Corruzione italo veneta nel Veneto

Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » mar ago 09, 2016 1:41 pm

Marchese confessa e patteggia: «Soldi in nero anche al Pd»
di Gianluca Amadori

http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/PRIM ... 8867.shtml

VENEZIA - La Procura di Venezia la considera l’ennesima, importante conferma del quadro accusatorio sul fronte "rosso" dei finanziamenti illeciti relativi al cosiddetto "sistema Mose". L’interrogatorio reso nei giorni scorsi e la successiva istanza di patteggiamento ad 11 mesi di reclusione formulata dall’ex responsabile amministrativo del Pd, Giampietro Marchese, costituiscono secondo i pubblici ministeri veneziani un tassello decisivo per l’inchiesta: la prova che i contributi agli esponenti politici sono finiti per anni non soltanto a chi stava al governo della Regione, ma anche all’opposizione. E, dunque, un "pesante" riscontro alla fondatezza di quanto raccontato finora dai principali accusatori.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » gio ago 11, 2016 9:53 pm

Inchiesta Mose. "Comprati anche giudici del Consiglio di Stato, fino a 120 mila euro per sbloccare i lavori"
Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, ha detto ai pm che delle mazzette era incaricato un avvocato. E ha fatto anche il nome del del presidente del Tar del Veneto, Bruno Amoroso
di GIUSEPPE CAPORALE
08 giugno 2014

http://www.repubblica.it/politica/2014/ ... o-88359748

GLI imprenditori del Mose compravano le sentenze. E per farlo si affidavano ad un avvocato cassazionista, Corrado Crialese, ex presidente di Fintecna (la finanziaria pubblica per il settore industriale). Si occupava solo di questo Crialese, pagare i giudici. Sia quelli del Tribunale amministrativo regionale, sia quelli del Consiglio di Stato. Agiva per conto delle ditte del Consorzio Venezia Nuova.

È quanto mettono a verbale Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan (onorevole di Forza Italia ed ex governatore del Veneto) e Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, primo socio del Consorzio Venezia Nuova. Una sentenza costava tra gli 80 e 120mila euro. Ma non è tutto. Durante due interrogatori- confessione spunta anche un nome: quello del presidente del Tribunale amministrativo del Veneto Bruno Amoroso. È la Minutillo la prima a parlarne, quando i tre magistrati Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini il 19 marzo 2013 le chiedono conto di una mazzetta di 20mila euro.

IL TARIFFARIO
"Poi, signora, a un certo punto registriamo all'interno del suo ufficio la consegna di una somma di denaro che lei dà a un suo dipendente, da portare a Roma. Siamo nel febbraio del 2013... Insomma, qualche settimana fa, poco prima del suo arresto" dice il pm Buccini. "Sì lo ricordo - risponde la Minutillo - quel giorno, venne in ufficio da noi Corrado Crialese che ha una serie di rapporti importanti, tant'è che lui proprio lui una volta mi disse: sai, forse adesso viene il mio amico Amato, forse lo fanno Presidente della Repubblica. Fu il giorno della grandissima nevicata. E io dissi a Piergiorgio Baita: guarda che forse questo qua viene perché vuole qualcosa. E infatti era così. Bisognava corrispondergli 20mila euro che lui avrebbe fatto avere, diceva, al suo amico presidente del Tar del Veneto, Amoroso".

"CONDIZIONARE I RICORSI"
Chiede il pm Tonini: "Perché essere consegnata questa somma?". "Così si poteva influire sui ricorsi - risponde la Minutillo - su alcuni che erano in atto, in particolare quelli sull'Autostrada del Mare. E vincemmo noi. Ma ce n'erano stati anche altri. Maltauro aveva fatto ricorso contro di noi sulla Valsugana, e so che era anche in crisi per questo. Perché (il giudice, ndr) era amico sia di Mantovani (attraverso Crialese) che di Maltauro. Alla fine Maltauro ritirò il ricorso e si misero d'accordo Mantovani e Maltauro. In realtà i ricorsi servivano proprio a questo: un concorrente li fa per costringerti poi a tirarlo dentro. Funziona quasi sempre". La interrompe il pm Ancilotto: "Ecco, ma allora perché pagare?". "Perché questo è un sistema consolidato, nel senso che avviene anche ai più alti livelli oltre che al Tar..." risponde l'ex segretaria di Galan. "Senta, è l'unico pagamento fatto ad Amoroso o in passato ne vennero fatti altri dal Baita?" chiede ancora uno dei tre inquirenti. "Ce ne furono altri, come questo cui ho appena accennato: il ricorso della Valsugana, che infatti vincemmo".

Anche Baita, nell'interrogatorio del 28 maggio 2013 conferma tutto. E va oltre. "Conosco Crialese quando come vicepresidente di Fintecna si offre di fare il mediatore nell'acquisto dell'area ex Alumix, dove avevamo un progetto di piattaforma logistica presso il Porto di Venezia. Per favorire la vendita lui chiede una parte in nero, credo 160mila euro. Gli affidiamo poi degli incarichi anche come avvocato per le cause amministrative e oltre al pagamento della parcella ci chiede sempre una parte in nero". "E come la giustifica questa parte in nero?" chiedono i magistrati. "Che lui ha i suoi rapporti da... pagare ".

