidente non è più un modello da imitare; al contrario il modello è nel passato, nella fondazione originale ­– la più lontana possibile del modello occidentale, ormai corrotto. Questo spiega perché l’Isis e i terroristi islamici attaccano a Köln (Colonia), la notte di Capodanno, le donne troppo leggermente vestite (secondo loro), viste come prostitute; oppure a Manchester attaccano giovani in ascolto di una musica che sembra loro “diabolica”; ecc.

In breve, questi islamici radicali considerano l’Occidente come “decadente”. Perciò contro gli occidentali tutto è permesso, perché appartengono ormai alla categoria dei “miscredenti”, dei kuffâr. Questo movimento islamico radicale pretende offrire il modello opposto, quello dell’ “islam autentico”, quello degli “origini”!



Un dialogo necessario fra musulmani e cristiani (Terza parte)
17/06/2017

http://www.asianews.it/notizie-it/Terro ... 41045.html

L’ondata di migranti che cercano rifugio in Europa non accenna a esaurirsi. Fra loro, i musulmani sono quelli che si adattano con maggior fatica a uno stile di vita giudicato “decadente”. L’integrazione implica accettazione della scala dei valori dell’occidente, fra cui la dignità della donna è al primo posto. I cristiani non devono “difendersi dall’invasione islamica”, ma incontrare e testimoniare la fede nella carità e nell’amore.

Roma (AsiaNews) – I musulmani che vengono in Europa a cercare rifugio fanno fatica a integrarsi nella cultura occidentale. Per questo è importante aiutarli ad assimilare i valori dell’occidente soprattutto quelli legati alla dignità della donna, senza alcun compromesso. I cristiani, a loro volta, sono chiamati a testimoniare la loro fede e la loro accoglienza. Il dialogo sulla religione è una conseguenza dell’amore vissuto e offerto. Pubblichiamo qui la Terza parte dell’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita, islamologo sull’urgenza del dialogo fra cristiani e musulmani. Per la Seconda parte vedi qui; per la Prima parte qui.

5. Accogliere i Musulmani in Europa e aiutarli ad integrarsi

La crisi del mondo islamico e la reazione violenta all’interno del mondo arabo e oltre, hanno provocato migliaia di morti e milioni di migranti, la maggioranza dei quali cerca asilo in Europa. Sono ormai circa 8 milioni gli emigranti che desiderano venire in Europa, e il flusso non si fermerà. La maggioranza di loro sono musulmani, provenienti non solo dal mondo arabo, ma anche dall’Africa e da altre parti. Inoltre, sono spesso dei musulmani di ambiente modesto, con una cultura non molto sviluppata. I ricchi musulmani, che hanno studiato all’università, offrono meno problemi.

Ora, c’è un fatto evidente in tutto il mondo: il musulmano ha grosse difficoltà ad integrarsi in Occidente. Il motivo è chiaro: essendo l’islam un progetto globale (religioso, politico, militare, economico, sociale, modo di vestire, di mangiare, di relazionarsi agli altri, ecc.), chi viene in Occidente non può sottomettersi spontaneamente alle leggi, alle norme e alle usanze di quest’altro mondo. Per il musulmano di oggi la shari’a è ciò che governa tutta la vita. Disobbedire alle norme della shari’a è il crimine più grave. Quanto alle norme occidentali, sono spesso viste come cattive o addirittura peccaminose. Per questo motivo, il musulmano non vede perché dovrebbe adottare usanze e comportamenti che, a suo parere, sono decadenti, anzi contrarie alla Legge divina rappresentata dalla shari’a islamica.

Per questo motivo fin dal primo istante, è essenziale far capire all’emigrato musulmano la differenza culturale che esiste tra i due mondi; e spiegare all’emigrato musulmano che le sue norme, anche se sono sacre per lui, non hanno valore in Occidente. Se vuole vivere qui, deve obbligatoriamente sottomettersi ai valori del Paese, anche se gli sembrano scorrette. Lo stesso vale per l’Occidentale che vuol vivere in un Paese musulmano: deve sottomettersi alle norme di tale Paese, anche se gli sembrano erronee.

Se vogliamo evitare problemi e conflitti in futuro, questo è un punto fondamentale. Spesso, il comportamento strano del musulmano è giustificato da lui a partire dalla sua cultura islamica, la quale è vista da lui come il “sommo bene”, come il modello perfetto visto che - secondo il suo pensiero - è stato stabilito da Dio stesso.

Questa “educazione” non è automatica, né avviene in modo spontaneo. Si deve trasmetterla, a cominciare dai bambini, ma spiegandola come una necessità, come un obbligo assoluto, se vogliono vivere in questo Paese. È necessario spiegare che non intendiamo che le norme del nostro Paese siano migliori delle norme altrui, ma semplicemente che ogni Paese ha la propria cultura e norme, che sono (per definizione) “normative”. Se l’interessato non le accetta, è libero; ma deve allora andarsene, per vivere laddove le sue norme sono normative.

Uno dei punti più sensibili è il rapporto uomo-donna: non è lasciato al parere di ognuno; l’assoluta parità di diritti e doveri tra l’uomo e la donna è una norma assoluta. Contravvenire a questa norma è un delitto! Questo punto è particolarmente difficile da accettare o semplicemente da praticare, perché si oppone a una norma assoluta, stabilita dal Corano e diffusa in tutta la cultura islamica. Perciò appare al musulmano come totalmente inaccettabile ed erroneo. Ma non si può cedere su questo punto.

