Ponte di Genova come la diga del Vajont

Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:55 am

Pd: nel 2008 la Lega votò le concessioni ad Autostrade. Salvini: "Vero, ma Pd stia in silenzio"
20 agosto 2018

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... refresh_ce


Nel 2008, governo Berlusconi, la Lega votò il cosiddetto "Salva Benetton". E in queste ore, in cui monta la polemica politica, a ricordare la scelta fatta all'epoca da Matteo Salvini, sono diversi esponenti del Partito Democratico che respingono al mittente le accuse avanzate dall'attuale ministro dell'Interno e da altri esponenti del governo giallo-verde.

"Matteo Salvini votò a favore del cosiddetto 'Salva Benetton', che diede al gruppo le concessioni molto vantaggiose per Autostrade. Governava con Berlusconi. Ora non se lo ricorda più? Meglio rinfrescargli la memoria". Lo ha scritto in un tweet la deputata del Pd Debora Serracchiani che riporta lo screenshot della votazione per la conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008 sulle disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia europea.

Una precisazione che rilancia anche Piero Fassino. "La convenzione Stato-Autostrade fu fatta dal governo Berlusconi, sopprimendo dal testo originario vincoli e obblighi per il concessionario. Salvini votò a favore, il PD contro. La Lega ha ricevuto contributi elettorali da Autostrade. Il Pd no. Di Maio e 5Stelle dicono il falso". Scrive su twitter.

La replica di Salvini

"Sì, è vero", aggiunge "è stato sicuramente un errore", ma "da parte di chi ha governato per anni e anni e ha firmato e verificato le concessioni, un buon silenzio sarebbe opportuno". Così il ministro dell'Interno ad Agorà, risponde in merito alla vicenda del voto favorevole con cui la Lega contribuì al rinnovo delle concessioni ad Autostrade.

Renzi: giacobinismo anti Pd sarà boomerang

Se il governo passa la settimana a dare la colpa ai governi di prima, come è possibile che due ex ministri quali Martina e Pinotti siano accolti con le ovazioni? Ma questo clima giacobino rischia di ritorcersi contro i presunti rivoluzionari", dice l'ex premier Matteo Renzi in un'intervista a Repubblica, parlando dei fischi agli esponenti del Pd ai funerali di Stato a Genova: "La nuova maggioranza ha strumentalizzato in modo squallido un evento tragico. I commentatori che fanno desumere da quella scena l'inizio di unanuova stagione della politica italiana sono superficiali come quelli che facevano il tifo per un'alleanza innaturale Pd-M5s".

"Per - aggiunge - l'opposizione deve smettere di tirare di fioretto. arrivato il momento di ribattere colpo su colpo, di

combattere a viso aperto, di non lasciargliene passare più una". Salvini e Di Maio hanno scelto, prosegue, "di radicalizzare. A loro non interessa la verità, basta un capro espiatorio: non cercano soluzioni, fabbricano colpevoli".

Quindi anche lui afferma che "la convenzione con le autostrade è stata fatta dal governo Berlusconi: nessuno dice che il deputato Matteo Salvini votò a favore e il Pd contro. I soldi da Autostrade li hanno presi la Lega come contributo elettorale e il premier Conte nella veste di avvocato. Il no alla Gronda, che pesa come un macigno in questa storia, viene da Beppe Grillo e Toninelli, dobbiamo andare all'attacco, non stare sulla difensiva". E conclude: "Dare la colpa al Pd per il ponte è ridicolo prima che vergognoso".

Poi in tweet l'ex segretario rincara la dose: Di Maio ci infama ma i fatti sono diversi dalle fake news

Delrio: nessun atto secretato, dal governo bugie che disonorano i morti

"Dopo il crollo del ponte di Genova sono state dette troppe bugie, che tra l'altro disonorano i morti": da parte dei governi precedenti a guida Pd "non c'è stata nessuna proroga delle concessione dal 2038 al 2042 e nessuna secretazione degli atti". Lo afferma l'ex ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio. "Non ci è mai stata segnalata la necessità di limitazione del traffico", aggiunge
sull'inchiesta dell'Espresso

sulle riunioni tecniche anche al ministero che in febbraio evidenziavano un calo dell'efficienza dei tiranti.

"Ognuno di noi deve capire il limite dell'azione politica: noi abbiamo fatto un piano infrastrutturale da 130 miliardi, abbiamo aumentato dell'80% le manutenzioni, ma non è detto che si raccolga quello che si semina. Questo rimane un Paese fragile". Lo ha affermato Graziano Delrio, presidente dei deputati del Pd, partecipando al Meeting di Rimini. "Poi la politica deve fare il suo mestiere fino in fondo", ha aggiunto l'ex ministro alle Infrastrutture.

Giorgetti: legge per revocare convenzione? Non vedo i termini

"Non vedo i termini". Così Giancarlo Giorgetti risponde a chi, in occasione del Meeting a Rimini, gli chiede se il governo pensa a una legge per la revoca della convenzione per le autostrade. "Non sono molto persuaso che la gestione dello Stato sia di maggiore efficienza", aggiunge.





https://forum.termometropolitico.it/760 ... ton-2.html

Poiché non mi fido dei mass-media sono andata a controllare. Si parla del Decreto L. n. 59/2006


Testo coordinato del Decreto-Legge 8 aprile 2008, n. 59

Testo del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 84 del 9 aprile 2008), coordinato con la legge di conversione 6 giugno 2008, n. 101 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale, alla pag. 4), recante: «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee».

(GU n. 132 del 7-6-2008)

https://www.ambientediritto.it/Legislaz ... _n.101.htm

Art. 8-duodecies.
Modifiche all'art. 2, comma 82, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2006/2419
(( 1. All'articolo 2, comma 82, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, le parole: «nonche' in occasione degli aggiornamenti periodici del piano finanziario ovvero delle successive revisioni periodiche della convenzione,» sono soppresse;
b) l'ultimo periodo e' sostituito dal seguente: «La convenzione unica sostituisce ad ogni effetto la convenzione originaria, nonche' tutti i relativi atti aggiuntivi».
2. Sono approvati tutti gli schemi di convenzione con la societa' ANAS S.p.a. gia' sottoscritti dalle societa' concessionarie autostradali alla data di entrata in vigore del presente decreto. Ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle convenzioni e' approvata secondo le disposizioni di cui ai commi 82 e seguenti dell'art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni».


https://www.ambientediritto.it/Legis...2008_n.101.htm

Legge 262 art.2 commi 82 e seguenti


83. Le clausole della convenzione unica di cui al comma 82 sono in ogni caso adeguate in modo da assicurare:
a) la determinazione del saggio di adeguamento annuo delle tariffe e il riallineamento in sede di revisione periodica delle stesse in ragione dell'evoluzione del traffico, della dinamica dei costi nonché del tasso di efficienza e qualità conseguibile dai concessionari;
b) la destinazione della extraprofittabilità generata in virtù dello svolgimento sui sedimi demaniali di attività commerciali;
c) il recupero della parte degli introiti tariffari relativi a impegni di investimento programmati nei piani finanziari e non realizzati nel periodo precedente;
d) il riconoscimento degli adeguamenti tariffari dovuti per investimenti programmati del piano finanziario esclusivamente a fronte della effettiva realizzazione degli stessi investimenti, accertata dal concedente;
e) la specificazione del quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali che le società concessionarie trasmettono annualmente, anche telematicamente, ad ANAS S.p.a. per l'esercizio dei suoi poteri di vigilanza e controllo nei riguardi dei concessionari, e che, a propria volta, ANAS S.p.a. rende analogamente disponibili al Ministro delle infrastrutture per l'esercizio delle sue funzioni di indirizzo, controllo nonché vigilanza tecnica ed operativa su ANAS S.p.a.; l'esercizio, da parte di ANAS S.p.a., del potere di direttiva e di ispezione in ordine alle modalità di raccolta, elaborazione e trasmissione dei dati da parte dei concessionari;
f) la individuazione del momento successivamente al quale l'eventuale variazione degli oneri di realizzazione dei lavori rientra nel rischio d'impresa del concessionario, salvo i casi di forza maggiore o di fatto del terzo;
g) il riequilibrio dei rapporti concessori, in particolare per quanto riguarda l'utilizzo a fini reddituali ovvero la valorizzazione dei sedimi destinati a scopi strumentali o collaterali rispetto a quelli della rete autostradale;
h) l'introduzione di sanzioni a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa; la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravita' dell'inadempimento;
i) l'introduzione di meccanismi tesi alla migliore realizzazione del principio di effettività della clausola di decadenza dalla concessione, nonche' di maggiore efficienza, efficacia ed economicità del relativo procedimento nel rispetto del principio di partecipazione e del contraddittorio.

L 286/2006


Dove sarebbe l'assoluzione?


https://www.facebook.com/andrea.fariano ... ment_reply
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:55 am

Perché non venne chiuso in tempo il ponte?


Ponte Morandi Genova: i problemi ai tiranti erano noti
Cesare Giuzzi
20 agosto 2018
Corrosione, umidità e distacco di pezzi di calcestruzzo: tutte le criticità dello strallo nei verbali. Verifiche sui lavori in corso e sul peso del carro ponte. Il comitato tecnico dei Trasporti si riunì a febbraio. Il capo degli ispettori: pronto a dimettermi.

https://milano.corriere.it/notizie/cron ... 935d.shtml

GENOVA — I tiranti del ponte di Genova avevano problemi di corrosione, umidità e distacco di calcestruzzo. E la loro situazione era nota da tempo. Non solo agli ingegneri del Politecnico che a novembre avevano chiesto «approfondimenti e controlli» sugli stralli del cavalcavia Morandi, ma anche alle Autostrade e ai tecnici del ministero dei Trasporti. Eppure nessuno decise di chiudere il traffico sul ponte. L’inquietante particolare emerge dai verbali dell’adunata del Comitato tecnico amministrativo del ministero, riunito il primo febbraio al Provveditorato alle opere pubbliche della Liguria. Quel giorno i tecnici del ministero dovevano dare il via libera al progetto di «retrofitting» del ponte sul Polcevera, il piano appaltato ad aprile dalle Autostrade e che avrebbe (almeno nei progetti) risolto i problemi degli stralli del pilone 9, quello crollato.