LA LISTA
E poi fa la lista delle mazzette per i giudici: "Abbiamo pagato sia per alcune sentenze del Consiglio di Stato che del Tar del Veneto. Per la sentenza sulla Pedemontana Veneta 120 mila euro. Per vincere il ricorso contro
Sacyr che poi, però, abbiamo perso, 100mila euro... In quel caso qualcun altro deve dato di più. Poi anche per un ricorso contro Maltauro sulla Valsugana. E contro Net Engineering credo altri 80 o 100mila euro. E ancora per la vicenda Jesolo Mare al Consiglio di Stato. Pagavamo sempre, perché Crialese diceva che se non glieli davamo avremmo perso...". Crialese ora per lo scandalo del Mose è agli arresti domiciliari con la sola accusa di millantato credito.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » mar ago 23, 2016 8:01 pm

Mose: miliardi, tangenti e ritardi nei lavori. Ma nel test due dighe si inceppano
Due anni dopo gli arresti e il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, la contestata opera costata finora oltre 5 miliardi di euro mostra problemi di funzionamento. Dopo essersi sollevate, le paratie 20 e 21 non sono tornate sul fondo per un accumulo di detriti. Rilanciando i timori sui costi di manutenzione dei fondali. Intanto i tre commissari voluti da Cantone setacciano la gestione Mazzacurati
di Giuseppe Pietrobelli | 23 agosto 2016


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... no/2991569

Il Mose è un colabrodo. L’opera da oltre 5 miliardi e mezzo di euro, che è stata creata per fermare le acque alte che periodicamente allagano Venezia, prima ancora di entrare in attività non funziona come dovrebbe. Lo ha dimostrato un collaudo-choc avvenuto alla fine di maggio, ma di cui La Nuova Venezia ha rivelato solo ora l’esito problematico. A causa di sabbia e detriti, hanno fatto cilecca due paratoie, che non venivano azionate da due anni, ovvero dall’epoca di un collaudo in pompa magna davanti alle autorità nel 2013. Giusto poco prima che scoppiasse lo scandalo delle bustarelle che ha sconvolto il Consorzio Venezia Nuova e il mondo politico non solo veneto (il processo è partito ad aprile di quest’anno).

Allora l’operazione di far alzare le paratoie alle bocche di porto ebbe successo. E fioccarono elogi da tutte le parti. Poi le inchieste e gli arresti, con il conseguente commissariamento del consorzio chiesto e ottenuto dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Sono stati proprio i commissari, che si avvalgono però della struttura già esistente del Consorzio, a far effettuare un altro collaudo un paio di mesi fa. Ufficialmente fu detto, a giugno, che l’esito era stato positivo. La realtà, secondo quanto sta emergendo in queste ore, sarebbe diversa. Due paratoie non hanno funzionato, nel senso che dopo essersi alzate dal fondo non sono ritornate in sede, lasciando un passaggio dell’acqua. Si tratta delle paratoie numero 20 e 21 che si trovano vicino a una spalla a Lido Nord-Cavallino-Treporti. Quando si è trattato di far rientrare il meccanismo, si è prodotto – sempre a causa dei detriti – il danneggiamento di due alette in acciaio. Per riportare la situazione sotto controllo hanno dovuto entrare in azione i sommozzatori che si sono calati sul fondo per consentire al meccanismo di funzionare.

Le cronache, dal 2015 in poi, hanno annotato altri malfunzionamenti: lo scoppio di un cassone, un allagamento e la rottura di una porta in acciaio a Malamocco. Ma ci sarebbe allarme anche per la ruggine scoperta in alcune delle gigantesche cerniere (sono 158) che fanno alzare le paratoie. In particolare la scoperta è avvenuta nelle strutture che sono già state montate alla bocca di porto di Lido-Treporti.

La notizia è pessima per due ragioni. La prima: il Mose non funziona come ci si sarebbe potuti attendere, visto che i soldi pubblici spesi (tangenti e sciali inenarrabili compresi) sono stati una montagna, sicuramente più di cinque miliardi e mezzo di euro, mentre inizialmente fu preventivata una spesa di un miliardo e mezzo. Ma l’opera non è ancora finita. La seconda ragione: le paratoie bloccate dai detriti dimostrano come il Mose per funzionare avrà bisogno di una manutenzione costante e costosa. E’ uno dei temi che sono stati discussi negli ultimi anni e che alla “cricca” degli appalti che si apprestava a gestire il dopo-Mose, faceva già fare congrui calcoli su quanto avrebbe potuto incassare.

Il Mose è un’opera che sta totalmente sott’acqua. E’ composta di una parte in cemento armato e di una parte meccanica per l’innalzamento della paratoie alle tre bocche di porto della Laguna di Venezia. L’acqua per sua natura corrode i manufatti, che quindi necessitano di manutenzione continua. Inoltre si dovranno tenere puliti i fondali, dove la corrente determina un accumulo di detriti e fanghi. Se realizzare il Mose è stata un’impresa titanica (sperando che funzioni per davvero), mantenerlo in funzione non lo sarà di meno. Una stima prudente indica in almeno 80 milioni di euro all’anno il costo della manutenzione.

La notizia ha trovato la conferma del commissario Luigi Magistro che ha dichiarato alla Nuova Venezia. “Stiamo accertando quanto è successo e abbiamo predisposto un sistema di monitoraggio continuo e di pulizia dei cassoni”. Ufficialmente nessun’altra dichiarazione da parte del Consorzio Venezia Nuova. Ma sul sito è stata postata in prima pagina la registrazione del collaudo di maggio che mostra le paratoie uscire dall’acqua, per dimostrare che le paratoie si sarebbero alzate. Ufficiosamente si fa capire che i tre commissari sono al lavoro per verificare tutto quello che è stato fatto durante la gestione di Giovanni Mazzacurati, gran ciambellano delle tangenti in Laguna. E quindi anche eventuali problematiche tecniche.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » mar ago 30, 2016 10:02 pm

Napoli fa condannare Luca Claudio
Fece causa al Comune partenopeo, ora dovrà risarcire i soldi spesi inutilmente
22 agosto 2016

http://mattinopadova.gelocal.it/padova/ ... 1.13996718

MONTEGROTTO. In attesa degli sviluppi della giustizia ordinaria, si chiude il capitolo con quella contabile. La Corte d’Appello della Corte dei Conti, infatti ha rigettato il ricorso - e quindi confermato la condanna - per un gruppo di ex amministratori di Montegrotto: l’ex sindaco Luca Claudio e i suoi assessori Omar Tasinato, Valter Belluco, Luca Squarcina, Ivano Marcolongo dovranno restituire alle casse dello Stato 34 mila euro per aver fatto causa ai napoletani. La vicenda risale al 2008, quando il Comune di Montegrotto avviò una causa civile contro la Regione Campania e il Comune di Napoli accusandoli, per la loro cattiva gestione dei rifiuti, di ledere all’estero l’immagine dell’Italia e di scoraggiare conseguentemente il turismo, anche quello in arrivo alle Terme. Il tribunale di Padova diede torto a Montegrotto, sottolineando l’assenza di un qualsiasi collegamento tra la politica dei rifiuti campana e il turismo padovano. Non solo: venne altresì espresso il dubbio che la domanda fosse «stata posta non per finalità di giustizia, ma abusando dello strumento processuale per mere ragioni di propaganda, per sostenere un ruolo politico avanti ai cittadini di Montegrotto, o per altre biasimevoli ragioni”.