6. Annunziare il Vangelo ai Musulmani, sottolineando il Dio Amore e la fraternità universale

Infine, di fronte a questi musulmani che arrivano in massa, ci sono due atteggiamenti possibili: uno è vedere questa realtà come un’invasione; l’altro di vederla come un appello e una missione. Il primo atteggiamento non serve a nessuno, né a me, né all’altro. Il secondo può cambiare molte cose. Vedere automaticamente gli emigrati come “invasori” è certamente non cristiano. È ovvio che nelle situazioni in cui si trovano la maggioranza di loro, nei Paesi bombardati, con le loro case distrutte, le scuole e gli ospedali cancellati, ecc., ognuno di noi cercherebbe una soluzione più umana alla sua vita. Questo tanto più che la guerra continua, con la sua disumanità! Inoltre, in questi Paesi (Siria, Irak, e tanti Paesi africani), si sa che il governo non farà gran ché per restaurare tutto ciò che è stato distrutto. Non hanno altra scelta che di cercare una soluzione altrove, nei Paesi materialmente più organizzati.

Detto questo, dobbiamo pensare in quanto credenti cristiani. Il Vangelo di Matteo finisce con queste parole di Gesù ai discepoli: “Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 19-20; cfr Marco 16, 15-16).

Non si tratta di fare propaganda, si tratta semplicemente, per ciascuno di noi, di essere fraterno, di testimoniare affetto e amicizia, di esercitare amore e carità. È questo il messaggio del Vangelo. Se si può approfondire la relazione, anche con scambi di idee sulla visione musulmana e quella cristiana, tanto meglio. Non si tratta né di propaganda, né di proselitismo. Ma non dobbiamo esitare a parlare di Cristo e del Vangelo, ed eventualmente paragonarci con la concezione islamica, se la conosciamo.

Se si può aiutare alcune famiglie a mandare i figli in una scuola cattolica, sarà anche l’occasione per loro di scoprire un pochino che cos’è il cristianesimo.

D’altra parte, le feste cristiane sono occasioni d’incontro e di scambio. Ugualmente, se si crea l’amicizia con qualche famiglia musulmana, certamente v’inviteranno a partecipare alle feste musulmane, in particolare per il Ramadan.

Insomma, si tratta di partire dalla convinzione che loro non sono i nostri nemici, ma i nostri fratelli. Se Dio li manda nel nostro Paese, ci sarà anche un motivo di metterci alla prova: siamo veri cristiani, pronti a condividere la nostra fede, fonte della nostra gioia? A condividere la meraviglia che rappresenta il Vangelo? Allo stesso modo, lui condividerà con me il suo Corano, che considera come l’ultimo messaggio di Dio all’umanità.

In una parola, non dobbiamo aver paura dei musulmani. Sono come noi. Ma non hanno avuto la fortuna di conoscere Cristo, la Vergine Maria e il Vangelo. Hanno diritto a tutto questo: non possiamo tenere questo per noi soli. Ma è ovvio che se voglio condividere il Vangelo con qualcuno, devo essere io il primo a conoscerlo e a viverlo!





Alberto Pento

Idolatra irresponsabile Amir non mentire!
Gli islamici nei paesi dove sono divenuti dominanti, hanno fatto sparire ogni diversamente religioso e pensante con le persecuzioni, con le conversioni forzate, con la costrizione all'esilio, con lo sterminio di ogni diversamente religioso e pensante.


Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Ensemense proixlam, buxie e falbarie xlameghe
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Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani (cristianofobia)
viewtopic.php?f=181&t=1356


Accoglienza o ospitalità imposta o forzata è un crimine contro l'umanità
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Se accogliete indiscriminatamente islamici e africani come vorrebbero le caste irresponsabili e parassitarie, criminali e demenziali, vi farete irreparabilmente del male con le vostre mani e lo farete alle vostre famiglie, ai vostri figli, alla vostra gente.
L'obbligo dell'accoglienza o l'imposizione dell'accoglienza come nuova forma di dominio politico ideologico e di riduzione in schiavitù;
imposta in nome delle utopie totalitarie comunista e cristiana a cui si va aggiungendo quella orrenda maomettana:

Non deprediamo e non uccidiamo la nostra gente con l'irresponsabile accoglienza indiscriminata e scriteriata a spese delle scarse risorse pubbliche, dei nostri figli e nipoti e dei nostri compaesani e concittadini
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Non portarti la morte in casa, non hai colpe né responsabilità
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio lug 20, 2017 9:20 pm

L'islam riconquista la Spagna: nella Cattedrale di Cordoba tornerà il Corano
Giovanni Neve - Gio, 20/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 22697.html

Il governo andaluso studia una soluzione per rendere la Chiesa di Cordoba un luogo di culto interconfessionale. E così potrebbe riaprire le porte della cattedrale all'islam
La cattedrale di Cordoba è uno dei simboli della "reconquista" spagnola ai danni dell'islam.

Una sorta di monumento ai combattenti che strapparono l'Andalusia ai musulmani, riconsegnandola alla loro origine cristiana. A breve questo simbolo potrebbe essere trasformato da Chiesa in centro interconfessionale, riaprendo le porte all'islam.

Andiamo con ordine. La cattedrale di Cordoba attualmente si chiama "Immacolata concezione della Vergine Maria". Nome cattolicissimo, come normale. Ma prima della "reconquista" era una moschea islamica e infatti la conformazione architettonica è tipica di un luogo di culto musulmano, se si escludono le aggiunte cristiane volute nel 1236 da Ferdinando III. Non è un caso dunque che i musulmani da tempo chiedano la "restituzione" del luogo di culto eretto da Abd al-Rahman I. Anche se, come spiega Libero, in realtà prima della moschea sullo stesso luogo sorgeva la chiesa di San Vincenzo (del VII secolo), che gli islamici distrussero una volta conquistata la Spagna.

