Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Messaggioda Berto » lun apr 17, 2017 8:06 am

Giudice Polcari
Giudice da 7 anni è pagato per non lavorare
08.02.2011

http://www.ilgiornaledivicenza.it/home/ ... e-1.944980

Vicenza. Da sette anni Eugenio Polcari, per sedici magistrato a Vicenza e provincia, è pagato per non lavorare perché per due volte il Csm gli ha sbattuto la toga in faccia. «Indegno - a suo dire - di continuare a fare il giudice». Ma per due volte la Cassazione gliel'ha restituita (l'ultima giovedì scorso), sebbene non sia ancora sufficiente al magistrato per tornare a scrivere sentenze, il suo mestiere, anziché ricorsi ai supremi giudici com'è impegnato da tempo. Anche se stavolta, dopo sette anni, pare essere la volta buona per rientrare nei ranghi.
Nel frattempo, dal 2004 percepisce due terzi dello stipendio (alcune migliaia di euro al mese) perché così prevede la legge. Ma il magistrato deve essere reintegrato in magistratura perché, come scrive la Cassazione, «il quadro disciplinare a carico del dott. Polcari è oggettivamente inferiore e meno rilevante rispetto alla decisione assunta dal Csm». Nonostante questo attestato di sproporzionalità tra la sanzione irrogata - la destituzione da magistrato - e gli eventuali comportamenti illegittimi commessi (peraltro da dimostrare perché in penale è stato assolto), Polcari da sette anni è sospeso dalla funzione di giudice. Avvenne quando l'allora toga del tribunale di Vicenza - sede distaccata di Schio - venne rinviato a giudizio davanti al tribunale di Trento per risponde di reati obiettivamente pesanti: concussione e abuso d'ufficio per l'acquisto di alcune macchine e l'affidamento di numerose consulenze a consulenti ritenuti suoi amici.
Tuttavia, e questo è l'elemento decisivo che spiega perché la Cassazione gli ha fin qui dato ragione, Polcari è stato assolto su tutta la linea da tutte le accuse con la formula più ampia del "fatto non sussiste" dal tribunale collegiale trentino. Nonostante l'assoluzione sia diventata tombale nel 2007 quando è passata in giudicato, il 50enne giudice di origine napoletana è al centro di una tira e molla disciplinare che pare non abbia precedenti nella storia del Csm.
«È ovvio che sono soddisfatto per la decisione della Cassazione - si limita a dichiarare il magistrato raggiunto al telefono-, del resto non ho mai dubitato di questo risultato perché io non ho commesso alcun reato, anche se questa sentenza non risolve il caso perché non sono ancora riammesso in servizio, nonostante i supremi giudici abbiano detto che la sentenza disciplinare che mi è stata inflitta sia ingiusta».
In poche parole, Polcari dovrebbe tutt'al più essere sanzionato con un provvedimento disciplinare di minore entità «per renderlo proporzionato» al quadro che è emerso dal suo comportamento. Ma il punto della questione, dal quale non riesce a sbrogliarsi nemmeno il Csm, è che Polcari non ha violato la legge per i comportamenti che gli sono contestati, al massimo è stato imprudente. In pratica ha assunto comportamenti che sono leciti per un normale cittadino, tant'è che non è stato censurato dai magistrati penali, ma che per un giudice rappresentano una scorrettezza. Che di per sè, però, non prevede l'espulsione dall'ordine giudiziario. Come per due volte ha ribadito la Cassazione.
E per dire come vanno le cose in Italia, di recente un altro giudice che è stato condannato penalmente con sentenza passata in giudicato a 14 mesi di reclusione per falso ideologico, ha invece ottenuto di essere riammesso in servizio. Per Polcari sono due pesi e due misure. E il salasso
Eugenio Polcari è vittima di un'ingiustizia che si perpetua da 4 anni, da quando è stato assolto. Il giudice finì nella bufera 11 anni fa quando la procura di Trieste gli perquisì la casa a Sarcedo. Il procedimento disciplinare si è concretizzato col rinvio a giudizio nel 2004, quando è stato sospeso e gli è stato ridotto lo stipendio di un terzo. Da allora è pagato per non lavorare. Nel 2007, poi, è stato assolto a Trento da tutte le accuse. Dopo, per due volte, il Csm l'ha espulso e per due volte la Cassazione ha stabilito che non può essere radiato perché non basta «la mera spendita della qualifica di magistrato per determinare di per sè una sanzione disciplinare». Lo Stato ora dovrà ricostruirgli la carriera e versargli la differenza di quanto non ha percepito dal 2004. Un salasso per le case pubbliche. I.T.
Ivano Tolettini




LA STORIA
La Cassazione «salva» il giudice cacciato per gli sconti sospetti
«Rimosso? Sanzione sproporzionata». L’ex pretore di Schio fu indagato (poi assolto) per dei favori

Andrea Priante - 07 agosto 2012

http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 5688.shtml

VICENZA - «In una occasione il mio comportamento non è stato dignitoso, ma non ho mai violato la legge». Era il 24 giugno del 2007, e questa frase riecheggiò tra le pareti dell’aula del tribunale di Trento. A pronunciarla, il giudice Eugenio Polcari, ex pretore e poi giudice di Thiene e Schio, in servizio dal 1986 fino al 2003, quando si trasferì a Napoli dove poi venne sospeso proprio in seguito a un brutto guaio legato a presunte pressioni esercitate per ottenere regali e forti sconti nei negozi. Accuse (da lui sempre respinte) che il 4 ottobre del 2011 hanno convinto il Consiglio superiore della magistratura a emettere nei suoi confronti la sanzione della «rimozione », la più severa tra quelle che avrebbero potuto infliggergli. Decisione inevitabile, secondo l’organo di autogoverno dei magistrati, visto che è «impossibile per il giudice recuperare nella collettività la fiducia e la considerazione necessarie per riprendere l’esercizio delle funzioni giurisdizionali».

Ma ora la Cassazione ha ribaltato tutto: secondo gli ermellini, il Csm è stato troppo severo. Nel giudizio è mancata «una valutazione di proporzionalità tra la gravità dei fatti addebitati e la sanzione» che, proprio per questo motivo, si rivela «inadeguata e incoerente». Insomma, quand’era in servizio nell’Alto Vicentino il giudice qualche favore magari l’avrà pure ottenuto, ma il suo comportamento non è stato grave al punto da meritare d’essere cacciato dalla magistratura. La vicenda prende le mosse alla fine degli anni Novanta. Polcari venne accusato di essersi intascato preziosi regali e di aver fatto pressioni per ottenere forti sconti sull’acquisto di automobili. Il processo si trascinò fino al 2007, quando il tribunale di Trento dichiarò che per alcuni dei reati contestati (tra i quali la ricettazione) non si poteva procedere perché era già scattata la prescrizione. Per gli altri capi d’accusa, invece, venne assolto. Insomma, Polcari, con le sue dubbie frequentazioni e la sua passione per i Rolex, non violò la legge.

E gli sconti dal 15 al 25 per cento sulle auto che acquistava? Stando alle motivazioni della sentenza, messe nero su bianco dal tribunale di Trento, i rivenditori non lo favorirono perché avevano soggezione del suo ruolo ma solo perché nella «strategia commerciale delle aziende del settore nella provincia veneta (provincia ricca, ma segnata da forte concorrenza tra operatori commerciali) rientra la scelta di favorire l’acquisto di prodotti da parte di "opinion leaders", o se si preferisce di persone in vista nel ristretto ambiente delle cittadine di residenza ». Insomma - per utilizzare la definizione del presidente del collegio giudicante - il giudice divenne un «testimonial». Nulla di illegale, ma la magistratura non fece certo una bella figura. E così, il Csm aprì un procedimento disciplinare che nel 2008 si chiuse con la decisione di rimuoverlo. Polcari la prese malissimo e fece ricorso in cassazione. Nel 2009 le sezioni unite gli diedero ragione, annullando la sentenza e rinviando il tutto per una nuova valutazione. Da quel momento iniziò un bizzarro ping-pong tra Csm e cassazione: un caso unico nella storia della Giustizia interna alla magistratura. Nel 2010 la disciplinare confermò la responsabilità di Polcari per alcuni dei capi d’accusa, ribadendo quindi la sanzione della rimozione a causa della «lesione irreparabile della credibilità e del prestigio di cui deve godere un magistrato».