Gli amministratori persero la causa e finirono nel mirino della magistratura contabile, quella che appunto verifica la regolarità delle spese di chi ha un incarico pubblico. Ebbene, nel 2013, la Corte dei Conti ha condannato Luca Claudio e gli altri accusandoli di aver provocato un danno all’Erario e condannandoli al pagamento di 34 mila euro.

L’ex sindaco e i suoi assessori hanno impugnato il provvedimento e fatto ricorso alla Corte d’Appello. Qualche settimana fa è arrivata la decisione dei magistrati romani che condividendo la posizione del giudice di primo grado e sottolineando la «macroscopicità e l’assurdità della pretesa attività in giudizio», hanno rigettato l’appello degli ex amministratori di Montegrotto prospettando la temerarietà dell’azione giudiziaria da essi avviata. (s.t.)
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » gio set 15, 2016 8:44 pm

Mose, le dighe s’inceppano di nuovo. E ancora non si capisce quanto costerà gestirlo: tra 12 e 80 milioni di euro
di Giuseppe Pietrobelli | 14 settembre 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09 ... ro/3029738

Già nel 2008 la Corte dei conti avvertiva: “I costi di gestione e di manutenzione dell’opera potrebbero risultare superiori a quelli stimati, creando problemi per la loro sostenibilità". Ma ad oggi non esiste una previsione precisa: solo ipotesi. "Si tratta di una macchina di cui non si sa quasi niente", dice la professoressa Andreina Zitelli, docente di Igiene Generale e applicata. E persino i "peoci" (le cozze) potranno rappresentare un problema, incrostandosi sulle paratie

Ci risiamo. Le paratoie del Mose fanno di nuovo cilecca. A fine maggio un collaudo alla bocca di porto di Lido Nord-Treporti aveva registrato un malfunzionamento nel rientro di due paratoie dopo l’innalzamento. Ora la stessa situazione di impasse si è ripetuta, sempre a Punta Sabbioni, a causa dei detriti che hanno intasato le camere dei cassoni sui fondali. Le pesantissime paratoie sono uscite dal fondo fino a realizzare la diga mobile che dovrebbe fare da barriera alle acque alte. Ma quando è stato il momento di rientrare in sede si sono verificati problemi analoghi a quelli del precedente collaudo, che hanno interessato quattro paratoie. Il che dimostra come per quest’opera imponente la manutenzione sarà ancora più costosa, visto che si dovranno tenere puliti i fondali da accumuli inconsueti e inattesi in fase di progettazione.

“Se lei deve scegliere un’auto, immagino che si ponga il problema del costo di gestione e della spesa per la sua manutenzione nel tempo. Ebbene, per il Mose non è così. Nessuno sa quanto verrà a costare, ogni anno, mantenerlo in attività e consentirgli di funzionare”. La professoressa Andreina Zitelli, veneziana, docente di Igiene Generale e applicata, già componente della commissione nazionale di Valutazione d’Impatto Ambientale, non è stupita dalle dichiarazioni rilasciate a ilfattoquotidiano.it da Luigi Magistro, uno dei tre commissari nominati dal governo dopo lo scandalo.

Nonostante il progetto definitivo sia vecchio ormai di una quindicina di anni e quello di massima di più di quattro lustri, nessuno è in grado di dire quanto costerà la gestione e la manutenzione di un’opera idraulica da più di cinque miliardi e mezzo di euro. Paradossale, ma vero. Bisognerà attendere la messa a punto e la sperimentazione di tre anni che verranno condotte dal Consorzio Venezia Nuova a partire dal 2018, quando tutte le paratoie saranno calate in acqua. Solo allora sarà individuabile una scala di grandezza, che terrà conto della reazione dei materiali e delle strutture a una prolungata permanenza in acqua. “Le incognite sono molte, dall’accumulo dei detriti e dei ‘peoci‘ (le cozze, ndr), alla necessità di pulire ciclicamente le paratoie, dall’usura delle cerniere che assicurano il movimento al funzionamento del jack-up, il natante che si occuperà del prelievo e della sostituzione delle paratoie” continua Zitelli. Che conclude: “Il Mose è una macchina di cui non si sa quasi niente. Per questo, dopo gli scandali, sarebbe stato più prudente, da parte del governo, procedere con una verifica tecnica dei costi”.

Uno dei due grandi interrogativi sul futuro dell’opera che deve salvare Venezia dalle acque alte è destinato a rimanere un “buco nero” per la finanza pubblica, anche se alcuni punti fermi per capire quale sarà il costo effettivo ci sono. Ma bisogna tornare indietro di sette anni, al 20 febbraio 2009 quando la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato della Corte dei conti licenziò una relazione allarmante. Dovevano ancora arrivare gli scandali e gli arresti che nel 2014 hanno travolto la “cricca” di Venezia, a partire dal presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. La Corte scriveva: “I costi di gestione e di manutenzione dell’opera potrebbero risultare superiori a quelli stimati, creando problemi per la loro sostenibilità. Va affrontato, sin da ora, il problema del reperimento delle risorse per il corretto funzionamento dell’opera, previa la loro rigorosa determinazione, considerati anche il rilevante impatto finanziario annuale che esse sono destinate a produrre e le valutazioni per la loro effettiva sostenibilità”.