I tecnici: «Ammaloramento medio tra il 10 e il 20%»

E proprio la rottura dei tiranti sarebbe l’ipotesi più accreditata dietro alla tragedia, ne sono convinti i tecnici della Commissione d’indagine ministeriale che stanno lavorando con i periti della Procura. Verifiche anche sugli ultimi lavori eseguiti da una ditta di Aulla (Ms) in corso sul cavalcavia che non riguardavano la struttura ma vedevano l’utilizzo di un pesante carroponte. E ieri sera paura per forti rumori provenienti dal pilone pericolante in via Fillak. La commissione d’indagine è presieduta dal provveditore ligure Roberto Ferrazza e vede tra i suoi membri anche il professor Antonio Brencich. Entrambi facevano parte anche del Comitato tecnico amministrativo che a febbraio aveva analizzato il progetto di Autostrade e aveva dato il via libera ai lavori per quasi 25 milioni. Il comitato aveva analizzato la documentazione contenuta in quattro faldoni con i piani tecnici e i risultati delle indagini «reflettometriche». Gli esami tecnici avevano evidenziato — come riportato dall’Espresso — «alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo» degli stralli ed evidenziato «un lento trend di degrado dei cavi» dei piloni 9 e 10 con «quadri fessurativi più o meno estesi, presenza di umidità, fenomeni di distacchi, dilavamenti e ossidazione». Tanto che i tecnici scrivono di un grado di «ammaloramento medio oscillante tra il dieci e il venti per cento». Uno studio analogo peraltro, risalirebbe già al 1979.

«Pronto a farmi da parte»

Ma perché non vennero presi provvedimenti se c’erano ferite così evidenti?
«Il comitato ha elaborato una relazione di 30 pagine, una valutazione approfondita e rapida vista la mole di materiale — spiega Ferrazza —. A noi spettava il compito di valutare la necessità e l’efficacia del progetto, e anzi lo abbiamo fatto in tempi veloci, proprio per consentire che i lavori partissero quanto prima».

Perché non venne chiuso il ponte?
«In fase di lavori sarebbe stata ridotta la portata di traffico, ma non spettava al nostro organismo decidere la chiusura». Ora Ferrazza e Brencich si trovano a far parte della commissione che deve «indagare» su chi sapeva e non ha dato l’allarme: «Se qualcuno ritiene che per ragioni di opportunità io non debba presiedere la commissione sono pronto a farmi da parte. Ma difendo l’operato del nostro ufficio, abbiamo fatto tutto nel modo più rapido. Purtroppo il tempo non ci ha dato ragione».



Strage di Genova, la sicurezza delle autostrade affidata a un laureato in scienze politiche
di Fabrizio Gatti 16 agosto 2018

http://m.espresso.repubblica.it/attuali ... o-1.325984

Il capo della vigilanza del ministero sulla sicurezza delle autostrade? È laureato con lode, ma in scienze politiche. L'Autorità di regolazione dei trasporti? Uno dei due componenti che affiancano il presidente è talmente bravo che ha ottenuto l'incarico senza aver mai superato un concorso pubblico. Il crollo del ponte Morandi, avvenuto martedì 14 agosto, con almeno 39 morti e numerose persone ancora disperse, alza un velo non soltanto sulla gestione della rete viaria: anche il sistema di controllo che lo Stato deve garantire ha le sue crepe.

Sulle cause del disastro, le ipotesi ora non riguardano soltanto il possibile cedimento degli stralli, i tiranti di ferro e calcestruzzo precompresso che sostenevano il piano stradale. Come L'Espresso ha potuto verificare, due parti importanti precipitate sul fondovalle erano collegate con il resto del viadotto da quattro "seggiole Gerber": lo stesso tipo di giunto la cui usura, insieme con il sovraccarico per il passaggio di un Tir, ha contribuito al crollo del ponte sulla superstrada Milano-Lecco ad Annone in Brianza il 28 ottobre 2016.

«Lo schema a travatura Gerber», spiega Sergio Tattoni, professore al Politecnico di Milano, in uno studio per il Centro internazionale di aggiornamento sperimentale, «ha trovato molto favore nella costruzione dei ponti poiché consentiva di abbinare i vantaggi delle travature continue a quelli delle strutture isostatiche. La percolazione di acqua arricchita di agenti corrosivi, residui di combustione dei veicoli, sale anticongelante, oltre all'ossidazione della armature provoca un'alterazione chimica della pasta cementizia e la sua disgregazione».

Due dei piani di autostrada caduti, da una parte e dall'altra del "traliccio" centrale crollato, erano appoggiati su mensole di cemento armato che per la corrosione tendono ad arrotondarsi e quindi a diventare meno resistenti al carico. «La caduta improvvisa di uno di questi piani», spiega un tecnico del ministero delle Infrastrutture, «potrebbe aver provocato uno sbilanciamento e un contraccolpo a tutto il viadotto, con il conseguente cedimento degli stralli e il crollo dell'intera antenna centrale del ponte».

Questo dettaglio potrebbe spiegare la dinamica del collasso, avvenuta in almeno due fasi. All'inizio del video ripreso da un abitante del quartiere si vede infatti che almeno uno dei tratti sostenuto con "seggiole" Gerber è già caduto mentre la struttura di supporto è ancora in piedi e proprio in quel momento collassa. L'inchiesta stabilirà se si è rotto prima uno strallo oppure se è ceduto uno dei giunti. La risposta è piuttosto importante: perché non esistono in Italia altri ponti con stralli a calcestruzzo precompresso, ma migliaia di viadotti si reggono invece su "seggiole" Gerber.

Un altro aspetto su cui stanno cominciando a indagare gli investigatori, coordinati dalla Procura di Genova, è la concomitanza tra la proroga dal 2038 al 2042 della concessione alla società “Autostrade per l'Italia”, avvenuta il 27 aprile di quest'anno con il via libera della Commissione europea, e la pubblicazione appena sei giorni dopo, il 3 maggio, dell'avviso della gara d'appalto per venti milioni per «interventi di retrofitting strutturale del viadotto». L'indagine verificherà se importanti lavori di manutenzione, che avrebbero dovuto rinforzare proprio gli stralli del tratto ora crollato, sono stati rinviati per fare pressione sulle autorità e ottenere così la proroga della concessione. Con una sottovalutazione del pericolo, che ha portato al disastro. Le procedure di appalto sono tuttora in corso. Ma ormai drammaticamente inutili.

L'attenzione in queste ore riguarda anche le presunte falle nella sorveglianza da parte del ministero delle Infrastrutture, che avrebbe dovuto monitorare l'obbligo della società "Autostrade per l'Italia" nel garantire manutenzioni e sicurezza. Nessuna illegalità, ovviamente. Ma il 14 agosto 2017, per sostituire l'architetto Mauro Coletta al vertice della Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, la scelta dell'allora ministro per la Semplificazione, Maria Anna Madia, è caduta su Vincenzo Cinelli, 60 anni, laureato con lode in scienze politiche: con successiva specializzazione alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, diploma di consulente legislativo conseguito all'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi e un master su "Il codice dei contratti sui lavori pubblici, servizi e forniture". Un'eccellente preparazione amministrativa, con cui però l'attuale capo degli ispettori del ministro Danilo Toninelli deve coordinare anche: la "vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione»; «l'approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete stradale e autostradale di interesse nazionale»; «la proposta di programmazione... del progressivo miglioramento e adeguamento delle autostrade in concessione»; e soprattutto la «vigilanza sull'adozione, da parte dei concessionari, dei provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico autostradale». Si tratta ovviamente di competenze strettamente ingegneristiche.

Barbara Marinali fino al 16 settembre 2013 è stata invece direttore generale della "Direzione generale per le infrastrutture stradali" del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Sue competenze: la regolazione del settore autostradale, la disciplina delle concessioni e delle convenzioni autostradali e la relativa regolazione tariffaria. Dal 2013, su proposta del presidente del Consiglio e su nomina del presidente della Repubblica, è uno dei componenti dell'Autorità di regolazione dei trasporti. L'organismo si occupa anche di autostrade: stabilisce i sistemi tariffari dei pedaggi, definisce gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alle gestione e costruzione e gli ambiti ottimali di gestione delle tratte. Insomma, tra le altre cose, fa in modo che le società private accantonino anche le risorse per le manutenzioni. Ma secondo una segnalazione al presidente dell'Autorità, Andrea Camanzi, nessun concorso pubblico, come accade per tutti gli altri dirigenti di Stato immessi in ruolo, ha mai verificato le indiscusse capacità di Barbara Marinali.

Una svista sfuggita allo staff dell'allora ministro Renato Brunetta che l'ha promossa senza concorso; più volte non notata dalla Corte dei conti che ha approvato i suoi aumenti di stipendio; e per due volte sopravvissuta perfino allo scrupolo del Quirinale che l'ha poi nominata all'Autorità. Nemmeno alla presidenza del Consiglio se ne sono accorti, quando l'hanno proposta: nonostante un parere, sollecitato dal sottosegretario Antonio Catricalà, avesse messo in dubbio la legittimità del decreto 400 del 2011 con cui il direttore generale del ministero delle Infrastrutture, Alberto Migliorini, aveva inserito la Marinali nel ruolo dirigenti di prima fascia. Dal decreto risultava infatti che fosse già dirigente di seconda fascia all'Antitrust, l'amministrazione di provenienza: dove invece era soltanto una dipendente.