Seguì un nuovo ricorso alle sezioni unite e una nuova censura degli ermellini: il provvedimento era sproporzionato anche perché la sanzione non teneva conto «dell’elemento psicologico nei comportamenti contestati». L’anno successivo il Csm dovette quindi riesaminare il caso, ma la nuova ordinanza confermò sia la responsabilità di Polcari che la rimozione. Ultimo passaggio, almeno per ora, il nuovo ricorso alla cassazione, che si è concluso tre settimane fa. Di nuovo, per la terza volta, gli ermellini annullano la sentenza del Csm per «illogicità della motivazione della sezione disciplinare» in quanto, rimuovendolo dal suo incarico, non avrebbe applicato «un giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione che deve essere irrogata ». Quindi la questione torna, di nuovo, al Csm che dovrà essere meno severo nei confronti del magistrato. Nel frattempo Polcari attende. Dal 2004, a causa di questo pasticcio, non può lavorare ma percepisce ugualmente due terzi dello stipendio. «Questa sentenza è la dimostrazione che mi perseguitano», è stata la prima reazione alla notizia. Eppure finora il Csm ha dipinto il giudice-testimonial come un furbacchione che non merita di fare il magistrato. «È vittima di una situazione inquietante - ribatte il suo avvocato, Saverio Senese - costretto a non poter lavorare a causa della singolare severità dimostrata da Csm, che in passato non è stato altrettanto duro con altri magistrati che, al contrario di Polcari, erano stati giudicati colpevoli. Ora speriamo gli sia finalmente consentito di tornare al lavoro».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun apr 17, 2017 8:16 am

De Silvestri PM a Vicenza


Crac pilotati, indagato De Silvestri
...
Articolo rimosso per ordine del tribunale, relativo al diritto all'oblio.
La polizia postale di Vicenza ci ha convocati nella sua sede vicentina giovedì 16 giugno, per comunicarci questo ordine del tribunale senza però rilasciarci copia dello stesso provvedimento giudiziario e del verbale dell'atto di comunicazione da me sottoscritto.


Con la locuzione "diritto all'oblio" si intende, in diritto, una particolare forma di garanzia che prevede la non diffusione, senza particolari motivi, di informazioni che possono costituire un precedente pregiudizievole dell'onore di una persona, per tali intendendosi principalmente i precedenti giudiziari di una persona.
In base a questo principio non è legittimo, ad esempio, diffondere informazioni relative a condanne ricevute o, comunque, altri dati sensibili di analogo argomento, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca. Anche in tali casi la pubblicità del fatto deve essere proporzionata all'importanza dell'evento ed al tempo trascorso dall'accaduto. Le leggi che regolamentano il diritto all'oblio si applicano esclusivamente alle persone fisiche e non alle aziende.
https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_all%27oblio


Per il diritto di cronaca ecco un link ancora esistente
Caso Giada, perquisito studio De Silvestri
L’ex pm: «Dividiamo le stesse stanze ma le attività sono distinte»
04 ottobre 2014

https://corrieredelveneto.corriere.it/v ... 8457.shtml

L'ex pm oggi avvocato Antonino De Silvestri si occupò del sequestro di persona Celadon
https://www.pressreader.com/italy/corri ... 0818259776


Vicenza: Borgo Berga, Cantone indaga. E la Procura?
da Staff "Christus Rex"
L’Autorità Anticorruzione mette in imbarazzo il Comune berico. La magistratura locale che fa?

https://www.agerecontra.it/2015/05/vice ... a-procura/

VICENZA X

L’Anac, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione presieduta da Raffaele Cantone ha acceso i riflettori sulla chiacchieratissima lottizzazione in zona Cotorossi a Vicenza, ancora da ultimare per vero, dove è nato il nuovo palazzo di giustizia e dove sta nascendo una nuova cittadella, Borgo Berga, frutto di un accordo completato tra il 2003 e il 2004 tra la municipalità berica e una spa all’epoca riferibile alla famiglia Berlusconi, e oggi capitanata da Maltauro e Gruppo Gavio (Sviluppo Cotorossi Spa). L’authority parla di «probabile sottostima dei vantaggi del privato e degli oneri comunali e mancata gara per la realizzazione delle opere di urbanizzazione». E ancora: «viene contestato il fatto che si sia proceduto alla realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo senza ricorrere a un procedimento di gara di pubblica evidenza, rilevando che gli importi erano superiori alla soglia comunitaria di Cinque milioni». L’Anac parla addirittura di «affidamento delle opere a scomputo, si legge, in assenza di procedure di evidenza pubblica» il che non parrebbe «conforme con le disposizioni da assumere quale riferimento in relazione al caso specifico».

GLI ADDEBITI
Detto più alla grossa Anac contesta al Comune di avere valutato al ribasso il vantaggio dovuto al pubblico nell’ottica del piano urbanistico che generò quella lottizzazione. E soprattutto contesta che nel proseguo degli anni i lavori per le opere accessorie si sarebbero dovuti affidare a gara e non mediante incarico diretto ai privati. L’amministrazione guidata dal democratico Achille Variati ha replicato che nel 2003 (all’epoca governava la Cdl) tale obbligo non sussistesse, ma Anac ha contro-argomentato che la convenzione nel 2010 sia stata completamente rivista e che quindi si dovessero applicare in quella fattispecie i dettami stabiliti dalla norma vigente in quel momento. L’esposto che ha attivato i funzionari dell’Anac è stato redatto l’anno passato da due esponenti dei Cinque Stelle, il senatore Enrico Cappelletti e il consigiere comunale Daniele Ferrarin, membro della commissione Territorio. Quell’esposto però, come racconta lo stesso Ferrarin in un nota diramata poche ore fa, è il cugino di un’altra serie di segnalazioni, stavolta di tipo penale, che in momenti diversi Legambiente, Comitato contro gli abusi edilizi e lo stesso M5S avevano indirizzato alla Procura della Repubblica di Vicenza a partire dal 2013: una circostanza politicamente imbarazzante per l’esecutivo che è guidato ininterrottamente dallo stesso primo cittadino fin dal 2008.

NUOVI DUBBI
Tanto che è proprio il M5S ora a chiedere conto della situazione al procuratore berico Antonino Cappelleri, che due anni fa ha avviato un’indagine “esplorativa”. A che punto è quella inchiesta? Il fascicolo, che a quanto si è letto sulla stampa nei mesi passati è stato aperto per fatti non recanti notizie di reato, in gergo «modello 45», ha cambiato forma? Ci sono degli indagati? E si procederà con i sequestri paventati dai comitati e dai loro legali?

UN DECENNIO DI POLEMICHE
La questione non è di poco conto perché lo iato tra la celerità dell’Anac e la prudenza della Procura berica è evidente. E c’è di più. Se le doglianze di comitati e M5S sono sostanziate e reggono il peso di un primo vaglio di congruità giuridica, come mai in tutti questi anni gli organi di controllo, da quelli comunali a quelli regionali sino alla magistratura, nonché alle organizzazioni forensi e dei professionisti della città, non hanno rilevato alcunché di gravemente anomalo? Già nel 2003, quando il governo guidato da Silvio Berlusconi acconsentì ad un finanziamento di 25 milioni di euro per il nuovo Palazzo di giustizia, a patto che quest’ultimo si realizzasse su un lotto della sua famiglia, a fronte peraltro di un concambio di terreni col Comune assai vantaggioso per i privati in termini di edificabilità, le opposizioni in consiglio si scatenarono. La allora giunta di centrodestra e il dipartimento del territorio furono messi sulla graticola. All’epoca gli strali più duri giunsero dal verde Ciro Asproso e dal consigliere dei Ds Ubaldo Alifuoco. Franca Equizi, all’epoca consigliere del Carroccio, addirittura inondò di segnalazioni Comune e Procura. Che cosa è cambiato da un decennio a questa parte? Ci sono reati che sono andati prescritti? Ve ne sono degli altri che invece sono ancora in fieri?

L’AFFONDO DEL CONSULENTE
Nel 2014 l’architetto Carlo Costantini, consulente tecnico per gli esposti su Borgo Berga, a margine della visita fatta al procuratore Cappelleri sunteggiò così l’esposto consegnato ai magistrati: «Nel raffronto tra benefici privati ed i presunti vantaggi pubblici, obbligatorio per l’approvazione del piano urbanistico… , per quanto evidenziato dalla documentazione agli atti, non risulta considerato il plusvalore dovuto alla trasformazione della destinazione urbanistica dell’area, da industriale a commerciale-direzionale-residenziale ed allo “scambio” tra i 15.000 metri quadri ceduti dalla Cotorossi per la costruzione del Tribunale ed i 31.000 viceversa ceduti dal comune alla stessa società… tutto ciò… potrebbe quantificarsi, indicativamente, in una cifra dell’ordine dei trenta milioni, quale vantaggio privato, il che ovviamente non corrisponde affatto ad un danno equivalente per il comune».
La società che porta avanti la lottizzazione è la Sviluppo Cotorossi spa. Tra gli ex membri del consiglio di amministrazione figura tale «De Silvestri Antonino» (codice fiscale DSLNNN43M18H300K, stando a Infocamere). Per caso si tratta dello stesso Tonino De Silvestriche per anni è stato uno dei pm più noti a Vicenza e che oggi di mestiere fa l’avvocato, presso il foro di Vicenza?