Quel “fin da subito” e quel “rigoroso” sono rimasti lettera morta, visto che si è marciato verso il completamento del Mose, ma il problema dei costi futuri non è stato affrontato. Eppure la traccia della Corte dei conti era illuminante. “Rilevanti risultano essere i costi di gestione e di manutenzione stimati nel Progetto definitivo, peraltro destinati a lievitare, secondo quanto emerso anche nell’adunanza del 23 ottobre 2008”. Il progetto del 2002 prevedeva un costo di gestione di circa 3 milioni di euro annui, comprensivo del costo del personale operativo (15 tecnici e 5 persone a presidio delle stazioni presso le tre bocche di porto) e dei consumi elettrici. “Il costo di manutenzione – anche per la sua difficoltà, a causa delle opere sommerse (migliaia di metri quadrati di superficie con anfratti), per l’aggressività dell’acqua marina e per deterioramento delle strutture per crescita delle incrostazioni biologiche - è stato stimato in 9 milioni di euro all’anno”. Così scriveva la magistratura contabile. In totale 12 milioni all’anno. Ma se l’innalzamento del livello del mare dovesse causare un incremento del numero delle volte in cui sarà necessario alzare le paratoie, allora gli “oneri di manutenzione sarebbero fortemente crescenti.”

Dodici milioni, questo il costo minimo. Una cifra ben presto ridicolizzata, come ha scritto la Corte dei conti. Basti pensare che il progetto di massima del 1994 stimava un costo di gestione di 2,7 milioni di euro. “Tale sostanziale invarianza dei costi di gestione rispetto al Progetto definitivo, considerato l’aumento rilevantissimo dell’onere per i lavori e per la manutenzione, suscita perplessità. Peraltro, già i valori del Progetto di massima furono contestati nel voto n. 48 del 18/10/1994 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici”. Sempre nel 1994 l’onere di manutenzione era stimato in “12,8 miliardi di lire, cioè lo 0,4% del valore delle opere”. Importi “assolutamente sottostimati”.

Per arrivare a una cifra plausibile bisognerebbe moltiplicare i costi di almeno cinque volte. La Corte dei conti, nel 2009, aveva preso come parametro lo studio del comune di Venezia che già allora spostava la cifra verso i 50 milioni di euro all’anno. Ecco il ragionamento dei tecnici della giunta veneziana. “I costi della manutenzione che normalmente si calcolano per le opere civili ammontano a circa l’1% del valore dell’opera; percentuale destinata a salire almeno del 50% per le opere subacquee. Ai costi di manutenzione vanno aggiunti quelli di gestione che appaiono anch’essi sottostimati dal progettista. Se ci si rapporta al costo totale dell’opera, pari a 4,271 milioni di euro, i costi annui di manutenzione andrebbero calcolati in almeno 43 milioni di euro circa”.

Poiché nel frattempo il Mose ha superato il costo complessivo di 5 miliardi e mezzo di euro, a prendere per buone quelle cifre, si deve pensare che gestione e manutenzione debbano costare come minimo 55 milioni di euro (se restiamo all’1%), ma trattandosi di opere subacquee si può arrivare anche a 80 milioni di euro (ipotesi 1.5%). Per gli amanti dei numeri, basta moltiplicare per cento volte la somma per avere il costo totale nel secolo di vita pianificato per il Mose.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » sab set 17, 2016 12:51 pm

Mose, il supertestimone che ha inguaiato politici e imprenditori: “Le tangenti in laguna? Tutto parte da Roma”
Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani spa, ha concluso il suo interrogatorio come imputato di reato connesso nel processo per lo scandalo veneziano: "Mazzacurati sembrava geloso dei suoi contatti”
di Giuseppe Pietrobelli | 17 settembre 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09 ... ma/3038475

Quando parla Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani spa, uno dei colossi italiana delle costruzioni, bisogna sempre tenere le orecchie ben aperte. Il manager che ha accusato politici e imprenditori, contribuendo a spalancare per molti di loro le porte del carcere (dopo esserci finito lui stesso), lo ha fatto in Tribunale a Venezia, concludendo il suo interrogatorio come imputato di reato connesso nel processo per lo scandalo Mose. In quel fiume di mazzette, pagamenti in nero, corruzioni pianificate, ha avuto un ruolo di primo piano. E questa volta, ai consueti verbali ha aggiunto una notazione non di poco conto: “Tutto parte da Roma, perché la salvaguardia di Venezia è un caso nazionale”.

Lo scandalo è esploso due anni fa per merito dei pubblici ministeri veneziani Carlo Nordio, Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Le sole persone coinvolte nella prima retata sono state 35. Ma mentre è in corso il dibattimento per 8 posizioni residue (ma non marginali, l’ex ministro Altero Matteoli, l’ex sindaco Giorgio Orsoni, l’ex eurodeputato Lia Sartori) su quel malaffare sembra da tempo calato il disinteresse dell’opinione pubblica. Quasi che la razzia di denaro pubblico per un’opera che sta costando alla collettività qualcosa come 5 miliardi e mezzo di euro (e non è ancora conclusa) fosse una questione locale. Ora le parole di Baita riportano all’attenzione il tema di una regia centrale o perlomeno di una grande distrazione istituzionale, che ha consentito al cancro di crescere attorno a un’opera come il Mose e dentro l’elargizione di denaro pubblico.

Sembrano tornati i tempi di Tangentopoli, in cui tutti rubavano e incassavano in sede locale, protetti da un accordo di spartizione a livello centrale tra Democrazia Cristiana, Partito Socialista e anche (seppur in forme originali) Partito Comunista. Baita, in Tribunale, ha alzato il tiro, dicendo quella che solo in apparenza è una ovvietà. Gli intrecci del sistema creato da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, dalle società che vi facevano parte e da Baita era tutt’altro che locale. Non poteva esserlo. Per reggersi, per non essere smascherato sul nascere, non poteva che avere una copertura nazionale.
La prova? I personaggi coinvolti, al di là del fatto che abbiano patteggiato, confessato, negato, o siano ancora in attesa di una sentenza. Prendete due ministri della Repubblica, Giancarlo Galan e Altero Matteoli del Pdl. Oppure un consigliere del ministro dell’Economia, come Marco Mario Milanese. Due presidenti del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. Un generale della guardia di Finanza, Emilio Spaziante. Il sindaco di una città come Venezia, Giorgio Orsoni (centrosinistra). L’assessore ai trasporti di lungo corso della Regione Veneto, Renato Chisso (Pdl). Un consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese. Un magistrato della Corte dei Conti, Vittorio Giuseppone. Un parlamentare europeo, come Lia Sartori (Pdl). E un manipolo tra imprenditori, amministratori delegati, funzionari pubblici, al cui vertice va collocato Mazzacurati, “padre” del Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dalle acque alte.