L'Espresso si è già occupato della vicenda nel 2016 e Barbara Marinali aveva risposto così: «Sono stata nominata all’Autorità all’esito di un procedimento che ha visto il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari... Sono prescritte indiscussa moralità e indipendenza e comprovata professionalità e competenza, requisiti che mi pare trovino conferma sia nel mio curriculum, sia nell’apprezzamento bipartisan a seguito dell’indicazione dei governi Monti e Letta. Per quanto attiene all’immissione nei ruoli del ministero... l’approfondita istruttoria non ha rilevato alcun elemento tale da mettere in discussione il conferimento degli incarichi dirigenziali». Sarebbe bastato rispondere con gli estremi e la data del concorso. Ma al presidente Camanzi evidentemente va bene così. Nessuna autorità controlla l'Autorità.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:56 am

Autostrade, ridurre subito i pedaggi
Luigi Bisignani, Libero 20 luglio 2018

https://www.nicolaporro.it/autostrade-r ... -i-pedaggi

Abbassare da subito tutte le tariffe autostradali è l’unica misura che questo governo del cambiamento potrebbe ottenere in tempi brevissimi, anziché avventurarsi in infinite dispute legali per la revoca della concessione alla famiglia Benetton, azionista di riferimento di Autostrade per l’Italia. Basterebbe che dai cassetti del Ministero delle Infrastrutture venisse valorizzato il documento avente per oggetto la “Determinazione degli ambiti territoriali ottimali”, redatto nel 2016 dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti. Il Ministro dell’epoca, Graziano Delrio, ha autorizzato la pubblicazione del documento ma non ha utilizzato al meglio le informazioni dettagliate per ogni singola concessionaria.

Il Premier Conte e i suoi Dioscuri Salvini e Di Maio farebbero bene a chiedere approfondimenti al collega Danilo Toninelli. Emergerebbe che nemmeno un solo tratto autostradale, non solo i km in concessione ad Autostrade per l’Italia, rispetta standard di efficienza adeguati. Sulla base di questo documento, che il governo Renzi non ha approfondito, in polemica com’era con l’Autorità indipendente, il Ministro dei Trasporti può chiamare al tavolo tutti i concessionari e pretendere un immediato abbassamento delle tariffe.

I concessionari non potrebbero che accettare, anche perché il Parlamento italiano deve ancora ratificare la proroga che la Ue ha consentito loro per i mancati investimenti. Tariffe e proroga sono quello che sta maggiormente a cuore soprattutto a Giovanni Castellucci, padre-padrone di Autostrade per l’Italia, che si è sempre battuto come un leone per le galline dalle uova d’oro del suo bilancio.

Non c’è lobbista in Parlamento, qualsiasi cosa si occupi, vuoi di energia, di acqua o di rifiuti, che non si interroghi sulla capacità del manager dei Benetton di ottenere pedaggi così alti. C’è chi ricorda sorridendo come nell’ultima tornata di trattative, sempre con governi di centrosinistra e appoggiati dal Think Tank VeDrò di Enrico Letta, abbia voluto accordare un minimo risparmio ai motociclisti per poi pretendere quello che serviva a lui per le auto e i camion.

L’ha sempre spuntata grazie ad una straordinaria strategia che viene da lontano, pensata da Luciano Benetton, complice Oliviero Toscani, che ha fatto passare la famiglia di Ponzano Veneto come dei bravi samaritani multietnici e multirazziali. Ed è stato possibile, con i media inginocchiati, come nella Repubblica delle Banane di Woddy Allen, anche perché in Italia nessuno ha fatto caso a quello che i Benetton hanno invece combinato a 12mila chilometri di distanza e che Amnesty International Argentina denuncia con forza. In Patagonia, infatti, sono stati protagonisti dell’imponente sfollamento della popolazione dei Mapuche, testualmente popolo della terra, che abitavano nei 900mila ettari che loro hanno acquistato e dove pascolano 260mila capi di bestiame, tra pecore e montoni.

Ma il crollo del Ponte di Genova è un terremoto che cambia nel profondo la geografia politica italiana. Con il ponte è crollato anche un mondo radical chic che ha imposto per anni al Paese una filosofia etica per cui tutto quello che è di destra è cafone e tutto quello che è di sinistra è etico e corretto. Una filosofia catto-comunista che ha contagiato intellettuali e registi e che ha trovato nella famiglia Benetton i massimi esegeti della creatività e della sobrietà. Se il governo sarà capace di far abbassare le tariffe autostradali, le più alte d’Europa, significa che qualcosa davvero sta cambiando. Ed è l’unico modo per onorare i morti.



Autostrade, il paradosso dell'aumento dei pedaggi: i concessionari guadagnano senza investire
di F. Q. | 17 gennaio 2016
Di Marco Ponti e Giorgio Ragazzi

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/0 ... re/2371756

Ogni anno si registrano aumenti di pedaggi autostradali, mentre dovrebbero registrarsi vistose diminuzioni, vista che per la gran parte la rete autostradale italiana è largamente ammortizzata. L’origine di questa assurda situazione è scritta in una serie di contratti di natura privatistica, difficilmente alterabili in modo unilaterale, che garantiscono ai concessionari elevati profitti e pochissimi rischi, a danno degli utenti e dell’economia.

Delrio vuole dare senza gara l’Autobrennero
Vediamo ora due esempi molto illuminanti delle logiche in corso. Sembra che il ministro Delrio sia incline ad assegnare – senza gara – la concessione dell’Autobrennero, già scaduta da un anno, a una società interamente posseduta dalla Regione Trentino-Alto Adige, dalle due province di quella regione e per piccole quote da alcuni enti veneti. La scappatoia per evitare la gara (che vari governi hanno tentato invano di effettuare da anni) è stata infine trovata con la costituzione di una società interamente pubblica e il ricorso alla parola magica “in house”, cioè assimilando questo al caso di un ente pubblico che decida di gestire in proprio un servizio pubblico invece di affidarlo in gara a un gestore esterno. Ma questa operazione appare molto criticabile.

Un regalo che dura trent’anni
Come si può mai giustificare l’assegnazione gratuita per trent’anni di questa lucrosa infrastruttura (ricavi netti di 150 milioni l’anno) agli enti pubblici della regione? I pedaggi erano stati introdotti per finanziare l’investimento; visto che l’autostrada del Brennero è ormai pressoché interamente ammortizzata e non sono necessari nuovi rilevanti investimenti, i pedaggi dovrebbero, finita la concessione, essere eliminati o sostanzialmente ridotti. Lo Stato, con “arbitrio del principe”, può benissimo decidere di gestire in proprio l’autostrada a fine concessione e di mantenere i pedaggi: però questi dovrebbero essere chiamati e riconosciuti per quel che sono, cioè, almeno per la parte prevalente, imposte sul transito. Si creerebbe un precedente pericoloso. Se vale in questo caso la logica di assegnare gratuitamente autostrade, e quindi gli introiti di pedaggi assimilabili a imposte di transito, alle Regioni che da queste autostrade sono attraversate, come evitare poi che domande analoghe vengano avanzate da ogni altra Regione? E perché poi il principio non dovrebbe essere esteso anche a gasdotti, elettrodotti ed altre infrastrutture? Come giustificare una sola eccezione, per di più a favore di una Regione già tanto privilegiata?

I finanziamenti per l’autostrada li ha garantiti lo Stato. E ai privati restano 600 milioni di liquidità
Gli azionisti, nella società concessionaria dell’Autobrennero, versarono come capitale solo cifre simboliche. L’autostrada fu finanziata tutta a debito formalmente o sostanzialmente garantito dallo Stato. Ora, ripagati i debiti con i pedaggi, si ritrovano una società che ha più di 600 milioni di liquidità, con cui potrebbero finanziare molteplici opere pubbliche. La società ha poi anche oltre 500 milioni accantonati in esenzione fiscale per il “fondo ferrovia” da destinarsi al finanziamento del nuovo traforo del Brennero ma la cui titolarità è ancora incerta (e la società ha ritardato lo sblocco di questo fondo come arma di pressione sul governo), perché la legge che lo istituì (in una legge finanziaria del governo Prodi) non lo specificava.

Le proroghe in arrivo per il gruppo Gavio
Il ministro Delrio sta anche trattando col gruppo Gavio per concedere proroghe alle autostrade della Sias. Il suo predecessore, Maurizio Lupi, aveva sciaguratamente concordato di consolidare tutte le concessioni della Sias prorogandole al 2043 e aveva sottoposto questo piano all’approvazione della Commissione europea. Pertanto le tariffe erano state aumentate, a gennaio 2015, “solo” dell’1,5%, su richiesta del governo, in attesa dell’approvazione del piano suddetto. La direttiva europea sulle concessioni emanata successivamente aveva richiesto un ripensamento, e pare che il ministro Delrio sia orientato a concedere un proroga ma per minore durata. Il gruppo Sias minaccia ora ricorsi se non venisse approvato il piano concordato con Lupi o altro ad esso gradito, e pretende il recupero degli incrementi tariffari che sarebbero loro stati dovuti dal gennaio 2015 oltre al “solo” 1,5%. Attendiamoci dunque nuove proroghe e nuovi balzi di tariffe.

La maestria delle società di gestione
Le concessionarie sono maestre nell’alternare carota e bastone per ottenere nuovi privilegi, questa è la loro vera specialità, assai più difficile del banale lavoro di gestire un’autostrada. Le proroghe di concessioni senza gara, come quelle chieste dal gruppo Sias, sono sempre giustificate con la necessità di finanziare nuovi investimenti. Sembra che il nostro Stato sia tanto malmesso da aver bisogno di capitali privati per finanziare questi investimenti, ma la realtà è ben diversa: gli azionisti delle concessionarie non hanno mai versato capitali se non per cifre simboliche né prevedono di sottoscriverne di nuovi per finanziare questi piani. I concessionari finanzieranno tutto a debito, come sempre, contando sul flusso dei pedaggi con tariffe che garantiscono sempre e comunque lauti ritorni. Perché lo Stato non lascia decadere le concessioni alla loro scadenza contrattuale e finanzia i nuovi investimenti col flusso dei pedaggi, senza ricorrere alla costosissima “mediazione” dei concessionari? Mancano nel settore pubblico le competenze per gestire un’autostrada?