Gli islamici continuano a fare pressioni per ripendersi la cattedrale dell'Immacolata Concezione. "Dalla loro hanno perfino l’Onu - scrive Libero - che inserendola nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco, non l’ha mica chiamata col giusto nome, bensì 'Grande moschea di Cordova'". Per l'ente delle Nazioni Unite la Cattedrale appartiene a "tutti i cittadini del mondo, appartenenti a qualsiasi epoca, indipendentemente dalla loro nazione, cultura o razza".
E così il governo andaluso ha ben pensato di creare una commissione per "tenere fede" alla definizione data dall'Unesco. In che modo? L'idea è quella di trasformarla in un luogo di culto per tutte le religioni, permettendo dopo 800 anni agli imam di guidare le preghiere ad Allah in quella che era il simbolo della liberazione dell'Europa dal giogo islamico. E secondo Carlos Echevarría, esperto di jihadismo in Spagna, in questo modo non solo si fa un assit al raficalismo islamico, ma la Cattedrale "diverrebbe meta di pellegrinaggio per tutti quegli islamici che credono che l’Andalusia sia roba loro".
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven ago 04, 2017 7:10 am

Il povero Scalfari confonde Dio con gli idoli e la spiritualità con la religione/religiosità, non sa nemmeno che esistono gli aidoli ossia dei credenti naturali senza religione che lui chiama "i non credenti".

Gli atei sono assurdità al pari dei credenti negli idoli.
Scalfari dice un mucchio di idiozie è un grande presuntuoso e ignorante.


Atei militanti perché sbagliate
Eugenio Scalfari
2017/07/19

http://m.espresso.repubblica.it/opinion ... e-1.306444


Gli atei. Non so se è stata mai fatta un’indagine nazionale o internazionale sul loro numero attuale, ma penso che non siano molti. I semi-atei sono certamente molti di più, ma non possono definirsi tali. L’ateo è una persona che non crede in nessuna divinità, nessun creatore, nessuna potenza spirituale. Dopo la morte, per l’ateo, non c’è che il nulla. Da questo punto di vista sono assolutisti, in un certo senso si potrebbero definire clericali perché la loro verità la proclamano assoluta.

Anche quelli che credono in una divinità (cioè l’esatto contrario degli atei) ritengono la loro fede una verità assoluta, ma sono infinitamente più cauti degli atei. Naturalmente ogni religione cui appartengono è molto differente dalle altre, ma su un punto convergono tutte: il loro Dio proclama una verità assoluta che nessuno può mettere in discussione. Nel caso della nostra storia millenaria il mondo è stato spesso insanguinato da guerre di religione. Quasi sempre dietro il motivo religioso c’erano anche altri e più corposi interessi, politici, economici e sociali, ma la motivazione religiosa era comunque la bandiera di quelle guerre, che furono molte e insanguinarono il mondo.

Gli atei - l’ho già detto - non sanno di essere poco tolleranti, ma il loro atteggiamento nei confronti delle società religiose è rigorosamente combattivo. La vera motivazione, spesso inconsapevole, è nel fatto che il loro Io reclama odio e guerre intellettuali contro religioni di qualunque specie. Il loro ateismo proclamato vuole soddisfazione, perciò non lo predicano con elegante pacatezza ma lo mettono in discussione partendo all’attacco contro chi crede in un qualunque aldilà, lo insultano, lo vilipendono, lo combattono intellettualmente. È il loro Io che li guida e che pretende soddisfazione, vita natural durante, non avendo alcuna speranzosa ipotesi di un aldilà dove la vita proseguirebbe, sia pure in forme diverse.

Con questo non voglio affatto dire che l’ateo sia una persona da disprezzare, da isolare e tanto meno da punire. Spesso i suoi modi sono provocatori, rissosi e calunniosi, ma questo non giustifica reazioni dello stesso genere. Certo non ispirano simpatia, ma questa è una reazione intellettuale di fronte alla prepotenza del loro Io.

Infine c’è una terza posizione, anch’essa minoritaria come gli atei, ma profondamente diversa: i non credenti. Non credono a una divinità trascendente, per quanto riguarda l’aldilà suppongono l’esistenza di un Essere e qui si entra in un’ipotesi affascinante che può assumere le forme più diverse. Per alcuni l’Essere è la forma iniziale dell’Esistere, per altri è l’Esistere che dorme, in perenne gestazione; per altri ancora è il caos primigenio, al quale l’energia delle forme torna dopo la morte d’una forma qualsiasi e dal quale forme nuove sorgono continuamente, con loro leggi e loro vitalità energetica. La vita e l’aldilà, da questo punto di vista, sono in continuo avvicendamento del quale noi umani ignoriamo i meccanismi creativi, ma che tuttavia sono in continua e autonoma attività.

L’Essere e il Divenire. Ci furono nell’antica Ellade, due filosofi che in un certo senso sono i predecessori di questo modo di pensare: Parmenide ed Eraclito. Non furono i soli, ma certamente i più classici e i più completi, ciascuno dal suo punto di vista.

Parmenide definì l’Essere come una realtà vitale ma stabile, non modificabile, il letto della vita che l’Essere contiene ma che non assume alcuna vitalità. Eraclito non ignora l’Essere, ma ipotizza che esso alimenti il Divenire. Si potrebbe dire che la vita dorme nell’Essere e si sveglia nel Divenire.

Ammetto qui la mia incompleta informazione culturale: più o meno i due filosofi appartengono alla stessa epoca e alla stessa terra, ma non credo che le date delle loro vite coincidano e tanto meno se abbiano avuto conoscenza l’uno dell’altro.

Il più vicino al mio modo di sentire è Eraclito. I suoi “detti” sono lucidi e splendidi così come ci sono stati tramandati. Parlo in particolare di quello che dice: «Ciascuno può mettere una sola volta nella sua vita i piedi nell’acqua del fiume». Quella frase quando la lessi ed ero molto giovane non la capii subito; ma poco dopo ne compresi il senso profondo: l’acqua del fiume scorre e quindi varia di continuo; tu ci metti il piede e quell’acqua non la ritrovi più perché scorre e cambia continuamente. L’acqua è una forma dell’Essere, ma il suo scorrere è la forma del Divenire.

Così è la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri bisogni, i nostri desideri e la carezza della morte, che uccide una singola forma ma non la sua indistruttibile energia.