Attorno al Mose non hanno funzionato i controlli, un po’ in tutti i settori, a cominciare dalla presidenza del consiglio e dal ministero dei Lavori Pubblici, con tutte le strutture collegate. La frase di Baita conferma sospetti che aleggiano da tempo e tirano in ballo un livello politico alto in quell’assalto alla diligenza che portava miliardi di euro in laguna. Baita ha spiegato che Mazzacurati andava ogni settimana a Roma, per cercare finanziamenti. Chi incontrava? Quali erano i suoi referenti politici? Baita ha fatto solo qualche accenno in aula ai contatti ministeriali di Mazzacurati. Di certo riguardavano il ministero dei Lavori Pubblici (per il progetto) e dell’Economia (per i finanziamenti), come dimostrato da molti verbali d’interrogatorio.

Sul punto è stato parco di parole: “Mazzacurati non ne parlava, sembrava geloso dei suoi contatti”. Ad esempio, l’ingegnere del Consorzio era amico di Gianni Letta, sottosegretario nei governi Berlusconi, ma ha sempre negato di avergli versato denaro, anche se da molti verbali risultano le visite per ottenere un aiuto per il Mose. Infatti, Letta non è mai stato indagato. A differenza dell’ex ministro Matteoli, che si trova sul banco degli imputati per il disinquinamento di Porto Marghera e i lavori concessi alla Socostramo, dell’imprenditore romano Erasmo Cinque. Entrambi sono accusati di corruzione. Baita ha ribadito che la Socostramo incassava gli utili dei lavori e i pm sostengono che quello era il prezzo della corruzione di Matteoli. Quest’ultimo, con una dichiarazione spontanea, ha rintuzzato Baita: “Come ministro dell’Ambiente non mi sono mai occupato di Mose e non ho mai chiesto favori per qualche azienda”.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » mar nov 22, 2016 9:51 pm

«Il calvario infinito del Mose È una disgrazia divina» Il commissario Magistro: «Lo Stato non ha controllato e i furbi che si sono presi i soldi ora ci fanno le pernacchie.

http://www.corriere.it/cronache/16_nove ... F020103COR

Le opere del Mose

«Quelli ci fanno le pernacchie. Capito? Se so’ magnati li soldi e so’ lì, impuniti, che ce fanno ‘e pernacchie!». «Quelli», per Luigi Magistro, commissario del Consorzio Venezia Nuova dopo la svolta decisa alla fine del 2014 dalla Authority anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, sono i furbi che per decenni hanno scorrazzato sul Mose e i lavori per la Laguna. «I responsabili veri non hanno pagato. Non c’è stato un processo vero... E aggiungo che non ci sarà mai, perché si prescrive tutto: lo sanno anche le pietre. Tutto. Mazzacurati, la Minutillo, Baita... Al massimo hanno patteggiato qualcosa e via. Anzi, Baita vorrebbe spiegare a noi dove sbagliamo. Lui! Dopo tutti i miliardi spesi...». Otto, per l’esattezza: «Cinque e mezzo per il Mose più due e mezzo per le opere di salvaguardia». Otto: il triplo dei due miliardi e 933 milioni (euro d’oggi) dell’Autostrada del Sole.


Il commissario

È furente, il commissario: «Qui nessuno ha messo mai un centesimo. Imprenditori... Han fatto impresa senza il fastidio dei concorrenti con utili stratosferici. E adesso si lagnano perché abbiamo ripristinato i prezzi del mercato». Ma quanti soldi occorrono ancora, dopo i salassi? «Non siamo in grado di dirlo». Andiamo bene... Certo, alla bocca di porto di Malamocco i lavori vanno avanti, le immense paratoie fatte fare a Spalato sono allineate sulle banchine pronte per essere adagiate sul fondale e agganciate, gli operai vanno su e giù per i 144 gradini che portano alla pancia della struttura, sotto il mare, dove corre il lungo corridoio che unisce Pellestrina al Lido e le cerniere al centro di tante polemiche luccicano nuove nuove. «Andarà tuto ben! ’Na meravegia!», giura il chioggiotto Eugenio Bollo: una meraviglia.


Anni di rinvii

E anche se sul cartello nessuno ha più il fegato di scrivere, dopo anni di rinvii, quanti giorni mancano, tira aria d’ottimismo. Metà del 2018... Auguri. Anche i commissari del Consorzio, cioè oltre all’ex ufficiale della Finanza Magistro il magistrato Giuseppe Fiengo e l’ingegnere Francesco Ossola, dicono di essere convinti di farcela. «Se i soldi arrivano, però». Dopo aver buttato per decenni spropositate quantità di «schei» nel pozzo senza fondo del «Venezia Nuova» senza mai fare uno straccio di verifica sui conti, lo Stato ha stretto la cinghia. Un po’ per scelta, un po’ perché i meccanismi burocratici sono asfissianti: «I primi soldi della delibera Cipe del 2010 sa quando sono arrivati? Nel 2015!», sospira Fiengo, «ma in gran parte dobbiamo ancora vederli. Provveditorato, ministeri, Tesoro, Ragioneria... Un incubo: non puoi pretendere che un’impresa aspetti un anno e 7 mesi senza pagarli. Non ce la fa!». «Ora dovremmo avere quelli che avanziamo e 221 milioni dalla legge di Stabilità», dice Magistro, «ce li hanno garantiti. Ma un uccellino ci fa fatto venire un dubbio...». Teme che non arrivino? «Sì».