Occorrerebbe muoversi in senso opposto, per proteggere gli utenti da rendite improprie: accelerare tutti i meccanismi di gara possibili, in particolare nell’affidamento dei lavori di manutenzione e di investimento, e frazionare il sistema, che non presenta economie di scala di rilievo. Questo nella grande tradizione della regolazione pubblica americana, che ha visto nello “spezzatino” delle aziende telefoniche e di quelle petrolifere i suoi maggiori successi storici.


Autostrade, la Atlantia dei Benetton offre 16,3 miliardi per comprare la spagnola Abertis
di F. Q. | 15 maggio 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/0 ... is/3586324


Atlantia, la concessionaria autostradale della famiglia Benetton, come da indiscrezioni delle scorse settimane ha annunciato il lancio di un’offerta per comprare la spagnola Abertis. Il controvalore complessivo è di 16,3 miliardi di euro: il gruppo offre 16,5 euro per ogni azione Abertis, i cui soci potranno optare però per una parziale alternativa in azioni, cioè un corrispettivo in titoli di nuova emissione con caratteristiche speciali. Il rapporto di scambio proposto è di 0,697 azioni Atlantia per ogni azione Abertis, fissato in base a un valore di 24,2 euro per azione della società italiana. Nel 2006 gli spagnoli tentarono un’operazione speculare, ma l’allora ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro si oppose all’acquisizione.

Atlantia, che ha chiuso il 2016 con un utile di competenza di 1,12 miliardi e ricavi da pedaggio per 4 miliardi, con questa offerta punta ad acquistare la quota del 22,3% di Abertis in mano alla società di investimento Criteria Caixa. Che nel caso in cui l’operazione vada in porto diventerà secondo maggior azionista di Atlantia mentre la famiglia Benetton, che oggi ha il 30,25%, ridurrà la propria partecipazione pur restando il primo socio.

Il pagamento del corrispettivo in azioni speciali Atlantia è soggetto a una soglia massima di accettazione pari a 230 milioni di azioni Abertis, circa il 23,2% del totale delle azioni oggetto dell’offerta. Superato quel tetto, si legge nella nota del gruppo guidato da Giovanni Castellucci, i titoli saranno ripartiti pro rata e la rimanente quota sarà versata in denaro. Queste azioni speciali non saranno quotate e non potranno essere trasferite fino al 15 febbraio 2019, quando saranno convertite automaticamente in azioni ordinarie con un rapporto 1:1. Avranno diritto di nominare fino a tre amministratori, per cui il cda passerà da 15 a un massimo di 18 componenti. Entrambe le società non cambieranno nome né sede.

Perché l’offerta sia efficace dovranno aderire almeno il 50%+1 del capitale del gruppo di Barcellona e i proprietari non meno di 100 milioni di azioni dovranno scegliere l’alternativa in titoli. Serviranno poi, naturalmente, le autorizzazioni delle authority spagnola e italiana e il via libera dell’antitrust. L’assemblea straordinaria di Atlantia dovrà inoltre approvare l’aumento di capitale a servizio della nuova emissione di azioni.

Il cda di Abertis ha fatto sapere che l’operazione è “volontaria e non richiesta” e “il consiglio non si pronuncerà fino a quando sia legalmente obbligatorio”. Nel frattempo il gruppo “continuerà l’attività ordinaria tenendo conto delle restrizioni” imposte dalle norme in caso di lancio di opa. Dopo l’annuncio, Atlantia ha messo a segno un forte rialzo a Piazza Affari chiudendo la seduta a +2,48 per cento.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:57 am

Le metafore sballate di Avvenire
Andrea Zambrano

http://www.lanuovabq.it/it/le-metafore- ... w.facebook

La personale battaglia di Avvenire contro le politiche del governo in fatto di respingimenti arriva a coinvolgere persino il crollo del ponte Morandi. Come? "I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli, tra il tradimento delle esperienze di solidarietà e la chiusura ermetica allo straniero". Una metafora sballata e strumentale che offende le vittime e mostra l'intento ormai ideologico e politico del quotidiano dei vescovi sul caso clandestini.

Se venisse istituito un premio alla miglior strumentalizzazione giornalistica sul caso Genova, Avvenire potrebbe candidarsi a vincere il primo premio. In questi giorni ne abbiamo sentite davvero tante da parte della grande stampa: direttori improvvisati ingegneri, cronisti nella parte della pubblica accusa e redattori con la lingua facile verso i Benetton. Ma la figura del profeta della coscienza di popolo questa proprio ci mancava.

Secondo tale Mauro Armanino, missionario in Niger e blogger per il Fatto Quotidiano, ma prestato alla causa del “dagli al governo fascista” anche su Avvenire, il crollo del ponte di Genova non è altro che una metafora del fatto che abbiamo tagliato i ponti con il sud del mondo. La colpa? Eccola: respingimenti e divieti di sbarco.

Il nome di Salvini non c’è, ma basta fare due più due per trovarlo.

Ecco dunque che cosa scrive Armanino: “Abbiamo tagliato i ponti col Mediterraneo. Mare nostro, mare-muro, mare chiuso, mare armato e infine mare tradito. Con respingimenti, divieti di sbarco, operazioni di dissuasione tramite la Guardia costiera libica e con campi di detenzione/concentramento migranti gestiti e finanziati in conto terzi, il ponte si è spezzato”.

Solo un’evocazione leggera? Mica tanto. Ecco come prosegue: “Ed è quanto è accaduto a Genova, col ponte Morandi. I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli, tra la Costituzione del Paese e la realtà vissuta, tra il tradimento delle esperienze di solidarietà e la chiusura ermetica allo straniero. Il ponte tagliato sul torrente Polcevera è una metafora delle nostre separazioni. Non saranno le mere soluzioni tecniche a rimetterlo in piedi e neppure la ricerca delle responsabilità penali. Il ponte da ricostruire è quello delle coscienze e dei legami da ristabilire con la nostra storia e con l’altro”.

Se si trattasse di un compito in classe basterebbe vergare di rosso con un bel 4 lo scritto semplicemente perché fuori tema, ma si tratta di un articolo del giornale dei vescovi, che lo ha pubblicato senza la benché minima revisione critica. Ne dobbiamo concludere che anche Avvenire pensa che a far crollare il ponte sia stata la politica muscolosa di Salvini nei confronti di immigrati clandestini quali sono quelli che affollano le nostre coste ormai da un lustro e più?

Metaforica, s’intenda. Comodo trincerarsi dietro stantie iperboli e logore figure retoriche per far passare il concetto ormai ossessivo che questo governo del quale non condivide la linea, ha tutte le colpe del mondo, compresa anche quella del crollo di un ponte in cemento armato. Si rischia di passare dal ruolo di cane da guardia, come dovrebbe fare un giornale, a quello di mastino del capoclan di turno per interessi di bottega.

Ma dato che qua si gioca di retorica, non si può non evidenziare come l’ossimoro mentale con il quale Avvenire porta avanti la sua linea editoriale personale contro il governo fascioleghista abbia toccato livelli di ideologia parrossistici. Una volta si diceva: piove, governo ladro. Oggi, grazie a queste campagne di strumentalizzazione dovremmo dire: crolla, Salvini fascio.

Come si faccia ad affiancare anche solo idealmente due cose impossibili da sovrapporre (una migrazione epocale grazie al sistema dello schiavismo che svela dietro di sé politiche scellerate di ripopolamento dell’Europa e il crollo di un ponte per la mancanza di controllo/monitoraggio/cura dei suoi gestori) è davvero opera, questa sì, che richiede un’alta perizia ingegneristica. Oltre che la faccia tosta di pretendere che questa sia la linea dei vescovi italiani.

È questa l'unica cosa che si può dire ai famigliari delle 42 vittime? Prendetevela col governo cattivo?

Se non è questo uno strumentalizzare un fatto di cronaca tragico per fini esclusivamente politici e di bottega, che cosa potrà mai esserlo? Sarebbe come sostenere l'ardita tesi che il crollo del ponte di Genova è metafora del fatto che a volte nella mente degli uomini di oggi saltano i ponti delle connessioni cerebrali per comprendere un fenomeno. Che poi, a pensarci bene, per qualcuno potrebbe anche essere vero...



In ventimila alla Festa del sacrificio: “La dedichiamo ai morti di Genova”
federico genta, letizia tortello
2018/08/21

http://www.lastampa.it/2018/08/21/crona ... agina.html

È partita con un ricordo e una dedica a Genova e ai genovesi, per la tragedia di Ferragosto, la festa musulmana del Sacrificio, cominciata questa mattina, martedì 21 agosto, al Parco Dora. L’Imam Ahmed Haouas, che ha tenuto preghiera e sermone, ha parlato di «un’Italia che si stringe intorno alla città, come fa anche la comunità islamica che oggi più di ieri si sente genovese e si unisce al cordoglio generale. Preghiamo affinché il signore possa accettare tutte le loro anime». Di fronte alle quasi 20 mila persone che hanno partecipato alla festa, prima di tornare a casa a metà mattinata, con il riferimento agli eventi che da anni sconvolgono il mondo dell’Islam, l’appello è stato anche per la «nostra comunità, che oggi vive una profonda crisi di scissione e litigi, e che non realizza quello che Dio vuole da noi, cioè essere uniti e in pace con il mondo intero». Presente all’occasione anche l’assessore all’integrazione della Città di Torino, Marco Giusta: «Musulmani e musulmane sono parte integrante della nostra società, e chi lo nega è cieco. Io sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto fino a ieri e vi chiamo a fare, insieme a noi, la vostra parte nel mondo di domani».
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:57 am

Ponte Morandi, pm: "Grave degrado di parte ovest, precedente al crollo"
2018/08/22

http://www.ansa.it/liguria/notizie/2018 ... 71945.html

"È stato accertato uno stato severo di degrado anche del moncone del lato ovest di ponte Morandi". Lo afferma il procuratore di Genova Francesco Cozzi, in una conferenza stampa. Lo stato di gravità della parte ovest, ha aggiunto, è compatibile con quello della parte est ed "è precedente al crollo del viadotto Morandi". Nella parte est, la la pila n.10, sopravvissuta al crollo, mostra un degrado dei materiali di grado 4 su una scala 5, superiore di quello del pilone crollato. "Se dovranno fare l'abbattimento di ponte Morandi chiederemo, attraverso i nostri consulenti, che venga fatto con modalità tale da salvaguardare materiale utile sul piano investigativo. Se si useranno micro cariche esplosive o uno smontaggio, chiederemo questo".