Questi sono, ciascuno a suo modo, i non credenti. Non credono in un aldilà dominato da una divinità trascendente delle religioni e non credono al nulla nichilista e prepotente degli atei, il cui Io è sostanzialmente elementare; anche se dotato di cultura e di voglia d’affermarsi. In realtà è un Io che non pensa. Un Io che non pensa e non si vede operare e non si giudica. Così è un Io di stampo animalesco. Mi spiace che gli atei ricordino lo scimpanzé dal quale la nostra specie proviene.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven ago 04, 2017 7:10 am

Assurdità idolatre


Perché l’Islam non può essere la “vera religione”
Giovanni Marcotullio
2017/08/02

https://it.aleteia.org/2017/08/02/crist ... iche-islam

Spieghiamo perché non si può che rigettare fermamente la pretesa della religione di Maometto di completare il Cristianesimo

Abbiamo ricevuto in redazione una lettera molto intima e toccante di un affezionato lettore, che dice di seguirci con interesse nei nostri percorsi di scoperta e approfondimento della fede cristiana nel mondo.

Il lettore ci confida, inoltre, che talvolta viene morso da forti dubbi sugli articoli della fede, e che in questo periodo in particolare si trova attanagliato dal dubbio “e se fosse l’Islam la vera religione?”: la vivida nota di umanità che emerge dal suo dirsi “molto sofferente” a causa di questi dubbi non può che conquistare tutta la nostra simpatia. E personalmente mi ha ricordato una storia che voglio raccontare.

Ormai più di dieci anni fa vivevo a Milano, studiavo in Cattolica e abitavo in un collegio universitario con un centinaio di altri ragazzi da ogni parte d’Italia, distribuiti più o meno su tutte le facoltà di tutti gli atenei meneghini.

Uno di questi ragazzi, un mio amico, manifestava a quel tempo una singolare inquietudine spirituale: aveva preso a porsi molte domande e, per darvi delle risposte, a leggere molti libri; andavamo a messa insieme e ricordo che per qualche mese il mio amico si confessò quasi tutti i giorni. Erano segni evidenti di una “patologia spirituale” detta “scrupolo” – l’avrei imparato anche io negli anni – ma all’epoca mi sembrava soltanto un ragazzo molto devoto e pio. Tant’è che l’anno dopo decise di entrare in seminario: lasciò gli studi di giurisprudenza e si trasferì a Venegono. Qualche anno dopo ancora sarebbe diventato un bravo sacerdote – ciò che appunto, con qualche capello bianco in più, tuttora è.

Si fa presto però, a dire “gli anni”: come nelle scalate in montagna, a guardarsi indietro dalla vetta è tutto un colpo d’occhio; nell’ascensione, invece, ogni passo è una goccia di sudore.

Ricordo bene il pomeriggio in cui ricevetti una sua chiamata – era già studente di teologia –: mi chiedeva se potessi rassicurarlo sulla verità della rivelazione cristiana. «In che senso?», chiesi io: «Su quale aspetto?». «No, non su qualcosa in particolare: come si fa ad essere sicuri che Dio ci abbia parlato? E come si fa ad essere sicuri che abbia parlato proprio a noi? Perché non potrebbe essere vero l’islamismo, allora? In fondo pretende di concludere e perfezionare il cristianesimo come il cristianesimo afferma di concludere e compiere il giudaismo. E in fondo sarebbe lo stesso Dio».

Al mio amico, allora, che si vergognava di pormi queste domande da studente di teologia, risposi che naturalmente la pretesa dell’Islam di porsi come il compimento del cristianesimo è insostenibile perché totalmente unilaterale, a differenza di quanto avviene tra giudaismo e cristianesimo. E non perché il giudaismo accolga la pretesa cristiana – se così fosse i giudei non starebbero più aspettando alcun messia – ma perché il sistema dottrinario giudaico, a differenza di quello cristiano, è strutturalmente aperto. Ora questo va forse spiegato meglio: quando dico “sistema aperto”, lo intendo sul piano storico-salvifico (i teologi direbbero “economico”), non su quello disciplinare-dottrinale (economico pure esso, direbbero gli stessi di cui sopra, ma un tantino più proteso all’“immanenza”). Su quest’ultimo piano tutte e le tre le religioni abramitiche si ritengono germinalmente compiute: vale a dire che tutte e tre possono concepire relative evoluzioni del dogma, a patto che però restino comprensibili in un orizzonte di inalterata identità del deposito. Nel V secolo Vincenzo di Lérins lo spiegava con queste celebri parole:

Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.

Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico.

[…] Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.

Commonitorium I, 23

Ecco perché potranno mutare le relazioni tra i membri e potranno incontrarsi i credenti, ma mai le religioni in senso stretto: mai i cristiani rinunceranno alla loro pretesa che Gesù sia il cardine di tutta la storia, l’incarnazione del creatore e l’unica e universale via per la salvezza; mai i musulmani ammetteranno che Mohammed non abbia i numeri per competere con la smisurata pretesa di Cristo. Il giudaismo, invece, non si concepisce compiuto perché perlomeno dal post-esilio ha sviluppato un’attesa messianica che lo tiene sempre socchiuso a un nuovo e decisivo evento salvifico. Quell’evento che venti secoli fa alcuni giudei riconobbero in Gesù.

Diciamo che il giudaismo è una specie di pullman al completo in attesa del conducente: dal punto di vista logico è perfettamente coerente rigettare Cristo – poiché lo si ritiene un “conducente abusivo” – e continuare a restare seduti in attesa del conducente. Islamismo e cristianesimo, invece, restando nella metafora, condividono il fatto di essere entrambi “pullman provvisti di conducente” ma, sebbene promettano a parole di portare i viaggiatori alla medesima meta, le vie indicate e le tappe del viaggio sono così diverse da lasciar perplesso il viaggiatore che si pone il problema di quale mezzo usare.