Caso Cotorossi, M5S contro il pubblico ministero che vuole archiviare
In primo piano da sinistra a destra Endrizzi e Di Maio durante una protesta nel 2016 per l'affaire Cotorossi Marco Milioni
02 agosto 2019

https://www.vicenzatoday.it/attualita/a ... -2019.html

Barbara Guidolin e Giovanni Endrizzi, senatori del M5S, con una nota al vetriolo diramata giovedì, si scagliano contro la procura della Repubblica di Vicenza che è pronta a chiedere l'archiviazione sul caso dei presunti abusi edilizi a borgo Berga: una querelle urbanistica dal valore multimilionario che va in scena dai primi anni Duemila. E che quattro anni fa era sfociata «in un procedimento penale monstre» scaturito proprio dagli esposti del M5S nonché da quelli di un pool di associazioni ecologiste. Si prevede ora una battaglia davanti al giudice per le indagini preliminari mentre i due parlamentari accusano: «archiviare significa mettere tutto a tacere». In realtà il M5S non è nuovo ad uscite del genere tanto che il leader Luigi di Maio, oggi vicepremier, nel 2016 prese parte a Vicenza ad una manifestazione contro l'affaire Cotorossi, noto anche come affaire Borgo Berga, che peraltro è la sede della cittadella giudiziaria della città del Palladio.

I comitati per vero erano intervenuti alcuni giorni fa quando sui media veneti si era appreso della decisione assunta dal procuratore capo della repubblica di Vicenza Antonino Cappelleri, titolare del fascicolo, che peraltro a breve andrà a ricoprire il medesimo incarico a Padova. Il quale ha chiesto l'archiviazione del fascicolo medesimo. I motivi sono diversi. Alcuni fra i presunti reati sarebbero stati compiuti diversi anni fa. Per cui la prescrizione ha reso impossibile perseguirli. Per altri non ci sarebbero elementi per sostenere una accusa in giudizio: troppo labili le prove degli illeciti a partire dalla lottizzazione abusiva rispetto ad una inchiesta che aveva visto inizialmente un alto numero di indagati i quali via via erano andati scemando.

D'altro canto c'è la posizione della società che ha realizzato la lottizzazione sul sedime dell'ex Cotonificio Rossi appena fuori il centro storico, all'inizio della statale della Riviera berica (lottizzazione nota giustappunto come «Piruea Cotorossi»). Il lottizzante, ovvero la Sviluppo cotorossi spa, con l'amministratore delegato Paolo Dosa, ha sempre sostenuto la bontà di un percorso peraltro molto complesso e molto travagliato. Una delle tesi di Dosa, tesi che il manager ha sempre sostenuto con convinzione, riguarda la pluralità delle verifiche burocratiche che soggiacciono ad un iter cominciato quasi vent'anni fa.

Si tratta «di tanti e tali step» che hanno investito «il Comune di Vicenza», in parte la Provincia e poi «la Regione Veneto», il Genio civile sino a ministeri competenti: tanti passaggi a maglia così stretta hanno portato ad una serie di autorizzazioni rispetto alle quali la società ha sempre sostenuto di avere, necessariamente, «le carte in regola». Di più, la società si è spesso lamentata parlando di una sorta di accanimento ideologico da parte della galassia ambientalista nei confronti di un progetto che ha preso vita anche grazie al lavoro di alcuni architetti di fama internazionale in ragione della visione dei quali è stato possibile riqualificare «un'area condannata al degrado». Questo in buona sostanza è il ragionamento dei vertici societari che hanno affidato la loro difesa al professore Enrico Ambrosetti, avvocato del foro berico, noto alle cronache per essere il legale dell'ex prsidente di BpVi Gianni Zonin nel processo che riguarda il collasso dell'ex istituto di credito di via Framarin.

Tuttavia quando alcuni giorni orsono si è diffusa la voce della decisione del procuratore capo, le associazioni ambientaliste sono scese sul piede di guerra. E hanno fatto sapere di non condividere per nulla l'orientamento del magistrato. Tanto da dirsi pronte a impugnare la richiesta di archiviazione «non condividendo per nulla l'impostazione fatta propria dalla procura».

Poi è arrivato anche l'affondo di due senatori del M5S . Si tratta della rosatese Guidolin nonché del padovano Endrizzi. «Il piano attuativo Piruea Cotorossi - si legge in una nota diramata ieri sera - non poteva essere approvato per il suo impatto devastante sul territorio, come afferma l'Unesco e per una serie di violazioni di legge rilevate non dal M5S o dalle associazioni ambinetaliste, bensì dal Corpo Forestale dello Stato, oggi Carabinieri forestali, nonché dai consulenti del pubbico ministero. Ci riferiamo alla mancanza delle valutazioni ambientali come Vinca e Vas e di compatibilità idraulica, nonché al mancato rispetto delle distanze dai fiumi». I due usano parole che pesano come pietre: «Si tratta di violazioni mai smentite né dalla Cassazione né dal Tribunale del Riesame, il quale, anzi, conferma i due ultimi rilievi».

I due senatori però vanno oltre. Ed entrano nel merito di una vicenda di cui si era occupata anche l'agenzia nazionale contro la corruzione, ovvero l'Anac. «A questo si aggiunge la violazione del Codice degli appalti, accertata dall'Anac e la violazione del Codice del Paesaggio rilevata dal Ministero dei Beni culturali che ha costretto il privato lottizzante a chiedere recentemente la sanatoria paesaggistica, che potrà essere concessa dal Comune di Vicenza solo dopo che la Soprintendenza avrà espresso il suo parere, vincolante per il Comune stesso. Parere che potrebbe essere anche negativo alla luce dei rilievi fatti pervenire al Ministero dalle associazioni ambientaliste».

Tanto che Guidolin ed Endrizzi mandano un vero e proprio messaggio al Gip che dovrà esaminare la richiesta di archiviazione: «Tutto questo dovrà essere valutato dal Giudice per le indagini preliminari... non vediamo come si possa affermare che le le indagini siano da considerarsi concluse - attaccano i due parlamentari - anche alla luce di fatti nuovi contenuti nel nostro esposto del 24 giugno. Ci sono elementi per considerare altre eventuali responsabilità penali. Si rileva infatti che alcune violazioni sotto gli occhi di tutti, come ad esempio il mancato rispetto dai corsi d'acqua, non sono mai state sanzionate. Fatti gravi che i cittadini hanno il diritto di conoscere , alla luce dei quali, non può certo sostenersi che sia tutto in regola».

Si tratta di parole precise dalle quali si intuisce che anche a fronte di una eventuale archiviazione da parte del Gip le associazioni e il M5S sono intenzionati a proseguire la battaglia legale. Nell'ambito della procedura penale infatti l'archiviazione non è una sentenza definitiva di assoluzione. Il che dà la possibilità a chi denuncia un reato di reiterare la stessa denuncia anche quando un fascicolo viene chiuso. Per di più dalle parole di Guidolin ed Endrizzi si evince che i riflettori dei due senatori nonché delle associazioni beriche (si tratta di Legambiente, Italia Nostra e Comitato contro gli abusi edilizi), non sono puntati solo sul lottizzante, quanto soprattutto sui funzionari degli uffici, municipali in primis, nonché sulle loro presunte inerzie. Alcune delle quali sono peraltro già state riconosciute dalla attuale giunta comunale di Vicenza.