Nessun avviso di garanzia, ancora, per il crollo del ponte di Genova. Così Cozzì ha smentito notizie di stampa. "Ho letto sulla stampa che 10-12 persone sarebbero state iscritte nel registro degli indagati: questo non corrisponde al vero", ha affermato. "È già stata acquisita documentazione molto rilevante presso la direzione di Autostrade in varie località e ulteriori acquisizioni verranno decise", ha aggiunto. "Allo stato non c'è stata da parte nostra nessuna richiesta di incidente probatorio".

Per la ricostruzione del viadotto intanto Giovanni Toti, governatore ligure e commissario per l'emergenza, auspica l'intervento della Cassa depositi e prestiti (Cdp). "Autostrade ha la titolarità e la responsabilità dei lavori di ricostruzione, ma da un punto di vista politico, auspico che prenda in considerazione la disponibilità di un colosso come Cdp data la qualità e quantità di tecnologia delle aziende che ci sono dentro". "Spero che entro un paio di giorni arrivino tutte le autorizzazioni per poter cominciare i lavori di messa in sicurezza del moncone est di ponte Morandi. Il primo passo riguarderà la soletta che sporge dal pilone in modo da ridare equilibrio alla struttura". "Mi auguro che la messa in sicurezza di tutto il ponte possa essere completate in alcune settimane e non mesi", ha detto Toti.

A Genova per visita allo stabilimento di Ansaldo Energia che è stato sfiorato dal crollo c'è anche Fabrizio Palermo, ad di Cdp: "Siamo a Genova per confrontarci con la Regione e il Comune e per capire in quale modo il Gruppo può dare sostegno finanziario per le imprese e le infrastrutture", ha detto.

La Guardia di finanza è entrata nelle sedi della Società Autostrade per l'Italia di Genova, Firenze e Roma: su mandato della procura genovese gli uomini delle fiamme gialle hanno sequestrato documentazione in merito all'inchiesta. Acquisita, a quanto si apprende, anche copia dei dati contenuti nelle sim di 15 cellulari di dirigenti della società. Non sono invece stati sequestrati video, che erano già stati acquisiti in precedenza. Sequestrata anche tutta la corrispondenza tra Autostrade e Ministero delle Infrastrutture relativa a ponte Morandi. La Guardia di finanza è anche oggi, a quanto si apprende, nelle sedi di Autostrade per proseguire nell'acquisizione di materiale utile all'inchiesta. Questo è necessario, in particolare, per completare sul piano tecnico la copia del server di posta elettronica, operazione che richiede almeno tre, quattro giorni di lavoro. Da Autostrade intanto fanno sapere di aver versato i contributi economici alle prime 25 famiglie coinvolte nell'emergenza.

Intanto l'Anac ha chiesto alla società l'invio degli atti predisposti e necessari per la manutenzione del viadotto approvati dal Cda - e quindi progetto, capitolati tecnici, bando. Anac tra l'altro ha chiesto alla compagnia chiarimenti sull'appalto per i lavori su ponte Morandi e, nell'ambito dell'istruttoria avviata, sollecita aggiornamenti sullo stato degli interventi sull'A10. Nella richiesta di Raffaele Cantone si fa riferimento all'ultima relazione pubblicata sul sito del Mit sulla "Attività sul settore autostradale in concessione" del 2016, da cui emerge una mancata attuazione di interventi sulla A10-A7-A12 pari a 72,89%. Il piano però include i lavori per la Gronda mai partiti.

Il "tempo della vicinanza" con "le famiglie delle vittime, con gli sfollati che hanno perso la casa e gli affetti, con l'intera città di Genova" sia "una vicinanza fattiva, operosa, intima, silenziosa e non rabbiosa, senza fomentare odi ideologici, senza atti di sciacallaggio politico e desideri di vendette". Lo scrive il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel suo articolo sui fatti di Genova "Fra due sponde" per Il Settimanale dell'Osservatore Romano, in edicola domani.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » lun ago 27, 2018 6:59 am

Attilio Befera, prima indaga sui Benetton per faccende tributarie. Poi diventa un loro manager
Daniele Martini

https://www.ilfattoquotidiano.it/premiu ... ro-manager

L’ex capo del fisco, Attilio Befera, curò il “patteggiamento” per il rientro dal Lussemburgo di una società creata per “minimizzare le tasse sugli utili fatti coi pedaggi”

C’è un fatto importante che lega da anni il gruppo Benetton ad Attilio Befera, per un decennio e fino al 2014 il signore del fisco italiano come capo dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. E che poi, abbandonate le tasse, è diventato uno dei dirigenti più alti in grado di Atlantia, holding del gruppo Benetton da cui dipende Autostrade per l’Italia. Il fatto in questione è del 2012, riguarda proprio faccende tributarie ed è stato rivelato dall’Espresso: Benetton pagò 12 milioni di euro al fisco e rimpatriò Sintonia, la holding della famiglia che aveva sede in Lussemburgo per evitare ulteriori indagini sulla holding stessa. I Benetton finora avevano fatto credere che quel rimpatrio era dovuto a ragioni prettamente economiche.

La storia parte da un’indagine della Guardia di Finanza di Milano che spulciando i conti Benetton aveva scoperto un caso di estero vestizione, cioè che la holding lussemburghese della famiglia “era una società di comodo creata per minimizzare le tasse sugli utili prodotti in Italia attraverso i pedaggi autostradali”. Per chiudere la partita e forse per evitare ulteriori guai, il gruppo Benetton patteggiò un pagamento con l’Agenzia delle Entrate. Befera a quei tempi era contemporaneamente capo di Equitalia (la riscossione) e dell’Agenzia (gli accertamenti fiscali) e c’è da presumere abbia trattato direttamente lui tutta la partita considerato che di mezzo c’era una faccenda assai delicata, con cifre di rilievo e con implicato uno dei più influenti gruppi economici nazionali. La chiusura di contenzioni così pesanti prevede di solito una dose di discrezionalità da parte del fisco al momento del confronto con il contribuente ritenuto infedele o comunque fuori dalle regole. Dopo essersi dimesso due anni dopo dalle Agenzie fiscali, Befera è passato con i Benetton acquisendo un incarico di fiducia: coordinatore dell’Organismo di vigilanza di Atlantia, ufficio che “vigila sul funzionamento, l’efficacia e l’osservanza del modello di organizzazione, gestione e controllo in riferimento al modello 231”, cioè il Codice etico.

Befera era legato da mille fili al centrosinistra e nel gruppo Benetton ora emerge per importanza nel drappello di manager pescati dagli imprenditori veneti in quell’area, da Francesco Delzio capo delle Relazioni esterne a Simonetta Giordani, entrambi cresciuti intorno a Enrico Letta, la seconda diventata sottosegretario ai Beni culturali nel suo governo. Befera proviene dall’area comunista del centrosinistra che nelle faccende fiscali aveva come nume tutelare Vincenzo Visco. Nel suo ufficio di direttore dell’Agenzia delle entrate al settimo piano del palazzo sulla via Cristoforo Colombo a Roma Befera intratteneva gli interlocutori con alle spalle bene in vista una foto che lo ritrae in compagnia di Ugo Sposetti, dirigente storico del Pci e tesoriere del partito. Quando era ancora un semplice bancario di Efibanca, tentò pure la carriera di dirigente nel sindacato Cgil allora diretto da Angelo De Mattia, il quale sarebbe poi diventato direttore alla Banca d’Italia e braccio destro del governatore Antonio Fazio.

A metà degli anni Novanta del secolo passato entrò nella agguerrita pattuglia del Secit, gli ispettori del fisco tra cui spiccava Salvatore Tutino per un breve periodo assessore comunale a Roma con la sindaca Raggi. Una volta diventato il deus ex machina del fisco, Befera cominciò a strizzare l’occhio pure al centrodestra, versione Gianni Letta, frequentando da vicino il lettiano Antonio Mastrapasqua, il presidente Inps poi costretto alle dimissioni per una scandalo collegato alla sanità laziale.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » lun set 03, 2018 7:00 am

Qualche tempo fa vi avevo raccontato la curiosa storia di Attilio Befera, passato da Agenzia delle Entrate ad Atlantia dopo aver "supervisionato" una "mediazione amichevole" a favore di Atlantia.
https://www.ilblogdellestelle.it/2018/0 ... etton.html

Ora stiamo scoperchiando la rete di relazioni dei Benetton, che parte dal cda di Atlantia e si estende verso ogni genere di azienda e soprattutto verso i giornali.