Lasciamo da parte la metafora che, come tutte le analogie, aiuta fino a un certo punto e poi risulta d’intralcio. La concorrenza teologica tra cristianesimo e islam, che nel Basso Medioevo portò alla fioritura di importanti generi letterari (tipo il Dialogo di Abelardo, che si proponeva come erede di quello di Minucio Felice e di altri), si produceva sì in appassionanti analisi delle differenze, ma doveva poi arrestarsi a registrare l’irriducibilità delle stesse le une alle altre. Ecco perché, nonostante la relativa distensione culturale esibita in Europa, Tommaso d’Aquino concludeva semplicemente che il giudaismo è incompleto e l’islamismo è falso.

Una tale secca diversificazione si spiega per noi moderni con altri ordini di considerazione: per esempio, il giudaismo e il cristianesimo hanno entrambi in comune il propagarsi a mezzo di una tradizione protratta nel tempo e caratterizzata dalla pazienza – e l’istinto soprannaturale della fede ci porta a riconoscere in questa mirabile concordia i segni dell’ispirazione divina; l’evento fondante dell’Islam, invece, si snoda nell’arco di una sola generazione ed è caratterizzato da una poderosa espansione militare (dunque “violenza” in luogo di “pazienza”) – ed è questa stessa folgorante ascensione che vale storicamente per l’Islam da prova teologica della propria verità. Questo fa sì che mentre si può sensatamente raggruppare l’islamismo con il giudaismo e col cristianesimo nell’insieme delle “religioni abramitiche” (ed è questa una connotazione storico-culturale), nessuno riconosce sensata sul livello teologico l’espressione “rivelazione giudeo-cristiano-islamica” – giacché quella islamica non può essere definita “rivelazione” se non in senso analogico (e molto debole!), da giudei e cristiani – e a nessun titolo può assimilarsi all’unica rivelazione giudaico-cristiana.

Ecco perché – un dettaglio che troppi strilloni del dialogo con l’Islam non ricordano – lo stesso Concilio Vaticano II afferma che i musulmani, «professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso» (LG 16). Non il medesimo Dio.

Certamente Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, e nessuno dubita che – come dice appunto il Vaticano II – «il disegno della salvezza abbracci anche loro» (ibid.). Sì, ma come? I Padri conciliari si preoccuparono di accennare anche questo: «Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono ordinati in vari modi al popolo di Dio» (ibid.). Che cosa significa? Che “popolo di Dio”, come “famiglia di Dio” e come tutte le altre espressioni analogiche con cui si esprime “il Regno”, si dice in senso proprio e stretto o in senso lato e allargato, e secondo varie intensità.

Chiesero tempo fa a padre Paolo Dall’Oglio – il gesuita italiano che secondo alcuni sarebbe tuttora sequestrato dall’Isis (mentre secondo altri sarebbe stato ucciso) – quali fossero, secondo lui, il senso e il ruolo dell’Islam nella storia. L’autore di Innamorato dell’Islam, credente in Cristo avrebbe risposto che l’Islam ha nella storia “un compito carismatico”, ossia quello di provocare la fede cristiana a raffinarsi e purificarsi.

Un’affermazione misteriosa, per me che (sulla scorta di Ratzinger e di altri) nutro l’impressione che dal punto di vista della produzione civile e culturale l’Islam abbia raggiunto il suo apice poco dopo la fotografia tramandatacene da Abelardo nel XII secolo, e che su quelle massime si sia attestato. Difatti Tommaso, un secolo dopo, affrontava un Islam capace di costruire vere civiltà, competitive sul piano della “città dell’uomo”: era l’età d’oro dell’islamismo, eppure tanto più nettamente gli balzavano all’occhio le insufficienze di una religione tanto monolitica nel testo sacro quanto grossolana nella proposta teologica. Guardo però con simpatia e speranza ad alcune iniziative dell’islam sunnita, come ad esempio il rilancio dell’università al-Azhar del Cairo, che dopo secoli di decadenza proprio in questi anni Ahmad al-Tayyb sembra voler guidare: all’Islam farà molto bene attraversare una fase critica della propria autocomprensione, magari partendo dalla problematizzazione storica e filologica del Corano.

Nei terribili momenti in cui invece di studiare mi metto a divagare, e a pensare a quanto sarebbero belli il mondo e la storia se il lavoro di Dio lo facessi io, mi dico: ecco, Maometto era uno che doveva incontrare un bravo vescovo, uno che gli spiegasse per bene le cose, gli lavasse dalla testa quella risciacquatura di arianesimo che passa nell’Islam come “monoteismo” e lo ordinasse prete. Viceversa, la storia avrebbe avuto un volto migliore se Lutero non si fosse fatto monaco e prete.

Ora, evidentemente nella mia iperbole è già presente in filigrana l’autocritica: certo che il mondo non sarebbe affatto migliore, se fossi io a disporne le regole, eppure certi eventi storici sono alla base di così numerosi conflitti – e come le Crociate, l’Inquisizione e l’Indice, erano tutti animati dalle più pie intenzioni – che permangono misteriosi ed enigmatici nel trovarsi anch’essi disposti dalla Provvidenza in un disegno di cui vediamo ancora sempre e solo il rovescio.

Non ricordo se a quel mio amico, anni fa, dissi tutte o sole queste cose: probabilmente gli dissi pure che nessuno può competere con Cristo perché Gesù ci rende sue membra mistiche ed entra in una relazione vitale, vivificante e quotidiana con noi; e Gesù è un personaggio storico percepito e narrato da Svetonio, Plinio il Giovane, Giuseppe Flavio e altri storici non cristiani… mentre che Gabriele abbia consegnato il Corano a Maometto lo dice solo Maometto; e che Maometto sia il Profeta di Allah, di nuovo, lo dice solo Maometto (e quelli che al suo seguito invasero il mondo dall’Arabia a Poitiers).

Magari dovrei chiamare quel bravo prete per chiedergli se si ricorda di quelle chiacchierate inquiete, ma ciò che di certo oggi posso dire – a beneficio del nostro lettore e di tutti noi – è anzitutto che le inquietudini nella storia tornano sempre a vantaggio di chi con cuore umile e sincero cerca il volto di Dio. Come dice Paolo:

Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio.