Affaire Cotorossi: proseguono le indagini per «disastro ambientale»
Marco Milioni
03 dicembre 2020
https://www.vicenzatoday.it/cronaca/gip ... -2020.html
Il gip di Vicenza dice no all'archiviazione del secondo filone di inchiesta sulla cittadella giudiziaria di borgo Berga e ordina altri accertamenti. Plaude Legambiente che aveva depositato un esposto: favorevoli anche i comitati che parlano di decisione «clamorosa»



L'ex colonnello fa l'investigatore
Giorgio Cecchetti
10 aprile 2004

http://ricerca.gelocal.it/mattinopadova ... VR601.html

VICENZA. L'ex colonnello della Guardia di finanza Mauro Petrassi, ex comandante del Nucleo regionale di Polizia tributaria, colui che il pm Francesco Saverio Pavone aveva definito «grassatore, ingordo, insaziabile, famelico, esoso, mangiatore a quattro ganasce, tronfio e arrogante», è uscito dal carcere e lavora a Vicenza, presso una cooperativa che fornisce servizi agli studi legali. Dopo 6 anni e due mesi di cella ha ottenuto la semi libertà e il trasferimento nel carcere della città berica.
Petrassi, accusato di concussione e corruzione e condannato prima a 14 anni e otto mesi di reclusione, pena poi ridotta a undici anni, ha scelto Vicenza che pur non è la sua città e dove non ha mai prestato servizio. Nato nel Lazio, vissuto a lungo a Roma, dove aveva casa, e quindi a capo del più prestigioso reparto delle «fiamme gialle» nel Veneto con sede a Mestre, Petrassi deve aver avuto grandi amici nella cittadina veneta che ha scelto per riuscire innanzitutto a trovare un lavoro degno del suo stile di vita e per decidere di trasferirsi definitivamente.
I reati per i quali è finito in manette e per i quali è stato condannato sia dal Tribunale lagunare sia dalla Corte d'appello sono particolarmente odiosi e, inoltre, molti testimoni, durante il lungo processo, avevano raccontato che cercava di ottenere il massimo possibile dagli imprenditori e non solo in contanti. C'era, dunque, da scommettere che sarebbe rimasto lontano dal Veneto, invece non solo è tornato pochi giorni dopo aver avuto la semilibertà, ma ha scelto una delle città che allora frequentava maggiormente e dove, secondo le accuse, aveva concluso e cercato di portare a termini «affari» per centinaia di milioni.
Uno di questi lo aveva avviato anche nella casa di un pubblico ministero vicentino, anzi ex, perchè dal 15 febbraio Tonino De Silvestri ha dato le dimissioni per evitare il procedimento disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura e il trasferimento in un'altra città. Adesso De Silvestri lavora presso lo studio di un noto avvocato di Vicenza e non è escluso che sia rimasto in buoni rapporti con il vecchio amico Petrassi, che quando aveva ancora le stellette frequentava spesso la sua casa.
E proprio una cena alla quale partecipava, oltre a Petrassi, anche l'imprenditore vicentino Lino Mastrotto ha creato notevoli problemi all'ex pubblico ministero. In quell'occasione, infatti Petrassi avrebbe chiesto a Mastrotto 300 milioni di vecchie lire per chiudere un occhio su una verifica fiscale. De Silvestri si è sempre difeso sostenendo di non essersi accorto di nulla perchè i due ne avrebbero parlato con tutta evidenza nei momenti in cui lui si assentava per andare in bagno. Nei suoi confronti, comunque, l'inchiesta penale avviata a Trieste è poi finita in archivio.
Ora Petrassi è tornato a Vicenza e lavora per una cooperativa di Mantova, la San Marco, che fornisce servizi amministrativi e investigativi agli avvocati. L'ex colonnello, con le sue conoscenze e le sue capacità, sicuramente è in grado di fornire una collaborazione ad alto livello al legale presso il quale lavora. Alla sera, comunque, deve tornare nel carcere San Pio X di Vicenza, prima di poter ottenere la completa liberazione deve scontare almeno due terzi della pena alla quale è stato condannato (gli manca ancora più di un anno).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun apr 17, 2017 8:20 am

TENTATA ESTORSIONE GIUDICE VICENTINO FINISCE IN TRIBUNALE
di PAOLO COLTRO
13 marzo 1985

http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... unale.html

VICENZA - È stato un declino rapido, una caduta verticale: la stella di Luigi Rende, sostituto procuratore della Repubblica a Vicenza (fino a quattro mesi fa) non brilla più come quando il magistrato era uno degli uomini più influenti della città. L' ultimo rovescio ha la data di lunedì scorso: il suo collega Claudio Coassin, della Procura di Trieste, lo ha rinviato a giudizio per tentata estorsione. Un' istruttoria breve e succosa: lo si deduce dal fatto che Coassin non ha nemmeno formalizzato l' istruttoria, ma ha spedito il dottor Rende direttamente avanti al Tribunale. A togliere il velo su una storia di cui a Vicenza si sussurrava da tempo è stato il titolare di alcuni locali pubblici vicentini, Bernardino Buonocore, scottato da un' inchiesta nata male. Buonocore venne arrestato nel luglio dell' 82, dopo che una perquisizione in casa sua aveva fatto trovare banconote in diverse valute estere. La polizia sospettava che il denaro fosse falso: il contante venne sequestrato, l' uomo finì in carcere. Si trattò di un granchio, di un vero e proprio errore giudiziario: tanto che Buonocore venne prima scarcerato e poi assolto con formula ampia. Non aveva però serbato un buon ricordo del sostituto procuratore Rende: il quale, durante un interrogatorio, gli fece capire che con un "contributo" di dieci milioni le cose potevano andare a posto e il denaro sequestrato essere restituito senza troppe difficoltà. Una strana storia di giustizia parallela che ha spinto Buonocore alla denuncia. Il dottor Rende ha fatto sapere che smentisce recisamente ogni accusa. Una frase cui è ormai abituato: l' ha pronunciata anche quando ricevette nel novembre scorso una comunicazione giudiziaria, dai giudici istruttore triestini Gullotta e Patriarchi, per corruzione e interesse privato in atti d' ufficio. Il sostituto Rende, quarantatrè anni, messinese, di cui sia la Procura vicentina che la Procura generale di Venezia avevano chiesto il trasferimento d' ufficio, è in una situazione delicata. Nonostante il parere contrario dello stesso ministro Martinazzoli, bresciano, è stato trasferito (su sua richiesta) proprio a Brescia. Il Csm l' ha comunque contestualmente sospeso dall' incarico e dallo stipendio, in attesa di vedere come finiranno i vari procedimenti penali in cui il magistrato è coinvolto. Tra l' altro anche la moglie di Rende, Maria Rita Savoia, ha ricevuto mesi fa una comunicazione giudiziaria: per associazione a delinquere di stampo mafioso. Nei confronti dell' ex procuratore vicentino, c' è un' altra delicata inchiesta: nella sua villa da 450 milioni sono state trovate sei pistole, e nel suo ufficio in Procura un fucile: tutte armi non autorizzate.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio apr 27, 2017 10:37 pm

QUEL PORTO DELLE NEBBIE di EUGENIO SCALFARI
17 marzo 1996

http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... ebbie.html

FA BENE il procuratore-capo di Roma, Coiro, a difendere il suo ufficio, la sua Procura contro attacchi indiscriminati e sospetti generalizzati. In parte quella difesa è un atto dovuto perché un capo, fino a prova del contrario, deve dar fiducia ai suoi collaboratori, molti dei quali impegnati in inchieste delicate e complesse che non potrebbero esser condotte a termine da magistrati frustrati e non credibili; ma soprattutto è vero - e risulta in concreto dai comportamenti di molti di quei magistrati - che la Procura di Roma guidata da Coiro è molto diversa da quel "porto delle nebbie" di infausta memoria che per anni ed anzi per decenni abbiamo conosciuto.

Ma il "porto delle nebbie" non è stato un' invenzione giornalistica né, tantomeno, una trovata lessicale dei savonarola arroccati a Milano nel "pool" di Mani pulite. Bisognerà scriverla prima o poi la storia di quel "porto" e Coiro potrebbe esserne una delle fonti principali perché per lunghissimo tempo pagò di persona, vittima d' un ostracismo tenace, il suo rifiuto di conformarsi al "rito romano" prevalente nel ventennio degli anni Settanta-Ottanta.
Si fa un gran parlare da tre anni a questa parte della politicizzazione faziosa dei magistrati del Pubblico Ministero che scoperchiarono le fogne di Tangentopoli e a furia di lanciare contro di essi accuse e vere e proprie campagne di delegittimazione quello slogan ha finito per far breccia e quasi per diventare una verità in tutto quel vasto settore della pubblica opinione che si riconosce nella leadership di Silvio Berlusconi e nei suoi alleati. Ma non si è mai sentito dire con la stessa veemenza che se c' è stato un macroscopico fenomeno di politicizzazione durato a dir poco vent' anni e con effetti giudiziari rilevantissimi, esso nacque nella Procura, nell' ufficio Istruzione ed anche in alcune sezioni giudicanti del Tribunale e della Corte d' appello di Roma, in stretto raccordo con la prima sezione della Corte di Cassazione.