> Monica Mondardini: nel cda di Atlantia e vice presidente di Gedi Editoriale (Repubblica, l'Espresso)
> Livia Salvini, sindaco effettivo di Atlantia (controllore) e, contemporaneamente, nel Consiglio di Amministrazione de "Il Sole 24 ore" (amministratrice)
> Massimo Lapucci è nel Cda e, guarda un po', anche della Caltagirone Spa (Il Messaggero, Il Mattino).

Se ci chiedevamo perché certa stampa è stata cosi "benevola" con i Benetton, tanto da non nominarli per giorni: forse abbiamo risolto l'enigma.


C'è un sistema di potere che ha difeso a spada tratta Atlantia e i Benetton dopo il crollo del ponte Morandi. Un intreccio di relazioni che attraversa Cda e collegi sindacali e che ci restituisce l'immagine nitida del cosiddetto capitalismo di relazione, metastasi che negli ultimi trent'anni ha trovato una sponda anche in politica.

Questo sistema di potere garantisce sostegno mediatico e politico a chi si è arricchito gestendo un servizio pubblico con la sola logica del profitto, come mostrano i dati sulla manutenzione e lo stato pietoso di molte infrastrutture. Nessun sostegno, invece, alle 43 vittime, alle loro famiglie e ad un'intera città colpita materialmente e psicologicamente. Se non fa più notizia che Pd e Forza Italia si schierino dalla parte delle lobby, è interessante conoscere come si è stratificato quel sistema di potere che si interseca con Atlantia.

Fabio Cerchiai, ad esempio, è presidente di Atlantia ma anche di Cerved Group e vicepresidente di Unipol Sai. Non da meno Monica Mondardini: nel cda di Atlantia ma anche presidente di Sogefi, amministratore delegato di Cir Spa (la holding di De Benedetti) e, udite udite, vice presidente di Gedi Editoriale (Repubblica, l'Espresso). Non si fa mancare nulla Livia Salvini, sindaco effettivo di Atlantia (controllore) e, contemporaneamente, nel Consiglio di Amministrazione de "Il Sole 24 ore" (amministratrice). Massimo Lapucci è nel Consiglio di Amministrazione di Atlantia e, guarda un po', anche della Caltagirone Spa (Il Messaggero, Il Mattino). Tanti cittadini si sono chiesti perché certa stampa è stata cosi "benevola" con i Benetton, tanto da non nominarli per giorni: forse abbiamo risolto l'enigma. Ma non è finita. Cristina De Benetti è amministratore in Autogrill spa, controllata di Edizione (la finanziaria dei Benetton), Autostrade Meridionali e Unipolsai. Sonia Ferrero, invece, è nel collegio sindacale di Atlantia, A2A, Banca Profilo, F.I.L.A., Geox, Snam.

E la lista di "relazioni" si allungherebbe a dismisura con gli incarichi passati degli attuali consiglieri di Amministrazione di Atlantia. Quando è crollato il Ponte Morandi, Pd, Forza Italia e certa stampa hanno sbandierato le perdite in borsa per provare a salvare la faccia ai Benetton e mettere un vergognoso velo sulle responsabilità della tragedia. Ma sono queste numerosissime interconnessioni gestionali tra aziende quotate a penalizzare chi investe in borsa, perché privano gli investitori della trasparenza necessaria a realizzare investimenti oculati.

Già prima che nascesse il MoVimento 5 Stelle Beppe Grillo denunciava dal blog questi intrecci di potere. Certi personaggi hanno potuto fare il bello ed il cattivo tempo dialogando amichevolmente con i governi di centrodestra e di centrosinistra, pericolosamente servili ai danni dei cittadini. Stiamo scoperchiando il vaso di Pandora: "prenditori" senza scrupoli, con il beneplacito di politici collusi, si sono arricchiti senza correre alcun rischio, privatizzando gli utili e socializzando le perdite che, nel caso di Genova, sono state anche umane.

I Benetton, dopo il crollo del Ponte, festeggiavano a Cortina i privilegi indebiti ottenuti dai precedenti Esecutivi e finora secretati. Con il Governo del Cambiamento l'era dei profitti di alcuni a discapito della manutenzione delle nostre strade si è definitivamente conclusa.

La nostra battaglia per restituire ai cittadini servizi pubblici efficienti e di qualità è solo all'inizio. Dei "prenditori" non rimarrà che il ricordo.



Due cose a quelli che “ora ci pensa lo Stato”
Oscar Giannino
agosto 2018

http://www.lintraprendente.it/2018/08/d ... Q.facebook

Riflessioni post-Genova a margine della propaganda trasversale sui morti: se pensate che il pubblico investa meglio del privato, i numeri dicono il contrario. E soprattutto: la vera colpa del pubblico è lasciare secretate le convenzioni autostradali...

Il tragico crollo di circa 200 metri del viadotto Morandi a Genova ci consegna – oltre a un doloroso bilancio di vittime – due gravissime emergenze che non investono solo il capoluogo ligure, ma l’intera Italia. La prima riguarda l’interruzione di un asse viario essenziale non solo tra Genova Ovest ed Est, che ora rischiano di essere di fatto per anni quasi separate come Berlino ai tempi della Guerra fredda, ma tra il porto di Genova, il maggior scalo di container italiano, e l’intero asse occidentale della E80, che da Lisbona giunge fino al confine orientale dell’Anatolia. Per l’intensissimo traffico pesante che percorreva l’A10, l’Autostrada da Ventimiglia fino a Genova, ora per aggirare l’interruzione del ponte Morandi servirà salire fino a Novi Ligure per poi riscendere verso la A7 e reinstradarsi nella A12, che va verso La Spezia. E’ un collo di bottiglia micidiale per la movimentazione delle merci portuali in partenza e in arrivo, comporta due ore minime di percorso in più, e un danno non solo per la vita quotidiana dei genovesi ma per le attività economiche locali e nazionali complessivamente valutabile in diversi miliardi di euro l’anno. Una simile emergenza su un asse viario di rilevanza europea dovrebbe immediatamente condurre il governo a soluzioni progettuali ed esecutive, sulla base di appropriate valutazioni costi-benefici, con un cronoprogramma il più spedito possibile. E’ una vera emergenza nazionale.

La seconda emergenza si desume invece dalla lunga storia che esita nella tragedia. E’ una storia, purtroppo, specchio dei tempi che viviamo da alcuni decenni nelle opere pubbliche del nostro Paese. Stretti dall’incapacità di farne di nuove – per le mille obiezioni e resistenze ai progetti, per l’inconcludenza delle conferenze di servizio con le Autonomie locali, per il regime di reiterate impugnative, insomma per tutto ciò che in Italia conduce quando va bene un’opera del valore di 100 milioni a dover registrare in media più di 15 anni dall’inizio del suo iter alla sua realizzazione – i decenni passano invano: e così le opere nuove non si fanno, e nel frattempo quelle antiche vanno incontro all’inevitabile usura di carichi di traffico sempre maggiori. E talora, tragicamente, crollano. Ed è anche questa una vera emergenza nazionale, visto che ieri l’Istituto per la Tecnica delle Costruzioni del CNR ha ricordato che in Italia “sono migliaia i ponti stradali ad aver superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra. Hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”.

Visto che saranno a questo punto le indagini della magistratura e tecniche a far luce sul crollo, che cosa sappiamo comunque già fin d’ora, per poter giungere a questa prima durissima conclusione? Mettiamole in fila.

Primo: le obiezioni e i dubbi tecnici sulla tenuta del ponte Morandi erano state avanzate da anni. Il professor Antonio Brencich, docente di tecnica delle costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, nel 2016 aveva diffusamente e criticamente argomentato sulla tenuta della portanza dell’opera realizzata secondo il brevetto-Morandi. “il ponte Morandi è un fallimento dell’ingegneria”, aveva detto, e già alla fine degli anni Novanta il costo complessivo nei decenni della manutenzione aveva superato l’80% del costo di sostituzione”. Le critiche trovarono eco ance in interrogazioni parlamentari, alle quali seguirono rassicurazioni ieri drammaticamente smentite. Prima di allora, già nel 2012 Cofindustria Genova aveva drammaticamente preconizzato l’eventualità del crollo del’opera, visti i suoi storici problemi legati alle tecniche di realizzazione e considerato il carico crescente di traffico. Ma la reazione furono sberleffi.

Secondo: la sostituzione del discusso ponte Morandi era infatti prevista nella prima versione della Gronda di ponente, il nuovo passante autostradale genovese per alleviare l’A10 la cui storia iniziale risale addirittura al 1984, e poi fermata dal TAR nel 1990. A questo seguì il cosiddetto progetto della Gronda Bassa, che avrebbe appunto consentito l’abbattimento del ponte Morandi, favorevoli Anas e Regione Liguria ma contrari Comune e Provincia. Che poi verrà accantonato per ragioni ambientali a favore, nel tempo, di altri tragitti spostati dalla città alla montagna: la Gronda Alta che da 17 passava a 28 km di cui 20 in galleria e 2,5 in viadotto; poi la Gronda Ampia ancor più a Nord che diventava di quasi 40 km e raddoppiava i costi; infine una nuova Gronda Bassa che tagliava i costi a 2,5 miliardi ma con tunnel sotto il Polcevera, proprio il torrente scavalcato da ponte Morandi. Tutti coloro che hanno detto No all’idea stessa della Gronda e ai sui primi ipotizzati tragitti a valle hanno un pesante responsabilità storica

Terzo: l’opposizione alla Gronda di movimenti ambientalisti e poi da parte del Movimento Cinque Stelle è sempre stata forte e decisa. Tanto che ancora nel 2013 sul sito ufficiale del Movimento un documento ufficiale attaccava come infondata “favoletta” quella dei dubbi sulla tenuta del ponte Morandi, una scusa insomma per realizzare l’inutile Gronda, e respingendo frontalmente le considerazioni che fin dal 2009 erano state avanzate da Autostrade per l’Italia, la concessionaria privata dell’A10 che aveva proposto nel 2009 la Gronda Bassa e l’abbattimento del ponte Morandi, giustificata considerando l’ormai inadeguatezza dell’opera “visti i 2,5 milioni di transiti l’anno, il quadruplicamento del traffico nei precedenti 30 anni, destinato a crescere di un ulteriore 30% nei successivi”. Nessuna sorpresa dunque che l’attuale ministro alle Infrastrutture Toninelli abbia posto la Gronda nell’elenco delle opere pubbliche che, come la TAV Torino-Lione e tante altre, il governo si riserva di riconsiderare o annullare. Peccato che, in questo caso, purtroppo gli allarmi sul ponte Morandi per procedere alla realizzazione della Gronda – oltre alla congestione perenne dell’asse unico autostradale urbano genovese – sia siano rivelati ieri tragicamente fondati. Quindi ora, grazie al partito del no pregiudiziale, niente infrastruttura nuova e nemmeno più quella vecchia, oltre il bilancio terribile delle vittime.