«Il Parlamento ha tirato fuori 95 criteri di delega»

«Con Graziano Delrio e Raffaele Cantone era spuntata un’idea», racconta Fiengo, «si era detto: “Leviamo da mezzo tutta la legislazione dei lavori pubblici e recepiamo solo le direttive comunitarie che sono fatte molto bene”. Ma poi il Parlamento ha tirato fuori 95 criteri di delega: novantacinque. A quel punto...». «Anche se abbiamo ridotto all’osso i costi della struttura, da una settantina a una dozzina di milioni (metà in stipendi per oltre un centinaio di dipendenti) qual è la posizione di tutti nel consorzio? Si arroccano. E continuano a non mettere un centesimo. Anzi, fosse per loro avrebbero mandato via tutti». E accusa: «Forse l’idea iniziale non era male. Perché con il concessionario i lavori si sono pure fatti. C’è stata anche, però, tutta ‘sta ruberia... Perché lo Stato doveva controllare e non ha controllato affatto. Prenda il Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta: perché gli passavano 400 mila euro al mese? Non doveva fare niente. Solo farsi i fatti suoi».


Il problema è la macchina

Al di là delle persone, il problema è la macchina: «Se un organismo di controllo ha un organico, mettiamo, di cento persone e di colpo parte il Mose, cioè un’opera gigantesca, stratosferica, che mette in moto miliardi, la vuoi o no rafforzare quella struttura di controllo? Le vuoi prendere un po’ di persone? Macché: zero! Tu, Stato, investi miliardi su un'opera e poi rinunci ai controlli su quei soldi per il blocco delle assunzioni. Che senso c’è? Ma chi le pensa queste cose?». Tutto questo, «prima»? «Macché “prima”! Ancora oggi: dopo lo sconquasso dell’inchiesta hanno sparato qui un povero cristo di provveditore, Roberto Daniele, che ha dovuto impadronirsi in tutta fretta dei problemi. Ci abbiamo lavorato... Una persona a posto, che ormai conosce ‘sta disgrazia divina. Bene, domani viene a salutare perché han deciso di avvicendarlo. Ma perché, domineddio? Dice: il turnover dei dirigenti. Capisco, ma se deve finire tra un anno e mezzo, lascialo un altro anno e mezzo! No: domani mattina arriva uno che, di questi temi, non sa niente. E deve ricominciare da zero. Ma vi pare un Paese normale? Cosa hanno, la segatura in testa? Mo’, magari chi viene è la miglior persona del mondo, non lo conosciamo... Ma sappiamo già che avremo enormi difficoltà».


Cinquecento appalti

«La cosa divertente», ammicca amaro il commissario Fiengo, «è che al Provveditorato c’è un responsabile per tutte le opere pubbliche che riguardano la salvaguardia di Venezia, Fabio Riva, che è arrivato ad accumulare grossomodo cinquecento appalti. Immagini lei un povero funzionario, con tutti i limiti umani che può avere un cristiano, che si fa carico di essere Responsabile unico del Procedimento, quindi prendere tutte le decisioni, per 500 appalti. Da so-lo!». Cecità organizzativa dei dirigenti o scelta maliziosa per intralciare controlli approfonditi? «Se ci sono o ci fanno?», ride Magistro, «Non so. So che “prima” non c’era manco lui». Tra i sassolini nelle scarpe, se ne toglie uno: «Per un progetto enorme come il Mose ti aspetteresti il meglio del meglio del pianeta. Aziende leader planetarie. Trovatemene una dentro ‘sta compagine consortile! Una! Se fai il ponte di Messina la vuoi avere dentro un’azienda che abbia fatto già ponti di quel tipo? Per questo, volendo fare le cose per bene, ci stiamo rivolgendo ai leader mondiali... Vogliamo stare tranquilli, non rischiare di finire nelle mani dei peracottari che ci fanno trovare le cose arrugginite...». Ce l’ha con le cerniere del Mose? Quelli che non risparmiavano sulle mazzette hanno risparmiato sui materiali? «Grazie a Dio, quelle funzionano. Cambiarle sarebbe un cataclisma». Ma sarebbero da verificare i «tensionatori» che «hanno dato questi segnali di ossidazione... Se si dovesse sostituire tutti parleremmo di una ventina di milioni. Ma qual è il punto? Che quando chiedo lumi uno dice che ha sbagliato il progettista, il progettista dice che ha sbagliato l’esecutore e dove finiamo? Nel solito buco nero di questo Paese». Cioè? «La giustizia. Possiamo anche fare una causa ma come andrà a finire lo sapranno forse i nostri nipoti. E intanto? Chi lo cambia il tensionatore? Chi lo cambia se non ci sono danari? I fornitori, dopo quello che è successo, vogliono vederti coi soldi in bocca. Se questo è un commissariamento, scusate, dove sono le armi?».


La manutenzione

E la manutenzione? Quanto costerà la manutenzione? «Onestamente: non lo sappiamo ancora. Stando al capitolato, il Mose dovrebbe durare 100 anni. Erano 50, hanno voluto fare “boom!” e li hanno portati a 100. Il nostro Francesco Ossola, professore d’ingegneria, mi dice non esiste materiale nemmeno su Marte che duri 100 anni...». Giura però, il commissario, d’avere stoppato comunque il giochino di chi aveva previsto, dopo il business del Mose, il business della manutenzione eterna: «Era pensato così, perché andasse avanti per l’eternità. Come la tela di Penelope...».
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » gio dic 08, 2016 6:39 pm

Tangenti ad Abano, il pm: sequestrate tutto a Luca Claudio
L’accusa chiede al gup di congelare i beni dell’ex sindaco. Ora rischia la confisca. Patteggiamento per nove di Cristina Genesin
07 dicembre 2016

http://mattinopadova.gelocal.it/padova/ ... 1.14530735

PADOVA. Prima il potere, poi i consensi. Ora anche i soldi e il patrimonio immobiliare: rischia davvero di perdere tutto Luca Claudio, l’ex “sindaco pirata” delle Terme. Il pm padovano Federica Baccaglini ha reclamato il sequestro preventivo di tutti i beni riconducibili a Claudio.

Il che significa che potrebbero essere congelati in vista della confisca prevista nel caso di condanna al termine di un processo ma anche di un patteggiamento della pena. Il 16 dicembre sarà il gup Tecla Cesaro a pronunciarsi sul sequestro indicato quando un soggetto non è in grado di giustificare la legittima provenienza di danaro e beni intestati a lui o, in qualche modo, a lui riconducibili.