La funzione che quei magistrati esercitarono si potrebbe definire come quella degli "alani" del potere: cani da guardia non già delle istituzioni e dell' amministrazione imparziale e rigorosa della giustizia, ma degli interessi personali e di gruppo di chi quelle istituzioni aveva occupato e da quelle posizioni democraticamente raggiunte aveva derivato gli strumenti per costruire un meccanismo di inamovibilità e di impunità.

L' IMPUNITA' era la condizione principale dell' inamovibilità; di qui il controllo diretto dell' azione penale e la pratica diffusa dell' aggiustamento dei processi; in una parola l' influenza politica sulla giurisdizione: a questo servivano gli "alani" e questo fecero.

Del resto Coiro lo sa benissimo per averne fatta diretta esperienza e per aver tentato di ribellarsi all' inquinamento diffuso e prolungato, e con lui lo sanno molti sostituti procuratori e moltissimi magistrati del Tribunale romano che non esitarono a denunciare anche pubblicamente quell' intollerabile stato di cose. Chi parla ora di politicizzazione dei magistrati di Mani pulite farebbe bene a documentarsi meglio su quanto accadde a Roma, e non solo a Roma ma a Palermo, a Napoli e in alcuni settori della stessa magistratura milanese prima che il ciclone di Mani pulite sconvolgesse equilibri collaudati e saldissimi. E se quel ciclone, che ha avuto certo aspetti anche inquietanti e meritevoli di critiche che dal canto nostro non abbiamo risparmiato, è partito così in ritardo rispetto ad una prassi criminosa in atto da tempo, gli "alani" della magistratura ne portano diretta e personale responsabilità, come la storia di molte inchieste importanti insegna ampiamente. Basterebbe il nome di Carmelo Spagnolo, per lunghi anni potentissimo capo della Procura romana, a dare il tono e il senso di come il "porto delle nebbie" fu pensato e costruito. Michele Sindona e i suoi protettori politici erano tra i suoi referenti principali. Si erano costituiti in quel periodo - parliamo sempre del ventennio Settanta-Ottanta - due gruppi di potere di rilevantissima forza, che avevano come massimi referenti politici Giulio Andreotti e Bettino Craxi e addentellati robusti nei principali uffici giudiziari. La tecnica usata con frequenza dagli "alani" era quella dell' avocazione delle inchieste nate in altre Procure o a ridosso delle Commissioni parlamentari d' inchiesta quando esse venivano insediate per far luce sugli scandali di maggior rilievo. Per avocare, talvolta s' invocava la competenza territoriale assorbente di Roma in quanto centro dello Stato, ma più spesso l' avocazione veniva proposta e ottenuta - quasi sempre con il "placet" della Suprema Corte - rilanciando la pubblica accusa con un reato di maggior gravità di quello contestato in origine da altre Procure. Laddove si ipotizzava un reato di corruzione Roma rilanciava con ipotesi di concussione; laddove il reato riguardava imputati e circostanze ben definite Roma rilanciava contestando l' associazione per delinquere; laddove si era partiti dall' appropriazione indebita Roma proponeva il peculato e così via. Ma procura e ufficio Istruzione di Roma non si limitavano ad avocare per poi seppellire e infine archiviare: prendevano iniziative per ridurre alla ragione chi tentasse di rompere l' equilibrio costituito. Oltre agli "alani" da guardia c' erano anche i "dobermann" di attacco. Da questo punto di vista fu esemplare l' azione penale intrapresa contro la Vigilanza della Banca d' Italia, colpevole d' aver esercitato i suoi doveri ispettivi nei confronti di Roberto Calvi e del suo Banco Ambrosiano, di non avere accettato il piano di salvataggio di Sindona, d' aver portato in luce le malefatte dell' Italcasse. Problemi grossi, intrecci perversi tra affari e politica che furono "regolati" con l' arresto di Sarcinelli e con l' incriminazione del governatore Baffi sottoposto all' oltraggio del ritiro del passaporto: una ferita ancora aperta nella coscienza civile del paese, verificatasi quando imperavano negli uffici giudiziari romani magistrati dello spicco e della natura di Claudio Vitalone e Alibrandi. I due gruppi di potere spesso si fronteggiavano e battagliavano l' un contro l' altro, ma altre volte erano accomunati dal prominente interesse di "richiamo all' ordine", cioè dal fine di impedire che una giurisdizione imparziale andasse a cercare la verità. Il percorso politico degli "alani" è stato, dopo di allora, univoco: caduti Andreotti e Craxi, il punto di riferimento diventò il Cossiga degli ultimi due anni del settennato presidenziale e poi, trascorso anche quel periodo, Berlusconi e infine negli ultimi tempi l' astro nascente di Gianfranco Fini nonostante i suoi "trascorsi" di difensore di Mani Pulite. Non è questo del resto l' identico percorso di molti intellettuali che da posizioni di sinistra - e talvolta di estrema sinistra - hanno seguito la stessa strada e toccato le medesime stazioni? Craxi, Cossiga, Berlusconi, Fini: molti nomi sonanti e molte candidature elettorali dell' ultim' ora stanno a dimostrarlo. Noi non sappiamo se il giudice Squillante, oggi imputato dalle procure di Milano e di Perugia, sia colpevole dei gravi reati che gli vengono ascritti. La presunzione d' innocenza gioca per ora, anche per noi, in suo favore. Sappiamo però storicamente che di quel gruppo di "alani" egli faceva organicamente parte e che anche lui seguì lo stesso e assai battuto percorso che dall' obbedienza craxiana conduce fino a Berlusconi e Fini con relative offerte di candidatura. Tutto ciò è storia e non "pochade" come ama definirla il leader di Forza Italia. Storia dolente e oscura d' un paese umiliato, di istituzioni inquinate e di giurisdizione deviata. Può darsi che gli indizi raccolti dalla procura di Milano siano insufficienti; può darsi che le testimonianze a carico siano labili. Si vedrà. Ma la storia politica di vent' anni di giurisdizione romana è quella che abbiamo qui delineato. Il procuratore Coiro lo sa. Se volesse fornire oggi, assieme alla giusta difesa dell' opera sua, anche la sua preziosa testimonianza su quel "porto delle nebbie" nel quale lui stesso rischiò di soffocare, renderebbe al paese un grande servigio.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun lug 24, 2017 12:31 pm

Maxi-stipendi, privilegi e ritardi. I numeri della casta delle toghe
Aumenti record con Monti: ai magistrati 833 euro in più al mese. Il vero stipendio? Oltre 140mila euro l'anno
Marco Cobianchi - Dom, 23/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 23521.html

Se chiedete all'Inps qual è lo stipendio medio di un magistrato vi risponderà che è di poco più di 125mila euro lordi l'anno. A parte il fatto che si tratta comunque del trattamento più ricco tra tutte le categorie di dipendenti pubblici (compresi diplomatici e dipendenti della presidenza del Consiglio) quella cifra è falsa.

O, meglio, è vera, ma non tiene conto delle «indennità fisse e accessorie». Solo aggiungendo questa parte della retribuzione si giunge al numero vero.

Per arrivare alla cifra totale non bisogna rivolgersi all'Inps, secondo il quale nel 2016 la retribuzione contrattuale di un magistrato è stata appunto di 125.637 euro, ma bisogna controllare l'annuario statistico della Ragioneria Generale dello Stato, i cui dati si fermano al 2014 (l'annuario di quest'anno conterrà i dati del 2015). Aggiungendo la voce «indennità fisse e accessorie», lo stipendio di un magistrato sale a 142.554 euro. Per dare un'idea: è quasi 5 volte lo stipendio medio di un professore; 3,5 volte quello di un dipendente di un ente di ricerca e 3,3 quella di un docente universitario.

Ma c'è di più: il sito Truenumbers.it ha elaborato il ritmo di crescita degli stipendi dei magistrati nel corso degli anni e ha scoperto qualcosa di molto interessante. Sempre considerando l'intera retribuzione, la retribuzione di un magistrato è passata da 120.161 euro del 2007 a 142.554 del 2014, il tutto mantenendo praticamente stabile la retribuzione fissa, sottoposta al blocco degli aumenti del pubblico impiego. Ad aumentare è stata la parte «variabile» e l'anno in cui è cresciuta di più è stato il 2012, in pieno governo Monti, durante il quale la busta paga è passata da 131.295 euro a 141.675 euro. In sostanza mentre il professore della Bocconi reintroduceva l'Imu sulla prima casa e aumentava l'età pensionabile, gli stipendi dei magistrati crescevano al ritmo rossiniano di 833 euro ogni mese per 12 mesi.