Rom 8, 28

E in quel “tutto” di cui parla l’apostolo rientrano sia le inquietudini di Maometto, di Lutero e degli altri che volenti o nolenti hanno sdrucito la tunica di Cristo, sia quelle di chi su quelle si interroga e si arrovella.

Ci conferma, invece, ma senza toglierci la santa inquietudine della fede, la voce apocalittica del Salvatore, che secondo il racconto di Matteo principiò i suoi ultimi discorsi prima della Passione così:

Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.



Alberto Pento
Assurdità idolatre, nessuna religione è quella vera perché Dio non ha religioni e le divinità delle religioni sono tutte idoli (tutte le interpretazioni del divino scambiate per Dio sono idoli). L'Islam inoltre ha un idolo spaventoso orrendo e terrorizzante pieno di violenza e può essere definito come nazismo-maomettano. La vera religione di Dio è la vita universale, comune a tutte le creature e alla matertia inorganica, e la sua chiesa è il creato, l'intera Creazione. Dio non ha bisogno di profeti, di rivelatori, di incarnazioni. Dio è la vita stessa, lo sipirto che anima la vita universale ed è presente da sempre nel cuore di ogni creatura e di ogni atomo del cosmo.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer ago 09, 2017 8:41 pm

Santificare Maometto è un crimine contro l'umanità

Santificare Maometto equivale a santificare le sue gesta, le sue guerre, i suoi omicidi, i suoi stermini e tutti i suoi crimini, dichiarandoli perciò giusti, motivati e costituenti il bene, il sommo bene;

al contempo la santificazione del carnefice Maometto e di tutti i suoi crimini comporta la demonizzazione e la criminalizzazione di tutte le sue vittime, di tutti i diversamente religiosi che si sono opposti a Maometto e che Maometto ha cacciato, depredato, ridotto in schiavitù, assassinato e sterminato, quindi equivale a dichiarare come male gli ebrei, i cristiani, gli zoroastriani, i mazdei, i politeisti e tutti gli altri diversamente religiosi e pensanti che hanno difeso la loro libertà, la loro religione e cultura, il loro ordinamento politico e civile, i loro beni e che si sono opposti alla presunzione, all'arroganza, alla pretesa di Maometto di essere l'ultimo profeta di Dio e perciò l'autorità politico-religiosa a cui tutti dovevano sottomettersi;

tutto ciò implica anche che quanto hanno fatto i seguaci di Maometto o maomettani, lungo i 1400 anni da Maometto ad oggi, imitandolo in tutto e per tutto nelle parole e nelle sue gesta, contro tutti i non mussulmani e i diversamente pensanti, sia stato sempre e sia tutt'ora un bene, il sommo bene e perciò giusto e da continuare a perseguire.


Bergoglio, il Papa che ha santificato Maometto, il Corano e Allah, tradendo Cristo, i cristiani, la fede cristiana, gli ebrei e ogni non mussulmano della terra

Il Papa bugiardo e l'infernale alleanza con l'Islam
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mar ago 29, 2017 9:14 pm

Quelle parole dimenticate di Giovanni Paolo II su islam e migranti
di Luca Del Pozzo
2017/08/27

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/08/2 ... nti-149663

Come ha giustamente ricordato Alfredo Mantovano commentando su questo giornale il Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018, i documenti ecclesiali vanno sempre letti alla luce degli interventi precedenti del magistero sullo stesso argomento. Potrebbe allora non essere inutile rileggere alcuni passaggi dell’esortazione apostolica post sinodale Ecclesia in Europa, pubblicata il 28 giugno 2003. In essa, a tutti gli effetti una summa del suo magistero, l’allora Pontefice Giovanni Paolo II tracciò con la consueta lucidità e visione profetica un quadro preciso e per certi aspetti drammatico della situazione del cristianesimo in Europa, soffermandosi sulle varie sfide che la chiesa era chiamata a fronteggiare. Poiché il tema dei migranti non può, per ovvi motivi, essere trattato separatamente da quello più generale del rapporto con l’islam, vale la pena soffermarsi sui passaggi dell’esortazione dove il santo Papa polacco affronta le succitate questioni. A proposito dell’islam, Wojtyla affermava: “Si tratta pure di lasciarsi stimolare a una migliore conoscenza delle altre religioni, per poter instaurare un fraterno colloquio con le persone che aderiscono ad esse e vivono nell’Europa di oggi. In particolare, è importante un corretto rapporto con l’islam. Esso, come è più volte emerso in questi anni nella coscienza dei vescovi europei, ‘deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli’. E’ necessario, tra l’altro, avere coscienza del notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano. A questo riguardo, è necessario preparare adeguatamente i cristiani che vivono a quotidiano contatto con i musulmani a conoscere in modo obiettivo l’islam e a sapersi confrontare con esso; tale preparazione deve riguardare, in particolare, i seminaristi, i presbiteri e tutti gli operatori pastorali”.

"Il rapporto con l'islam deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti", scriveva il Papa polacco, che diceva di comprendere " la frustrazione dei cristiani che accolgono dei credenti di altre religioni e che si vedono interdire l'esercizio del culto cristiano"

Ecco un primo elemento di riflessione. Wojtyla parla di un rapporto con l’islam che dev’essere “corretto”, condotto con “prudenza”, avendo coscienza del “notevole divario” tra la cultura europea – “che ha profonde radici cristiane” – e il pensiero musulmano, e improntato a una conoscenza “obiettiva” dell’islam: viene spontaneo chiedersi se tale approccio sia ancora ritenuto valido in certi ambienti ecclesiali, oppure no. Ma andiamo avanti.

“È peraltro comprensibile – prosegue il Papa – che la chiesa, mentre chiede che le istituzioni europee abbiano a promuovere la libertà religiosa in Europa, abbia pure a ribadire che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza. In questo ambito, “si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano” nei paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l’unica ammessa e promossa. La persona umana ha diritto alla libertà religiosa e tutti, in ogni parte del mondo, “devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana”. Ecco un altro spunto importante e attualissimo: la libertà religiosa non può essere a senso unico, e la chiesa ha tutto il diritto/dovere di ribadire che ci dev’essere reciprocità da parte di quei paesi dove i cristiani sono minoranza.