Primo atto dell’udienza preliminare per i 22 imputati della corruzione alle Terme (per due, Caciotti ed Eliseo, la posizione è stata stralciata). Tra loro Claudio, l’unico ancora in carcere per una doppia misura di custodia cautelare: ha scelto di non comparire in aula, dove sarebbe arrivato con scorta e manette, come l’ex sindaco di Montegrotto, Massimo Bordin, e tutti gli altri eccetto quattro imputati presenti (Massimo Trevisan, gli artigiani del Verde Paolo Tomasini e Denis Pagetta, l’architetto Maurizio Spadot).

È all’inizio dell’udienza che il pm Baccaglini ha formulato la non casuale richiesta di sequestro del patrimonio anche di fronte agli sviluppi investigativi che coinvolgono l’ex moglie di Claudio (Stefania Bisaglia) segnalata per riciclaggio.

I due ex sindaci. Al momento né Claudio né Bordin hanno formalizzato la richiesta di un rito alternativo che consente di beneficiare, per legge, di uno sconto di pena. La loro posizione sarà discussa nel merito il 16 dicembre.

È probabile che Claudio presenti una proposta di patteggiamento strumentale per lasciarsi aperta una strada, quella di poter riproporre l’istanza di “pena concordata” nel processo di primo grado o nel processo d’appello. Insomma potrebbe mettere sul piatto un patteggiamento con una sanzione bassa che non strappa il consenso al pm, così da essere rinviato a giudizio.

Semplice l’obiettivo: solo se si formula una proposta di patteggiamento in udienza preliminare, resta la possibilità di ricorrere a quel rito nelle successive fasi di giudizio. In occasione del processo Claudio potrebbe ripresentare l’istanza, magari in continuazione con l’inchiesta-bis ancora aperta sulla maxi tangente per la discarica di Giarre che ha fatto scattare la seconda misura cautelare nei suoi confronti a novembre.

La stessa strategia potrebbe valere per Bordin che è libero. Intanto la difesa (il professor Caruso con l’avvocato Bonon) ha sollevato eccezione di incompetenza territoriale: il processo deve trasferirsi a Roma. Il motivo? Il riciclaggio è il reato più grave contestato solo a Trevisan e Fortuna, ma connesso agli altri imputati. Il contratto di consulenza stipulato tra Marco Polo spa (che vinse un maxi-appalto a Montegrotto) e Rls (società di consulenza intestata al prestanome Trevisan, che avrebbe incassato la mazzetta per quella gara) riporta come luogo la città di Roma, pur senza una data. Secondo la procura è un contratto simulato. Il gup deciderà il 16 dicembre.

Riti alternativi per nove. Otto imputati chiuderanno il conto con la giustizia grazie a una pena concordata tra difesa e pubblica accusa, cioè il patteggiamento che prevede lo sconto fino a un terzo (il pm ha espresso il consenso che è vincolante): l’imprenditore Luciano Pistorello e l’ingegnere Di Caro suo dipendente, l’ex presidente del consiglio comunale Galesso, gli imprenditori Tiziano Fortuna e Maurizio Trevisan con Creuso e Pedron, l’architetto Spadot.

Ha chiesto il giudizio abbreviato il dipendente comunale Granuzzo sempre per beneficiare dello sconto di un terzo; hanno domandato la messa alla prova i due artigiani del Verde, Tomasini e Pagetta, con l’imprenditore Chiapperino.

Per quanto riguarda le restanti otto posizioni (i Guerrato, i Biavia, gli immobiliaristi Scarpa e Cesaro, l’ex
dirigente Greggio e l’ex consigliere comunale Pegoraro), il giudice si pronuncerà il 16 dicembre: i loro difensori hanno sollecitato il proscioglimento (per i Guerrato chiesta la derubricazione del reato da corruzione a concussione per induzione), il pm ha insistito per spedirli a processo.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » gio dic 22, 2016 10:43 pm

Padova, ex sindaco di Abano patteggia: 4 anni di reclusione e 11 case sequestrate

- Il Fatto Quotidiano
di Giuseppe Pietrobelli | 21 dicembre 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... te/3274940

Luca Claudio, ex primo cittadino di Montegrotto Terme e di Abano Terme, è finito in manette la scorsa primavera per corruzione, concussione e turbativa d'asta. Ora ha patteggiato la pena, che resta comunque severissima

Avrà anche ottenuto il patteggiamento, nonostante un lungo elenco di accuse, e la possibilità in un futuro prossimo di lasciare il carcere per i domiciliari (il pm è favorevole, non il gup che li ha negati), eppure è ugualmente salato il conto pagato da Luca Claudio, l’ex sindaco di Montegrotto Terme e di Abano Terme, finito in manette la scorsa primavera per corruzione, concussione e turbativa d’asta. Una storia esemplare di quanto possa essere redditizio il sistema delle mazzette a fini di arricchimento personale. Storia esemplare non tanto per la pena, che è stata fissata dal gip in 4 anni di reclusione, o per la interdizione all’eleggibilità in qualsiasi carica di Claudio, che così vede troncata la sua carriera politica, quanto per il tesoro delle dodici case, patrimonio immobiliare di notevole valore che secondo i pm padovani era il frutto di un’attività illecita protrattasi per anni. Ora non è più in suo possesso.

Non gli sono valse le magliette che l’anno scorso indossava in campagna elettorale, con la scritta “Io sono innocente”. E neppure il braccio di ferro un po’ guascone che aveva tentato di giocare con gli investigatori. A inguaiare Claudio, passato attraverso numerose esperienze amministrative nella ricca zona padovana dei Colli Euganei, sono stati proprio quegli appartamenti che erano riconducibili a lui attraverso un paio di società. E siccome aveva imposto una legge alquanto ferrea delle percentuali in tangenti da pagare per gli appalti, i soldi da qualche parte dovevano essere finiti. Nelle case per l’appunto.