Naturalmente in questa media ci sono tutti: magistrati e giudici molto produttivi e quelli meno. Quali sono i primi e i secondi? L'Ufficio Parlamentare di Bilancio ha redatto la classifica dei migliori e peggiori tribunali d'Italia sulla base dei dati del 2015, considerando un indice chiamato «indicatore di sforzo». Ovvero un coefficiente che stabilisce di quanto un tribunale dovrebbe aumentare il numero di procedimenti definiti ogni anno perché in quel tribunale si arrivi alla parità tra procedimenti aperti e procedimenti chiusi nell'arco di tre anni. Il risultato è che il tribunale di Patti dovrebbe aumentare i processi definiti del 96% ogni anno, quindi quasi il doppio di ora. Quello di Vallo della Lucania dell'88% e quello di Barcellona Pozzo di Gotto del 70%. Aosta, Ferrara e Vercelli, invece, dovrebbero lavorare meno, perché hanno un «indicatore di sforzo» negativo rispettivamente del 9%, del 7% e del 4% e questo significa che la parità tra procedimenti che si aprono e procedimenti che si chiudono è già stata raggiunta. Nel grafico in queste pagine sono indicati i 10 peggiori tribunali italiani (quelli che hanno un valore positivo) e i 10 migliori (quelli con un valore negativo). Milano, in questa classifica, sta a metà: dovrebbe aumentare il numero di processi definiti dell'1% l'anno.

Questa scarsa produttività è stata compensata da alcuni correttivi del sistema giudiziario che hanno accelerato i tempi di definizione dei processi. Tra questi il processo telematico, l'obbligo del tentativo di conciliazione e, non ultimo, il taglio dei giorni di ferie dei magistrati, che le toghe hanno osteggiato con tutte le loro forze. Il risultato è che l'arretrato civile è in calo dal 2011. L'arretrato resta comunque enorme: 3.761.613 processi da definire a marzo di quest'anno rispetto agli oltre 5 milioni e 700mila del 2009, quando il sistema ha rischiato effettivamente di andare in tilt.

Quegli oltre 3,7 milioni di processi arretrati non hanno solo un riflesso sulla qualità della giustizia, ma sono anche una terribile minaccia per le finanze pubbliche. Nel 2001 l'onorevole prodiano Michele Pinto ha dato il nome a una legge («legge Pinto») in base alla quale il cittadino che si ritiene danneggiato per l'eccessiva durata di un processo può chiedere il risarcimento allo Stato. Ovviamente non tutti i protagonisti di quei 3,7 milioni di processi possono chiedere il risarcimento, ma solo quelli che rientrano nelle fattispecie della legge, ovvero quelli il cui processo dura da oltre tre anni per il primo grado, due anni per l'appello e un anno in Cassazione. E quanti sono questi processi? Esattamente 607.233. Ipotizzando che solo una persona per ogni processo chiedesse un risarcimento (eventualità che non succede mai), ci sarebbero 607.233 richieste di risarcimento. Per evitare il rischio di dover rifare i conti del bilancio pubblico, nel 2012 sempre il governo Monti ha limitato questa possibilità e fissato un minimo (400 euro) e un massimo (800 euro) risarcibile per ogni anno di ritardo oltre i termini fissati per legge. Ecco perché i magistrati, oltre che per gli stipendi stratosferici, a confronto con quelli di tutti gli altri dipendenti pubblici, se non lavorano abbastanza rischiano di pesare sul bilancio dello Stato due volte.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio set 28, 2017 4:49 am

Mani Pulite, non c'è bisogno di Di Pietro per capire i danni che sono stati fatti
di Fabio Cammaleri
2017/09/27

http://www.ilfoglio.it/giustizia/2017/0 ... ite-154225

La notizia sembra questa: che Antonio Di Pietro avrebbe svolto un’autocritica su Mani Pulite. Più in particolare, ha affermato di aver capito, a 67 anni, che “...ho fatto una politica sulla paura...la paura delle manette...la paura del, diciamo così, ‘sono tutti criminali’, la paura che chi non la pensa come me sia un delinquente”. E poi aggiungendo: “...con l’inchiesta Mani Pulite, si è distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, e ce n’era tanto con la corruzione, ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali”.

Mani Pulite, e la sua critica storico-sistemica accompagnano alcuni, pochi, convinti dubbiosi, da molti anni: perciò, per costoro, nessuno stupore. Critica ai suoi presupposti: la deliberata indistinzione fra piano individuale, il delitto; e piano generale, il finanziamento dei partiti di massa in un contesto internazionale parabellico. Critica, soprattutto, al suo svolgimento, che è diventato la sua più durevole conseguenza: la strumentale soppressione, per deformazione, del processo penale. E senza processo penale, non ci può essere democrazia, ovviamente.

E’ ovvio che la “Rivoluzione Italiana” sia stato questo. E nemmeno stupisce l’allocuzione del Nostro: che di uscite apparentemente sorprendenti, e irrelate le une alle altre, ha costellato il suo profilo pubblico.

Le parole su una qualsivoglia causa (qui, Mani Pulite) svaniscono nell’irrisorio, quando non ricevano nerbo e autorità da un’azione sulle conseguenze (qui, lo svuotamento democratico della Repubblica Italiana). Caso vuole che in questi giorni sia venuto il XXV anniversario di un certo fatto. Così ci capiamo.

Fu invece un fatto esplicativo, quello: non solo per lo specifico modo in cui cadde sulla vita civile della comunità nazionale. Ma perché svelò un Catone Uticense del nostro tempo: che seppe fissare, lucidamente, la portata di Mani Pulite sulla democrazia italiana. In corso d’opera. Con orgoglio tragico levò la sua voce contro quegli infausti fasti, intessendo la sua parola di umana verità, di suprema verità.

A capo chino, volgiamoci alla sua memoria: “...quando la parola è flessibile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più seria e più giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri, nelle mie stesse condizioni, abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione), che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna. Con stima. Sergio Moroni”.

Era il 2 Settembre di venticinque anni fa. Scriveva al Presidente della Camera, Giorgio Napolitano. Il “gesto”, come si ricorderà, prese la forma di un colpo di carabina con cui il deputato socialista si uccise: “l’atto conclusivo di porre fine alla mia vita”, nelle sue parole. Fu trovato la sera, riverso nella cantina della sua casa di Brescia. Aveva 45 anni.

Venne affermato che poteva averlo fatto per la vergogna. Oppure perché aveva un tumore. Il tumore fu smentito il giorno dopo dal fratello, con mesta nettezza. Sulla vergogna, su chi e perché, se ne potrebbe ancora discutere. Giustappunto.

Era Segretario regionale lombardo del Partito, e membro della Direzione Nazionale. Poco prima aveva ricevuto due avvisi di garanzia, per “tangenti”, come recava il “gergo originario” di Mani Pulite. Ancora nessun atto d’indagine nei suoi confronti: allora occorreva l’autorizzazione a procedere. A quel modo, la concesse lui: poiché aveva esordito scrivendo, in un empito di tragico sarcasmo, che “l’atto conclusivo” serviva, in primo luogo, a “lasciare il mio seggio in Parlamento”.

Nell’Ottobre dell’anno dopo, anche la democrazia parlamentare compiva il suo “atto conclusivo”: firmando una resa senza condizioni. Con la Legge costituzionale n. 3 del 29 Ottobre 1993, fu abrogata l’autorizzazione a procedere. Tuttavia, la tragedia fu più sfumata: perché quei Deputati e Senatori non disposero di un bene proprio, ma delle libertà costituzionali della Repubblica e, in relazione diretta, di ogni suo cittadino; da quel giorno in poi, e in un crescendo tuttora in atto, divenuto suddito di un Apparato burocratico sovraordinato ad ogni altra istituzione.

Da quel Settembre 1992, molto diritto è passato al macero; molte vite si sono spente. E Sergio Moroni l’aveva previsto. “E’ indubbio che stiamo vivendo un cambiamento radicale sul modo di essere nel nostro Paese, della sua democrazia, delle istituzioni che ne sono espressione.” Era leale, Sergio Moroni: “Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito, e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere...”.

Per deliberata scelta di taluni, è noto, non si volle distinguere. Si scelsero le monetine contundenti, autentica effigie fondativa di quella svolta autoritaria: “Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che merita coltivando un clima da ‘pogrom’ nei confronti della classe politica...”.