Le sfide dell’evangelizzazione

Veniamo ora al tema dell’immigrazione. Qui Wojtyla dice innanzitutto che tra le sfide dell’evangelizzazione vi è “il crescente fenomeno delle immigrazioni, che interpella la capacità della chiesa di accogliere ogni persona, a qualunque popolo o nazione essa appartenga. Esso stimola anche l’intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d’una integrazione possibile”. Per poi aggiungere: “È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L’accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi”. Di nuovo, verrebbe da chiedersi se termini come “controllo” (dei flussi migratori), “rispetto” (delle leggi) e – udite udite – “repressione” (degli abusi), siano ancora parte della sensibilità ecclesiale. Altro termine spesso usato da Wojtyla è “integrazione”, che nella sua visione fa tutt’uno con il rifiuto dell’indifferentismo: “Occorre pure impegnarsi per individuare forme possibili di genuina integrazione degli immigrati legittimamente accolti nel tessuto sociale e culturale delle diverse nazioni europee. Essa esige che non si abbia a cedere all’indifferentismo circa i valori umani universali e che si abbia a salvaguardare il patrimonio culturale proprio di ogni nazione. Una convivenza pacifica e uno scambio delle reciproche ricchezze interiori renderà possibile l’edificazione di un’Europa che sappia essere casa comune, nella quale ciascuno possa essere accolto, nessuno venga discriminato, tutti siano trattati e vivano responsabilmente come membri di una sola grande famiglia”. Ultima, ma di non minore importanza, la raccomandazione rivolta ovviamente in primis alla chiesa in merito ad un fenomeno spesso e volentieri sottaciuto ma che evidentemente Wojtyla aveva ben presente: “In particolare, si ricordi di dare una specifica cura pastorale all’integrazione degli immigrati cattolici, rispettando la loro cultura e l’originalità della loro tradizione religiosa. A tale scopo, sono da favorire contatti tra le chiese di origine degli immigrati e quelle di accoglienza, così da studiare forme di aiuto, che possano prevedere anche la presenza, tra gli immigrati, di presbiteri, consacrati e operatori pastorali adeguatamente formati provenienti dai loro paesi”. Un ammonimento necessario e quanto mai attuale non solo per ricordarci che esistono anche migranti cattolici, ma anche perché da che mondo è mondo una madre deve avere cura prima di tutto dei propri figli, poi del resto.
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven set 01, 2017 9:58 pm

Il Papa ai rabbini: rapporti sempre più amichevoli e fraterni
Iacopo Scaramuzzi
2017/08/31

http://www.lastampa.it/2017/08/31/vatic ... agina.html

Il Papa ha sottolineato che la «progressiva attuazione» della Nostra aetate ha permesso ai rapporti tra cattolici ed ebrei di «diventare sempre più amichevoli e fraterni», nel corso di una udienza durante la quale un’ampia rappresentanza di rabbini europei, americani e israeliani gli ha consegnato ufficialmente il documento “Fra Gerusalemme e Roma”, risposta ufficiale ebraica alla dichiarazione conciliare. Francesco ha ricevuto i rappresentanti della Conferenza dei Rabbini Europei, del Consiglio Rabbinico d’America e della commissione del Gran Rabbinato d’Israele impegnata nella commissione della Santa Sede per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo della Santa Sede.

Quando la dichiarazione conciliare Nostra aetate era stata pubblicata, ha detto nel saluto introduttivo il rabbino Pinchas Goldschmidt, rabbino capo di Mosca e presidente della Conferenza dei Rabbini Europei, nel mondo ebraico vi era stato «scetticismo», ma «ora possiamo affermare che il cambiamento» della Chiesa cattolica nei confronti del mondo ebraico «è stato genuino e profondo». Il rabbino ha presentato il documento “Fra Gerusalemme e Roma” , datato febbraio 2016 ma reso pubblico a inizio 2017 , come «la risposta ufficiale ebraica» alla Nostra aetate. «Spero che la nostra fratellanza si rafforzerà ulteriormente», ha detto Goldschmidt.

«Nel nostro cammino comune, grazie alla benevolenza dell’Altissimo, stiamo attraversando un fecondo momento di dialogo», ha detto da parte sua il Papa. «Va in questo senso il documento “Fra Gerusalemme e Roma”, che avete elaborato e che oggi ricevo dalle vostre mani. È un testo che tributa particolari riconoscimenti alla dichiarazione conciliare Nostra aetate, che nel suo quarto capitolo costituisce per noi la “magna charta” del dialogo col mondo ebraico: infatti la sua progressiva attuazione ha permesso ai nostri rapporti di diventare sempre più amichevoli e fraterni. Nostra aetate ha messo in luce che gli inizi della fede cristiana si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti e che, essendo grande il patrimonio spirituale che abbiamo in comune, va promossa fra noi la mutua conoscenza e stima, soprattutto attraverso studi biblici e colloqui fraterni».

«Nel corso degli ultimi decenni ci siamo così potuti avvicinare - ha aggiunto il Papa - dialogando in modo efficace e fruttuoso; abbiamo approfondito la nostra conoscenza reciproca e intensificato i nostri vincoli di amicizia. La dichiarazione “Fra Gerusalemme e Roma” non nasconde, comunque, le differenze teologiche delle nostre tradizioni di fede. Tuttavia esprime la ferma volontà di collaborare più strettamente oggi e in futuro. Il vostro documento si rivolge ai cattolici chiamandoli “partner, stretti alleati, amici e fratelli nella ricerca comune di un mondo migliore che possa godere pace, giustizia sociale e sicurezza”. Un altro passo riconosce che “nonostante profonde differenze teologiche, cattolici ed ebrei condividono credenze comuni” e “l’affermazione che le religioni devono utilizzare il comportamento morale e l’educazione religiosa - non la guerra, la coercizione o la pressione sociale - per esercitare la propria capacità di influenzare e di ispirare”. È tanto importante questo: possa l’Eterno benedire e illuminare la nostra collaborazione perché insieme possiamo accogliere e attuare sempre meglio i suoi progetti, “progetti di pace e non di sventura”, per “un futuro pieno di speranza”».