Quarto: l’Europa e le sue regole di bilancio pubblico, contro cui qualcuno del governo a cominciare da Salvini ha tuonato subito, non c’entrano nulla con il crollo del viadotto. Autostrade per l’Italia è concessionario privato del gruppo Atlantia controllato dai Benetton. Il problema semmai in questo caso è un altro. In particolare, e lo accerteranno i magistrati, se la società abbia sempre investito il necessario nei controlli e nella manutenzione del viadotto. In generale, a noi giornalisti non è possibile saperlo con precisione: visto che, anche dopo il decreto Madia sull’accesso ai dati della PA, l’Italia resta l’unico Paese democratico al mondo in cui le convenzioni autostradali sono secretate, ergo non si può capire con precisione si l’aumento delle tariffe avviene in presenza di reali e verificati investimenti effettuati, o sulla base di quelli annunciati o comunque non verificati. La secretazione delle convenzioni autostradali è uno scandalo contro il quale mi batto da anni e anni, come sa chi segue cosa scrivo e cosa dico su Radio24. Una battaglia condivisa con pochissimi, come il professor Marco Ponti, perché la politica di ogni colore, destra e sinistra, ha preferito l’opacità dei rapporti con i concessionari privati.

Quinto: ma quanto spendiamo nel complesso per realizzare nuove infrastrutture di trasporto viario nel nostro Paese? I dati comparati rilasciati dall’OCSE ci parlano di una storia precisa. A euro costanti, al netto delle diverse inflazioni nazionali, l’investimento pubblico italiano per le strade a metà degli anni Novanta era intorno ai 7 miliardi annui, come nel Regno Unito e Spagna, per poi salire oltre 8 miliardi nel 2001, e crescere fino a oltre 15 miliardi nel 2006, superando la Francia a 14 e la Germania a 11 miliardi. Poi la crisi terribile dopo il 2008: riscendendo fino a sotto 4 miliardi annui tra 2010 e 2013, e risalendo faticosamente sopra i 4 miliardi risuperando la Spagna solo 2015, e scavalcando sopra i 5 miliardi il Regno Unito nel 2016. Ergo sì: lo Stato ha tagliato di brutto gli investimenti sulle strade, e un effetto molto rilevante l’ha esercitato la crisi di spesa dovuta alla trasformazione delle Province (sono oltre 5mila i chilometri di strade provinciali oggi interessate da interruzioni, frane e gravi problemi di tenuta del manto stradale). Questo però riguarda lo Stato cioè l’Anas: oltre il 50% dei più di 7mila chilometri di autostrade italiane sono gestiti invece dai due maggiori concessionari privati, un altro 20% da altri, i cui investimenti sono stati invece premiati da (opachi, come detto) aumenti di tariffe.

Sesto: ma a parte la spesa per realizzare strade e ponti nuovi, per la manutenzione stradale quanto spendiamo, per impedire ad esempio che ponti e viadotti crollino, come testimoniato da ben 12 casi gravi nell’ultimo decennio? Ecco, qui i conti non tornano. La fonte è sempre l’International Transport Forum delll’OCSE. E comprende la manutenzione stimata sia di strade urbane sia extraurbane. A euro costanti 2005, negli anni 2010-2015 l’Italia risulta con una spesa media in manutenzione stradale di circa 15mila euro a chilometro annuo. Solo la Norvegia ci supera, a quota 17mila. Tutti gli altri Paesi sono a quote molto più basse: il Regno Unito 8mila euro, l’Austria 7mila, la Francia 4mila, il Belgio 2mila. Verrebbe da dire che, se i numeri sono corretti, c’è un enorme problema di come li spendiamo davvero, questi soldi. Un enorme problema di trasparenza e di efficienza dell’allocazione delle risorse pubbliche. Non è affatto vero che lo Stato gestisca le autostrade meglio dei privati. Basti pensare alla biblica cinquantennale vicenda della Salerno-ReggioCalabria dell’Anas statale,inaugurata mille volte nei decenni dai politici ma che a tutt’oggi ha ancora 30 cantieri aperti e 8 – i maggiori – sospesi per Ferragosto. Mentre l’Anas stesso, per salvarlo dai maxi contenziosi, si pensava di annegarlo in Ferrovie prima che il governo attuale chieda a Ferrovie invece di salvare Alitalia: a pasticcio si sostituisce così un pasticcio ancor peggiore.

Due emergenze nazionali, dunque, e basta effetti devastanti del no pregiudiziale a opere nuove. In tutta Italia ponti a rischio e viabilità congestionata sono un cappio al collo dello sviluppo e del lavoro, delle imprese e di milioni di cittadini. C’è bisogno di più investimenti pubblici trasparenti, e di investimenti privati trasparenti. E’ il modo migliore per non rendere vano il sacrificio doloroso di decine di vittime.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » gio set 13, 2018 6:45 am

Editori puri e quelli mafiosi
11 settembre 2018
Tommaso Merlo

Se la Benetton finanzia il tuo giornale così tu poi non gli scrivi articoli contro, questo non è giornalismo. È mafia. Se il tuo editore è un costruttore e il tuo giornale osanna il cemento, non è giornalismo. È mafia. Bianca, ma sempre mafia. E tu, che scrivi, non sei un giornalista, sei un sicario che colpisce su commissione solo i nemici dei tuoi boss e sei omertoso quando le notizie sono scomode al tuo clan. Luigi Di Maio annuncia un bel blitz per spazzare via anche queste incrostazioni del vecchio regime e ristabilire una informazione degna di una democrazia moderna. Evviva. Questa paranza quotidiana deve finire. Ai clan lobbistici che controllano i giornali non piace il governo gialloverde perché è troppo a favore dei cittadini e allora lo massacrano con ogni mezzo. Vogliono fermalo, vogliono intimidirlo, vogliono continuare a fare i propri sporchi comodi fregandosene della volontà popolare. Lobby, giornaloni e vecchi partiti sono i tre pilastri di un sistema che ha spadroneggiato in Italia per decenni. Un sistema consolidato in cui le caste prenditoriali, giornalistiche e politiche si sono coalizzate per spartirsi il potere e drenare risorse pubbliche. In quel sistema mafioso, il ruolo dell’informazione è quello di raccontare favole ai cittadini, di sedarli e convincerli che non ci sono alternative al sistema e nel frattempo nascondere le magagne dei loro boss sotto al tappeto ed esaltarne le imprese. Quanto ai nemici – a coloro cioè che rifiutano di affiliarsi o si pentono – l’informazione ha il compito di colpirli, di annientarli, anche a tradimento. La durissima campagna diffamatoria contro il Movimento 5 Stelle che continua da quando è nato, è dovuta a questo, al fatto che il Movimento vuole una informazione libera e al servizio dei cittadini e non una informazione mafiosa al servizio di qualche clan. Vuole ribellarsi. Dei tre pilastri, il Movimento ha già conquistato quello politico nelle urne. Ne rimangono due. I giornali e le lobby e la battaglia è in corso. Luigi annuncia che è arrivato il grande momento e ben presto crollerà anche il pilastro dei giornali. Finalmente, anche in Italia, un conto sarà fare informazione come mestiere, un’altra sarà farla a fini mafiosi. Un conto è dare notizie, un conto è manipolarle a fini privatistici. Anche perché l’indecenza del vecchio regime è andata ben oltre ogni immaginazione. Dato che a furia di prostituirsi a qualche boss i giornaloni hanno perso ogni credibilità e non li legge più nessuno, e dato che pagare lo stipendio e tutti quei sicari della penna e stampare a vanvera tutta quella carta, costa una fortuna, hanno ben pensato di farla pagare a noi cittadini. Alle vittime. Oltre il danno la beffa. E negli anni – essendo scoppiato lo scandalo dei finanziamenti a veline e carte igieniche di ogni tipo – si sono inventati ogni diavoleria occulta per succhiare soldi pubblici come tariffe agevolate, corsie preferenziali e quella delle pubblicità a pagamento denunciata da Luigi Di Maio. E così, testate fallite perché ritenute indegne dai lettori, sopravvivono a spese degli stessi ignari ex lettori a cui vengono fottuti i soldi di nascosto. Una tragicommedia. Oggi la Federazione Nazionale della Stampa italiana, uno di quei baracconi complici e artefici del vecchio marciume, dà del fascistello a Di Maio in quanto vorrebbe intaccare la libertà di espressione e il pluralismo dell’informazione. Fingono di non capire. Sanno che è finita per loro e invece di arrendersi si sono rinchiusi in un bunker. Sono terrorizzati dal nuovo, sono annichiliti dalla libertà dopo una vita spesa al guinzaglio di qualche clan o ideologia. E farneticano. Il pluralismo è una risorsa che nessuno ha mai messo in discussione, anzi, tutti sono liberi di pensare e scrivere quello che vogliono e fondare i giornali che preferiscono, l’importante è che non scarichino i costi sui cittadini e pensino piuttosto alla qualità in modo da ritrovare qualcuno che li ritenga degni di essere letti. Quanto alla libertà dell’informazione è proprio quello a cui mira il Movimento. Libertà dalle lobby e dai clan che usano l’informazione come un’arma impropria per perseguire i propri fini occulti. Dei tre pilastri che reggevano il vecchio sistema mafioso, il 4 marzo è crollato quello politico. Oggi tocca a quello dell’informazione. Quello delle lobby seguirà a ruota. La democrazia italiana ha perso fin troppo tempo vittima dell’egoismo e delle avidità di qualche boss. Una informazione libera e onesta e professionale è un diritto sacrosanto dei cittadini e garantirla è un dovere della politica. È tempo che la nostra democrazia riprenda la strada verso il futuro con una informazione degna delle sfide che l’aspettano.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » gio set 27, 2018 6:27 am