No. Infatti. Nel crescente disprezzo verso quanti coltivarono e coltivano la necessità di distinguere, il Paese, nelle turbe, come dalle cattedre dell’Apparato, da allora, si è dato a ricostruire il suo passato più buio: per la convivenza civile, per la conoscenza, per la libertà personale.

E non c’era davvero bisogno di Antonio Di Pietro per scoprirlo. Se proprio vuole, promuova la separazione delle carriere, fra magistrati che accusano e magistrati che giudicano; o spieghi come, secondo lui (ricordando fatti, persone, luoghi, atti, però), certe centrali di propaganda sono sorte, come e perché si sono alimentate; come certo uso dell’odio sia divenuto moneta corrente per le giovani generazioni; come il Parlamento sia divenuta un’istituzione non più libera; e altro ancora, che più o meno ogni coscienza libera sa essere materia per il “Libro Proibito” della Seconda Repubblica.

Oppure, confidi nell’oblìo.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 8:57 pm

Ville in Sardegna all’asta assegnate dai magistrati ai loro colleghi
Ilaria Sacchettoni
15 dicembre 2017

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 31b7.shtml

Sospeso il giudice Alessandro Di Giacomo e un perito. Otto indagati in tutto. Il sospetto di altri affari pilotati

Magistrati che premiano altri magistrati nell’aggiudicazione di ville superlative. Avvocati che, in virtù dell’amicizia con presidenti del Tribunale locale, si prestano a dissuadere altri avvocati dall’eccepire. Colleghi degli uni e degli altri che, interpellati dagli ispettori del ministero della Giustizia, su possibili turbative d’asta oppongono un incrollabile mutismo. É lo scenario descritto nell’ordinanza che ha portato ieri alla sospensione del giudice Alessandro Di Giacomo, in servizio a Sassari. Il magistrato avrebbe contribuito a veicolare l’acquisto di una villa a Baja Sardinia, Porto Cervo, alla figlia del potente presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Francesco Mazzaroppi, Chiara e al suo compagno Andrea Schirra. In soccorso il perito Ermanno Giua avrebbe attestato invalicabili limiti della proprietà fra cui un pignoramento inesistente.

Tutto per consentire ai Mazzaroppi — Schirra di acquistare a una cifra ridicola (e senza concorrenti) il favoloso immobile. La villa ceduta a meno di 500mila euro potrebbe essere rivenduta per alcuni milioni. L’inchiesta dell’ aggiunto Paolo Ielo e del pm Stefano Fava oltre a ricostruire le tecniche attraverso le quali, in barba ai creditori della proprietà (la Rebus srl) sarebbe stato pilotato l’affare, fa luce su altre dubbie acquisizioni di terreni e case. Buoni affari che avrebbero gratificato Mazzaroppi. Indagati anche Tomasina Amadori, Giuliano Frau e Francesca Debidda. Il provvedimento è della gip Giulia Proto.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun dic 18, 2017 6:49 am

Se il magistrato cade dall'altare
Annalisa Chirico
Dom, 17/12/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 74877.html

Per lungo tempo la sinistra si è illusa di poter usare le aule giudiziarie come succursali dell'arena politica, ammantandosi di una fantomatica superiorità morale in nome della pubblica genuflessione ai sacerdoti del terzo potere. Oggi non è più così,

Per stare soltanto alla cronaca degli ultimi giorni: un magistrato che impone alle allieve clausole vessatorie a sfondo sessuale, minigonne e tacchi alti, guai a sgarrare.

Magistrati che premiano colleghi magistrati nell'aggiudicazione di ville lussuose all'asta.

A Salerno un giudice viene arrestato perché avrebbe favorito imprenditori amici nelle cause civili ottenendo in cambio denaro a beneficio di una società sportiva assieme a cucine e impianti di climatizzazione per un agriturismo. A Perugia un Pm rischia una condanna a dieci anni e sei mesi di reclusione: è accusato di violenza sessuale, concussione, corruzione in atti giudiziari, rivelazione del segreto d'ufficio, detenzione di materiale pedopornografico. In breve, il magistrato è accusato di aver fatto sesso con donne e trans promettendo in cambio pareri favorevoli alle scarcerazioni e alle richieste di permessi di soggiorno. A ottobre l'atto di accusa della procura di Caltanissetta contro il cerchio magico dell'antimafia, imputata eccellente è l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, a processo per corruzione e abuso d'ufficio.

Il principio costituzionale della presunzione di innocenza vale per ogni cittadino, toghe incluse, eppure dalla sequela di magistrati finiti alla sbarra si potrebbe concludere che il re è nudo. Terminata l'ondata di pubblica indignazione contro la classe politica incarnazione suprema della Casta, colpevole anche quando innocente, disonesta anche quando onesta, si scopre di colpo che i magistrati non sono una categoria apollinea, scevra dalle umane tentazioni, anche tra giudici e Pm esistono le mele marce, gli incorruttibili e i corrotti, gli integerrimi e i reprobi. I presunti moralizzatori finiscono moralizzati, qualcuno evoca una «magistropoli» inedita, indubitabilmente il primato morale dell'ordine giudiziario si rivela la più clamorosa fake news degli ultimi vent'anni, una colossale fandonia alla quale non crede più nessuno.

Per lungo tempo la sinistra si è illusa di poter usare le aule giudiziarie come succursali dell'arena politica, ammantandosi di una fantomatica superiorità morale in nome della pubblica genuflessione ai sacerdoti del terzo potere. Oggi non è più così, Renzi non perde occasione di ribadire che la «subalternità culturale alla magistratura» ha rappresentato un gigantesco errore compromettendo la separazione dei poteri e diventando, di fatto, anticamera di una Repubblica giudiziaria. Non sarebbe male se chi ha indossato in questi anni la veste di implacabile fustigatore del malcostume politico applicasse la stessa teutonica inflessibilità anche nei confronti di quei magistrati che, con i loro comportamenti inopportuni o addirittura criminosi, ledono il prestigio e l'autorevolezza dell'intera categoria.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun dic 18, 2017 9:36 pm

Aspiranti giudici in minigonna: Bellomo indagato per estorsione, sospeso il pm di Rovigo
Francesco Bellomo
Il consigliere di Stato obbligava alcune sue allieve della scuola di formazione a presentarsi ai corsi in tacchi a spillo e con trucco marcato. Una testimone: "Altre quattro ragazze vittime"
18 dicembre 2017

http://bari.repubblica.it/cronaca/2017/ ... -184489158

Il magistrato Francesco Bellomo, consigliere di Stato, è indagato a Bari per estorsione. La Procura barese, che nei giorni scorsi aveva aperto un fascicolo d'indagine senza ipotesi di reato, sulla base di alcuni elementi acquisiti ipotizza ora che il magistrato amministrativo abbia obbligato alcune sue allieve della Scuola di formazione per magistrati a presentarsi ai corsi in minigonna, tacchi a spillo e con trucco marcato e preteso che non fossero sposate. La vicenda era stata denunciata dal padre di una studentessa.

La Procura ritiene di essere competente a indagare anche perché una sede della scuola di formazione 'Diritto e scienza' di Bellomo ha sede anche nel capoluogo pugliese, città in cui il magistrato risiede. Nel corso dell'indagine il procuratore aggiunto Roberto Rossi, titolare del fascicolo, ha convocato in qualità di testimoni alcuni degli scritti al corso e procederà all'acquisizione di altri documenti (anche di natura fiscale) nella scuola.

"Sono stata contattata da quattro ragazze che hanno avuto un'esperienza simile in altri anni e in altre città. Mi hanno ringraziata dicendomi che adesso hanno anche loro il coraggio perché sanno di non essere sole", ha detto Rosa Calvi, avvocatessa 28enne di Cerignola (Foggia), al termine dell'audizione come persona informata sui fatti.

Intanto il Csm ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e ha collocato fuori ruolo Davide Nalin, pm a Rovigo e collaboratore di Bellomo nella scuola di formazione. A chiedere il provvedimento era stato il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, che ha anche avviato l'azione disciplinare nei confronti del magistrato. Nalin è accusato di aver fatto da "mediatore" tra Bellomo e una borsista per procurare al collega "indebiti vantaggi", anche di "carattere sessuale".