All’udienza era presente anche il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, che in occasione dell’ultima udienza di Jorge Mario Bergoglio alla Conferenza dei Rabbini Europei, di cui è vicepresidente, nell’aprile 2015, non ha potuto partecipare perché impegnato nelle cerimonie per la morte del suo predecessore Elio Toaff.

A cento anni dalla rivoluzione bolscevica e a oltre sessant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e della Shoah, ha sottolineato il rabbino Goldschmidt nel suo saluto iniziale, i leader religiosi che parlano di «dignità dell’uomo, contro il razzismo e contro il nazismo» devono, ora più che mai, «camminare sul sentiero del Dio della vita e amarci vicendevolmente tra fratelli, tutti creati a sua immagine».

Il Papa ha concluso il suo discorso esprimendo gli auguri per il nuovo anno ebraico, che inizierà tra poche settimane: «Shanah towah! Buon anno!», ha detto: «Vi ringrazio ancora per essere venuti e vi chiedo di ricordarvi di me nelle vostre preghiere. Vorrei, infine, invocare con voi e su tutti noi la benedizione dell’Altissimo sul comune cammino di amicizia e di fiducia che ci attende. Nella sua misericordia, l’Onnipotente conceda a noi e al mondo intero la sua pace. Shalom alechem!».
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Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom ott 15, 2017 11:01 am

Una bella lettera di un lettore del Foglio al direttore e la risposta di Claudio Cerasa.
15/10/2017

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"Quando Papa Francesco prega per i morti e i feriti di Barcellona fa il suo mestiere, ma i mandanti e i manovali delle stragi non possono essere assolti: vanno combattuti con ogni mezzo. Per sgominare il nemico, però, bisogna prima conoscerlo. Ora, siamo sicuri di conoscerlo davvero? Stando a certe analisi del terrorismo islamista, attente a non urtare la sensibilità dei fedeli di Maometto, non si direbbe. È merito di Hannah Arendt, al di là di alcune forzature presenti nelle sue tesi, la lettura del totalitarismo novecentesco come forma politica assolutamente nuova e diversa dalle altre forme storicamente conosciute (dispotismo, tirannide, dittatura, assolutismo, autocrazia). L’essenza di questa nuova e diversa forma politica per la filosofa tedesca era il terrore, e il suo principio di azione era nel pensiero ideologico. L’ideologia totalitaria pretende infatti di spiegare con granitica certezza il corso della storia: i segreti del passato, l’intrico del presente, le vie del futuro: “Rimane il fatto – scriveva profeticamente la Arendt – che la crisi del nostro tempo e la sua esperienza centrale hanno portato alla luce una forma interamente nuova di governo che, in quanto potenzialità e costante pericolo, ci resterà probabilmente alle costole per l’avvenire” (“Le origini del totalitarismo”, 1951). Totalitarismo viene da “totalità”, e quindi esprime qualcosa che abbraccia e pervade tutto. Ebbene, dubbi non possono esserci: L’Isis è l’espressione più aggressiva e più violenta del totalitarismo del terzo millennio. Europa e Stati Uniti ci misero un bel po’ di tempo prima di capire la vera natura dell’espansionismo e dell’egemonismo hitleriano. Stanno commettendo lo stesso errore con il radicalismo islamista? In qualche misura, sì. Basti pensare all’Arabia Saudita, patria dell’estremismo salafita-wahabita,che continua a godere di una sorta di immunità diplomatica a Washington e nelle cancellerie europee. Ma quello che muove i foreign fighters e i militanti jihadisti che vivono nelle periferie delle nostre città non è solo il fanatismo religioso -soprattutto nella versione premiale del “paradiso dei martiri” – ma un’ideologia totalizzante. L’islam radicale appare loro come l’unica utopia rivoluzionaria capace di dare identità, di opporsi a una cultura che disprezzano e di sovvertire realtà sociali da cui sentono di essere disprezzati. Il capolavoro di Al Baghdadi è stato quello di aver dato forma concreta a questa utopia con la costruzione del califfato, che ha offerto ai giovani radicalizzati una sponda politica e ideale alla decisione di combattere la guerra in occidente. Adesso il suo edificio statuale sta crollando, ma la sua idea non è morta. Poiché non si può abolire la produzione di camion, furgoni e suv, che il Dio dei Vangeli ci protegga".

Michele Magno

Su questo tema, purtroppo, la dottrina di Papa Francesco è emersa con chiarezza pochi mesi fa, a febbraio, durante un discorso fatto a Roma, all’Università di Roma Tre. Francesco ha messo sullo stesso piano le tre religioni monoteiste, ha detto che “non esiste il terrorismo cristiano, non esiste il terrorismo ebraico e non esiste il terrorismo islamico” e ha negato dunque ancora una volta la possibilità che vi sia una razionalità nel disegno portato avanti dagli estremisti islamici. Purtroppo, come ci dimostra anche l’attentato di Barcellona, i terroristi che uccidono in nome di un dio non lo fanno per ragioni legate alla povertà, per ragioni legate alla diseguaglianza sociale, per ragioni legate alla depressione, per ragioni legate all’eccesso del liberismo sfrenato. Lo fanno per ragioni legate a una interpretazione letterale di alcuni passaggi del Corano. Non si può chiedere a Papa Francesco, al Papa della misericordia, di fare quello che fece il suo predecessore, che ebbe il coraggio di mettere in discussione alcuni tabù dell’islam. Si potrebbe chiedere qualcosa di diverso, qualcosa di più semplice: chiedere per esempio ai cristiani in medio oriente se l’islamismo c’entri no con la loro persecuzione.

Claudio Cerasa


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