LA MIA OPINIONE OLTRE LO SCHIFO
Leggere l'editoriale di Marco Travaglio, e inorridire, scorrendo le righe del testo, è un'operazione che vi riempirà di risentimento verso coloro che, conoscendo la gravissima situazione del ponte Morandi, nulla fecero per scongiurare la tragedia di Genova. Ma non basta. Scoprirete come i SOLITI giornaloni - dei SOLITI pennivendoli inginocchiati - abbiano cercato di tutelare in qualche modo i Maletton, anziché inchiodarli alle loro conclamate responsabilità.
Uno schifo. Una vera e propria vergogna.
Un pessimo servizio all'informazione di cui si sono macchiate alcune testate della stampa nazionale: anch'esse senza vergogna come la FAMIGLIA della vergogna. Tanto per non fare nomi, prendete nota dei seguenti e diffidate di essi: REPUBBLICA, CORRIERE, STAMPA, IL GIORNALE.

https://www.facebook.com/al.skender.9/p ... 1285427964

Fate schifo
di Marco Travaglio
mercoledì 26/09/2018

Noi non lo sapevamo, ma ogni volta che passavamo in auto sul ponte Morandi di Genova fungevamo da cavie di Autostrade per l’Italia, controllata da Atlantia della famiglia Benetton, che “utilizzava l’utenza, a sua insaputa, come strumento per il monitoraggio dell’opera”. Cavie peraltro inutili, inclusi i poveri 43 morti del 14 agosto: “pur a conoscenza di un accentuato degrado” delle strutture portanti, la concessionaria “non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino” né “adottato alcuna misura precauzionale a tutela” degli automobilisti. Lo scrive la Commissione ispettiva del ministero, nella relazione pubblicata dal ministro Danilo Toninelli. Autostrade-Atlantia-Benetton “non si è avvalsa… dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto” e non ha “eseguito gli interventi necessari per evitare il crollo”. Peggio: “minimizzò e celò” allo Stato “gli elementi conoscitivi” che avrebbero permesso all’organo di vigilanza di dare “compiutezza sostanziale ai suoi compiti”. Non aveva neppure “eseguito la valutazione di sicurezza del viadotto”: gl’ispettori l’hanno chiesta e, “contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23.6.2017 della Società alla struttura di vigilanza”, hanno scoperto che “tale documento non esiste”. Le misure preventive di Autostrade “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”, malgrado la concessionaria fosse “in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento… Tale evoluzione, ormai da anni, restituiva un quadro preoccupante, e incognito quantitativamente, per la sicurezza strutturale rispetto al crollo”.

Eppure si perseverò nella “irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi, perfino di manutenzione ordinaria”. Così il ponte è crollato, non tanto per “la rottura di uno o più stralli”, quanto per “quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone) la cui sopravvivenza era condizionata dall’avanzato stato di corrosione negli elementi strutturali”. E la “mancanza di cura” nella posa dei sostegni dei carroponti potrebbe “aver diminuito la sezione resistente dell’armatura delle travi di bordo e aver contribuito al crollo”. Per 20 anni, i Benetton hanno incassato pedaggi e risparmiato in sicurezza: “Nonostante la vetustà dell’opera e l’accertato stato di degrado, i costi degli interventi strutturali negli ultimi 24 anni, sono trascurabili”. Occhio ai dati: “il 98% dell’importo (24.610.500 euro) è stato speso prima del 1999”, quando le Autostrade furono donate ai Benetton, e dopo “solo il 2%”.

Quando c’era lo Stato, l’investimento medio annuo fu di “1,3 milioni di euro nel 1982-1999”; con i Benetton si passò a “23 mila euro circa”. Il resto della relazione, che documenta anche il dolce far nulla dei concessionari, ben consci della marcescenza e persino della rottura di molti tiranti, lo trovate alle pag. 2 e 3. Ora provate a confrontare queste parole devastanti con ciò che avete letto in questi 40 giorni sulla grande stampa. E cioè, nell’ordine, che: per giudicare l’inadempimento di Autostrade (i Benetton era meglio non nominarli neppure) bisogna attendere le sentenze definitive della magistratura (una decina d’anni, se va bene); revocare subito la concessione sarebbe “giustizialismo”, “populismo”, “moralismo”, “giustizia sommaria”, “punizione cieca”, “voglia di ghigliottina” e di “Piazzale Loreto”, “sciacallaggio”, “speculazione politica”, “ansia vendicativa”, “barbarie umana e giuridica”, “cultura anti-impresa” che dice “no a tutto”, “pericolosa deriva autoritaria”, “ossessione del capro espiatorio”, “esplosione emotiva”, “punizione cieca”, “barbarie”, ”pressappochismo”, “improvvisazione”, “avventurismo”, “collettivismo”, “socialismo reale”, “oscurantismo” (Repubblica, Corriere, Stampa, il Giornale); l’eventuale revoca senz’attendere i tempi della giustizia costerebbe allo Stato 20 miliardi di penali; è sempre meglio il privato del pubblico, dunque le privatizzazioni non si toccano; il viadotto non sarebbe crollato se il M5S non avesse bloccato la Gronda (bloccata da chi governava, cioè da sinistra e destra, non dal M5S che non ha mai governato; senza contare che la Gronda avrebbe lasciato in funzione il ponte Morandi); e altre cazzate.

Repubblica: “In attesa che la magistratura faccia luce”, guai e fare di Atlantia “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo”. Corriere: revocare la concessione sarebbe “una scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. La Stampa: il crollo del ponte è “questione complessa” e nessuno deve gettare la croce addosso ai poveri Benetton (peraltro mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio contro cui l’indignazione possa sfogarsi”, come nei “paesi barbari”. Parole ridicole anche per chi guardava le immagini del ponte crollato con occhi profani: se lo Stato affida un bene pubblico a un privato e questo lo lascia crollare dopo averci lucrato utili favolosi, l’inadempimento è nei fatti, la revoca è un atto dovuto e il concessore non deve nulla al concessionario. O, anche se gli dovesse qualcosa, sarebbero spiccioli (facilmente ammortizzabili con i pedaggi) rispetto al danno che deriverebbe dalla scelta immorale di lasciare quel bene in mani insanguinate. Ora però c’è pure la terrificante relazione ministeriale, che va oltre le peggiori aspettative. In un Paese serio, o almeno decente, i vertici di Autostrade-Atlantia-Benetton, anziché balbettare scuse o chiedere danni in attesa di farne altri, si dimetterebbero in blocco rinunciando alla concessione, per pudore. E i giornaloni si scuserebbero con i familiari dei 43 morti e uscirebbero su carta rossa. Per la vergogna.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » mar dic 18, 2018 9:49 pm

Ponte Morandi, è ufficiale: ha vinto il progetto di Renzo Piano
Gianni Carotenuto - Mar, 18/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 18453.html

In una nota in cui ha smentito di volere fare ricorso, il gruppo perdente Cimolai ha confermato l'affidamento della ricostruzione del viadotto alla cordata Impregilo-Salini. Ripresa l'idea progettuale dell'archistar genovese. Il costo? 200 milioni

Ora è ufficiale: sarà la cordata Salini-Impregilo (con Fincantieri e Italferr) a ricostruire ponte Morandi.

A confermare le indiscrezioni della vigilia - che la davano in vantaggio sull'azienda friulana Cimolai - è stato il commissario alla ricostruzione Marco Bucci. A ricoprire il ruolo di padre nobile sarà l'archistar genovese Renzo Piano, che ha vinto il "ballottaggio" con il collega spagnolo Santiago Calatrava. Delle 22 proposte arrivate inizialmente alla struttura commissariale del sindaco di Genova, erano rimaste in due a giocarsela: da un lato il progetto firmato Salini-Impregilo insieme a Fincantieri e Italferr, dall'altro quello presentato da Cimolai. Il commissario e primo cittadino genovese avrebbe preferito una soluzione per coinvolgere insieme i due gruppi, ma non è stato possibile.

Svanito il timore di un eventuale ricorso di Cimolai: "Non è nostra intenzione farlo", ha smentito il colosso friulano delle costruzioni. Una notizia che rasserena gli animi e consente alla città della Lanterna di concentrarsi solo ed esclusivamente sulla ricostruzione, che dovrebbe partire a marzo 2019 una volta terminata la demolizione. I cantieri per la quale sono già stati avviati, in attesa di cominciare con l'abbattimento vero e proprio del vecchio ponte, che sarà possibile solo con il totale dissequestro delle aree da parte della procura. Ma si pensa già alla fase successiva. A influire in maniera decisiva sulla decisione della struttura commissariale è stata la disponibilità di Salini-Impregilo a ritoccare il progetto originario di Piano, riducendo il numero di piloni previsti e con esso anche i tempi per la ricostruzione. I lavori cominceranno a marzo 2019 per terminare entro Natale dello stesso anno. Lo ha ribadito anche il ministro Toninelli: "Sarà pronto entro la fine dell'anno: l'inaugurazione spostata al massimo a marzo 2020". Costerà 200 milioni di euro.
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