Si tratta un provvedimento cautelare adottato a titolo d'urgenza. Occorre evitare che Nalin possa reiterare "condotte "gravemente scorrette" e "incompatibili" con le funzioni giudiziarie, aveva scritto Ciccolo nel motivare la richiesta. Perché si tratta di vicende di "tale
degrado" da ledere non soltanto la personale "credibilità" del pm, ma quella dell'"intera giurisdizione".

A rendere noto che la sezione disciplinare del Csm ha sospeso il magistrato è stato il vice presidente Giovanni Legnini, intervenendo alla Camera alla conferenza di Italiadecide dedicata alla cooperazione tra le giurisdizioni superiori: "Analoga decisione dovrà assumere anche il Consiglio di Stato entro breve termine".
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven dic 22, 2017 7:57 am

Nordio: «Così i magistrati hanno scalato il potere politico»

http://ildubbio.news/ildubbio/2017/12/2 ... ico-stampa


«A partire da Mani Pulite si è instaurato un intreccio perverso tra pm e stama: i pm facevano filtrare notizie e in cambio ricevevano elogi. Oggi la conseguenza è che, servendosi di questo prestigio, molti sono entrati in politica»

Chiaro e diretto, da sempre è considerato eretico dai suoi stessi colleghi. Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto di Venezia, analizza a tutto campo il cortocircuito tra poteri e non lesina stilettate a una politica «che ha ceduto le armi» a una magistratura «che si è servita della stampa per ottenere la fama ed entrare in politica» .

Procuratore, il processo mediatico è una patologia di questo tempo di crisi?

Tutt’altro. Il processo mediatico c’è sempre stato a partire dal dopoguerra: penso all’omicidio di Wilma Montesi, che è stato il primo caso di interferenza delle indagini a fini politici, perchè il processo era stato montato a bella posta per colpire l’onorevole Piccioni. Questa strumentalizzazione, tuttavia, ha assunto la forma di ordinaria patologia con Tangentopoli.

Come è fatto questo virus che ha contagiato il nostro sistema giudiziario?

Con Mani pulite si è instaurato un intreccio perverso tra magistratura inquirente e stampa. Gli inquirenti avevano canali privilegiati con alcuni giornali, ai quali facevano filtrare le notizie più succulente per fargli fare degli scoop. In cambio, questi pm ricevevano una serie di sperticati riconoscimenti elogiativi che li rendevano a loro volta più credibili, prestigiosi e forti. Così si è generato un potenziamento reciproco: più il magistrato era forte e più si sentiva impunito se lasciava filtrare le notizie, più le lasciava filtrare e più si rafforzava perchè riceveva in cambio una legittimazione da parte della stampa. Tutto questo ha portato a un cortocircuito che non solo ha condizionato la politica, ma ha anche alterato la fisiologia della giustizia e della stampa.

Parliamo di un cortocircuito iniziato venticinque anni fa. E oggi?

Ora ne stiamo pagando le conseguenze, la più perniciosa delle quali è che una serie di magistrati, servendosi del prestigio e della fama acquisiti attraverso gli elogi della stampa, sono entrati in politica.

L’ultimo dei quali oggi è a capo di un partito politico, il presidente del Senato, Piero Grasso.

Di Grasso io critico la scelta fatta ormai cinque anni fa: si è candidato alle elezioni politiche poche ore dopo essere uscito dalla magistratura. Ecco, poichè non credo che una candidatura si improvvisi nel giro di poche ore, questo significa che mentre indossava la toga ha avuto dei contatti politici.

Lei ritiene che un magistrato non dovrebbe fare politica?

Intendiamoci, è perfettamente legittimo che lo faccia, ma secondo me è un elemento di disturbo nei rapporti fisiologici tra poteri. Un magistrato che indossa la toga può avere tutte le opinioni politiche che vuole e ha il diritto di esprimerle anche sui giornali, ma non trovo opportuno che abbia contatti diretti con la politica al fine di procurarsi una candidatura.

E un magistrato che ha smesso la toga, invece?

Nemmeno, soprattutto se quel magistrato ha condotto inchieste che hanno avuto un forte impatto politico. Se si candida, infatti, si espone al rischio che le sue inchieste siano considerate un mezzo per procurarsi una sorta di buen retiro politico. Parlo per me: ho condotto l’inchiesta sul Mose che ha demolito la classe dirigente veneta. Troverei raccapricciante il solo sospetto che si possa pensare di me che ho fatto un’inchiesta per prendere il posto di chi ho mandato in galera. Per questo un magistrato non dovrebbe candidarsi, nemmeno dopo essere andato in pensione.

Da vittima, la politica si è innamorata dei carnefici. Non si contano i magistrati candidati, sia a destra che a sinistra.

Con la caduta delle ideologie e la fine dei partiti di massa, la classe politica ha perduto completamente la fiducia in se stessa e, davanti all’offensiva giudiziaria, si è definitivamente sgretolata. Così ha cercato rifugio in quelli che sembravano i rappresentanti più significativi del Paese, cioè i magistrati.

Lei ha fissato nella legge Biondi del 1994 il momento storico in cui la politica ha definitivamente ceduto il passo alla magistratura.

I quattro pm di Mani pulite andarono in televisione, chiedendo il ritiro del decreto e minacciando le dimissioni. Allora un politico serio avrebbe dovuto rispondere: «Cari pm, avete diritto di critica perchè non siete giudici terzi, per questo da domani separiamo le carriere. Inoltre, manteniamo il decreto e aspettiamo le vostre dimissioni». Invece la politica ha ceduto le armi. Da quel momento è finito tutto: quando un potere lascia un vuoto così clamoroso qualcuno lo occupa e così ha fatto la magistratura.

Intravede la possibilità di una inversione di tendenza?

Dopo tanti anni di patologica regressione di campo da parte della politica non è facile ristabilire gli equilibri. lo mostra il fatto che, ogni volta che si propo-ne una legge che incide sui poteri dei magistrati, l’Anm insorge e il Governo fa marcia indietro. L’unica soluzione si potrebbe trovare a livello costituzionale, rivedendo il reclutamento dei magistrati e il funzionamento del Csm, ma revisione non è cosa facile.

L’ordinamento non contiene già i limiti tra poteri?

Per ricondurre in alveo costituzionale tutti i poteri dello Stato andrebbe attuato al 100% il codice penale accusatorio, un codice garantista e anglosassone che è stato attuato solo per il 20% e poi demolito dalla stessa Corte Costituzionale.

E’ una crisi ormai fisiologica e non risolvibile, quindi?

Guardi, l’unica speranza è il ricambio generazionale, in magistratura come in politica. Questo, mi sembra, sta già avvenendo.

Tutto di lei si può dire, meno che non sia diretto. Quanto le sono costate queste posizioni in contrasto con le idee dominanti in magistratura?

[ Ride di gusto ndr] Io non ho mai cambiato idea e ciò che dico oggi l’ho scritto in un libro del 1997. La mia eresia di allora mi costò la chiamata davanti ai probi viri di Anm: io ci risi sopra e nemmeno mi presentai.

Lei, però, rimane una mosca bianca quando parla di separazione delle carriere e di magistrati in politica.

Le assicuro che oggi molti magistrati la pensano come me, ma non tutti hanno poi il coraggio di dirlo perchè entrerebbero in conflitto col pensiero dominante dell’Anm che, attraverso il Csm decide le sorti professionali. Eppure, oggi la separazione delle carriere non è più il tabù che era vent’anni fa e lo stesso vale per la necessità di paletti più incisivi per l’ingresso dei magistrati in politica. Del resto ormai si è deideologizzato tutto, non vedo perchè lo stesso non possa accadere anche con gli ultimi pachidermici miti dell’Anm.

Ma esiste una magistratura di destra e una di sinistra?

Io sono convinto che la giustizia risponda a criteri di buon senso e la distinzione destra- sinistra sia estremamente ingannevole su questo piano.

Lei è in pensione da un anno, le manca la toga?

Mi mancano le amicizie che si sono un po’ diradate, ma non il lavoro. Mi piace leggere, scrivere, andare a cavallo e ascoltare musica classica e ora ho finalmente il tempo per farlo.

Guardandosi indietro, però, sceglierebbe ancora il lavoro di magistrato?

Io non ho mai vissuto la magistratura come una missione o un sacerdozio. Anzi, diffido molto dei magistrati che vivono così il loro ufficio, perchè il sacerdozio rischia di sconfinare nel fanatismo. Per me, però, è sempre stata una funzione centrale per la democrazia: dopo il medico che incide sulla salute c’è il magistrato che incide sulla dignità e sull’onore del cittadino. Ecco, per questo sono orgoglioso di aver indossato la toga e rifarei senza dubbio questa scelta.
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