Undici appartamenti sono stati sequestrati ai fini della confisca, mentre il dodicesimo è stato ceduto da Claudio allo Stato per poter ottenere il via libera della Procura della Repubblica alla richiesta di patteggiamento ora accolta dal giudice Tecla Cesarol. La trattativa è stata complessa, soprattutto sulla parte immobiliare. Fino a poco prima della camera di consiglio i difensori Ferdinando Bonon e Giovanni Caruso avevano trattato la cessione di cinque appartamenti allo Stato, di cui il primo in via San Daniele a Montegrotto. Alla fine è stata sufficiente l’alienazione allo Stato solo di questo, in attesa che tutta la procedura giudiziaria faccia il suo corso. Infatti, gli altri 11 appartamenti sono sequestrati dal pubblico ministero Federica Baccaglini in previsione della loro confisca, in base alla legge antimafia e anticorruzione.

Le case non erano intestate a Claudio, ma a due società, la Rls e la Soleluna, comunque riconducibili al sindaco. Gli investigatori hanno passato al setaccio i redditi percepiti da Claudio (e dalla ex moglie) degli ultimi 10 anni. E’ saltata all’occhio la differenza macroscopica tra quanto incassato e il valore delle proprietà. In una memoria Claudio aveva ammesso: “La società Rls fa capo a me e non ha mai svolto nulla di reale per giustificare le emissioni di fatture, ha solo incassato”. Si riferiva a finte consulenze, parcelle per prestazioni inesistenti. E in qualche caso l’appartamento era la vera tangente. Soleluna (quote intestate all’ex moglie) è proprietaria di sei appartamenti acquistati tra il 2006 e il 2010 per importi dichiarati di circa 830mila euro. Rls è proprietaria di quattro immobili acquistati tra tra il 2010 e il 2013 (valore dichiarato 325mila euro). C’è anche un appartamento a Roma, comperato nel 2016 per 350 mila euro.

Ecco cosa ha scritto il gup: “Il consistente patrimonio immobiliare riconducibile a Luca Claudio e alle sue società si è via via formato negli ultimi dieci anni, nel periodo in cui ha rivestito la carica di sindaco nei due comuni. Gli acquisti si collocano quasi tutti in epoca successiva ai primi episodi di concussione contestati, risalenti al 2007. In tale contesto la mera circostanza che gli immobili siano stati tutti acquistati con mutui non vale a inficiare quanto finora esposto, tenuto conto che il reddito di Claudio e della moglie non era tale da consentire di disporre di liquidità mensile sufficiente per far fronte ai mutui, né risulta allegata da Claudio e comunque provata la provenienza lecita della liquidità mensile necessaria per i mutui”.
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Re: Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano

Messaggioda Berto » mar mar 14, 2017 7:24 pm

«Hanno perso quasi tutti il mio indirizzo»
L’ex Doge: «La politica? Mai più. All’estero? Forse negli Usa tra i coccodrilli, tanto ci sono abituato»
10 marzo 2017
antonio miranda

http://mattinopadova.gelocal.it/regione ... 1.15009612


VENEZIA. La voglia di parlare ci sarebbe, si capisce che qualche sassolino dalla scarpa l’ex potentissimo governatore del Veneto Giancarlo Galan, vorrebbe toglierselo. E infatti, prima di sedersi sul banco dei testimoni al processo Mose, smozzica una manciata di frasi. Ma sa fin troppo bene che, dopo aver patteggiato 2 anni e 10 mesi ed essere tornato libero dai domiciliari lo scorso 6 gennaio, la vicenda giudiziaria non è ancora completamente chiusa. C’è l’istanza di revisione del processo in corso di predisposizione e c’è una nuova inchiesta per evasione fiscale che pende. Meglio, dunque, la via della prudenza, anche perché - a sorvegliarlo da lontano - ci sono i suoi due legali, gli avvocati Ghedini e Franchini. E così l’ex presidente concede solo qualche battuta.

Sapeva della nuova accusa di evasione fiscale?
«Non so niente. Non so niente e non ricordo nulla. Mi sono laureato in Giurispudenza nel lontano ’81, c’era il professor Burdese...».

Ma sapeva di essere indagato?
«Che ero indagato l’ho scoperto oggi qui. Ma non parlo».

Parliamo d’altro allora: di cosa si occupa ora?
«Dell’educazione di mia figlia. Ieri ho studiato insieme le divisioni a due cifre».

E poi?
«Poi leggo».

Difficile, francamente, immaginarla a casa in pantofole.
«Perché? Un tempo a quelli della mia età davano la carta argento».

Allora mettiamola così: in futuro tornerà a occuparsi di politica?
«Ho chiuso per sempre con la politica, nel modo più assoluto» (tono categorico).

Ha sentito Berlusconi?
«Chi è Berlusconi?»

Si è risentito con Chisso?
«Chi è Chisso?»

È molto arrabbiato vero?
«Nooo.....sono un buono io» (e ride).

Chi le è stato vicino in questa vicenda?
«Hanno perso quasi tutti il mio indirizzo. Ecco, almeno distinguere gli uomini, questo voglio farlo. Però no, ci sono state anche molte persone che mi hanno sostenuto. Più del previsto a dire il vero. E non lo dimenticherò mai».

Si parla di un suo trasferimento all’estero.
«Non so. A Rovigno? No, lì non ci andrei mai. Negli Stati Uniti piuttosto».

C’è già Mazzacurati.

«Andrei sull’altra costa. O in un posto sperduto in Florida. Li ci sono i coccodrilli. Ma tanto io ai coccodrilli ci sono abituato».

Dove vive ora?
«A Rovolon»

È il paese di don Cavazzana, il prete coinvolto nello scandalo sessuale.
«Non so nulla. Esprimo invece tutta la mia stima a quel sacerdote. C’è l’intera comunità che gli vuole bene ed è stato vicino anche a me».

Lei ha più volte detto che avrebbe parlato. E invece niente, neanche stavolta.
«Parlerò, parlerò. Ora meglio che non lo faccia. Fin da quando ero ragazzo mi hanno spiegato che alla fine la giustizia trionfa. Ecco, io ci credo. O perlomeno ci spero».

Che giustizia si aspetta?
«Le vie sono infinite».

Cosa dice ai “suoi” veneti?
«Che il presidente Galan non ha mai fatto una delibera, un atto, una dichiarazione dettata da un vantaggio personale. Mai in 15 anni. Questo voglio dire .
Baita e Minutillo dicono che ha preso soldi.

Galan se ne va, arrabbiato.
Sabrina Tomè
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